Post 8 dicembre 2011 - AGGIORNAMENTO DEL 15/02/2015 NUOVO AGGIORNAMENTO DEL 10/10/2018
- Dal 1987, la Madonna appare ad Anguera (Brasile) al veggente Pedro Régis, dettandogli messaggi per tutta l'umanità.
- I messaggi vengono trasmessi 3 volte a settimana: ogni martedì e sabato, più un altro giorno variabile.
ULTIMO MESSAGGIO IN ITALIANO DAL SITO WEB UFFICIALE BRASILIANOGli articoli e le informazioni contenute nei siti Web "linkati" sono di proprietà degli autori dei siti medesimi. Pertanto tutti i diritti nonché la responsabilità di quanto riportato in questi siti sono riservati esclusivamente ai loro autori.Questo post presente sul blog: https://nostrasignoradianguera.blogspot.it/e Twitter: https://twitter.com/angueramessaggi è un interpretazione personale e non corrisponde necessariamente al vero significato dei messaggi, degli avvertimenti della Madonna al mondo e delle profezie annunciate da Nostra Signora ad Anguera.Si consiglia di visitare il sito web ufficiale brasiliano del veggente Pedro Regis:http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/ e la pagina dedicata al commento delle profezie: http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/cms/list/not%C3%ADcias(Gestore sito web: ANSA - Associacao Nossa Senhora de Anguera).
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Prima guerra civile in Libia (17 febbraio -
20 ottobre 2011) – conflitto svoltosi nel paese nordafricano e
che ha visto opposte le forze lealiste di Mu'ammar Gheddafi e quelle dei rivoltosi,
riunite nel Consiglio nazionale di transizione.
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Intervento militare in Libia del 2011 (19 marzo - 31
ottobre 2011) – intervento militare internazionale svoltosi a sostegno dei
ribelli libici del Consiglio nazionale di transizione.
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Seconda guerra civile in Libia (16 maggio 2014
- in corso) – conflitto in corso tra due governi rivali, basati a Tripoli e
Tobruk.
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MESSAGGI DELLA MADONNA DI ANGUERA CORRELATI ALLA NAZIONE LIBIA
2.691 - 07/06/2006 AVVERATO IL 15/02/2011 – GUERRA CIVILE LIBICA IN CORSO "Cari figli, a Cirene* si udranno grida di disperazione e i miei poveri figli temeranno i grandi eventi." Dio vi chiama a vivere rivolti verso la sua grazia salvifica e misericordiosa. Non restate con le mani in mano. Siate coraggiosi e sappiate affrontare le difficoltà di ogni giorno. Voi non siete soli. L’umanità percorre le strade della distruzione che gli uomini hanno preparato con le proprie mani. Ecco il tempo del vostro ritorno. Fuggite dal peccato e servite il Signore con gioia. Desidero la vostra conversione. Pentitevi, perché il pentimento è il primo passo da fare sulla strada della santità. Avanti con coraggio. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
* Sono in dubbio su come vada tradotta la preposizione (“pela cirene”), ma potrebbe essere la città di Cirene (Libia)Fonte: http://www.messaggidianguera.net/Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Cirene_%28citt%C3%A0%29
Cirene è il nome di una importante colonia greca del Mediterraneo che si trovava nell'odierna Libia orientale, presso l'attuale cittadina di Shahhat, nella municipalità di Al Jabal al Akhdar.
2.595 - 29.10.2005
Cari figli, restate saldi sul cammino che vi ho indicato. Ecco i tempi dei dolori. Pentitevi e assumete il vostro vero ruolo di cristiani. L’umanità percorre le strade dell’autodistruzione che gli uomini hanno preparato con le proprie mani. Cercate la pace. Dio è la soluzione per voi. Ritornate. La Libia inciamperà e i miei poveri figli conosceranno grandi sofferenze. Per gli uomini del terrore sarà un regalo di valore. Intensificate le vostre preghiere. Si avvicinano ora i momenti difficili per i miei poveri figli. Un tempio sarà in macerie. È stato costruito sopra un tumulo. Sarà in India. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
* Sono in dubbio su come vada tradotta la preposizione (“pela cirene”), ma potrebbe essere la città di Cirene (Libia)Fonte: http://www.messaggidianguera.net/Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Cirene_%28citt%C3%A0%29
Cirene è il nome di una importante colonia greca del Mediterraneo che si trovava nell'odierna Libia orientale, presso l'attuale cittadina di Shahhat, nella municipalità di Al Jabal al Akhdar.
2.595 - 29.10.2005
Cari figli, restate saldi sul cammino che vi ho indicato. Ecco i tempi dei dolori. Pentitevi e assumete il vostro vero ruolo di cristiani. L’umanità percorre le strade dell’autodistruzione che gli uomini hanno preparato con le proprie mani. Cercate la pace. Dio è la soluzione per voi. Ritornate. La Libia inciamperà e i miei poveri figli conosceranno grandi sofferenze. Per gli uomini del terrore sarà un regalo di valore. Intensificate le vostre preghiere. Si avvicinano ora i momenti difficili per i miei poveri figli. Un tempio sarà in macerie. È stato costruito sopra un tumulo. Sarà in India. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
3.598 - 21 gennaio 2012
Cari figli, io sono al vostro fianco anche se non mi vedete. Non perdetevi d’animo. Chi sta con il Signore non sperimenterà mai il peso della sconfitta. Inginocchiatevi in preghiera, perché solo così potete ottenere la pace. Ecco il tempo delle grandi confusioni spirituali. Il demonio semina confusione tra di voi, ma la sua maschera cadrà e la verità regnerà nei cuori dei fedeli. State attenti. Vi chiedo di fare il bene a tutti. Riempitevi dell’amore del Signore, perché solo così sarete guariti spiritualmente. Io sono vostra Madre e supplicherò il mio Gesù in vostro favore. Coraggio. Affidate al mio Gesù la vostra esistenza. In Lui è la vostra speranza e salvezza. L’umanità si è allontanata dal Creatore e cammina verso un grande abisso. Al Bayda vivrà momenti di grande sofferenza e i miei poveri figli piangeranno e si lamenteranno. Convertitevi. Ecco il tempo opportuno per riconciliarvi con Dio. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Beida (in arabo: البيضاء, al-Bayḍāʾ , "la Bianca", dialettalmente Zawiyat el-Beda, in italiano, in epoca fascista, Beda Littoria) è una città della Libia settentrionale, nella regione della Cirenaica, capoluogo della Municipalità di Al Jabal al Akhdar.
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Prima guerra civile in Libia (17 febbraio -
20 ottobre 2011) – conflitto svoltosi nel paese nordafricano e
che ha visto opposte le forze lealiste di Mu'ammar Gheddafi e quelle dei rivoltosi,
riunite nel Consiglio nazionale di transizione.
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Intervento militare in Libia del 2011 (19 marzo - 31
ottobre 2011) – intervento militare internazionale svoltosi a sostegno dei
ribelli libici del Consiglio nazionale di transizione.
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Seconda guerra civile in Libia (16 maggio 2014
- in corso) – conflitto in corso tra due governi rivali, basati a Tripoli e
Tobruk.
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Prima guerra civile in Libia (17 febbraio -
20 ottobre 2011) – conflitto svoltosi nel paese nordafricano e
che ha visto opposte le forze lealiste di Mu'ammar Gheddafi e quelle dei rivoltosi,
riunite nel Consiglio nazionale di transizione.
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Prima guerra civile
in Libia
Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera.
Disambiguazione –
Se stai cercando la guerra civile iniziata nel 2014, vedi Seconda
guerra civile in Libia. La prima guerra civile in
Libia ha avuto luogo tra il febbraio e l'ottobre del 2011 e
ha visto opposte le forze lealiste di Mu'ammar Gheddafi e
quelle dei rivoltosi, riunite nel Consiglio
nazionale di transizione.
Il paese, dopo aver vissuto una prima fase di insurrezione
popolare (anche nota come rivoluzione del 17 febbraio),[18] sull'onda della
cosiddetta primavera araba (e
specialmente dei coevi eventi relativi: la rivoluzione
tunisina del 2010-2011 e quella egiziana),
ha conosciuto in poche settimane lo sbocco della rivolta in conflitto civile.[19] La sommossa libica, in
particolare, è stata innescata dal desiderio di rinnovamento politico contro il
regime ultraquarantennale della "guida" della "Giamahiria" (in arabo Ǧamāhīriyya)
Muʿammar Gheddafi, salito al potere il 1º settembre 1969 dopo
un colpo di stato che
condusse alla caduta della monarchia filo-occidentale del re Idris.
Dopo quasi un mese di scontro il Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso, con la risoluzione 1973, di istituire una zona d'interdizione
al volo sulla Libia a protezione
della popolazione civile, legittimando l'intervento
militare ad opera di diversi paesi avviato il 19 marzo 2011.
Contesto
Cause dell'insurrezione
La rivolta libica ha risentito dell'"effetto domino"
delle rivolte nei paesi vicini in quanto, complice anche l'utilizzo da parte
delle giovani generazioni di mezzi di informazione come internet (più
difficilmente controllabili dalla censura dei regimi), le notizie degli
avvenimenti in Tunisia ed Egitto sono riuscite a superare la tradizionale
riluttanza della popolazione ad interpretare forme di dissenso.[20] La causa del carovita non è apparsa l'elemento
scatenante della rivolta, al contrario degli altri Stati coinvolti nella
protesta nei quali il fattore di innesco è risultato per molti aspetti
l'aumento del livello dei prezzi dei generi alimentari.[21][22] Il reddito procapite della popolazione
infatti è attestato a 11.307 dollari l'anno, un parametro più elevato
rispetto agli altri stati del Maghreb (cinque volte superiore a
quello egiziano).[23] Il petrolio, invece, risorsa della quale il paese
è il primo possessore africano, seguito da Algeria e Nigeria, costituisce la risorsa più importante
del paese e principale fonte di ricchezza.[21][23][24] A dispetto, tuttavia, delle
condizioni economiche, il contagio della rivolta nordafricana e vicino-orientale si è rivelato
inevitabile, contrariamente a quanto sostenuto da diversi analisti secondo i
quali la Giamahiria non
sarebbe stata interessata dai movimenti di piazza o, nella peggiore delle
ipotesi, da incidenti e scenari di torbidi.[25]
Gheddafi, prima dello scoppio della rivoluzione, poteva fare
assegnamento su alcuni elementi basilari del potere nel paese: un'ingente
politica di sussidi statali, il massiccio ricorso alla repressione del dissenso
e la tacita intesa con le tribù più refrattarie al suo potere.[26] Il regime tuttavia non aveva
posto pieno rimedio al presunto[27] grosso nodo della
disoccupazione, che nel 2011 secondo le stime della Banca Mondiale colpiva
ancora il 17,7% dei cittadini[28], soprattutto donne e giovani.[29] Né gli accordi con le imprese
straniere, né i piani infrastrutturali, inseriti all'interno di un più ampio
progetto di riforma dell'economia avviata nel paese dal 2000 (in
coincidenza con la fine delle sanzioni), hanno potuto porre rimedio a questa
piaga.[30] Il fallimento dei progetti di
sviluppo e di liberalizzazione,
il crescente malcontento, reso più intenso dall'arrivo in massa di immigrati
dall'Africa subsahariana,
aveva creato un quadro di tensione esplosiva nel paese.[31]
La censura e il controllo serrato dell'informazione, insieme
alla dissimulazione delle diseguaglianze del paese, abilmente oscurate dai
proclami di Gheddafi contro l'imperialismo occidentale,
hanno costituito, negli ultimi anni, un potente freno contro l'insorgere di
sentimenti eversivi nella popolazione libica.[32]
La struttura di potere del Colonnello
La genesi e l'evoluzione del moto di protesta e della
susseguente repressione hanno risentito della forte divisione interna alla
Libia. Ad accentuare gli effetti della recrudescenza della sollevazione,
infatti, sono risultati non secondari la frammentazione del paese tra tribù (se ne contano 140, tra cui 30 le
maggiori), talvolta ostili all'unità della nazione, nonché lo iato molto forte
tra la parte tripolitana e del Fezzan, fedeli al leader, e quella cirenaica,
"storico focolare dell'opposizione al regime di Gheddafi".[25][33] Il peso delle divisioni
tribali non è stato, ciononostante, l'unico fattore coagulante del moto
rivoltoso. A Tripoli, dove la maggioranza della popolazione non si identifica
in nessuna tribù, come in altre parti della Libia, l'indignazione popolare è stata
la principale leva della rivoluzione.[34]
Dopo la conquista dell'indipendenza nel 1951 e
gli incarichi di controllo amministrativo attribuiti dalla monarchia alle varie tribù, queste ultime
si conquistarono ruoli di primo piano all'interno della politica libica.[35] Successivamente, con la presa
del potere da parte di Gheddafi, uno dei primi passi del consolidamento del
regime fu la sottrazione del potere che la monarchia aveva demandato ai clan.
L'impostazione ideologica del
dittatore, inoltre, imponeva il passaggio dalla sclerosi di una società
fossilizzata nelle tradizioni e nei riti clanici,
alla nuova età del socialismo reale che,
attraverso il "governo delle masse" (Giamahiria), conducesse al superamento
dell'intermediazione dei partiti e delle tribù per assegnare al popolo (sebbene
solo virtualmente) il potere decisionale.[35] Successivamente il colonnello
raggiunse delle intese con i clan, tali per cui rimediò alla sfaldatura del
paese lungo linee di demarcazione tribali attraverso la cooptazione dei vertici
dei clan.[36]
Nel corso della rivolta contro Gheddafi sono stati i clan ad
essersi sollevati, a differenza di quanto avvenuto durante l'insurrezione
in Egitto, dove l'apporto dei giovani intellettuali assieme alla
classe lavoratrice nel sostenere la fine del regime di Hosni Mubarak è apparso più incisivo e
pressante di quanto non sia avvenuto nella sedizione libica.[37] Né l'esercito ha giocato un
ruolo chiave come nel vicino Egitto, in quanto esso qui
si è diviso tra la solidarietà ai rivoltosi e la fedeltà al regime.[37] Alle divisioni di natura etnica,
si aggiungono quelle ideologiche tra gli oppositori del regime e i
"rivoluzionari", eredi degli artefici della rivoluzione del 1969,
organizzati nei "comitati". Costoro, che costituiscono la componente
più vicina al rais, sono osservanti del libro verde del
colonnello e si incaricano della "diffusione del pensiero giamahiriano nel
mondo".[37] All'interno degli stessi
comitati tuttavia si segnala una frangia più moderata, vicina alle posizioni
solo apparentemente riformiste di
uno dei figli di Gheddafi, Sayf al-Islām.
Accanto ai fedelissimi del regime e ai riformisti una terza componente precipua
della consorteria al comando della Libia è rappresentata dai tecnocrati, gruppo elitario che
cura gli interessi economici e finanziari del paese e che interagisce con
le multinazionali estere
nella gestione delle risorse naturali.[37]
La rivolta
Primi scontri
Lo stesso argomento in
dettaglio: Prima battaglia di Bengasi.
|
La scintilla della rivolta è stata l'invito alla sollevazione
diffuso sulla rete dai blogger, in concomitanza con
le recenti manifestazioni in corso nel mondo arabo, per il giorno 17 febbraio.
I giovani libici hanno aderito in gran numero a questo invito. Le proteste
hanno avuto come primo focolaio Bengasi, quando, nel pomeriggio del 16
febbraio, numerosi manifestanti si sono radunati per protestare contro
l'arresto di un avvocato e attivista dei diritti umani, rappresentante legale delle
famiglie vittime del massacro operato nel 1996 dal
regime nel carcere di Abū Sālim,
nei dintorni di Tripoli, in occasione del quale sarebbero periti 1.200
carcerati.[38][39] In tutto il Paese, nel
frattempo, secondo i media ufficiali, si tengono manifestazioni contro il
governo del leader Mu'ammar Gheddafi.[40]
Di due morti e decine di feriti sarebbe il numero delle vittime
a Bengasi, dove le forze dell'ordine impiegano armi da fuoco per disperdere i
rivoltosi.[41]
Il risultato degli scontri a Beida,
sesta città libica, tra manifestanti antigovernativi e polizia è invece di
almeno 9 morti (secondo altri di 13), in occasione dei quali la reazione delle
forze di sicurezza libica, sarebbe stata molto dura, mentre il direttore
dell'ospedale al-Yala di Bengasi, dove scontri si sono registrati nella notte e
per tutta la mattina, ʿAbd al-Karīm Jubaylī, riferisce che "38 persone
sono state ricoverate per ferite leggere" in seguito agli incidenti nella
città.[42][43][44]
La "giornata della collera"
La vecchia bandiera del regno libico
usata durante le manifestazioni dalle forze di opposizione.
Il 17 febbraio altre 6 persone rimangono uccise in accesi
conflitti a Bengasi. I siti di opposizione al-Yawm (Oggi)
e al-Manāra (Il Minareto, il Faro) parlano di almeno sei morti
e 35 feriti. Testimoni riferiscono che sarebbero avvenute vere e proprie
esecuzioni da parte delle forze di polizia.[45]
Nella stessa giornata del 17 febbraio, in occasione della quale
viene proclamata la "Giornata della collera", milizie giunte da
Tripoli a Beida, nell'est della Libia, secondo l'organizzazione Human Rights
Solidarity, colpiscono i manifestanti causando almeno 15 morti e numerosi
feriti.[46] La repressione violenta
attuata in risposta dal regime è stata percepita più che come una minaccia,
come un ulteriore incentivo all'incremento delle agitazioni, grazie altresì al
ruolo di incitamento svolto dalle reti arabe come Al Jazeera e Al Arabiya nel propalare notizie, in
alcuni casi rivelatesi notevolmente amplificate, su massacri messi in atto
dalla polizia intervenuta per sedare le manifestazioni.[32] Dalle uccisioni dei civili
hanno quasi subito preso le distanze alcune tribù e interi reparti
dell'esercito, passati successivamente dalla parte dei rivoltosi. Così facendo
tutti saranno contro tutti. (circa 20.000 soldati).[47]
Battaglie a Beida e Bengasi
Il 18 febbraio gli scontri proseguono mentre il numero delle
vittime viene aggiornato a 24 morti e decine di feriti, secondo Human Rights Watch.[48]
La città di Beida, secondo quanto
dichiarato da Giumma el-Omami del gruppo "Libyan Human Rights
Solidarity", sopraffatte le forze di sicurezza, cade sotto il controllo
dei manifestanti. Lo stesso 18 febbraio la conta dei morti nel corso della
"giornata della collera" sale a cinquanta, secondo fonti
dell'opposizione, che nella medesima giornata ha condotto per le strade
migliaia di manifestanti contro il regime di Mu'ammar Gheddafi in almeno otto
città libiche, secondo l'agenzia Misna.[49] Quando le forze di opposizione
prendono il controllo dell'aeroporto di Bengasi, l'edizione online del
quotidiano Oea, vicino a Saif el-Islam,
uno dei figli del colonnello Gheddafi, riporta la notizia che tre mercenari
assoldati per reprimere le proteste sono stati impiccati durante le sommosse
contro il regime a Beida.[49]
Evasioni dalle carceri e rivolte nei penitenziari si registrano
a Tripoli e Bengasi. Numerosi prigionieri evadono nella mattinata del 18 febbraio
dalla prigione al-Kuifiya a Bengasi, a seguito di una rivolta, mentre sei
detenuti rimangono uccisi dalla Polizia libica nella repressione di una
ribellione nel carcere di Jadayda a Tripoli.[50][51]
Secondo il giornale online Oea, le città di Bengasi e Derna,
nelle quali ci sono stati in totale 27 morti, vengono occupate dai rivoltosi e
l'esercito riceve l'ordine di lasciare le località. I familiari di Gheddafi
intanto, abbandonata Beida, si dirigono a Sebha,
dove secondo fonti non accertate sarebbero decedute 14 persone nei passati
giorni di proteste.[52]
In totale dall'inizio delle proteste secondo Amnesty International sono
46 le persone rimaste uccise per mano delle forze libiche.[53]
Mentre il numero dei morti sale a 84 il 19 febbraio, secondo
stime dell'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch,
le proteste si allargano a coinvolgere l'intero paese in base a quello
riportato dall'emittente Al Jazeera.[54][55] Nelle stesse ore le rivolte si
intensificano anche nella vicina Algeria, in Bahrein e Kuwait. Molti dei decessi registrati in Libia
sarebbero concentrati nella sola città di Bengasi, città tradizionalmente poco
fedele al leader libico e più influenzata dalla confraternita
islamicadella Senussia. L'intera Cirenaica risulta in stato di fermento
più che nel resto del paese, in cui Gheddafi ha saputo cementare negli anni un
consenso più diffuso. La rete internet inoltre
risulta nella stessa giornata disattivata in tutto il paese.[55]
Uno dei figli del dittatore libico, Saʿd Gheddafi, rimane
assediato a Bengasi da manifestanti che intendono trarlo in arresto.[56] Saad, e altri uomini fedeli al
colonnello, riescono tuttavia a fuggire dall'albergo nel quale erano
prigionieri, ma restano ancora bloccati nella città.[57] Per liberare Saʿd Gheddafi, il
governo invia un commando composto da 1500 uomini della sicurezza, guidati del
genero del leader libico, Abd Allah al-Sanussi.[57]
Al Jazeera riferisce che, in serata, le guardie del colonnello
aprono il fuoco contro un corteo funebre a Bengasi, uccidendo circa quindici
persone.[58]
Il ricorso ai mercenari stranieri
Il giorno dopo gli accesi scontri a Bengasi, dove mercenari di
origine africana reclutati dal regime per soffocare la rivolta hanno aperto il
fuoco contro i manifestanti, il numero dei morti nella città rivoltosa, secondo
fonti citate dal quotidiano libico Quryna, si attesta intorno alle
24 persone.[59] Secondo altre fonti, non
ufficiali, riportate da Al Jazeera, la conta sarebbe di molto superiore, con
250 morti causati dalla repressione attuata nella sola Bengasi.[60][61] I mercenari sono in larga
parte miliziani arrivati in Libia attraverso il Ciad dalla
regione occidentale del Sudan, già distintisi per le
atrocità compiute in Darfur nel corso dell'omonima guerra.[62] La repressione è affidata
anche a mercenari serbi, ex componenti dei
"Berretti Rossi", il corpo istituito dal leader serbo Slobodan Milošević,
con legami con la Legione straniera.[62] Le stime, riportate dal
giornale Daily Telegraph,
valuteranno in 10.000 dollari il compenso pro capite per
l'esercizio di due mesi di attività di guerra al fianco del regime.[63]
Il reperimento delle informazioni e il riscontro agli echi degli
eventi che giungono dal paese risulta molto difficoltoso a causa del blocco
posto dalle autorità alla rete internet.[64] In serata il numero delle
vittime aumenta, giungendo a lambire le 300 vittime, quando si registrano
ancora scontri nella città di Bengasi, dove il ricorso a mercenari africani ha provocato un numero molto
elevato di morti.[65] La città principale della
Cirenaica è contesa tra rivoltosi e esercito regolare che in seguito sarà
costretto al ripiegamento. Il sito informativo libico "Lībiya
al-Yawm" (Libia oggi) denuncia che "i militari inviati dal regime
libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in queste ore armi
pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale cittadino"
come razzi Rpg e
armi anticarro.[65]
I disordini si allargano a Tripoli
Il 21 febbraio la rivolta si allarga anche a Tripoli, centro
nevralgico del potere del dittatore libico Gheddafi. Nella capitale, in seguito
a violenti scontri, viene dato fuoco anche alla sede della televisione di stato,
a stazioni di polizia e a diversi edifici pubblici.[66]
Mentre nella città principale della Libia si raccolgono un
milione di persone e incidenti furiosi si verificano con la polizia che
continua illegittimamente a fare fuoco sui rivoltosi, caccia militari
dell'aviazione libica ricevono l'ordine di effettuare dei raid contro i
manifestanti che provocano, secondo alcune stime, 250 morti nella sola Tripoli.[67][68] Il ministro della Giustizia si
dimette per protesta contro le violenze indiscriminate, mentre non si hanno
notizie certe su dove si trovi realmente Gheddafi, che il ministro degli esteri
britannico William Hague, a
margine del vertice dell'Unione europea in
corso a Bruxelles, ha dato per fuggito in Venezuela.[68][69] Il vice-ambasciatore libico presso le Nazioni Unite richiede un intervento
internazionale contro quello che definisce "un genocidio" perpetrato dal regime di
Gheddafi contro il popolo libico.[70]
Defezioni da parte delle tribù e
dell'esercito
Nella notte Gheddafi appare in televisione in un filmato di
appena 22 secondi per smentire le voci sulla sua partenza.[71] Crescono intanto le divisioni
in seno alle istituzioni e all'apparato militare, sempre più lacerati tra lealisti e favorevoli a un colpo di mano
contro il colonnello.[71] Eni chiude
intanto il gasdotto Greenstream, che trasporta dalla Libia
alla Sicilia un grosso quantitativo di gas naturale. L'Aviazione esegue nuovi
attacchi dal cielo contro gli insorti nelle strade.[72]
Mentre le forze di opposizione mantengono il controllo delle
città orientali del paese, forze di sicurezza fedeli al colonnello nelle strade
della capitale mantengono il controllo del territorio. Oltre alle città
principali della Cirenaica, Bengasi e Sirte, città natale del colonnello, anche
larga parte del sud del paese finisce in mano agli insorti. Alcune delle
principali comunità tribali del paese (tra cui Tebu,
Tuareg, Zawiya e Warfalla), componenti
fondamentali della società libica e fattori di instabilità dell'unità della
nazione (che il dittatore libico ha saputo tenere a bada nei decenni),
dichiarano che combatteranno al fianco dei civili per cacciare Gheddafi.[33][73] Per Angelo Del Boca, storico del colonialismo
italiano, "se in Tripolitania queste tribù si associano alla rivolta, la
fine è vicina".
In un lungo discorso alla nazione, Gheddafi, stringendo in mano
il libro verde,
elencante i principi del credo politico del colonnello, annuncia con veemenza
che "chi attacca la costituzione merita la pena di morte, la meritano
tutti coloro che cercano attraverso la forza o attraverso qualsiasi mezzo
illegale di cambiare la forma di governo" e prosegue dicendo che "non
ho dato l'ordine di sparare sulla gente, ma se sarà necessario lo farò e
bruceremo tutto".[74] Il ministro francese per gli
Affari europei Laurent Wauquiez definisce il discorso televisivo tenuto dal
leader libico "spaventoso" per "la violenza usata nelle sue
parole" e per "la mancanza totale di una prospettiva politica".[75] Il dittatore conferma di
trovarsi a Tripoli e attacca i servizi segreti degli stati esteri con
riferimento all'intelligence USA,
ritenuta dal regime spalleggiatrice della rivolta; lancia strali anche contro
l'Italia, primo partner commerciale, accusata di aver fornito dei razzi (non
meglio specificati e senza prove documentali) ai manifestanti.[76] Giunge però la smentita
del ministro degli Esteri
italiano Franco Frattini,
che definisce l'affermazione del colonnello una "purissima falsità che
lascia sgomenti e sbigottiti".[77]
Gli scontri si concentrano nell'ovest
Altre città dell'est del paese e ormai anche della Tripolitania, compresi grossi centri
come Misurata e Tobruk, finiscono sotto il controllo dei
rivoltosi e non si avverte la presenza di forze di sicurezza, già in via di
ripiegamento.[78][79][80] Numerose migliaia di stranieri
abbandonano in fretta il paese soccorsi dai mezzi degli Stati di appartenenza.[80] Citando un membro della Corte penale
internazionale, Al Arabiyaattraverso Twitter riferisce che sono almeno 10.000
le uccisioni e 50.000 i ferimenti avvenuti in una settimana di guerra civile.[80]
Si moltiplicano intanto i casi di insubordinazione da parte dei militari,
segno di una sempre più incalzante perdita di potere di Gheddafi: due caccia
del tipo Sukhoi Su-22 sono
stati fatti precipitare dopo che i piloti, eiettandosi fuori
dal velivolo prima che venisse distrutto, rifiutano l'ordine di
bombardare Bengasi; due navi alle quali era stato dato
l'ordine di bombardare la città insorta non eseguono gli ordini e si rifugiano
in acque maltesi.[81] Nello stesso giorno Malta rifiuta
l'atterraggio all'aeroporto di Luqa di
un ATR 42 della Libyan Airlines con 42 persone a bordo,
tra cui ʿĀʾisha Gheddafi,
figlia del dittatore, con la motivazione di "non creare un
precedente"; il governo del Libano, inoltre, sostiene che la notte tra il
20 e il 21 febbraio sono pervenute altre richieste di asilo dalla famiglia
Gheddafi, anch'esse rifiutate.[82]
Prima controffensiva del regime
Mentre le forze dei rivoltosi controllano ancora buona parte del
paese (al-Saʿadī Gheddafi,
secondogenito del colonnello, assicura invece che il regime controlla ancora
l'85% del paese), giungendo ad assumere anche il controllo di Zuara,
città ad appena un centinaio di chilometri ad ovest di Tripoli, l'esercito di
Gheddafi lancia l'offensiva contro Zawiya, roccaforte filo-governativa a 40
chilometri dalla capitale.[83][84][85] Anche Misurata è presa di mira
dalle forze lealiste che fanno ricorso massiccio ad armi pesanti e al supporto
dall'aviazione militare.[84] Nel frattempo l'organizzazione
di "Al-Qa'ida
nel Maghreb islamico" interviene con un messaggio in sostegno
alla rivolta del popolo libico, affermando: "Gheddafi è un assassino,
sosteniamo la rivolta degli uomini liberi, nipoti di Omar al-Mukhtar".[84]
Dopo gli aumenti del prezzo del petrolio dei giorni precedenti,
il costo del greggio continua la sua salita, sospinta dall'incertezza e dalla
caoticità della situazione nella regione nordafricana e in Vicino Oriente.[85] Il Fondo
Monetario Internazionale, oltretutto, rivede al rialzo le stime sui
prezzi del petrolio per l'anno 2011.[85]
Gheddafi tiene un nuovo discorso via telefono alla nazione. Il
dittatore accusa Osama bin Laden di
"traviare i giovani" e afferma che il leader di al-Qāʿida "ha
distribuito stupefacenti agli abitanti di al-Zāwiya per farli combattere contro
il paese".[86] Gheddafi minaccia anche di
chiudere i pozzi petroliferi, paventando l'abbassamento dei "salari e
degli altri redditi".[87] Le città di al-Zāwiya e
Misurata, oggetto della controffensiva del regime in mattinata, sono al centro
di aspri conflitti tra truppe ancora fedeli al rais e forze ribelli. A Sebha,
nel sud del paese, e a Sabratha, vicino Tripoli,
si registrano combattimenti che vedono gli uomini del colonnello sempre più
incapaci di rintuzzare l'ondata dei rivoltosi.[87]
All'interno della comunità internazionale si affaccia l'ipotesi
di un intervento militare a carattere umanitario da parte della NATO,
poi smentita dal segretario
generale della NATO Anders Fogh Rasmussen,
al termine dei colloqui avuti a Kiev con
il presidente ucraino Viktor Janukovyč[88] L'intervento di Rasmussen
arriva dopo che il leader cubano Fidel Castro aveva accusato gli Stati Uniti e le Nazioni Unite di essere
pronti a invadere il paese nordafricano per difendere i propri interessi
petroliferi.
I rivoltosi raggiungono i dintorni di
Tripoli
Nella mattina del 25 febbraio, le forze dei rivoltosi
conquistano definitivamente la città di Misurata.[89] Successivamente, i rivoltosi
iniziano la battaglia per Tripoli, di cui, nel pomeriggio, riescono a
conquistare l'aeroporto.[89] Quando la morsa si fa più
stretta sulla capitale, dove il colonnello rimane asserragliato insieme ad
alcuni figli, Saif el-Islam,
secondogenito del rais, riferisce in un'intervista televisiva che "il
piano A è di vivere e morire in Libia, il piano B è di vivere e morire in
Libia, il piano C è di vivere e morire in Libia".[89]
Mentre nell'est del paese si festeggia il primo venerdì di
preghiera a Bengasi, governata da un comitato di giudici e avvocati, prosegue
l'emorragia di membri dell'establishment che
abbandonano il dittatore: anche il procuratore generale e uno dei più stretti
collaboratori del colonnello, Ahmed Kadhaf al-Dam, si uniscono agli insorti.[89][90][91]
Verso sera, Muʿammar Gheddafi tiene un discorso alla folla
riunita nella piazza Verde di Tripoli, esortandola a prepararsi a combattere
per difendere la Libia e preannunciando di essere in procinto di mettere a
disposizione del popolo i depositi di armi. Il colonnello incita la (molta)
gente che ancora lo sostiene affermando che è stata "la rivoluzione ad
aver piegato il regno d'Italia in
Libia".[92]
Secondo il sito israeliano Debkafile, centinaia di consulenti
militari statunitensi, britannici e francesi, inclusi agenti dei rispettivi servizi segreti, raggiungono la Cirenaica per aiutare i rivoltosi.[91] I consulenti, sbarcati a
Bengasi e Tobruk, hanno lo scopo di organizzare i rivoltosi in unità
paramilitari, addestrandoli all'uso delle armi, di preparare l'arrivo di altre
unità militari e di aiutare i comitati rivoluzionari a stabilire infrastrutture
governative.[91]
Secondo quanto riferisce la tv satellitare al Arabiya presente a Zawiya i rivoltosi sono ormai in pieno
controllo del centro della cittadina, situata nella zona occidentale della
Libia, tuttavia le forze fedeli a Gheddafi la circondano ancora. Esponenti
dell'opposizione libica presenti a Bengasi annunciano il 27 febbraio la nascita
di un Consiglio
Nazionale Libico, che coordinerà le attività dei gruppi di rivoltosi
e governerà le aree della Libia liberate dal regime di Mu'ammar Gheddafi.[93]
Il 28 febbraio, il colonnello Rashīd Rajab, che ha
defezionato dal regime con il suo reggimento, riferisce alla stampa che sono in
corso preparativi per lanciare l'attacco sulla capitale libica e che i militari
e le forze dei rivoltosi dispongono di tutto l'equipaggiamento necessario,
blindati e sistemi antiaerei, per sostenere un'offensiva.[94] Il colonnello conferma anche
che gran parte della zona orientale fino al confine con l'Egitto è in mano ai rivoltosi.
La notte del 1º marzo, a Misurata, secondo un portavoce dei
"Giovani della rivoluzione del 17 febbraio", diverse persone
rimangono uccise dopo che forze fedeli a Gheddafi aprono il fuoco su un veicolo
di civili.[95] Il regime intanto, che
rafforza il confine con la Tunisia attuando
posti di blocco per garantirsi uno sbocco per la fornitura di armi e uomini,
all'inizio di marzo continua a mantenere il controllo della capitale e del
circondario di Tripoli, mentre nel resto del paese non detiene più alcuna
autorità e perde anche la gestione dei principali campi petroliferi libici,
oltreché dei maggiori giacimenti di gas e petrolio in corso di sfruttamento.[96][97]
Seconda controffensiva del regime
Forze fedeli al leader libico e comandate dal gen. Jubran Husayn al-Warfali,[98][99][100] all'interno del quadro di un
progetto di recupero dell'egemonia in Cirenaica, il 2 marzo riprendono il
controllo, sebbene solo per un breve periodo, di Marsa el-Brega, città dell'est della Libia.[101][102]
Controffensive alle città prese dai rivoltosi da parte dei
sostenitori del regime si prolungano per tutta la giornata del 2 marzo nelle città
di Marsa el-Brega (al centro per tutto il giorno di aspri scontri) e ad Agedabia, con l'utilizzo di mezzi pesanti tra
cui carri armati e caccia bombardieri. Il regime fa ricorso anche
ai bombardamenti per riprendere la città di Brega, 700 km a est di
Tripoli, zona di impianti petrolchimici. I rivoltosi, esposti soprattutto agli
attacchi dall'alto richiedono l'aiuto della comunità internazionale e
l'istituzione di una no fly zone per
impedire agli aerei del regime di alzarsi in volo.[103][104][105]
Il 3 marzo si diffonde la notizia di una trattativa di pace
avviata attraverso la mediazione e l'iniziativa di Hugo Chávez. Gheddafi si dice favorevole al
piano, mentre il Segretario generale della Lega araba, ʿAmr Mūsā, afferma di prendere in esame la
proposta.[106] Mustafa Gheryani, portavoce
del Consiglio
nazionale, declina però ogni proposta di trattativa.[107]
I rivoltosi, intanto, respingono definitivamente l'attacco
lealista al terminal petrolifero di Brega, mentre il leader libico invia
minacce alle potenze straniere sul fatto che si rischierebbe un nuovo Vietnam
qualora si verificasse un intervento NATO a supporto dei sediziosi.[106] Ai confini con la Tunisia,
nel frattempo, da giorni si accalcano migliaia di persone, in gran parte
profughi e gente in fuga dalle violenze, in attesa di poter varcare il confine.[108] Secondo alcune cifre, si
tratterebbe di 60.000 persone. In Europa, e in Italia soprattutto, si teme l'arrivo in
massa di rifugiati di nazionalità tunisina e egiziana per la maggior parte già
presenti in Libia.[108] Per prevenire tale
eventualità il governo italiano avvia una missione umanitaria in Tunisia
inviandovi Croce Rossa, Protezione civile e Vigili del fuoco (protetti da militari),
che allestiscono un campo profughi per
dare assistenza a coloro che scappano dal territorio libico.[109]
Il 4 marzo, forze fedeli al colonnello Muʿammar Gheddafi
riconquistano Zawiya, città situata in posizione strategica ad appena 50
chilometri di Tripoli, anche se sacche di resistenza resistono nella città. Si
continuano a registrare bombardamenti presso la base militare di Agedabia (in arabo Aǧdābiya) in mano ai
rivoltosi, che nel frattempo riconquistano lo scalo aereo di Ra's Lanuf, uno
dei principali centri petroliferi del paese.[110][111][112][113] In un distretto di Tripoli,
intanto, l'esercito spara contro una folla di contestatori, mentre in altre
parti della capitale avvengono scontri fra manifestanti fedeli e contrari a
Gheddafi. Secondo Al Jazeera, nella giornata del 4 marzo si contano almeno 50
vittime in tutto il paese.[114]
Il 5 marzo, l'esercito di Gheddafi sferra l'ennesimo attacco
alla città di al-Zāwiya, ricorrendo a carri armati e mortai, mentre i rivoltosi continuano
l'avanzata verso ovest e, dopo aver conquistato il piccolo agglomerato costiero
di Ben Giawad, puntano verso Sirte, città natale del
leader libico.[115][116] Il giorno successivo prosegue
la battaglia ad al-Zāwiya: i governativi, dopo aver bombardato con i mortai il
centro cittadino, entrano al mattino nella città appoggiati dai blindati,
provocando un alto numero di uccisioni che, secondo alcune fonti, sarebbero
200. L'esercito riconquista anche la zona attorno Ben Jawad,[100]rimasta scarsamente presidiata
dalle forze rivoluzionarie. Nelle stesse ore la televisione di Stato dirama la
notizia di un accordo per la fine delle ostilità, raggiunto nella notte tra
Gheddafi e i capi di alcune tribù, poi rivelatosi falso.[117][118][119][120]
Raʾs Lanuf è di nuovo al centro degli attacchi aerei e terrestri
dell'esercito e dell'aviazione al servizio del regime che conduce una massiccia
offensiva nell'est del paese per strapparlo al controllo dei rivoltosi.[121][122] Bombardamenti si verificano
anche ad Agedabia, una delle principali località della
Cirenaica in mano ai rivoltosi.[123] L'8 marzo al-Zawiya è di
nuovo attaccata dalle forze armate rimaste fedeli al colonnello Gheddafi,
mentre Raʾs Lanuf in mattinata è raggiunta da quattro raid aerei e al-Zintan è posta sotto assedio dai
governativi. A Ben Jawad intanto la popolazione è alle prese con le conseguenze
della battaglia dei giorni precedenti. In totale, secondo stime delle
organizzazioni umanitarie, 200.000 persone sono state obbligate a mettersi in
salvo dalle violenze.[124][125]
Proposta di via d'uscita a Gheddafi
L'8 marzo i rivoltosi propongono a Gheddafi di lasciare il
potere entro 72 ore in cambio dell'improcedibilità al processo che potrebbe
vedere il dittatore imputato per crimini contro l'umanità.[126] Il giorno dopo, mentre
Gheddafi interviene sulla tv nazionale lasciando presagire un allargamento del
caos "a tutta la regione, fino a Israele, qualora l'organizzazione
terroristica di Bin Laden dovesse conquistare la Libia", Zawiya capitola
di fronte all'imponente schieramento di forze governative, che entrano nella
città impiegando una cinquantina di carri armati. A Misurata, invece,
l'esercito di Gheddafi avanza, ma i rivoltosi oppongono una forte resistenza;
a Ras Lanuf e Ben Giawad la battaglia infuria ancora.[127][128] Nel corso dei bombardamenti
a Ras Lanuf vengono colpiti i depositi di
greggio, mentre la raffineria di Zawiya chiude per l'intensificarsi della
battaglia.[129] Dallo scoppio della rivolta
in Libia la produzione petrolifera si riduce a meno di un terzo, dai precedenti
1,6 milioni di barili al giorno a 500.000.[130]
Ripiegamento dei rivoltosi e
arretramento del fronte
Per la prima volta dall'esplosione della rivolta il fronte dei
rivoltosi si ritira e cede terreno all'esercito governativo. Le truppe di
Gheddafi conquistano nuovamente al-Zawiya, mentre avanzano sempre più
risolutamente verso Ras Lanuf, dal cui
controllo dipende la generale tenuta del baluardo anti governativo.[131][132] Il 10 marzo le forze aeree
governative bombardano la città di Brega e le postazioni degli insorti situate
nella città petrolifera di Ras Lanuf.[133] Il 15 marzo le brigate fedeli
a Muʿammar Gheddafi entrano in mattinata nel centro della città di Zuwara, in
Tripolitania, a pochi chilometri dal confine con la Tunisia, mentre raid aerei
dei caccia libici vengono eseguiti in contemporanea su Agedabia, nella Cirenaica, e combattimenti
continuano a svolgersi a Brega.[134][135]
Il 17 marzo la zona dell'aeroporto
di Bengasi, capitale della rivolta, è soggetta ad attacchi aerei,
mentre continui bombardamenti aerei avvengono anche su Agedabia. Il fronte
delle forze fedeli a Gheddafi guadagna un significativo vantaggio e si appresta
a sferrare l'attacco decisivo su Misurata e la stessa Bengasi, unici grossi
centri ancora nelle mani dei rivoluzionari.[136] Il 18 marzo Misurata è
oggetto di pesanti bombardamenti da parte dell'aviazione libica.[137]
Lo stesso giorno al-Zintan e Nalut,
in Tripolitania, tra le prime ad essere state occupate dai rivoltosi il mese
precedente, finiscono nelle mani di Gheddafi.[138] Al Arabiya annuncia nelle
stesse ore che carri armati di Mu'ammar Gheddafi avanzano verso il centro di
Misurata.[139] Nonostante la dichiarazione
di "cessate il fuoco", seguita alla decisione dell'intervento armato
ai danni di Gheddafi da parte dell'ONU, le forze del colonnello riprendono gli
attacchi contro i rivoltosi a Misurata, mentre anche ad al-Zintan e Arrujban,
nella zona di Gebel Nefusa, a sud
di Tripoli, vengono operati indebiti attacchi dal cielo.[140]
Durante il mese di aprile, mentre l'intervento delle Nazioni Unite non produce un
significativo arretramento della posizione dei lealisti e non sembra aver
prodotto risultati rimarchevoli sotto il profilo del loro indebolimento
militare e logistico, lo scontro tra l'esercito di Gheddafi (il cui potenziale,
in circa un mese, è ridotto del 30-40% per effetto degli attacchi aerei delle
forze armate dell'Alleanza Atlantica)[141] e le forze rivoluzionarie che
controllano gran parte della Cirenaica raggiunge una fase di stallo. Da una
parte le milizie rivoltose non riescono a guadagnare terreno nella marcia verso
la Tripolitania, mentre le forze al servizio del colonnello non hanno modo di
dare la spallata definitiva al nemico.
Il 1º luglio, in un discorso tenuto a Tripoli in cui chiama a
raccolta i suoi sostenitori, Gheddafi accusa nuovamente la NATO di un
intervento militare mirato esclusivamente ad impadronirsi delle risorse
libiche. Dal numero di sostenitori presenti nella città si comprende che il
consenso popolare nei confronti di Gheddafi è tutt'altro che finito.
Avanzata dei rivoltosi ad ovest
Gheddafi, nello stesso tempo, ha proseguito l'assedio di Misurata,
completamente isolata in un territorio sotto il controllo delle sue truppe, per
due mesi al centro di un'aspra battaglia risoltasi a metà maggio quando i
ribelli hanno cacciato definitivamente i lealisti dal centro urbano
conquistando l'aeroporto e hanno così potuto attaccare le postazioni nemiche
intorno l'area cittadina. Quasi contemporaneamente le forze ribelli stanziate
tra le montagne a sud di Tripoli hanno
occupato una vasta area sotto il controllo del regime cercando a più riprese di
avvicinarsi alla capitale.[142] Ad agosto i ribelli sono
riusciti a riconquistare la città di al-Zawiya, avanzando verso Tripoli.
Battaglia per Tripoli
Il 20 agosto le forze anti-Gheddafi conquistarono il distretto
di Tajura a est di Tripoli. Il 21 agosto i
ribelli entrano a Tripoli e affermano di aver catturato i tre dei figli di
Gheddafi, Saif el-Islam - ricercato come il padre dalla Corte penale
internazionale dell'Aja per crimini contro l'umanità –, Saadi e Mohammed, ma in realtà non è
così, tanto che poco dopo Saif compare in televisione acclamato dai suoi
sostenitori, mentre i suoi fratelli guidano l'esercito lealista per le strade
di Tripoli.[143][144] Il 22 agosto un portavoce dei
ribelli ha sostenuto che le truppe governative controllavano ancora "dal
15% a 20% della città".[145] Il 23 agosto i ribelli sono
riusciti ad attaccare il bunker del raìs, decapitando l'imponente statua che lo
raffigurava, ma del colonnello e dei suoi figli non è risultata alcuna traccia.
Nonostante la crescente euforia dei ribelli, Mustafa Abd al-Jalil ha
avvisato che per dichiarare conclusa la guerra è ancora presto.[146] Il 24 agosto il presidente
del CNT ha
offerto una taglia di 1,6 milioni di dollari per la cattura o l'uccisione di
Gheddafi.[147] Inoltre vengono rapiti
quattro giornalisti italiani, liberati il giorno seguente.[148]
Il 25 agosto, mentre i ribelli hanno iniziato le prime
esecuzioni dei mercenari alleati
al governo, sono stati sbloccati i primi fondi per la ricostruzione libica:
l'ONU ha infatti donato 1,5 miliardi di dollari all'ex regime, mentre
Berlusconi ha assicurato al primo ministro del CNT Mahmud Jibril che l'Italia si impegnerà
ad elargire una prima tranche di 350 milioni di euro. Intanto Gheddafi è stato
localizzato nella sua città natale.[148]
Dopo la presa della città, per mano dei ribelli, si sono
verificati episodi di stupro verso le donne di colore, lavoratrici provenienti
dai paesi subsahariani che hanno trovato casa in Libia grazie alla politica
delle «porte aperte» voluta da Mu'ammar Gheddafi.[149]
Le ultime roccaforti: Sirte e Bani
Walid
Così il 26 agosto sono iniziati i bombardamenti NATO presso
Sirte,[150] anche se il giorno seguente è
stato comunicato che delle auto blindate avevano oltrepassato il confine, in
direzione di Algeri.[151] Nonostante l'iniziale
smentita del CNT e di Algeri stessa,[151] il 28 agosto è stata proprio
la nazione limitrofa ad annunciare che la moglie di Gheddafi, la figlia e i
figli Hannibal e Mohammad, accompagnati dai loro figli, si trovano in Algeria,
malgrado non vi fosse alcuna traccia del colonnello.[152]
Frattanto, sebbene Gheddafi si fosse più volte dimostrato
disposto a trattare,[153][154] i ribelli sono sempre rimasti
inflessibili,[153] al punto da inviare a Sirte
un ultimatum con scadenza prevista per il 3 settembre, il quale proponeva la
soluzione unilaterale della resa del Ra'ìs.[155] Tuttavia, dopo l'incitamento
di Gheddafi ai suoi sostenitori a "mettere la Libia a ferro e fuoco",
l'ultimatum è stato prorogato di una settimana[156] ed esteso alle rimanenti
città lealiste: Bani Walid, Giofra
e Sebha.
Il 29 agosto 2011 è stato reso noto dal direttore di "Unicef Italia", Roberto Salvan, l'elevato "rischio di un'epidemia sanitaria senza precedenti" nella zona circostante Tripoli, la quale sarebbe dovuta alle carenze di acqua[157] provocate dai bombardamenti della NATO sulle tubature dell'acquedotto libico conosciuto come Grande fiume artificiale.
Il 29 agosto 2011 è stato reso noto dal direttore di "Unicef Italia", Roberto Salvan, l'elevato "rischio di un'epidemia sanitaria senza precedenti" nella zona circostante Tripoli, la quale sarebbe dovuta alle carenze di acqua[157] provocate dai bombardamenti della NATO sulle tubature dell'acquedotto libico conosciuto come Grande fiume artificiale.
Il 1º settembre a Parigi si è svolta un'assemblea di 63
delegazioni che ha deciso lo scongelamento immediato di beni del regime per 15
miliardi di dollari (pari a 10,5 miliardi di euro) ed ha lanciato un forte
appello al CNT affinché promuova la riconciliazione nazionale.[156] A seguito di questa
assemblea, il CNT ha assicurato una nuova costituzione entro 8 mesi, dopo la
stesura della quale saranno tenute libere elezioni.
Intanto Bouzaid Dorda, il capo dei servizi segreti di Gheddafi,
è stato arrestato, mentre Saadi Gheddafi è fuggito in Niger[158] e altri familiari in Algeria, in un contesto in cui il Niger ha
dichiarato di volersi adeguare alle decisioni della Corte penale
internazionale, mentre l'Algeria, per riconoscere ufficialmente il CNT, è in
attesa della formazione di un nuovo esecutivo libico.[159]
Dopo 6 giorni dalla scadenza dell'ultimatum, i ribelli riescono
ad entrare a Bani Walid, ma vengono subito respinti dalle forze armate del
Raìs. A Sirte, invece, i ribelli riescono a piantare la bandiera del CNT sul
palazzo del governo.[160] Successivamente i ribelli
penetrano a fondo nel territorio lealista conquistando le roccaforti di Sebha,
Hun, Adana e Ghat, strappando il deserto libico alle truppe del Raìs, che
rimangono asserragliate nella sola Bani Walid e nei sobborghi di Sirte.[161]
La sconfitta delle ultime città
lealiste
Il 10 ottobre il CNT annuncia che i due terzi della città di
Sirte sono in mano ai ribelli, che tenteranno di occuparla definitivamente
entro pochi giorni. Il 17 ottobre Bani Walid cade, lasciando ai gheddafiani
solo alcuni rifugi situati fra le montagne intorno alla città e nei pressi
di Sirte. Il territorio libico è, alla data del
18 ottobre 2011, completamente sotto il controllo
del Consiglio
Nazionale di Transizione, con l'unica esclusione di piccole zone nei
dintorni di Sirte e di Bani Walid, le quali vengono soppresse il 20
ottobre con la cattura e la morte del colonnello Gheddafi.
Morte di Gheddafi
Il 21 ottobre 2011 cade, dopo un
assedio di 2 mesi, la città di Sirte, nella quale Mu'ammar Gheddafi,
dopo aver lasciato Tripoli, si era asserragliato dal 21 agosto 2011.
Mu'ammar Gheddafi, risultando vana ogni difesa, tenta di guadagnare il deserto
per continuare la lotta ma il suo convoglio viene attaccato da parte di aerei
francesi NATO.[162][163] Raggiunto da elementi del
CNT, Gheddafi viene catturato vivo ma subito ucciso.[164] Gli ultimi momenti di vita
del Ra'is libico vengono impressi in numerosi video dai presenti
all'avvenimento. Anche il figlio Mutassim Gheddafi, che ha guidato militarmente
la difesa di Sirte, viene fatto prigioniero da miliziani del CNT e, poco dopo,
sommariamente giustiziato. Nel corso della stessa convulsa giornata trova la
morte anche il Ministro della Difesa, il Gen. Abu Bakr Yunis Jabr.
Trasferiti a Misurata, i corpi dei tre uomini vengono esposti al pubblico.
Il Presidente del CNT Mustafa Abd al-Jalil,
dichiarando che Mu'ammar Gheddafi è stato, secondo la sua opinione, vittima del
fuoco degli uomini della sua stessa scorta, ha annunciato una commissione
indipendente che indagherà e farà, a suo dire, definitiva chiarezza sulle
circostanze in cui è maturata quella morte.
Nel frattempo, smentite le voci diffuse dal CNT, che lo volevano
ancora una volta morto, catturato o in fuga in Niger, Saif al-Islam
Gheddafi è succeduto al padre nella guida della resistenza
nazionale libica e della Giamahiria ma il 19 novembre 2011 viene
annunciato il suo arresto presso il confine tra la Libia e il Niger e
il suo trasferimento in aereo presso il carcere di Zintan.[165]
I corpi di Mu'ammar e di Mutassim sono stati sepolti in una
località segreta.[166] Saif al-Islam
Gheddafi, prima dell'arresto avvenuto il 19 novembre, a mezzo della
Tv siriana al-Ra'i ("L'opinione"), in un breve
messaggio audio rivolto al CNT ha dichiarato: "Io vi dico, andate
all'inferno, voi e la NATO dietro di voi. Questo è il nostro Paese, noi ci
viviamo, ci moriamo e stiamo continuando a combattere".
Il 23 ottobre 2011,
oggi festa nazionale libica (Libération Day), il Consiglio di transizione
nazionale libico ritenne che la guerra civile libica sia terminata.
Reazioni internazionali
Lo stesso argomento in
dettaglio: Risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite.
|
La risposta violenta alla rivolta civile da parte di Gheddafi è
stata duramente condannata dalla comunità
internazionale. Il regime di Muʿammar Gheddafi perde l'appoggio di
alcuni dei suoi più importanti diplomatici libici in Europa e nel mondo, tra
cui l'ambasciatore in Italia, gli ambasciatori
a Parigi, Londra, Madrid e Berlino e i diplomatici presso l'Unesco e l'ONU.[91][167]
La maggior parte degli stati occidentali condanna
gli avvenimenti e le minacce di chiudere i pozzi di petrolio, anche se nessuno interviene
ufficialmente. L'UE procede
intanto all'attuazione di sanzioni contro la
Libia di Gheddafi.[168][169] Il 26 febbraio il presidente
degli Stati Uniti d'America Barack Obama firma una serie di sanzioni
contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni di Muʿammar Gheddafi e dei
suoi familiari.[170]
L'Unione europea infine il 28 febbraio decide le sanzioni contro
il regime di Gheddafi: il Consiglio europeo, attraverso i ministri
dell'Energia dei 27 stati membri, approva l'embargo sulle armi stabilito dalla
risoluzione ONU del 26 febbraio, aggiungendo anche l'embargo su tutti quegli
strumenti che il regime potrebbe utilizzare nella repressione della rivolta in
Libia. Inoltre, il Consiglio aggiunge il congelamento dei beni e restrizioni
sui visti per lo stesso leader Gheddafi e 25 dei suoi familiari e persone della
cerchia.[171]
Intanto le marine di numerosi stati, tra cui gli USA e Regno Unito, si posizionano nel Mediterraneo nell'eventualità di un
attacco. Gli Stati Uniti studiano un piano d'azione per intervenire, valutando
la possibilità di un attacco preventivo per neutralizzare le postazioni contraeree. In caso venga dichiarata una no-fly zone sui
cieli libici si predispone la portaerei Enterprise con
il probabile appoggio della stessa marina italiana. Il ministro della Difesa La Russa dichiara che potrebbe essere
utilizzata la stessa Sicilia come punto
strategico per far rispettare l'embargo.[172][173][174]
Il procuratore Luis Moreno-Ocampo della Corte penale
internazionale annuncia l'apertura di un'inchiesta per crimini contro l'umanità in
Libia, mentre Barack Obama sostiene di prendere in considerazione l'opzione
militare affermando che "ciò di cui voglio essere sicuro è che gli Stati
Uniti abbiano una piena capacità di azione, potenzialmente rapida, se la situazione
dovesse degenerare in modo da scatenare una crisi umanitaria".[175][176][177] L'Interpol diffonde un'allerta
internazionale a tutte le polizie mondiali per
facilitare le operazioni della Corte penale internazionale e l'attuazione delle
sanzioni ONU.[178][179]
Il 9 marzo proseguono le pressioni di Francia, Regno Unito e
Stati Uniti sull'ONU per l'attuazione di una zona di divieto di sorvolo sui
cieli libici.[180] Il vicepresidente Usa, Joe Biden, giunge a Mosca allo scopo di persuadere la Russia, contraria ad un attacco contro
Gheddafi, a dare il consenso alla realizzazione della no-fly zone,
che richiederebbe il ricorso allo stato di guerra contro Tripoli, primo passo
informale verso l'apertura di un fronte di terra con l'obiettivo di sostenere i
rivoltosi libici e disarcionare Gheddafi.[181][182]
Intervento dell'Organizzazione delle
Nazioni Unite
Lo stesso argomento in
dettaglio: Intervento
militare in Libia nel 2011 e Risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite.
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Il 17 marzo il consiglio
di sicurezza dell'ONU discute una seconda proposta di no-fly
zone, avanzata dalla Francia, che viene
approvata a tarda sera.[183] La risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, che chiede "un immediato cessate il fuoco", autorizza la comunità
internazionale ad istituire una zona
d'interdizione al volo in Libia e
a utilizzare tutti i mezzi necessari per proteggere i civili e imporre un
cessate il fuoco forzoso,[184] ad esclusione di qualsiasi
azione che comporti la presenza di una "forza occupante".
Operazioni militari
Il 19 marzo, a seguito del proseguimento delle operazioni
militari libiche contro gli insorti e in ottemperanza alla risoluzione ONU,
la Francia avvia l'operazione Harmattan con
le ricognizioni aeree dello
spazio aereo libico da parte dei caccia Rafale, Mirage 2000-D e Mirage 2000-5[185][186] che successivamente, alle
17:45 circa (ora di Parigi), eseguono un attacco contro le forze lealiste al
regime di Mu'ammar Gheddafi colpendo
mezzi corazzati dell'esercito libico[187] nelle zone attorno alla città
di Bengasi. L'attacco è seguito, qualche ora più
tardi, dal lancio di 112 missili da crociera tipo Tomahawk da parte di 25 unità navali
e sommergibili statunitensi e britannici,
dispiegatesi per l'operazione Odyssey
Dawn.[188]
Nella notte tra il 19 e il 20 marzo la RAF impiega i missili del tipo SCALP (Storm
Shadow) su obiettivi militari libici, lanciati da aerei Tornado GR4, decollati dalla base RAF di Norfolk (operazione Ellamy).[189]
Tra i mezzi messi a disposizione per operazioni risultano anche
velivoli delle forze aeree italiane, norvegesi, omanite, danesi e spagnole (i
Paesi della cosiddetta coalizione partecipanti alla missione Odissea
all'Alba) che però nelle prime fasi, fino al 27 marzo, non hanno effettuato
in modo comprovato operazioni con l'uso attivo di missili o bombe.
L'Italia ha partecipato inizialmente con la messa a disposizione
al Regno Unito e agli Stati Uniti d'America, e alla Danimarca, delle basi aeree
di Sigonella (CT) e Gioia
del Colle, e con l'impiego di cacciabombardieri Tornado ECR per la soppressione
delle difese aeree nemiche (tuttavia, questi aerei non hanno dovuto impiegare
il proprio armamento missilistico a causa della rinuncia libica ad utilizzare
mezzi di rilevazione radar, al fine di evitarne la distruzione). In seguito,
dal 25 aprile 2011 in avanti, ha messo a disposizione della coalizione, e, dal
28 aprile, utilizzato, i propri cacciabombardieri Tornado IDS per colpire
"bersagli selezionati" di superficie delle forze armate libiche. A
tale scopo, sono stati utilizzati in seguito anche 4 cacciabombardieri AV8
Harrier II Plus, dalla portaerei Giuseppe
Garibaldi, ed un'aliquota imprecisata di cacciabombardieri AMX.
Bibliografia
·
Limes, Il grande
tsunami, Roma, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2011,
ISBN non esistente.
·
Adly Farid, La rivoluzione libica. Dall'insurrezione di
Bengasi alla morte di Gheddafi, Il Saggiatore collana La Cultura
·
Mahdi Darius
Nazemroaya, La globalizzazione della Nato.
Voci correlate
·
Libia
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guerra civile in Libia
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Intervento militare in Libia del 2011 (19 marzo - 31
ottobre 2011) – intervento militare internazionale svoltosi a sostegno dei
ribelli libici del Consiglio nazionale di transizione.
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Intervento militare in Libia del 2011
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Voce principale: Prima guerra
civile libica. L'intervento militare in Libia del
2011 iniziò il 19 marzo ad opera d'alcuni paesi aderenti all'Organizzazione
delle Nazioni Unite autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che,
nel marzo dello stesso anno, aveva istituito una zona
d'interdizione al volo sul Paese
nordafricano ufficialmente per tutelare l'incolumità della
popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Mu'ammar Gheddafi e
le forze ribelli nell'ambito della prima guerra
civile libica.
L'intervento fu inaugurato dalla Francia con un attacco aereo diretto
contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi[23], attacco seguito, qualche ora più
tardi, dal lancio di missili da crociera tipo "Tomahawk" da navi
militari statunitensi e britanniche su obiettivi strategici in
tutta la Libia.
Gli attacchi, inizialmente portati
avanti autonomamente dai vari paesi che intendevano far rispettare il divieto
di sorvolo, furono unificati il 25 marzo sotto l'Operazione Unified
Protector a guida NATO. La coalizione, composta
inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Norvegia, Qatar,
Spagna, Regno Unito e USA, s'espanse nel tempo fino a comprendere 19 stati,
tutti impegnati nel blocco navale delle
acque libiche o nel far rispettare la zona d'interdizione al volo. I
combattimenti sul suolo libico tra il Consiglio
nazionale di transizione e le forze di Gheddafi cessarono
nell'ottobre 2011 in seguito alla morte del Ra'is.
Conseguentemente, la NATO cessò ogni operazione il 31 ottobre.
I vari paesi hanno assegnato alle
proprie missioni nomi differenti: Odyssey Dawn gli Stati Uniti
d'America, la Danimarca, la Norvegia e l'Italia, Ellamy il Regno
Unito, Mobile il Canada, Freedom Falcon il
Belgio[24] e Harmattan la Francia.[25]
Contesto
Lo stesso
argomento in dettaglio: Prima guerra
civile libica.
|
Le sommosse
popolari scoppiate in Libia furono un ampio moto di protesta
che, a partire dall'est del paese, coinvolse i maggiori centri abitati
della Cirenaica, tra cui Bengasi, Beida e Dernai, in parte anche fomentate da mercenari
del Qatar che hanno pagato delle tribù libiche affinché si ribellassero contro
Tripoli[26]. La presunta repressione armata con
cui rispose il governo libico tramutò le proteste in scontro aperto tra forze
governative e manifestanti, i quali, anche grazie alla defezione di poliziotti
e militari libici che disertarono e si rifiutarono di aprire il fuoco sui
civili, si organizzarono in gruppi armati[27].
La rivolta esplose sull'onda di un moto
di protesta generalizzato che coinvolse la Tunisia,
l'Egitto e diversi altri stati arabi. Parte della
popolazione si schierò con i rivoluzionari, invocando la fine del regime
quarantennale di Gheddafi.
La risposta violenta alla rivolta civile
da parte di Gheddafi venne duramente condannata dalla comunità internazionale.
Il regime del colonnello libico perse l'appoggio di alcuni dei suoi più
importanti diplomatici libici in Europa e nel mondo, tra cui l'ambasciatore in Italia, gli ambasciatori
a Parigi, Londra, Madrid e Berlino, e i diplomatici presso l'UNESCO e l'ONU[28].
L'UE e gli Stati Uniti procedettero
all'attuazione di sanzioni economiche contro
la Libia e contro gli interessi all'estero dello stesso Gheddafi e della sua
famiglia[29].
Nel frattempo le marine di numerosi
stati si posizionavano nel Mediterraneo nell'eventualità di una
risposta libica, studiando nel contempo piani d'intervento militare. Gli Stati
Uniti in particolare predisposero la portaerei Enterprise con
l'appoggio della marina italiana.
Il Ministro della difesa La Russa dichiarò la disponibilità
all'utilizzo della Sicilia come base
strategica per far rispettare l'embargo nel
Mediterraneo[30].
Intanto il procuratore Luis Moreno-Ocampo della Corte penale
internazionale in seguito al mandato contenuto nella Ris. 1970
dell'ONU annunciò l'apertura di una inchiesta sui presunti crimini contro
l'umanità in Libia[31]. L'Interpol diffuse un'allerta
internazionale a tutte le polizie mondiali per
facilitare le operazioni della Corte penale internazionale e l'attuazione delle
sanzioni ONU[32].
Il 9 marzo proseguì la pressione degli
Stati Uniti sull'ONU per la decisione dell'attuazione del divieto di sorvolo
sulla Libia[33]. Il vicepresidente USA, Joe Biden, si recò in missione a Mosca per persuadere la Russia, contraria ad un attacco contro
Gheddafi, a dare il consenso alla realizzazione della no-fly zone, primo passo informale verso
l'apertura di un fronte di guerra a sostegno dei ribelli libici per spodestare
Gheddafi[34].
Intervento dell'Organizzazione delle
Nazioni Unite
Lo stesso
argomento in dettaglio: risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite e risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite.
|
I capi di Stato riunitisi a Parigi il 18
marzo
Il 17 marzo il consiglio
di sicurezza dell'ONU discusse una seconda proposta di "no-fly zone" avanzata dalla Francia, già aperta sostenitrice dei ribelli,
e dalla Lega Araba.
Durante i lavori si tennero
consultazioni tra le diplomazie e le rispettive dirigenze politiche: in Italia ebbe luogo una "consultazione
informale di emergenza" che "si tenne in coincidenza con la
celebrazione al Teatro dell'Opera dei
150 anni dell'Unità d'Italia"[35].
La proposta avanzata venne approvata dal
Consiglio di sicurezza a tarda sera di quello stesso giorno[36].
La risoluzione consentiva l'utilizzo
"di ogni mezzo" per proteggere i civili ed imporre un cessate il
fuoco, ma escluse la possibilità di un'occupazione militare terrestre. Il Regno Unito si dichiarò immediatamente
pronto a mobilitare l'aeronauticaentro
poche ore, mentre il governo canadese già dal 2 marzo imbastì
l'operazione Mobile (iniziata con lo scopo di evacuare i
cittadini canadesi dalla Libia) ordinando la partenza della fregata Charlottetown (240 marinai assieme a
un elicottero CH-124 Sea King)
dal porto di Halifax in
direzione del Mediterraneo di fronte alla Libia, dove giunse il 17 marzo[37]. In aggiunta a queste unità
(riunite nella Task Force Charlottetown) il Canada mobilitò
sei CF-188
Hornet e un CC-150 Polaris, per un totale di circa 100
uomini raggruppati nella Task Force "Libeccio", dislocata a Trapani-Birgi[37].
Il 18 marzo presso il Palazzo dell'Eliseo di Parigi si riunirono per pianificare
l'operazione militare 24 leader internazionali, tra i quali il presidente francese, il più attivo promotore
dell'intervento, i premier francese, italiano, inglese, spagnolo,
il Segretario dell'ONU, il Segretario di Stato americano e il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti[38].
Operazioni militari
Primo giorno: 19 marzo
Nel pomeriggio di sabato 19 marzo 2011,
a seguito degli attacchi libici perpetrati in violazione al cessate il fuoco imposto dalla
risoluzione ONU 1973, cominciarono le ricognizioni aeree dello
spazio aereo libico da parte dei caccia Rafale, Mirage 2000-D e Mirage 2000-5 francesi
supportati da un aereo AWACS anch'esso
francese[39][40], che successivamente, alle 17:45
circa (ora locale), eseguirono un attacco contro le forze lealiste al regime di
Gheddafi, colpendo quattro mezzi corazzati dell'esercito regolare[23] impiegati nell'assedio
di Bengasi (operazione Harmattan[25][41]).
L'intervento francese fu seguito,
qualche ora più tardi, dal lancio di 112 missili da crociera tipo "Tomahawk" da unità navali
statunitensi (cacciatorpediniere
lanciamissiliStout e Barry e sottomarini nucleari Providence, Scranton e Florida al
comando dell'ammiraglio Samuel
J. Locklear III, che può avvalersi anche delle navi d'assalto
anfibio Kearsarge e Ponce[5] e di 15 velivoli[42]) e britanniche (sottomarino
nucleare Triumph[43]) nel Mediterraneo (nomi in
codice: operazione Odyssey Dawn per quella USA e operazione
Ellamy per quella del Regno Unito, ma anch'essa sotto egida USA[6]) per colpire la difesa aerea ed
altri obiettivi militari situati nell'ovest del Paese[44].
Nella stessa notte la RAF impiegò missili del tipo SCALP (Storm
Shadow) contro obiettivi militari libici, lanciati da aerei Tornado GR4 decollati dalla base di Norfolk[6]. Il supporto è stato fornito da
un Boeing E-3 Sentry con
funzioni AWACS unitamente a due aerei da rifornimento:
un TriStar e
un Vickers VC10. Il
comando supremo dell'operazione Ellamy è stato affidato all'Air MarshalStuart
Peach, mentre il controllo delle forze aeree è andato all'Air
Vice-Marshal Greg
Bagwell e quello delle forze di mare al contrammiraglio Ian
Corder (le fregate Westminster e Cumberland infatti
sono state messe in allerta per ogni necessità)[6].
Allo scoppio delle ostilità l'Italia
mobilitò e rischierò 200 uomini dell'aviazione e 1000 marinai. Il governo
italiano fornì alla coalizione internazionale impegnata nelle incursioni
l'appoggio logistico e strategico di sette basi aeree sul proprio territorio.
Il centro di comando e coordinamento delle operazioni alleate fu stabilito
nell'aeroporto di Capodichino. Nell'aeroporto
militare di Trapani Birgi, sede degli F-16
ADF del 37º Stormo dell'Aeronautica
Militare ove convergono i Tornado ECR del 50º Stormo di stanza a Piacenza
(specializzati nella distruzione delle difese missilistiche e radar), i Tornado IDS del 6º Stormo di Ghedi (con
capacità di attacco, ma utilizzati come aerocisterne per rifornire in volo gli
altri Tornado) e i caccia intercettori Eurofighter del 4º Stormo di stanza a Grosseto. Venne
impiegato anche l'aeroporto militare di Amendola,
dove vennero armati i cacciabombardieri AMX e aeromobili a
pilotaggio remoto Predator e la base di Gioia del Colle che ospitò gli Eurofighter; a queste, infine, si aggiungono
la stazione aereo-navale di Sigonella, Aviano, Decimomannu e Pantelleria, la più prossima alla Libia[45][46].
All'appoggio aereo si aggiunse il
dispositivo navale italiano, già da giorni pienamente operativo, presente con
il cacciatorpediniere
lanciamissili Andrea Doria,
che incrociò nel Canale di Sicilia (dove
navigano anche la nave ausiliaria Etna e
il pattugliatore di
squadra Borsini)
con il compito di difesa aerea e antisommergibile,
la portaerei Garibaldi e
la fregata missilistica Euro[47].
Secondo giorno: 20 marzo
Nelle prime ore del 20 marzo l'USAF continuò
i bombardamenti sul territorio libico con tre bombardieri stealth B-2 Spirit[48] decollati dalla Whiteman
Air Force Base(Missouri), F-15E e F-16CJ,
tutti al comando del maggior generale Margaret
H. Woodward, capo delle forze aeree statunitensi impegnate
nell'operazione Odyssey Dawn[49]. Il successo dei bombardamenti
portò il Joint Chiefs of Staff Mike Mullen a dichiarare che, dopo un
giorno dall'inizio delle operazioni, le difese aeree e gli aeroporti libici
erano stati messi quasi completamente fuori uso[4].
Lo stesso 20 marzo salpò dal porto
di Tolone una piccola flotta francese (Task
Force 473 al comando del contrammiraglio Philippe
Coindreau)[50] costituita dalla
portaerei Charles de Gaulle,
dalla nave-rifornimento Meuse e
dalle fregate Aconit e Dupleix con
destinazione le acque antistanti la Libia. Imbarcati in queste navi erano 26
aeromobili: 10 elicotteri, 8 caccia Rafale, 6 Super Étendard e
2 E-2C Hawkeye AWACS[51].
Nella notte tra il 20 e il 21 marzo
s'alzarono in volo dalla USS Kearsarge gli AV-8B della 26th Marine Expeditionary Unit (MEU,
colonnello Mark J. Desens) e dalle basi a terra i Boeing E/A-18G
Growler per sferrare un nuovo attacco alle difese contraeree e
alle forze terrestri di Gheddafi attorno ad Agedabia[42][52].
La Royal Navy britannica continuò il
lancio di missili "Tomahawk" dal suo sottomarino schierato nella zona
delle operazioni[53], mentre l'Italia prese parte per la
prima volta al pattugliamento della zona d'interdizione al volo con
quattro Tornado ECR assistiti
da due Tornado AAR (Air-to-Air Refuelling, rifornimento in volo) partiti
alle 20:00 dall'aeroporto di Trapani Birgi[54] che tuttavia non spararono
missili, dovendo attaccare infatti solo se fossero stati rilevati radar accesi
delle forze lealiste.[55].
Terzo giorno: 21 marzo
Il comandante dell'operazione Odyssey Dawn, Samuel
Locklear III (a destra) a colloquio con il comandante
della Task Force 473 francese Philippe
Coindreau sulla Charles de Gaulle
I Tornado ECR italiani sorvolarono
nuovamente, con esito finale positivo, lo spazio aereo libico facendo da
deterrente contro i radar di Gheddafi, pronti a colpirli se fossero entrati in
funzione[55]. Entrarono per la prima volta nello
spazio aereo libico gli F/A-18 Hornet spagnoli e sono proseguiti i voli degli
aerei francesi, danesi e britannici; questi ultimi impiegarono per la prima
volta in assoluto su cieli nemici i caccia Eurofighter Typhoon arrivati
il giorno prima a Gioia del
Colle[56], contemporaneamente ad una nuova
sortita dei Tornado GR4 partiti dall'Inghilterra per prevenire attacchi di
Gheddafi contro la popolazione civile, e atterrati anch'essi a Gioia del Colle
(tutto col sostegno costante di aerei AWACS e da rifornimento)[57]. La Task Force canadese
"Libeccio" partecipò per la prima volta al controllo dello spazio
aereo libico nella mattinata, senza sparare colpi, con quattro caccia CF-18 appoggiati
da due aerocisterne CC-150 Polaris[58]. Anche il Belgio iniziò attivamente la
partecipazione alle operazioni inviando quattro F-16 nell'aeroporto
di Araxos (Acaia), di
cui uno venne fatto decollare per verificare il rispetto del divieto di
sorvolo, anche se non era stato necessario aprire il fuoco[59].
Verso le 17:30 EDT un F-15E
Strike Eagle USAF precipitò nel nord-est della Libia in seguito
a problemi tecnici[60], ma entrambi i piloti furono tratti
in salvo: uno dai ribelli, l'altro dai Marine che lo portarono sulla nave Kearsarge circa
90 minuti dopo l'incidente, impiegando due CH-53E Super Stallion, due MV-22 Osprey,
e due AV-8B
Harrier, questi ultimi col compito di distruggere il relitto per
impedire che altri si potessero impadronire delle tecnologie di bordo[12][61].
Le imbarcazioni militari britanniche non
intrapresero azioni belliche, ma rimasero nella zona delle operazioni pronte a
qualsiasi evenienza.[57]
Quarto giorno: 22 marzo
L'attività francese, così come quella
italiana[62], del 22 marzo fu caratterizzata da
ricognizioni armate (sono decollati anche aerei dalla portaerei Charles
de Gaulle)[63] e dal potenziamento logistico
per le basi di Istres, Saint-Dizier, Avord e
specialmente Solenzara (Corsica del Sud)[64]. Sempre il 22 marzo, in un
bombardamento aereo nei pressi di Tripoli, venne ucciso il generale Jubran Husayn al-Warfali[65], comandante delle milizie lealiste
nella seconda controffensiva in Cirenaica che, giunto alle porte di Bengasi, veniva richiamato in difesa della
capitale libica dopo l'intervento militare NATO su mandato ONU. Gli aerei Nato
bombardarono un impianto di costruzione di tubi a Brega uccidendo sei guardie
della sicurezza. La Nato sostenne che l'impianto era utilizzato a scopi
militari e che dei missili delle truppe pro-Gheddafi furono lanciati dal posto.
L'attacco all'infrastruttura idrica avvenne nonostante che già dal 3 aprile
2011 la Libia aveva avvisato la Nato che i bombardamenti avrebbero potuto
causare un "disastro umanitario ed ambientale" se fosse stato
danneggiato il Grande fiume
artificiale.[66] Il bombardamento costituì una
violazione dei diritti umani.[67]
23-24 marzo, l'entrata in scena della NATO
Il 23 marzo la NATO cominciò,
secondo quanto deciso il 22 marzo e come ordinato dall'ammiraglio James
Stavridis[68], a pattugliare le acque internazionali antistanti
la Libia per rendere effettivo l'embargo di armi verso
il Paese nordafricano. I velivoli e le navi vennero dispiegati con la facoltà
di fermare e perquisire tutte le imbarcazioni sospette, ma senza mandato per
entrare nelle acque territoriali libiche[69]. Le unità navali messe in campo,
prese dalle forze SNMG1, SNMG2, SNMCMG1 e SNMCMG2[70], erano più di 25, affiancate da una
cinquantina tra aerei ed elicotteri,[71] il tutto sottoposto al comando
del Ammiraglio di Squadra Rinaldo Veri dell'Allied Maritime Command Naples.[72] All'operazione, a cui
partecipano Belgio, Canada, Danimarca, Grecia, Italia, Spagna, Paesi Bassi,
Turchia, Regno Unito e Stati Uniti,[71] fu dato il nome di Unified
Protector.[73]
La Francia il 23 marzo proseguì coi voli
di ricognizione appoggiati da aerocisterne e aerei AWACS[74]; lo stesso può dirsi per
l'Aeronautica Militare italiana;[75] quattro CF-18 canadesi
distrussero con delle bombe a guida laser un deposito di armi a Misurata,[76] dove in tarda sera rimanevano
solo pochi uomini fedeli a Gheddafi.
La notte tra il 23 e il 24 marzo
l'aeronautica militare e l'aviazione navale francese cessarono d'operare
esclusivamente sui cieli di Bengasi: una dozzina di
velivoli tra Mirage 200D e Rafale bombardarono infatti la base
aerea di Giofra (a
metà strada tra Hon e Ueddan) appartenente alle forze di Gheddafi,
situato a circa 250 km a sud delle coste libiche. Nel corso di una delle
cinque missioni iniziate nel corso della giornata, una pattuglia di Rafale
individuò un aereo che stava violando la no-fly zone e lo
distrusse non appena questo fu atterrato a Misurata[77]. Il 24 marzo l'aeronautica
militare norvegese spostò i suoi F-16 sotto comando
statunitense, che li inviò in volo di pattuglia dalla baia di Suda.[78]
L'aeronautica militare canadese fece
arrivare a Sigonella due CP-140 Aurora per
implementare la sorveglianza marittima a guida NATO[79], inoltre potenziò l'apparato AWACS
della NATO facendo affluire uomini dalla Germania e distrusse una postazione
delle forze pro-Gheddafi vicino Misurata[80]. Dopo il tramonto la RAF lanciò
alcuni missili anticarro Brimstone contro
i veicoli corazzati di Gheddafi che minacciavano Agedabia[81] imitata dall'Armée de l'Air che
colpì postazioni di artiglieria.[82]
Un fatto importante verificatosi nel
corso della giornata del 24 marzo fu il perfezionamento dell'operazione Unified
Protector cominciata ufficialmente questo giorno: l'ammiraglio James
Stavridis, a capo del Supreme
Headquarters Allied Powers Europe, designò il tenente generale dell'aeronautica
militare canadese Charles Bouchard comandante
dell'operazione.[83]
L'operazione Unified Protector
Alla coalizione s'unì il 25 marzo un
altro paese, il Qatar, che mise a disposizione sei Mirage
2000-5 e due C-17A,
subito passati a pattugliare i cieli libici in un'operazione congiunta coi
caccia francesi.[82][84] Un raid aereo delle forze
della coalizione venne effettuato contro le postazioni delle brigate di Muammar
Gheddafi poste a difesa della porta occidentale di Agedabia, recentemente strappata ai rivoltosi.
Nella città di Tripoli la zona della residenza-bunker del dittatore fu di nuovo
oggetto dei bombardamenti, mentre anche a Sirte si registrarono siti colpiti.[85] L'aeronautica norvegese
bombardò un aeroporto nelle prime ore notturne della giornata.[86]
Un Mirage 2000-5 della Qatar Emiri Air Force decolla
dalla baia di Suda il
25 marzo
Lo stesso 25 marzo l'operazione Unified
Protector allargò i suoi scopi impiegando i propri mezzi aerei per
imporre il rispetto del divieto di sorvolo in Libia, impostando il centro di
comando aereo a Smirne (Turchia) e il comando tattico a Poggio Renatico.[87] Il quartier generale di Unified
Protector restò comunque sempre nella base di Napoli.[83]
Nella notte del 26 marzo proseguirono
gli attacchi della coalizione. Tre ordigni colpirono la periferia est di
Tripoli, distruggendo una caserma militare, dove divampò un incendio ed venne
abbattuta una postazione radar. Bombardamenti furono effettuati inoltre
su Zliten, città 160 km a est di Tripoli e a
50 km a ovest di Misurata,[88] e l'aeronautica francese
distrusse al suolo cinque Soko G-2 Galeb e due Mil Mi-35 vicino Misurata. Nello stesso
giorno, sul fronte terrestre, gli insorti riuscirono a riprendere il controllo
del centro strategico di Agedabia.[89]
L'aeronautica francese confermò la sua
intenzione di colpire le zone attorno Misurata e Zliten conducendo raid contro
veicoli blindati e depositi di armi il 27 marzo;[90] l'aeronautica danese invece
bersagliò dei semoventi
d'artiglieria a sud di Tripoli.[91] Il giorno successivo, 28
marzo, la RAF continuò a colpire blindati vicino Misurata e depositi di
munizioni attorno Sebha.[92] Ancora il 28 marzo una piccola
squadra di navi libiche, guidata dal pattugliatore Vittoria affiancato
da 2 battelli minori venne affrontata vicino Misurata da forze statunitensi; un
pattugliatore P-3 Orion, colpì
il Vittoria con missili AGM-65F Maverick danneggiandolo
gravemente; l'azione fu proseguita da un aereo A-10
Thunderbolt II che colpì i due battelli col cannone
distruggendone uno e danneggiando gravemente l'altro; nell'area era presente il
cacciatorpediniere lanciamissili Barry.[93]
Il 29 marzo la zona di Bab el-Azizia, dove si trovava il bunker di
Gheddafi, era ancora sotto il fuoco degli aerei della coalizione. Due forti
esplosioni colpirono la residenza del dittatore, mentre a Tajura, nella
periferia est della città, diversi altri obiettivi furono oggetto di attacchi.[94]
Il 31 marzo, alle ore 6:00 GMT, e come
deciso tre giorni prima, la NATO prese il comando di tutte le attività militari
dei paesi aderenti alla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza ONU
racchiudendo in un unico comando le operazioni connesse al rispetto della zona
d'interdizione al volo, all'embargo navale di armi e alla protezioni dei civili
libici.[95] Le missioni aeree, così come i
lanci di missili Tomahawk, della NATO andarono continuando con attacchi a siti
militari, antiaerei e alle forze di terra pro-Gheddafi, con particolare impegno
dell'aeronautica francese, e britannica. In soli due giorni, fino al 2 aprile,
le forze NATO condussero 178 operazioni aeree in Libia e 74 attacchi aerei,
potendo contare su una forza che vantavano complessivamente 205 aerei e 21
navi, messi a disposizione da 14 paesi membri dell'alleanza.[96] Il 1º aprile si registrarono
tuttavia episodi di fuoco amico per
mano degli aerei NATO nei confronti dei ribelli, che ebbero morti e feriti.[97]
Nella sera del 4 aprile, dopo attacchi
condotti a Sirte e Brega, tutti gli aerei statunitensi vennero esonerati dal
servizio attivo e inseriti nella riserva, da impiegarsi solo se lo avesse
richiesto la NATO. Furonoimpiegati dei droni USA dal 24 aprile a Tripoli.[98]
Il 9 aprile si registrò la prima
violazione della zona d'interdizione al volo da quando la NATO aveva assunto il
comando delle operazioni: un MiG-23 ribelle
s'alzò in volo da un aeroporto vicino a Bengasi ma fu costretto da aerei NATO
ad atterrare nell'aeroporto di Benina.[99]
Tra l'8 e il 10 aprile 17 blindati dell'esercito
di Gheddafi vennero abbattuti a Brega e Misurata dalle forze aeronavali
occidentali, mentre sempre a Misurata, ad Ajdabiya e a Bengasi continuarono i
combattimenti tra i ribelli e le milizie governative.[100]
Il 12 maggio alcuni barchini posamine
veloci di Mu'ammar Gheddafi e
una batteria costiera di lanciarazzi attaccarono alcune navi NATO che avevano
bloccato l'accesso al porto di Misurata da parte dei gommoni
governativi. Il cacciatorpediniere britannico HMS Liverpool (classe Type 42) aperse il fuoco col cannone
costringendo i barchini a ritirarsi e ridusse al silenzio i lanciarazzi[101].
A fine maggio 8 navi di Gheddafi furono distrutte dalla NATO nel
corso di un raid aereo notturno nel porto di Tripoli.[102]. Le operazioni della NATO
portarono alla conquista di Tripoli, Sirte e di quasi tutta la Libia.
Il 20 ottobre 2011 Gheddafi venne ucciso
dai ribelli mentre si nascondeva; ciò comportò la definitiva liberazione della
Libia, e a fine ottobre le forze della NATO si ritirarono.
La partecipazione italiana alle operazioni
belliche
Il 28 aprile, vi fu il primo
coinvolgimento dei cacciabombardieri Italiani, in operazioni di attacco al
suolo, nei confronti di obbiettivi militari libici. L'operazione venne condotta
da una coppia di Tornado IDS del
6º Stormo di Ghedi[103], decollati dalla base aerea di
Trapani-Birgi, nella zona della città di Misurata.
Analoghe operazioni di attacco al suolo,
eseguite sempre da una coppia di Tornado IDS, sono state effettuate il 29
aprile, e in tutti gli altri giorni a seguire dell'operazione militare.
A queste operazioni, durante il
prosieguo del conflitto, presero parte anche 8 cacciabombardieri AV8 Harrier II
Plus della portaerei Giuseppe Garibaldi, ed un'aliquota imprecisata di
cacciabombardieri AMX Ghibli.
Le basi militari usate dalla coalizione
Di seguito un elenco delle basi militari
appoggianti:
·
Francia: Saint-Dizier-Robinson (Rafale), Nancy-Ochey (Mirage 2000D), Dijon-Longvic (Mirage 2000-5), Reims-Champagne (Mirage F1CR), Istres-Le Tubé (C-135FR), Metz-Frescaty (C-160G), Solenzara e Baia di Suda (in Grecia)[105]
·
Italia: Trapani[106], Sigonella, Gioia del
Colle, Capodichino[107], Decimomannu, Aviano, Pantelleria[108]
·
Regno Unito: Marham, Akrotiri, Waddington, Gioia del Colle[111]
Forze in campo
Dassault Mirage 2000-5
della Qatar Emiri Air Force e sottomarino
lanciamissili Florida della U.S. Navy.
La portaerei Charles de Gaulle della Marine nationale e un F-16
Fighting Falcon dell'USAF.
B-2A Spirit dell'USAF
e fregata Cumberland della Royal Navy.
La portaerei
leggera Giuseppe Garibaldi della Marina Militare e un Tornado ECR dell'Aeronautica
Militare.
E-3 AWACS della NATO e
un aereo cargo dell'USAF C-17
Globemaster.
·
Belgio: sei caccia multiruolo F-16
Falcon della Componente
aerea dell'armata belga basati ad Araxos, Grecia, volati per la prima volta il 21 marzo.[59] La marina schierò
il cacciamine Narcis per controllare, dal 23 marzo,
l'embargo navale di armi. Il Narcis venne rilevato in agosto
dal cacciamine Lobelia.[115]
·
Bulgaria: la fregata Drazki della marina
militare bulgara raggiunse le coste libiche, per rafforzare il
blocco navale NATO, insieme ad un team sanitario e ad aiuti umanitari il 2
maggio 2011. Il programma era di monitorare la zona per un mese e poi far
ritorno in Bulgaria.[116]
·
Canada: il Canadian Forces
Air Command schierò sette cacciabombardieri CF-18,
due aerocisterne CC-150 Polaris,
due C-130J da
trasporto, due CC-177 e
due pattugliatori
marittimi CP-140 Aurora.
In totale sono circa 490 i militari coinvolti nell'operazione, compresi quelli
imbarcati sulle fregate Charlottetown e Vancouver.[7][117] Notizie riportarono che
uomini della Joint Task Force 2 avrebbero
cooperato in Libia con forze britanniche SAS e SBS.[118]
·
Danimarca: l'aeronautica militare danese partecipò con
sei caccia F-16 e un C-130J-30 Super
Hercules. Solo quattro caccia furono usati per azioni offensive,
mentre gli altri due fungevao da riserva.[119][120] Il primo bombardamento danese
avvenne il 23 marzo nell'ambito dell'operazione Odyssey Dawn, primo
di una serie di attacchi che hanno portato la Danimarca a colpire il 17% degli
obiettivi colpiti in Libia, facendo della propria aeronautica, insieme a quella
norvegese, la più efficiente per quanto riguarda il rapporto voli
effettuati/obiettivi colpiti.[121]
·
Emirati Arabi Uniti:
il 24 marzo la United Arab
Emirates Air Force inviò sei F-16
Falcon e sei Mirage 2000 che
facevao base a Decimomannu, Sardegna[122][123] o Trapani, Sicilia.
·
Francia: L'Armée de l'air,
che effettuò il 35% dei bombardamenti, dispiegò 19 Rafale, 18 tra Mirage 2000D e Mirage 2000-5F,
6 Mirage F1,
6 Super Étendard,
2 E-2C Hawkeye,
2 C-2 Greyhound,
2 elicotteri Tiger, 16
elicotteri Gazelle,
6 aerocisterne C-135FR e
1 AWACS E-3F, tutti operanti principalmente
dalla métropole (3
Mirage 2000-5 e 6 Mirage 2000D erano di stanza nella Baia di Suda); in aggiunta vi era 1 C-160G in configurazione SIGINT anch'esso basato a Suda.
La Marine nationale inviò dapprima le fregate Forbin e Jean Bart, dal 22 marzo s'unì la "Task Force 374" composta dal gruppo aeronavale della Charles de Gaulle (10 Rafale M, 6 Super Étendard e 2 E-2C), dalle fregate Dupleix e Aconit, dal sottomarino nucleare Améthyste e dalla nave ausiliaria Meuse.[105] Per assistere i propri elicotteri la Francia dispiegò la nave d'assalto anfibia Tonnerre[124] e Mistral.
L'Armée de terre partecipò con degli elicotteri che operarono dalle due navi della classe Mistral, il Groupe Aéromobile (GAM) dispiegò, da maggio 2011, 14 elicotteri da combattimento: 2 Tiger, 8 Gazelle Viviane/Hot, 2 Gazelle Canon e 2 Gazelle Mistral, i cui raid ebbero effetti particolarmente devastanti e che si rivelarono decisivi per la vittoria.
La Marine nationale inviò dapprima le fregate Forbin e Jean Bart, dal 22 marzo s'unì la "Task Force 374" composta dal gruppo aeronavale della Charles de Gaulle (10 Rafale M, 6 Super Étendard e 2 E-2C), dalle fregate Dupleix e Aconit, dal sottomarino nucleare Améthyste e dalla nave ausiliaria Meuse.[105] Per assistere i propri elicotteri la Francia dispiegò la nave d'assalto anfibia Tonnerre[124] e Mistral.
L'Armée de terre partecipò con degli elicotteri che operarono dalle due navi della classe Mistral, il Groupe Aéromobile (GAM) dispiegò, da maggio 2011, 14 elicotteri da combattimento: 2 Tiger, 8 Gazelle Viviane/Hot, 2 Gazelle Canon e 2 Gazelle Mistral, i cui raid ebbero effetti particolarmente devastanti e che si rivelarono decisivi per la vittoria.
·
Giordania: operarono dal 5 aprile sei caccia
dell'aeronautica militare, che divenne così la
terza potenza araba, dopo Qatar ed Emirati Arabi, ad unirsi
all'operazione Unified Protector. Gli aerei, di cui non era stato
reso noto il tipo, non vennero usati in combattimento, servendo unicamente come
scorta agli aerei giordani trasportanti aiuti ai ribelli della Cirenaica.[125]
·
Grecia: la fregata Limnos della marina militare
greca navigò nelle acque antistanti la Libia come parte
dell'operazione Unified Protector.[126] La Polemikí Aeroporía,
l'aeronautica militare, fornì elicotteri Super Puma e
un aereo AWACS Embraer 145.[127][128]
·
Italia: l'Italia partecipò all'attacco con 16
velivoli: cacciabombardieri Tornado ECR dell'Aeronautica
Militare, impiegati per svolgere missioni SEAD,
Tornado IDS ed Amx ACOL, supportati da due aerei cisterna (un KC-130J ed
un KC-767), più
un G.222VS da
guerra elettronica, con la scorta di 8 caccia intercettori F-16,
questi ultimi rilevati il 28 marzo da altrettanti Eurofighter Typhoon.[129][130][131] Il 26 marzo la Marina Militare fornì
all'operazione Unified Protector la portaerei leggera Giuseppe Garibaldi (con
otto caccia Harrier a
decollo verticale, anch'essi messi a disposizione della NATO per
lo svolgimento dell'operazione militare in Libia), che fu nave comando dal 25 marzo al 26 luglio
il rifornitore di squadra Etna[132] impiegata dal 25 marzo al 1º
giugno e la nave da sbarco San Giusto che
svolse il ruolo di nave comando dal 27 luglio al 31 ottobre. Le altre navi
della Marina Militare impiegate nell'operazione furono:
·
la nave da sbarco San Giorgio dal
22 febbraio all'8 marzo
·
il cacciatorpediniere Mimbelli dal
22 febbraio al 1* marzo
·
la nave da sbarco San Giorgio dal
22 febbraio al 7 aprile
·
il pattugliatore Libra dal 5 al 9 marzo e dal 16 al 22
marzo
·
il pattugliatore Bettica dal
5 al 9 marzo e dal 28 marzo al 10 maggio
·
il cacciatorpediniere Andrea Doria dal
7 marzo al 1º aprile
·
il rifornitore di squadra Vesuvio dal 22 febbraio al 1º luglio
·
il pattugliatore Borsini dal
9 al 31 maggio
Nel corso delle
operazioni furono impiegate dai Tornado e dagli AMX dell'Aeronautica
e dagli Harrier della Marina Militare 313 GBU a guida laser e 345 JDAM a guida
GPS sia da 227 che da 454 chili (costo medio di 40.000 euro/ordigno) oltre a 25
missili da crociera Storm Shadow (SCALP) (1 mln/ordigno[133]), su obiettivi fissi (depositi,
postazioni d'artiglieria, centri di comando e controllo, radar) dislocati tra
Brega, Sirte, Misurata, Tripoli e Sebha[134]. Il costo totale della missione
italiana in Libia, comprensiva anche degli oneri sostenuti per le attività di
accoglienza, gestione e rimpatrio dei profughi e degli emigranti, fu pari a 700
milioni di euro in tre mesi di operazioni: queste risorse provenivano dai fondi
ordinari destinati al Ministero della Difesa[135][136].
L'Italia condusse, dal
28 aprile 2011, 1.900 missioni (di cui 310 per attacchi al suolo contro
obiettivi predeterminati, 146 di neutralizzazione delle difese aeree nemiche[137][138]) per un totale di 7.300 ore di
volo, l'utilizzo di Eurofighter, Tornado, AMX, Predator, KC-130 e KC-767 in missioni di ricognizione,
pattugliamento, difesa aerea, rifornimento in volo, di neutralizzazione di
obiettivi militari e la messa a disposizione di 7 basi aeree.[139]
·
NATO: E-3 Sentry AWACS pilotati
da membri delle nazioni aderenti alla missione.[140]
·
Norvegia: l'aeronautica
militare norvegese inviò sei F-16 nella base aerea della Baia
di Suda, a Creta, per concorrere ad assicurare il
rispetto della zona d'interdizione al volo.[141][142] Il 24 marzo gli F-16
norvegesi passarono all'Africa Command che
li impiegò nei cieli libici.[143]
·
Paesi Bassi: l'aeronautica militare
olandese aveva in programma di mobilitare sei caccia F-16
(quattro operativi e due di riserva) e un'aerocisterna KDC-10.[144] La decisione finale era in
discussione in parlamento.[145] La Koninklijke Marine invece
dispiegò il cacciamine Haarlem per
rafforzare l'embargo di armi alla Libia.[146]
·
Qatar:
la Qatar Emiri Air Force contribuì
con sei Mirage 2000-5EDA e
un C-17 da trasporto accasati nella Baia di Suda.[84][147]
·
Regno Unito: l'impegno della Royal Navy consisté nell'invio di 2
sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare classe Trafalgar: HMS Triumph (S93) e HMS Turbulent (S87),
e due fregate, la HMS Westminster (F237) e HMS Cumberland (F85),
il cacciatoripediniere HMS Liverpool (D92) e
il cacciamine HMS Brocklesby (M33).[148] la Royal Air Force fornì 8 Tornado e 10 Typhoon che
inizialmente operarono dalle loro basi in Gran Bretagna per essere
successivamente rischierati a Gioia del
Colle, mentre aerocisterne TriStar e VC10 unitamente ad aerei da
sorveglianza Sentinel R1 e Nimrod R1operavano
dalla base RAF ad Akrotiri, Cipro.[149] Secondo fonti anonime, in
Libia avrebbero operato uomini SAS, SRR e SBS per
il coordinamento degli attacchi aerei sul suolo libico.[150][151]
·
Romania: la marina rumena partecipò
al blocco navale con
la fregata Regele Ferdinand.[152]
·
Spagna: le forze armate spagnole parteciparono
con quattro cacciabombardieri F-18,
un'aerocisterna Boeing 707-331B (KC),
la fregata Méndez
Núñez, il sottomarino Tramontana ed
un aereo CN-235
MPA per la sorveglianza marittima.[153]
·
Svezia: l'aeronautica militare
svedese mise a disposizione otto caccia multiruolo Saab JAS 39 Gripen,
un C-130 Hercules per il rifornimento in volo e un aereo da ricognizione.[154] I caccia, che entrarono in
azione il 2 aprile, si limitarono a sorvegliare la zona d'interdizione al volo,
non avendo il permesso di condurre attacchi al suolo.[155]
·
Turchia: la marina militare turca partecipa
al blocco navale per l'embargo sulle armi guidato dalla NATO con cinque navi e
un sottomarino. Concesse inoltre sei F-16 Fighting Falcon per
le operazioni aeree.[156] Il 24 marzo, il parlamento
approvò la partecipazione turca alle missione militare in Libia, inclusa la
sorveglianza della zona di interdizione al volo.[157]
·
Stati Uniti:
la marina dispiegò una forza navale di 11 navi che includevano la nave da assalto
anfibio Kearsarge,
la nave da sbarco Ponce,
i cacciatorpediniere
lanciamissili Barry e Stout,
i sottomarini
nucleari d'attacco Providence e Scranton,
il sottomarino
lanciamissili da crociera Florida e
la nave comando anfibia Mount Whitney.[158][159][160] Inoltre presero parte alle
azioni sulla Libia bombardieri stealth B-2,
aerei da attacco al suolo AV-8B
Harrier II e EA-18,
caccia F-15 e
F-16[161] nonché aerei da
ricongnizione U-2 stazionati
a Cipro.[162] Il 18 marzo, giunsero alla
base RAF
Mildenhall due AC-130Ucosì come un'ulteriore aerocisterna.
Dal 24 marzo due E-8C operarono dalla NAS
Rota, indice dell'aumento di attacchi al suolo. Dal 24 aprile
vennero impiegati due UAV RQ-1 Predator.
Voci correlate
Altri progetti
·
Wikimedia
Commons contiene immagini o altri file su intervento militare in Libia del 2011
Collegamenti esterni
·
Contributo italiano, su difesa.it.
·
Lancio di un Tomahawk dal cacciatorpediniere
statunitense Barry, su youtube.com.
·
(EN) Dettagli sulla risoluzione ONU n. 1973,
su un.org.
·
Aeromobili statunitensi impegnati
nell'operazione Odyssey Dawn, su youtube.com.
·
Opération Harmattan, defense.gouv.fr, 3
aprile 2011. URL consultato il 5 aprile 2011.
·
Opération Harmattan - Points sur la situation
opérationnelle, defense.gouv.fr, 4 aprile 2011. URL
consultato il 5 aprile 2011.
·
Opération Harmattan - Photos,
defense.gouv.fr, 21 marzo 2011. URL consultato il 5 aprile 2011.
·
Opération Harmattan - Videos,
defense.gouv.fr, 22 marzo 2011. URL consultato il 5 aprile 2011.
·
(EN) Foto relative all'operazione Ellamy,
su raf.mod.uk.
·
(EN) Video relativi all'operazione Ellamy,
su raf.mod.uk.
·
(EN) Foto relative all'operazione Mobile,
su combatcamera.forces.gc.ca.
·
(EN) Foto relative all'operazione Odyssey
Dawn (USAF), su af.mil (archiviato
dall'url originale il 6 luglio 2012).
·
(EN) Video relativi all'operazione Unified Protector,
su jfcnaples.nato.int.
·
(EN) Foto relative all'operazione Unified Protector,
su nato.int.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX
·
Seconda guerra civile in Libia (16 maggio 2014
- in corso) – conflitto in corso tra due governi rivali, basati a Tripoli e
Tobruk.
- Questa pagina è stata modificata per l'ultima volta il 7 ott 2018
alle 15:28.
Seconda guerra civile in Libia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La seconda guerra civile in
Libia[13][14] è un conflitto armato
scoppiato in Libia nel 2014 tra due coalizioni e due
governi rivali: da una parte il governo internazionalmente riconosciuto, basato
nella città orientale di Tobruk e sostenuto
dalla Camera dei rappresentanti e
dall'operazione Dignità del generale Haftar;
dall'altra parte il governo basato nella capitale Tripoli e sostenuto dal Nuovo Congresso Nazionale Generale e
dalla coalizione di Alba Libica.[15][16] Entrambe le coalizioni
riunivano diversi gruppi armati debolmente alleati tra loro.[17] Dopo ottobre 2014 una terza
forza, i militanti affiliati allo Stato Islamico (ISIS), ha fatto ingresso
nella guerra, prendendo il controllo prima della città di Derna e poi di Sirte.[18] A partire da marzo 2016, un
accordo di pace negoziato sotto l'egida dell'ONU ha portato all'insediamento a
Tripoli di un nuovo Governo di Accordo Nazionale internazionalmente
riconosciuto, che ha la lealtà di autorità e milizie dell'ovest del Paese, ma
non ha ancora ottenuto l'appoggio della Camera dei rappresentanti di Tobruk e
del generale Haftar.
Sin dalle prime fasi della guerra, l'Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno
sostenuto il generale Haftar, intervenendo anche con attacchi aerei contro Alba
Libica e contro l'ISIS.[17] Il Qatar e
la Turchia hanno aiutato Alba Libica.[17][19] Dal 2016, un crescente
coinvolgimento delle potenze occidentali ha visto lo schieramento di forze
speciali e bombardamenti statunitensi contro l'ISIS a Sirte.
Antefatti
Le conseguenze della prima guerra
civile libica sono state caratterizzate da un marcato
cambiamento dell'ordine politico e sociale dopo il rovesciamento e l'uccisione
di Mu'ammar Gheddafi il
20 ottobre 2011. Il Paese è stato soggetto a perdurante proliferazione delle
armi, violenza settaria e caos politico, con ricadute sui Paesi circostanti tra
cui il Mali, dove l'afflusso di armi e combattenti
provenienti dalla Libia ha provocato lo scoppio di una guerra civile nel 2012. Dalla sconfitta delle
forze gheddafiane, la Libia è stata lacerata tra numerose milizie armate rivali
di ex ribelli affiliate a regioni, città e tribù, mentre il governo centrale è
stato debole e incapace di stabilire la sua autorità sul Paese. In assenza di
un esercito organizzato, le milizie armate degli ex ribelli hanno continuato ad
affermare il loro ruolo di “guardiani della rivoluzione”, e un conflitto a
bassa intensità tra milizie rivali è continuato nel 2012 e nel 2013 con circa
500 morti all'anno.[20][21]
Il 7 luglio 2012, I Libici votarono
nella loro prima elezione parlamentare dalla fine del precedente regime. L'8
agosto 2012, il Consiglio
Nazionale di Transizionecedette ufficialmente il potere
all'interamente eletto Congresso Nazionale Generale (GNC), cui
fu affidato l'incarico di formare un governo ad interim e di stendere una nuova
Costituzione da approvare in un referendum generale.[22]
L'11 settembre 2012, militanti di Ansar al-Shari'a
(Libia) attaccarono il consolato statunitense a Bengasi, uccidendo l'ambasciatore americano in
Libia Christopher
Stevens e altre tre persone. L'incidente suscitò sdegno negli
Stati Uniti e in Libia.[23][24][25]
Il 14 ottobre 2012, il Congresso Nazionale
Generale elesse l'ex membro del GNC e avvocato per i diritti umani Ali Zeidan come Primo ministro.[26][27][28] L'11 marzo 2014, essendo stato
sfiduciato dal GNC per non essere riuscito a fermare una nave carica di
petrolio non autorizzata a salpare,[29] Zeidan si dimise, e fu
rimpiazzato dal Primo ministro Abdullah al-Thani.[30]
Cronologia degli eventi
La formazione di due governi rivali
(maggio – ottobre 2014)
All'inizio del 2014, la Libia era
governata dal Congresso Nazionale Generale (GNC),
eletto con un mandato di 18 mesi nel luglio 2012. Da allora, i partiti islamistiavevano preso il controllo
dell'assemblea, prevalendo sulla maggioranza centrista e liberale, ed
eleggendo Nuri Busahmein come
presidente del GNC nel giugno 2013.[31] Nel dicembre 2013, il GNC vota
per applicare una variante della Sharia[32] e decide di estendere il suo mandato
per un anno fino al dicembre 2014.[33]
Il 14 febbraio 2014, il generale Khalifa Haftar,
che aveva servito sotto il precedente regime di Mu'ammar Gheddafi,
richiede la dissoluzione del GNC e la formazione di un governo ad interim che
presieda a nuove elezioni, minacciando un colpo di Stato.[34]
Il 16 maggio 2014, le forze leali al
generale Haftar lanciano unilateralmente un'offensiva terrestre e aerea su
larga scala chiamata operazione Dignità (in arabo: عملية
الكرامة; Amaliya
al-Karamah) contro i gruppi armati islamisti (tra cui Ansar al-Shari'a)
a Bengasi, promettendo di liberare il Paese
dalla violenza delle milizie islamiste. Il primo ministro al-Thani sconfessa
l'operazione, condannandola come illegale e come un tentato colpo di Stato.[35][36] Due giorni dopo, le milizie
di Zintan alleate con Haftar attaccano la
sede del parlamento a Tripoli per ottenerne
la dissoluzione.[37]
Il Congresso Nazionale Generale è quindi
costretto a indire nuove elezioni per un nuovo parlamento di 200 membri,
la Camera dei rappresentanti.[38] Le elezioni si tengono il 26
giugno, in collegi in cui, a differenza che nelle precedenti elezioni del 2012,
non possono presentarsi liste elettorali di partito, ma solo candidati
indipendenti. 12 membri non possono essere eletti poiché alcuni seggi rimangono
chiusi a causa delle violenze, e in tutto il Paese solo il 18% dell'elettorato
(circa 630.000 persone) si reca a votare.[39][40][41] I risultati elettorali,
annunciati il 21 luglio, vedono una decisiva sconfitta degli islamisti
predominanti nel precedente parlamento e un'affermazione dei candidati liberali
e federalisti.[42] In base alle regole
elettorali, il nuovo parlamento dovrebbe riunirsi nella città di Bengasi
anziché nella capitale Tripoli, come segno di avvicinamento delle istituzioni
alla metà orientale del Paese; tuttavia, la maggior parte dei parlamentari,
ritenendo Bengasi troppo pericolosa a causa dei combattimenti in corso tra
Haftar e le milizie islamiste, preferisce riunirsi a Tobruk, sotto il controllo del generale
Haftar. Trenta deputati ostili alla nuova maggioranza, tra cui islamisti e
misuratini, decidono quindi di boicottare il nuovo parlamento, alla cui
inaugurazione a Tobruk, avvenuta il 4 agosto, si presentano solo 153 membri su
188 eletti.[43][44][45]
Nel frattempo, il 13 luglio 2014,
temendo i risultati elettorali,[46] alcune milizie islamiste di
Tripoli (in particolare la Camera Operativa dei Rivoluzionari Libici) e le
milizie di Misurata lanciano
l'operazione Alba Libica per sottrarre il controllo dell'aeroporto
internazionale di Tripoli alle milizie di Zintan (alleate con il generale Haftar),
che lo controllavano dalla fine del 2011.[47] Il 23 agosto, nonostante
l'intervento militare degli Emirati Arabi Uniti,
che bombardano le posizioni di Alba Libica, le milizie di Zintan sono costrette
a ritirarsi dall'aeroporto e da Tripoli.[48][49] Due giorni dopo, il 25 agosto,
su richiesta di Alba Libica, 94 membri del vecchio Congresso Nazionale Generale,
tra cui coloro che avevano boicottato la Camera dei rappresentanti di Tobruk a
inizio agosto, si riuniscono nuovamente come Nuovo Congresso Nazionale Generale e si
proclamano parlamento legittimo al posto della Camera dei rappresentanti
recentemente eletta, con Tripoli come loro capitale politica, Nuri Busahmein presidente e Omar
al-Hasi primo ministro.[50][51]
Anche il governo sostenuto dalla Camera
dei rappresentanti di Tobruk, presieduto dal riconfermato al-Thani, è quindi
costretto a trasferirsi da Tripoli all'est del Paese agli inizi di settembre.[52][53] La Camera dei rappresentanti e
il governo di al-Thani si allineano progressivamente alle forze precedentemente
autonome di Haftar, appoggiando ufficialmente l'operazione Dignità in ottobre,[54] e nominando infine Haftar capo
del ricostitutendo esercito libico nel
marzo 2015.[55]
Il paese risulta così diviso tra due
governi rivali, con Tripoli e Misurata controllate da forze leali ad Alba
Libica e al nuovo GNC di Tripoli, mentre la comunità internazionale riconosce
il governo di Abdullah al-Thani e
il suo parlamento a Tobruk. Bengasi rimane contesa tra le forze filo-Haftar e
gli islamisti radicali di Anṣār al-Sharīʿa.
In settembre, il Rappresentante speciale dell'ONU Bernardino León avvia
un nuovo processo di dialogo politico in Libia, per ottenere una soluzione diplomatica
e non militare al conflitto e favorire la creazione di un governo di unità
nazionale.[56] Il 6 novembre, la corte
suprema di Tripoli ordina lo scioglimento della Camera dei rappresentanti,
dichiarandola illegittima.[57] La Camera dei rappresentanti
rifiuta la sentenza, sostenendo che sia stata emessa "sotto
minaccia",[58] e la comunità internazionale
continua a riconoscere come legittimi il parlamento e il governo di Tobruk.
La lotta per il petrolio e la comparsa
dell'ISIS (ottobre 2014 - aprile 2015)
Il 3 ottobre, a Derna, una formazione islamista radicale, il
Consiglio consultivo dei giovani islamici (Majlis Shura Shabab al-Islam),
attivo a Derna da aprile, dichiara la propria affiliazione al cosiddetto Stato Islamico (ISIS) di Abu Bakr al-Baghdadi,
proclamando il territorio sotto il suo controllo nella città come parte del
“califfato” proclamato da al-Baghdadi a Mosul nel
giugno 2014. Un altro gruppo ribelle islamista di Derna, la brigata dei martiri
di Abu Salim, prende le distanze dal proclama del Consiglio, dichiarando che
non si sarebbe affiliato ad alcun gruppo al di fuori della Libia.[59]
In novembre, milizie Tuareg sostenute dal governo di Tripoli e
da milizie di Misurata strappano ai Tebu il
controllo del grande campo petrolifero di Sharara, nel sud-ovest della Libia;
per rappresaglia, le milizie di Zintan, alleate coi Tebu, chiudono l'oleodotto
che trasporta il petrolio di Sharara ai terminal del nord, causando
l'interruzione della produzione di 300.000 barili di petrolio al giorno.[60]
Il 27 dicembre, le milizie di Misurata lanciano
un'offensiva per strappare il controllo dei porti di Sidra e Ras Lanuf, tra i più importanti in Libia per
l'esportazione del petrolio, alla Guardia degli impianti petroliferi (PFG) del
leader federalista Ibrahim Jadran, alleata con il governo di Tobruk.
L'offensiva non ha successo e le forze di Misurata si ritirano da Sidra a fine
marzo 2015, ma la distruzione delle infrastrutture attorno a Sidra ferma la
produzione nei campi petroliferi che riforniscono il terminal.[60]
Il 27 gennaio, i miliziani fedeli
all’ISIS rivendicano un
attentato all’hotel Corinthia di Tripoli, in cui muoiono cinque
libici e cinque stranieri. L’8 febbraio, con l’aiuto di membri di Anṣār
al-Sharīʿa, i jihadisti dell’ISIS prendono il controllo di Nofaliya, a est
di Sirte, e il 13 febbraio entrano a Sirte,
impadronendosi di una tv e di due radio locali.[61] Il 14 febbraio l'ambasciata
italiana a Tripoli, l'ultima rappresentanza occidentale ancora attiva, viene
evacuata. In risposta all'avanzata dell'ISIS, i ministri degli Esteri e della
Difesa italiani, Gentiloni e Pinotti, prospettano un possibile intervento
militare italiano, la cui imminenza viene però smentita dal Presidente del
Consiglio, Matteo Renzi.[56]
Il 15 febbraio, i miliziani dell’ISIS in
Libia pubblicano un video raffigurante la decapitazione di ventuno cristiani
copti egiziani che il gruppo aveva precedentemente rapito a Sirte.[62] Il giorno seguente, in
risposta alle uccisioni, l'Egitto, che fino a quel
momento aveva fornito supporto indiretto al generale Haftar, interviene
direttamente nel conflitto, eseguendo degli attacchi aerei contro obiettivi
dello Stato Islamico a Derna, in coordinazione col governo di Tobruk.[63] Il Consiglio di
Sicurezza dell'ONU respinge però una bozza di risoluzione
dell'Egitto, tesa a legittimare l'appoggio militare al governo di Tobruk nel
conflitto libico e la rimozione, limitatamente al governo di Tobruk stesso,
dell'embargo sulle armi, in vigore dal 2011.[56] Gli Stati occidentali, in
particolare, reiterano il loro sostegno al processo di pace per la formazione
di un governo di unità nazionale, di contro al sostegno unilaterale dell’Egitto
al governo di Tobruk.[64] Per rappresaglia contro gli
attacchi egiziani, il 20 febbraio l'ISIS esegue degli attentati suicidi nella
città orientale di Gubba, tra Tobruk e Beida,
uccidendo almeno 40 persone.[65]
A fine marzo 2015, le milizie di
Misurata si ritirano da Ben Giauad, dove
avevano stabilito una base nell'offensiva contro il terminal petrolifero di
Sidra. Il ritiro è motivato dall'esigenza di concentrare lo sforzo bellico
contro le milizie dell'ISIS a Sirte.[66]
Il 18 aprile 2015, un barcone carico di migranti si rovescia in
prossimità della costa libica, provocando oltre 700 morti in una delle più
grandi stragi di migranti
nel Mediterraneo. In reazione, l'Unione Europea lancia, tra l'altro,
l'Operazione Sophia,
un'operazione militare nel Mediterraneo centrale finalizzata a contrastare i
trafficanti di migranti; l'operazione avviene in acque internazionali, ma viene
previsto che la sua fase finale possa comportare anche interventi contro i
trafficanti di migranti nelle acque e sul suolo della Libia, previo consenso
dell'ONU e del governo libico.[67]
L'espulsione dell'ISIS da Derna e il suo
consolidamento a Sirte (maggio - novembre 2015)
Tra fine maggio e inizio giugno, le forze affiliate allo Stato Islamico a
Sirte lanciano una nuova offensiva contro le forze di Misurata a ovest e sud di
Sirte, conquistando l'aeroporto civile e militare di al-Gardabiya a sud di
Sirte e attaccando un posto di blocco alla periferia di Misurata.[68] A inizio giugno, l'ISIS
conquista il villaggio di Harawa, a est di Sirte.[69] Il radicamento dell'ISIS a
Sirte, città natale di Gheddafi, è favorito da defezioni dall'ala locale di
Ansar al-Sharia, attiva a Sirte dal giugno 2013, e dal sostegno di ex lealisti
gheddafiani, emarginati in seguito alla guerra civile del 2011, in modo simile
agli ex-baathisti in Iraq.[61]
L'avanzata dell'ISIS nell'area di Sirte
è controbilanciata dall'espulsione delle forze dell'ISIS da buona parte di
Derna, loro prima roccaforte in Libia, il 14 giugno 2015, dopo cinque giorni di
violenti scontri con il Consiglio consultivo dei mujahideen di Derna, una
coalizione di gruppi armati jihadisti non affiliati allo Stato Islamico, tra
cui la Brigata dei martiri di Abu Salim.[70][71] Si manifesta così anche in
Libia il fenomeno, già osservato nella guerra civile siriana sin
dal gennaio del 2014, dello scontro tra gruppi jihadisti diversi per ideologia e
strategia, in particolare tra l'ISIS e i gruppi vicini ad al-Qaida.[72]
Oltre ad intensificare le loro offensive
in Libia, i militanti libici dell'ISIS sono sospettati di essere coinvolti
negli attacchi nella confinante Tunisia, colpita dall'attentato
al museo nazionale del Bardo a marzo e dall'attentato di Susa a giugno, eseguiti da
attentatori sospettati di essersi addestrati in un campo di addestramento
dell'ISIS a Sabrata, vicino al confine con la Tunisia.[73]
Nella notte tra il 14 e il 15 giugno, un
attacco aereo degli Stati Uniti nei
pressi di Agedabia, coordinato con il governo libico di
Tobruk e diretto contro il terrorista algerino Mokhtar Belmokhtar,
porta all'uccisione di sette militanti legati ad al-Qaida ed Ansar al-Sharia,
tra cui, secondo fonti del governo di Tobruk smentite dagli jihadisti, lo
stesso Belmokhtar.[74][75]
Nella seconda metà del 2015, i militanti
dell'ISIS consolidano la propria presenza a Sirte, reprimendo violentemente una
rivolta di matrice salafita scoppiata
in agosto[76] e mantenendo stretti contatti
con la leadership dell'ISIS in Iraq e Siria, la quale, sotto la pressione dell'intervento
militare internazionale in Mesopotamia, vede nelle province libiche
un territorio in cui potersi ritirare in caso di ulteriori sconfitte.[77] Il 13 novembre, gli Stati Uniti
effettuano un attacco aereo nei pressi di Derna diretto contro Abu Nabil al
Anbari, emissario iracheno di al- Baghdadi in Libia, nel loro primo attacco
contro l'ISIS in Libia. Al Anbari viene ucciso nell'attacco.[78][79]
Il rilancio del processo di pace e le
ipotesi di intervento militare occidentale (dicembre 2015 - febbraio 2016)
Nel corso del 2015, i colloqui di pace
tra i due parlamenti rivali tenuti sotto l'egida dell'ONU procedono a rilento,
a causa della presenza di gruppi oltranzisti in entrambi gli schieramenti. Il 5
ottobre, la Camera dei Rappresentanti di Tobruk, eletta nel giugno 2014, vota
per estendere il proprio mandato oltre la scadenza del 20 ottobre.[80] L'8 ottobre, l'inviato
speciale dell'ONU Bernardino León annuncia
che Fayez al-Sarraj sarà
nominato primo ministro di un nuovo governo di unità nazionale che dovrebbe
ricevere il voto favorevole dei due parlamenti.[81] Il 17 novembre, il diplomatico
tedesco Martin
Kobler sostituisce lo spagnolo León come inviato speciale
dell'ONU, dopo uno scandalo scoppiato a causa della decisione di León di accettare
un incarico dagli Emirati Arabi Uniti, sostenitori del governo di Tobruk nel
conflitto libico.[82] Pochi giorni dopo un'ampia
conferenza di pace svoltasi a Roma il 13 dicembre, cui partecipano
rappresentanti di numerosi Stati e una delegazione dei due parlamenti libici,[83] l'accordo di pace (detto
LPA, Libyan Political Agreement) per la formazione di un governo di
unità nazionale negoziato sotto l'egida dell'ONU viene firmato a Skhirat (Marocco) il 17 dicembre da numerosi membri dei
due parlamenti libici, senza però un voto favorevole da parte dei parlamenti
stessi, a causa dell'opposizione dei due presidenti Nuri Busahmein e Aguila Saleh Issa.[84] Fayez al-Sarraj viene quindi posto a capo
di un Consiglio presidenziale (PC) di nove membri, facente
funzione di Capo di Stato,
e viene incaricato di formare entro 30 giorni un nuovo governo, riconosciuto
dalla comunità internazionale, che ottenga la fiducia della Camera dei
rappresentanti e si insedi nuovamente a Tripoli. Il 23 dicembre, il Consiglio di
Sicurezza dell'ONU riconosce all'unanimità il futuro governo di
unità nazionale come solo governo legittimo della Libia e invita gli Stati
membri a rispondere a eventuali richieste di assistenza del nuovo governo per
stabilizzare la Libia.[85][86]
Tra il 4 e il 5 gennaio 2016, l'ISIS
lancia un'offensiva a est di Nofaliya per catturare i porti petroliferi di
Sidra e Ras Lanuf, ancora controllati dal PFG di
Jadran e chiusi da oltre un anno, a causa dei precedenti combattimenti tra il
PFG e le forze di Alba Libica. L'offensiva dell'ISIS viene respinta, ma l'ISIS
si impadronisce della cittadina di Ben Giauad, a ovest di Sidra.[87] Il 7 gennaio, un attacco
suicida contro un'accademia delle forze di polizia a Zliten (tra Tripoli e Misurata, sotto il
controllo del GNC) uccide 65 persone. Della responsabilità dell'attentato, uno
dei più gravi nella storia recente della Libia, viene sospettato l'ISIS.[88]
Le nuove offensive dell'ISIS in Libia
rendono sempre più insistenti le voci di un imminente intervento militare
occidentale contro l'ISIS da parte di Stati Uniti, Francia, Italia e Regno
Unito, su richiesta del futuro governo di unità nazionale o anche
unilateralmente; già da tempo vengono segnalati voli di ricognizione e la
presenza di forze speciali occidentali
sul terreno per condurre operazioni di sorveglianza e prendere contatti con le
milizie locali.[89][90][91]
Il 19 gennaio, a Tunisi, al-Sarraj annuncia la formazione di un
governo di 32 membri, detto Governo di Accordo Nazionale (GNA), che deve
ricevere l'approvazione della Camera dei rappresentanti di Tobruk per poi
insediarsi a Tripoli.[92] Il 25 gennaio, la Camera dei
rappresentanti nega la fiducia al governo, dando mandato a al-Sarraj di
formarne uno nuovo con un numero inferiore di membri. Vota invece a favore
dell'accordo di pace (LPA), rifiutando però l'articolo che conferisce al
Consiglio presidenziale il potere di rimuovere i vertici militari, tra cui
Haftar.[93] Il 14 febbraio, da Skhirat,
al-Sarraj propone una nuova lista di 18 ministri.[94]
Il 19 febbraio, un attacco aereo
statunitense colpisce un campo di addestramento dell'ISIS nei pressi di Sabrata, uccidendo 41 persone, in
maggioranza tunisini, tra cui, probabilmente, un militante
tunisino legato agli attentati al
museo nazionale del Bardo e a Susa in Tunisia l'anno precedente.[95] Il 21 febbraio, l'esercito
nazionale libico (LNA) annuncia di aver liberato la città di Agedabia dagli
jihadisti e di aver ripreso il controllo di diverse aree di Bengasi a lungo
contese con Anṣār al-Sharīʿa e ISIS.[96][97] Fonti libiche sostengono che
forze speciali francesi da due mesi aiutino l'esercito nazionale libico a
Bengasi; ciò potrebbe spiegare il successo dell'offensiva del LNA dopo quasi
due anni dall'inizio della campagna del generale Haftar.[98][99]
L'insediamento del Governo di Accordo
Nazionale (marzo - aprile 2016)
Il 12 marzo, il Consiglio Presidenziale,
ancora basato a Tunisi, chiede alla comunità internazionale di interrompere i
rapporti con il governo di Tobruk e di riconoscere il governo di Serraj come il
solo legittimo, sulla base del sostegno espresso da un centinaio di deputati
della Camera dei rappresentanti, nonostante la mancanza di un voto formale di
fiducia da parte del parlamento.[100] Il 14 marzo, il Consiglio di
Sicurezza dell'ONU invita gli Stati Membri a cessare il sostegno e i contatti
ufficiali con i due governi libici paralleli al governo di accordo nazionale.[101] Il 30 marzo, i membri del
governo di unità nazionale arrivano finalmente dalla Tunisia a Tripoli in nave,
insediandosi in una base navale vicino al porto, nonostante l'opposizione del
primo ministro del governo islamista di Tripoli, Khalifa Ghwell.[102]
Il 1º aprile, il Consiglio
dell'Unione europea approva sanzioni contro Aguila Saleh Issa (presidente della
Camera dei rappresentanti di Tobruk), Khalifa
Ghwell (primo ministro di Tripoli) e Nuri Busahmein (presidente del nuovo GNC
di Tripoli), a causa della loro continua opposizione all'implementazione
dell'accordo di pace del 17 dicembre 2015 e alla formazione del governo di
unità nazionale.[103] Il 5 aprile, il governo
islamista di Tripoli annuncia il suo scioglimento (nonostante la smentita, due
giorni dopo, da parte di Khalifa Ghwell),[104] e circa 70 membri del Nuovo
Congresso Nazionale Generale (GNC) votano per adottare l'accordo di pace del 17
dicembre (LPA) e formare, conformemente ad esso, il Consiglio di Stato,
previsto dall'LPA come camera alta del nuovo parlamento libico, composta dagli
ex membri del GNC.[105] Presidente del Consiglio di
Stato viene eletto il misuratino Abdulrahman Al-Swehli.[106] Nel corso di aprile, mentre
le vecchie autorità e i gruppi armati di Tripoli e della Libia occidentale, che
precedentemente sostenevano il Congresso Nazionale Generale, lentamente cedono
il potere e dichiarano il loro appoggio al governo di accordo nazionale,[107][108] la Camera dei Rappresentanti
di Tobruk, prevista dall'LPA come camera bassa del nuovo parlamento libico,
continua a rimandare l'approvazione del voto di fiducia al governo di accordo
nazionale.[109] La frattura tra ovest ed est
del Paese minaccia quindi di non ricomporsi, dal momento che le autorità
dell'est del Paese (l'esercito nazionale libico di Haftar e il governo di
Tobruk) si pongono in competizione con il governo di accordo nazionale di
Tripoli per l'esportazione del petrolio libico e per una nuova offensiva contro
l'ISIS a Sirte.[110]
L'offensiva contro l'ISIS (maggio - agosto
2016)
Il 21 aprile, i combattenti dell'ISIS ancora presenti nei dintorni di Derna dopo essere stati espulsi dalla
città nel giugno 2015 vengono definitivamente sconfitti e costretti a ritirarsi
verso Sirte; i combattimenti a Derna però proseguono tra il Consiglio
consultivo dei mujahideen, in controllo della città, e le forze leali al
generale Haftar.[111][112] A ovest di Sirte, l'ISIS
continua i suoi attacchi contro le milizie di Misurata (che hanno dichiarato il
loro appoggio al governo di unità nazionale), conquistando la città di Abu
Grain, a sud di Misurata, il 5 maggio, ma perdendone nuovamente il controllo
dopo due settimane.[113] A fine maggio, la Guardia
delle installazioni petrolifere (che ha anch'essa dichiarato il suo sostegno al
governo di unità nazionale, distaccandosi dal governo di Tobruk, nonostante
fosse stata precedentemente in conflitto con le milizie di Misurata) lancia
un'offensiva contro l'ISIS a est di Sirte, riconquistando le città di Ben Giauad e di Nofaliya (prese dall'ISIS
a gennaio 2016 e febbraio 2015, rispettivamente).[114]Contemporaneamente, anche le milizie
di Misurata, da ovest, passano al contrattacco contro l'ISIS e riescono ad
avanzare in profondità verso Sirte, arrivando a soli 15 km dalla città il
29 maggio.[115] Il 4 giugno, viene
riconquistato l'aeroporto di al-Ghardabiya a sud di Sirte, preso dall'ISIS a
maggio 2015.[116] Il 9 giugno, il PFG
riconquista Harawa (presa dall'ISIS un anno prima), mentre le forze di Misurata
entrano a Sirte,[117] dando inizio a un lungo
assedio delle rimanenti forze dell'ISIS asserragliate nel centro della città.[118] Il repentino successo
dell'offensiva contro l'ISIS, che in tre settimane perde quasi tutti i
territori libici sotto il suo controllo dopo essere stato all'offensiva fino
alla metà di maggio, sorprende gli osservatori internazionali, che elencano una
serie di fattori alla base del successo: tra questi, la sopravvalutazione della
consistenza numerica, del radicamento territoriale e della solidità finanziaria
dell'ISIS in Libia; l'efficace coordinazione tra forze di Misurata e PFG sotto
l'egida del Governo di Accordo Nazionale; e l'aiuto di forze speciali
occidentali (statunitensi e britanniche).[119][120][121]
Il 18 giugno, scoppiano nuovamente
scontri tra l'LNA di Haftar e un nuovo gruppo armato islamista (chiamato
Brigate di Difesa di Bengasi, BDB) nei pressi di Agedabia.[122] Il 17 luglio, le Brigate di
Difesa di Bengasi rivendicano l'abbattimento di un elicottero vicino a Bengasi:
nello schianto muoiono tre soldati francesi, nella prima conferma ufficiale
della presenza di forze speciali francesi a fianco di Haftar a Bengasi.[123] In reazione, la Francia
bombarda le posizioni delle milizie islamiste nei pressi di Bengasi,[124] mentre il Governo di Accordo
Nazionale critica la presenza di truppe francesi in sostegno di Haftar,
denunciandola come violazione della sovranità libica.[125]
Il 1º agosto, su richiesta del Governo
di Accordo Nazionale, gli Stati Uniti iniziano attacchi aerei contro le
posizioni dell'ISIS a Sirte, per aiutare le milizie che sostengono il governo a
rompere lo stallo nell'assedio alla città. Si tratta della prima campagna aerea
prolungata degli USA contro l'ISIS in Libia, precedentemente colpito da
attacchi statunitensi isolati a Derna nel novembre 2015 e a Sabrata nel
febbraio 2016.[126] Il 10 agosto, le milizie
libiche riconquistano il centro congressi Ouagadougou di Sirte, usato dall'ISIS
come suo quartier generale; l'ISIS mantiene tuttavia il controllo di alcuni
quartieri residenziali nella città, dove continua a resistere nei mesi
seguenti.[127] Il 13 settembre, l'Italia
annuncia l'apertura di un ospitale militare a Misurata, con lo schieramento di
300 uomini, tra cui 65 medici e 100 militari di protezione, per fornire
assistenza sanitaria alle forze impegnate nella battaglia contro l'ISIS a
Sirte. Si tratta del primo schieramento ufficiale di truppe occidentali (escluse
le forze speciali) in Libia dall'inizio della seconda guerra civile.[128]
Il 6 dicembre, le forze leali al GNA
annunciano di aver completato la riconquista di Sirte, dopo aver sconfitto gli
ultimi combattenti dell'ISIS.[129] Di conseguenza, l'ISIS non
controlla più alcun territorio in Libia, sebbene numerosi combattenti,
abbandonata Sirte, rimangano attivi nel Paese: il 19 gennaio 2017, gli USA
bombardano nuovamente un campo dell'ISIS nei pressi di Sirte.[130]
Nuove tensioni tra Tripoli e Tobruk
(settembre 2016 - gennaio 2017)
Nonostante i successi ottenuti
nell'offensiva contro l'ISIS a Sirte, il Governo di Accordo Nazionale di Sarraj
non riesce a rafforzare la propria autorità, a causa della perdurante crisi
economica e del mancato appoggio al suo governo da parte del generale Haftar. Il
22 agosto 2016, la Camera dei Rappresentanti a Tobruk nega la fiducia al
Governo di Accordo Nazionale, per la seconda volta dopo il voto del gennaio
precedente.[131] L'11 settembre, l'Esercito
Nazionale Libico (LNA) di Haftar lancia un attacco improvviso contro quattro
porti della mezzaluna petrolifera (Sidra, Ras Lanuf, Brega e Zueitina), sottraendone il controllo alla
Guardia degli impianti petroliferi (PFG) di Jadran, che si ritira opponendo
scarsa resistenza. Si tratta del primo scontro su larga scala tra Haftar e le
forze allineate al Governo di Accordo Nazionale (con cui la PFG aveva stipulato
in luglio un accordo per riaprire i porti così da permettere al GNA di
riprendere le esportazioni di petrolio).[132][133] Tuttavia, nonostante il
rischio di escalation, nelle settimane seguenti alla presa dei porti Haftar
stringe a sua volta un accordo con la National Oil
Corporation di Tripoli per riprendere le esportazioni di
petrolio,[134] e il 21 settembre le
esportazioni di petrolio da Ras Lanuf riprendono per la prima volta dal
novembre 2014, con la partenza di una petroliera verso l'Italia.[135] Haftar approfitta del momento
a lui favorevole per spingersi verso ovest: il 18 settembre la PFG lancia un
contrattacco per riprendere i porti di Sidra e Ras Lanuf, ma viene respinta
dall'LNA, che sfrutta l'occasione per catturare anche Ben Giauad;[136] il 21 settembre, l'LNA occupa
anche Harawa.[137] Il 7 dicembre, l'LNA di
Haftar respinge una nuova offensiva contro la mezzaluna petrolifera da parte di
milizie islamiste (il Consiglio consultivo dei rivoluzionari di Bengasi e le
Brigate di Difesa di Bengasi) e forze leali a Jadran e al ministro della Difesa
del GNA Barghathi (nonostante il GNA stesso prenda le distanze dall'offensiva).[138] Anche a Tripoli l'autorità di
Sarraj viene messa in discussione: il 14 ottobre, l'ex premier del governo non
riconosciuto di Tripoli, Khalifa Ghwell, tenta un colpo di Stato, occupando con
alcune milizie l'hotel usato dal Consiglio di Stato.[139]. In questo contesto, la Russia,
già impegnata a sostenere Assadnella guerra civile siriana,
segnala un crescente interesse ad appoggiare Haftar in Libia: il 29 novembre,
Haftar incontra le autorità russe a Mosca per chiedere sostegno militare,[140][141] mentre l'11 gennaio 2017
Haftar viene invitato sulla portaerei russa Admiral
Kuznetsov nel Mediterraneo.[142] L'Italia continua invece a
sostenere il governo di Sarraj, riaprendo per prima tra i Paesi occidentali la
propria ambasciata a Tripoli il 10 gennaio, dopo due anni dalla chiusura. Il 12
gennaio 2017, le forze leali a Ghwell tentano di occupare anche il Ministero
della Difesa.[143]. Il 21 gennaio un'autobomba
esplode vicino all'ambasciata italiana appena riaperta; la Forza Speciale di
Deterrenza (Rada) di Tripoli accusa l'LNA di Haftar di essere responsabile.[144]. Con il sostegno della Russia,
l'esercito nazionale libico (LNA) di Haftar compie ripetuti bombardamenti
contro la città di Bengasi, nei quartieri costieri di Suq Al-Hout ed al-Sabri,
costringendo i militanti del gruppo terroristico Wilayat Barqa, presenti a
Bengasi dal 2014, a lasciare la città.
Scontri a Tripoli tra Sarraj e Ghwell
(febbraio - marzo 2017)
Il 9 febbraio 2017 a Tripoli, nel
distretto di Salahadin, si costituisce il gruppo armato Guardia Nazionale
Libica (LNG), comandato dal colonnello Mahmud al-Zigal, con
l'obiettivo dichiarato di "combattere i gruppi terroristici come
ISIS", ma in realtà facente capo all'esecutivo di Khalifa Ghwell, quale
contraltare della Guardia Presidenziale a difesa del Governo di Accordo
Nazionale di al Sarraj,[145], il quale la dichiarò illegale[146]. Essa era composta prevalentemente
da milizie di Misurata, in particolare la brigata al Marsa[147], oltre a milizie berbere di altre
città come Khoms, Zliten, Msallata, Sabratha, Surman, Ubari, Jumayl, Zauiya e
Gharyan[148]. Tra i suoi capi figura Salah Badi,
miliziano di Alba libica che aveva partecipato all'operazione di cattura
dell'aeroporto di Tripoli. Lo stesso giorno la milizia di Salah al-Burki
attaccò il quartiere Abu Salim [147], mentre due giorni dopo nei
quartieri sud di Tripoli, incluso il distretto di Salahadin, sede della Guardia
nazionale il Battaglione dei Rivoluzionari di Tripoli attaccò la milizia di
Misurata Sherikhan, affiliata alla Guardia nazionale[149]. Il 16 febbraio, Khalifa Gwell,
affiancato da membri della Guardia nazionale incluso il comandante al Zigal, e
da politici islamisti dell'ex Congresso Generale e legati ai Fratelli
Musulmani, organizzarono la cerimonia di riapertura dell'Areoporto di Tripoli,
distrutto da Alba libica nel 2014, invitando anche coloro che avevano
partecipato alla sua distruzione come Khaled al-Sharif e Salah Badi [150]. Il 20 febbraio, Fayez al-Sarraj e
Abdulrahman Sewehli sopravvissero a un attentato mentre erano in
automobile. [151]. Il 24 febbraio vi furono altri
scontri nel quartiere di Abu Salim tra la brigata Salah al-Burki, affiliata
alla Guardia nazionale, e il Battaglione dei Rivoluzionari, affiliato al
Consiglio Presidenziale di al Sarraj [152]. Nuovi scontri vi furono il 14
marzo, mel quartiere ovest di Tripoli di Hay al-Andalous, come scontro tra le
milizie berbere delle Forze Mobili, invise al popolo, e le milizie del Governo
di Accordo Nazionale, comandate da Haithem al-Tajouri, Abdel Ghani al-Kikli e
Abdel Raouf Kara[153], in seguito nel quartiere centrale
di Bab Ben Gashir le milizie dei Rivoluzionari di Tripoli comandate da Tajouri
attaccarono le milizie leali al governo di Ghwell, che tentarono di riprendere
il controllo della capitale, ma dopo una notte di combattimenti l'offensiva di
Ghwell fallì[154]. Il Consiglio Presidenziale
convocò le milizie a lui leali nella Base Navale di Abu Sitta, proponendo
un'offensiva, ma i capi delle brigate Tajouri, Kikli e Kara rifiutarono per
"garantire la sicurezza dei cittadini di Tripoli" [155] [156] Il 17 marzo ci fu una
manifestazione a Piazza dei Martiri per esigere l'espulsione di tutte le
milizie da Tripoli, mentre alcuni inneggiavano ad Haftar cantando slogan contro
Misurata, ma uomini armati spararono contro la folla e la dispersero,
inscenando una manifestazione contro Haftar [157]. Il giorno seguente il Consiglio
Presidenziale condannò l'accaduto in nome della libertà di espressione, ma i
deputati di Misurata del Parlamento congelarono i rapporti col governo [158]. Tre giorni dopo, una folla
guidata dall'islamista Salah Badi decretò alla radio che la città era sotto il
controllo dei "Rivoluzionari di Misurata", ma il tentativo di golpe
non ebbe esito.[159]. Un secondo tentativo di golpe fu
fatto nei giorni seguenti dal colonnello Ibrahim Ben Rajab del Consiglio
militare di Misurata, forzando lo scioglimento del Consiglio municipale [160]. A seguito della presa del
quartiere Ganfouda di Bengazi da parte del generale Haftar, a Tripoli alcuni
membri della brigata al-Buni del quartiere del Suq al-Juma costrinsero il Primo
Ministro al-Sarraj a ritirare gli insulti rivolti all'Esercito nazionale
libico, accusato di commettere crimini di guerra a Bengasi [161]
Scontri nel golfo di Sirte e presa di
Bengasi (marzo - luglio 2017)
Nel marzo 2017 le milizie di Bengasi,
attaccate dall'esercito nazionale di Haftar, si alleano con la Guardia
petroliera nazionale di Ibrahim Jadhran, anch'essa sconfitta dall'esercito di
Tobruk nel golfo di Sirte, avanzando verso Al-Jufra [162] e riprendendo il controllo
dei porti di Sidra e Ras Lanuf[163], mentre l'esercito ripiegò a El Agheila,
in attesa di rinforzi da Brega pari a 5.000 uomini, in un'operazione coordinata
dal Cairo tra Haftar e al Sisi [164], con nuovi bombardamenti aerei su
Ras Lanuf, Sidra, Ben Jauad e Naufaliya. L'operazione fu coordinata anche con
la coalizione al-Bunyan al-Marsous, del Governo di Accordo nazionale e diverse
milizie di Misurata, e con alcune milizie Tebu e della tribù Warshefana[165]. I ribelli sarebbero stati
sostenuti invece da Turchia e Qatar, come ritorsione ad Haftar per aver
rifiutato in diverse occasioni il consenso al governo di Fayez al-Sarraj, ostacolando
una soluzione pacifica alla crisi[163], mentre il Consiglio Presidenziale
di al Sarraj emise un comunicato condannando l'attacco e negando qualsiasi
relazione con essa, sebbene due suoi membri, Abdulsalam Kajman e Mohamed
al-Amari, espressero parole di apprezzamento per le milizie di Bengasi[166] e ci sono indizi di un
coordinamento col Ministro della Difesa di Tripoli, Mahdi al-Barghati [165]. Il 7 marzo il Consiglio
Presidenziale ordinò alla propria Guardia delle installazioni petrolifere,
comandata da Idris Abu Khamada dal 2013 su mandato dell'allora capo del governo
Ali Zeidan, di proteggere gli impianti di Ras Lanuf e Brega e assicurare la
continuità della produzione di petrolio, in tal modo cercando di assicurarsi il
controllo dei porti qualora l'attacco di Jadran avesse avuto successo, essendo
Abu Khamada vicino a Jadhran. La presenza di tali milizie a Ras Lanuf fu
accettata anche dalle milizie di difesa di Bengasi[167], ma la Camera dei Rappresentanti
di Tobruk, riunita in assemblea il 7 marzo, prese atto della collaborazione del
Governo di Accordo Nazionale con le Milizie di Bengasi e con 38 voti a favore
su 56 deliberò di ritirare il proprio riconoscimento al Consiglio Presidenziale
e di porre fine ai negoziati per la soluzione pacifica alla crisi[168]. Le milizie di difesa di Bengasi
furono accusate di legami con al Qaeda[169][170]. Tuttavia 75 deputati della Camera
dei Rappresentanti di Tobruk espressero una dichiarazione a sostegno del
Governo di Accordo Nazionale, 30 dei quali fuggirono a Tripoli con una
scissione, nell'hotel Bab al-Bahr [171]. Nel frattempo Ibrahim Jadhran
cercò di tornare al comando delle proprie milizie ma fu arrestato a Nalut[172]. L'esercito nazionale libico
attaccò nuovamente i porti petroliferi del golfo di Sirte con bombardamenti
aerei seguiti da un'avanzata via terra, nonostante il tentativo del governo di
Tripoli di porre una no fly zone sugli impianti, recuperando Sidra e Ras Lanuf
il 14 marzo, ripristinando la situazione precedente l'attacco, ma con un
relazioni politiche tra le due parti gravemente deteriorate [173]. L'esercito nazionale libico
proseguì la lotta alle milizie islamiste di Bengasi, il Consiglio della Shura,
i cui ultimi miliziani erano asserragliati in un edificio nel quartiere
Ganfouda di Bengasi [174], che il 18 marzo 2017 tentarono di
occupare il quartiere di As-Sabri al nord[175], e furono documentati abusi sui
prigionieri [176] e le loro famiglie[177] [178]. Essi furono condannati
dall'inviato dell'ONU Martin Kobler [179] L'esercito assicurò di
avviare un'indagine. [176]. Dopo aver messo in sicurezza il
quartiere di Ganfouda, l'esercito libico si concentrò sui restanti quartieri in
mano agli islamisti, Suq al-Hout e as-Sabri, a partire dall'8 maggio. [180] A fine mese il gruppo miliziano
Ansar as-Sharia annunciò la propria dissoluzione, essendo morti i suoi capi[181]. Il 13 giugno l'esercito entrò nel
quartiere Suq al-Hout in piazza Tahrir, dove cominciarono le proteste del 2011
contro Gheddafi[182], il 19 prese il mercato del pesce[183], il 23 completò la conquista del
quartiere[184]. Il 5 luglio l'esercito entroò nel
quartiere as-Sabri, e gli ultimi islamisti si trincerarono nella zona di Sidi
Akribesh, prima di essere definitivamente catturati [185]. A seguito di questa vittoria, la
posizione del maresciallo Haftar risultava politicamente rafforzata. Il
maresciallo, presentandosi in uniforme bianca e dorata che rimandava a quella
del colonnello Gheddafi, annunciò il suo trionfo in un discorso televisivo
all'esercito e alla città[186] [187]. Gli ultimi miliziani
asserragliati nel quartiere di Sidi Akribesh furono definitivamente sconfitti a
dicembre[188].
Nuovi scontri tra milizie a Tripoli
(aprile - maggio 2017)
Man mano che l'esercito nazionale libico
(LNA) proseguiva la sua lotta contro le Milizie di difesa di Bengazi, nel
governo di Tripoli il Ministro degli Affari Esteri del GNA, Mohamed Tayer
Siala, dichiaro di riconoscere il generale Haftar come capo dell'esercito
riconosciuto dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk, suscitando proteste[189] da parte del Consiglio
militare di Misurata che dichiarò sul canale Tanaseh TV, proprietà del gran
muftì Sadiq
al-Ghariani), che il Governo di Accordo Nazionale era illegittimo,
traditore e servo di interessi stranieri, e che il parlamento legittimo era il
Congresso Nazionale eletto nel 2012 e il governo di Khalifa Ghwell, in tal modo
la città fu divisa tra il Consiglio municipale leale ad al Serraj e il
Consiglio militare sostenitore di Ghwell[190] Il 12 maggio 2017 ripresero
combattimenti anche a Tripoli, tra capi di milizie Misurata (Salah Badi,
Sherikhan) e islamisti (Salah al-Burki, Khalif al-Sherif, Abu Obeida al-Zawi),
come le Forze Mobili nazionali di Janzur e la Brigada Kani di Tarhuna, che si
unirono in una coalizione, detta Fakhr Libya (Orgoglio
libico), contro il Governo di Accordo Nazionale, il cui quartier generale era
nel sud di Tripoli, nei quartieri di Khala Furjan, Salahadin e presso
l'Aeroporto Internazionale .[191] Il 26 maggio Salah Badi della
milizia al-Marsa di Misurata tentò di prendere l'Hotel Rixos al-Nasr, prima di
essere cacciato dalle milizie leali al GNA, cioè dal Consiglio dei Martiri di
Abu Salim e dal Battaglione dei Rivoluzionari di Tripoli, a seguito di
combattimenti nei quartieri di Abu Salim, Hadba e Hay Dimashq[192]. Il giorno dopo il Battaglione dei
Rivoluzionari occupò i quartieri di Salahadin e al-Hadba, con oltre 50 morti.[193] distruggendo per vendetta
anche la casa di uno dei comandanti della milizia ribelle, Khalid
al-Sharif [194]. Il 28 maggio i ribelli lasciarono
Tripoli[195] rifugiandosi nelle località
vicine di Gharyan, Sabrat e Tarhuna [196].
Sostegno della Francia al governo di
Tobruk (luglio 2017)
A seguito della presa di Bengasi[197], il ruolo del generale Haftar
nella risoluzione del conflitto in Libia apparve sempre più determinante, anche
a confronto della difficoltà del governo di al Sarraj in Tripolitania. Il 25
luglio 2017 il Presidente francese Emmanuel Macron ospitò un vertice al
castello di La Celle, presso Parigi, con la presenza dell'ONU,
invitando accanto al capo del governo di unità nazionale riconosciuto
dall'ONU, Fayez Al-Sarraj,
anche il Generale Khalifa Haftar,
comandante delle Forze Armate riconosciuto dal Parlamento di Tobruk,
parificando le due fazioni, che giunsero ad un accordo comune su un cessate il
fuoco e presero l'impegno allo svolgersi di nuove elezioni presidenziali e
parlamentari a breve[198] [199] [200] [201].
Il 31 luglio 2017 a Beida (Cirenaica)
viene votato un progetto di Costituzione [202].
Avanzata dell'Esercito nell'Ovest e nel
Sud (settembre 2017 - marzo 2018)
Secondo il giornale francese Le Monde l'Italia avrebbe
stipulato nell'estate 2017 un accordo segreto con le milizie di Sabratha, in
particolare con il Battaglione 48 comandato da Ahmed Dabbashi detto Al-Ammou,
per bloccare il traffico dei migranti verso l'Europa, di cui essi gestivano la
maggior parte[203], e ciò sarebbe stata la causa di
nuovi scontri nel mese di settembre tra due milizie rivali della città, dovuti
a rivalità per accaparrarsi i finanziamenti[204]. Entrambe le milizie sono
affiliate al Governo di Accordo Nazionale di al Sarraj[203] [205], che tuttavia prende posizione
contro Ahmed Dabbachi[205].
Il 6 ottobre, la milizia salafista
Al-Wadi, sostenuta dall'esercito nazionale libico [203], dal suo accampamento a Wattiyah
(60 km S-E di Sabratha) entra nella città prendendone il controllo alla Guardia
Presidenziale del GNA[206], lasciando sul campo 39 morti e
300 feriti[205]. L'Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i rifugiati riferisce che 14'500 migranti sono stati trovati
nella regione di Sabratha e altri 6'000 sarebbero ancora nelle mani dei
trafficanti[207].
Il 17 dicembre il maresciallo Haftar
dichiara concluso il mandato del Consiglio Presidenziale (cioè del Parlamento
di Tripoli riconosciuto dalla comunità internazionale)[208]; lo stesso giorno il sindaco di
Misurata, Mohamad Echtewi, viene ucciso dopo essere stato prelevato all'uscita
dall'aeroporto, di ritorno dalla Turchia[209].
Il 23 dicembre, la commissione
elettorale annuncia che le elezioni presidenziali e legislative avranno luogo
entro il 30 settembre 2018[210].
A gennaio 2018, il deputato della Camera
dei rappresentanti Jaballah al-Chibani, della città di Tawarga, definisce la
rivoluzione libica del febbraio 2011 "una catastrofe",
aggiungendo che quanti affermano il contrario sono "approfittatori
ed ipocriti", e che Gheddafi era "più onesto di
loro"[211]. La dichiarazione porta
all'apertura di un'inchiesta parlamentare, perché ogni deputato è tenuto a
rispettare gli scopi della rivoluzione, mentre alcuni parlamentari
proferiscono insulti razzisti contro di lui, come "schiavo"[211]. Inoltre nella città di Tawarga
viene impedito l'accesso alle milizie di Misurata, responsabili di aver
saccheggiato e bruciato la città nel 2011, nonostante un accordo sia stato
firmato[212]. La firma di tale accordo sarebbe
stata anche tra le ragioni dell'assassinio del sindaco di Misurata Echtewi[212].
A febbraio iniziano le registrazioni
degli elettori in vista delle elezioni [213]. Il 6 febbraio 2018 Mahmoud
al-Werfalli, un comandante dell'esercito di Haftar, ricercato dalla Corte
Penale Internazionale per violazioni dei diritti umani, si arrende alle forze
del maresciallo[214], ma viene rilasciato il giorno
seguente[215].
Il 22 febbraio nuovi combattimenti scoppiano
nel sud della Libia, a Sebha, tra la tribù araba degli Uled Suleymani, vicini
al Governo di Accordo Nazionale di Sarraj, e i Tebu, partigiani di Haftar[216] [217] [218][219]. Il 28 marzo, le milizie rivali di
Misurata e di Zintan firmano un accordi di riconciliazione[220].
Scontri tra milizie nell'imminenza delle
elezioni (maggio 2018 - presente)
Il giorno 29 maggio 2018 le diverse
fazioni, riunite a Parigi, annunciano la tenuta di elezioni presidenziali e
legislative per il giorno 10 dicembre 2018[221].
A giugno 2018, scoppiano combattimenti
nel golfo di Sirte tra le Guardie delle installazioni petrolifere e l'esercito
nazionale libico[222].
Il 29 giugno 2018 Haftar annuncia il
completamento della riconquista di Derna, ultima città dell'est della Libia a
non essere controllata dal suo esercito.
A settembre, dei combattimenti hanno
luogo a Tripoli[223] [224], secondo alcuni analisti a causa
della decisione della Francia di accelerare il processo elettorale fissando la
data del 10 dicembre, che avrebbe provocato un rivolgimento di alleanze da
parte della VII Brigata, una milizia Tarhuna che si sarebbe affiliata
all'Esercito nazionale di Haftar, e con l'appoggio estero avrebbe cercato di
realizzare un colpo di Stato ai danni di al Sarraj[225].
Il 13 settembre, il Parlamento di Tobruk
approva la legge elettorale[226].
Schieramenti
La guerra vede contrapposte molteplici
forze, raggruppate in due grandi schieramenti, le coalizioni di Operazione
Dignità e di Alba Libica, cui si aggiungono gruppi jihadisti, in primo luogo
lo Stato Islamico,
ostili a entrambe le coalizioni. Operazione Dignità e Alba Libica sono coalizioni
di gruppi armati in alleanza tra loro, spesso su basi di convenienza e non di
stretta collaborazione. Entrambe le coalizioni fanno riferimento a governi e
parlamenti rivali, ma ad avere reale potere sul campo non sono i politici,
bensì i gruppi armati. Le rivalità che hanno portato alla polarizzazione del
conflitto in due campi sono molteplici, di carattere sia politico (rivalità
tra islamisti e anti-islamisti; tra
ex-gheddafiani e anti-gheddafiani), sia regionale (rivalità tra Misurata e Zintan; tra Cirenaica e Tripolitania), sia etnico (rivalità tra Imazighen e arabi;
tra Tuareg e Tebu).[227] Le due coalizioni si
contendono inoltre le risorse economiche del Paese, sia quelle petrolifere
della compagnia petrolifera nazionale (National Oil
Corporation), sia le riserve della Banca
Centrale Libica, che è rimasta neutrale nel conflitto e continua a
pagare stipendi a entrambe le parti.[228][229]
Operazione dignità
Il governo internazionalmente
riconosciuto fino a marzo 2016, guidato da Abdullah al-Thani, si riunisce tra Beida e Tobruk, nell'est del Paese, dal settembre del
2014. È sostenuto da ciò che resta della Camera dei rappresentanti eletta nel
giugno 2014: solo 188 dei 200 membri dell'assemblea, presieduta da Aguila Saleh Issa, sono stati effettivamente
eletti, e 30 hanno boicottato il parlamento da quando è stato inaugurato a
Tobruk il 4 agosto.[230] La Camera dei rappresentanti
è stata inoltre dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale libica nel
novembre 2014, anche se ha rifiutato la sentenza, sostenendo che fosse stata
emessa da una corte sotto il controllo del governo rivale di Tripoli. Uno dei
blocchi più importanti della Camera dei rappresentanti è l'Alleanza
delle Forze Nazionali dell'ex Primo ministro Mahmud Gibril, arrivato primo nelle elezioni
del 2012.[231]
Il governo estende la sua autorità sulla
maggior parte della Libia orientale (Cirenaica) oltre che sulla regione del Gebel Nefusa nell'ovest, sotto il
controllo delle alleate milizie di Zintan che fino all'agosto 2014
controllavano anche l'aeroporto
internazionale di Tripoli. In Cirenaica, fino al giugno 2018 non
controllava la città di Derna, dominata da gruppi jihadisti [232], mentre fino al giugno 2017 ha
combattuto contro le milizie di Ansar al-Shari'a
(Libia) per prendere Bengasi [233] [234]
Il governo è alleato con le forze
di Khalifa Belqasim
Haftar, un ex generale gheddafiano caduto in disgrazia nel 1987
durante la guerra
libico-ciadiana, divenuto alleato degli Stati Uniti,
dove visse tra il 1990 e il 2011, e tornato in Libia per combattere dalla parte
dei ribelli nel 2011.[235][236] Già nel febbraio e poi nel
maggio 2014, Haftar aveva cercato di sciogliere il Congresso Nazionale Generale
di Tripoli con un'iniziativa personale presa contro i governi di Ali Zeidan e di Abdullah al-Thani stesso. In
quell'occasione, al-Thani definì le forze di Haftar “fuorilegge” e accusò il
generale di tentare un colpo di Stato.[237] Ciononostante, dopo la presa
di Tripoli da parte di Alba Libica a fine agosto 2014, il governo di al-Thani
trasferitosi a Tobruk si è allineato con le forze di Haftar e l'ha infine
nominato capo del ricostituendo esercito libiconel
marzo 2015.[55] L’esercito di Haftar
(detto Libyan National Army, LNA) è composto principalmente da
soldati dell’ex esercito gheddafiano e da federalisti che vogliono maggiore
autonomia per la regione orientale della Cirenaica.[236] Tra le forze federaliste (o
secessioniste) che hanno sostenuto Operazione Dignità vi è la Guardia degli
impianti petroliferi (PFG) del leader autonomista Ibrahim Jadran, che nel 2013
ha preso il controllo dei porti petroliferi orientali (Sidra, Ras Lanuf) e ha tentato di vendere il petrolio
indipendentemente dal governo centrale, provocando così la caduta del governo
di ʿAlī Zeidān nel marzo 2014.[238][239] Tuttavia, i rapporti tra Jadran
e Haftar si sono deteriorati nel gennaio 2016, cosicché la PFG ha cambiato
alleanze, allineandosi con il governo di Tripoli e poi con il Governo di
Accordo Nazionale da marzo 2016.[9][240] Nel Fezzan, sono alleate di Operazione Dignità
alcune milizie appartenenti alla minoranza etnica Tebu.[241]
Haftar legittima la sua campagna militare
contro tutti gli islamisti senza distinzione, tanto i moderati del governo
rivale di Tripoli, legati alla Fratellanza Musulmana,
quanto gli estremisti di Ansār al-Sharī'a e dello Stato Islamico, sostenendo che si tratti di
una campagna contro il terrorismo, in modo affine a quanto fatto in Egitto dal suo
sostenitore al-Sisi, responsabile di una violenta
repressione della Fratellanza Musulmana dopo il rovesciamento di Morsi e
in lotta contro gruppi affiliati allo Stato Islamico nel Sinai.[242]
L'Egitto e gli Emirati Arabi Uniti
forniscono aiuti militari a Operazione Dignità, e sono anche intervenuti
direttamente nella guerra con attacchi aerei degli EAU contro Alba Libica
nell'agosto 2014[243] e dell'Egitto contro le forze
affiliate all'ISIS nel febbraio 2015.
Alba della Libia
Il governo che ha controllato Tripoli da
settembre 2014 a marzo 2016 è stato inizialmente guidato da Omar
al-Hasi, sfiduciato il 31 marzo 2015 per critiche alla sua gestione
dell'economia e sostituito dal suo vice Khalifa
Ghwell.[244][245] Il governo era espressione
dei deputati islamisti che, dopo la presa di Tripoli da parte di Alba Libica a
fine agosto 2014, si sono riconvocati e proclamati continuazione del precedente
parlamento, assumendo il nome di Nuovo Congresso Nazionale Generale (GNC)
e confermando Nuri Busahmein nella
carica di presidente dell'assemblea. Il più importante partito islamista
moderato è il Partito della Giustizia e della Costruzione, branca libica
della Fratellanza musulmana.[227]
Il governo estendeva il suo controllo
sulla parte occidentale e più popolosa della Libia, che include la capitale
Tripoli e la città di Misurata, oltre al distretto della Sirte, dove le milizie
di Misurata nel corso del 2015 hanno progressivamente perso terreno di fronte
all'avanzata dei militanti affiliati allo Stato Islamico. Non controllava invece
l’enclave montuosa di Zintan.
Mappa etnografica della Libia
La coalizione che sosteneva il governo
di Tripoli, "Alba Libica", era un’alleanza tra le brigate di Misurata, diverse milizie islamiste, in particolare
a Tripoli e Bengasi, e gruppi della minoranza Amazigh, lungo la costa nord-occidentale.[236][246][247][248][249] Le milizie più forti,
composte da circa 40.000 combattenti,[7][8] sono quelle di Misurata (terza città del Paese,
orientata al commercio marittimo), integrate dal 2012 nel Ministero dell’Interno
con il nome di “Scudo Libico” e per la maggior parte non categorizzabili come
islamiste.[5][227] Tra le principali forze
islamiste si segnalano invece le milizie della Camera Operativa dei
Rivoluzionari Libici (LROR), creata a Tripoli dal presidente del GNC Nuri Busahmein e guidata dallo jihadista
Abu Obeida Zawi;[250][251] la brigata di Tripoli, legata
al partito conservatore al-Watan (“patria”), presieduto da Abdelhakim Belhadj,
ex combattente del Gruppo
dei combattenti islamici libici (LIFG) (un tempo legato ad al
Qaeda), divenuto Comandante Militare di Tripoli nell'agosto 2011;[252][253][254] e la Brigata dei Martiri del
17 febbraio, basata a Bengasi.[8] A Bengasi, Alba Libica era in
alleanza di convenienza anche con gruppi islamisti estremisti come Ansar
al-Sharia.[246] Nel Fezzan, è sostenuta da gruppi della
minoranza Tuareg, situati nella Libia sud-occidentale.[241]
“Alba Libica” si legittimava come unica
forza erede della rivoluzione del 2011, contro il ritorno degli uomini dell’ex
regime di Gheddafi facenti parte dell’esercito di Haftar.[5] Era sostenuta da Qatar e
Turchia, che appoggiavano la Fratellanza Musulmana in Medio Oriente e
Nordafrica.[255][256]
A partire da marzo 2016, con l'arrivo a
Tripoli del Governo di Accordo Nazionale (GNA) guidato da Fayez al-Sarraj, il governo di Khalifa Ghwell
ha perso il controllo su qualsiasi istituzione di rilievo: la maggioranza dei
componenti del nuovo GNC ha formato l'Alto Consiglio di
Stato, camera alta del nuovo parlamento a sostegno del GNA, e le
milizie di Misurata, le più forti milizie di Alba Libica, sono passate ad
appoggiare il GNA. Anche a Tripoli il GNA ha trovato milizie disposte a
sostenerlo, in particolare la Forza Speciale di Deterrenza (Rada) di Abdel Rauf
Kara. Il GNA si è quindi di fatto largamente sostituito al governo di Tripoli
nel controllo sulla parte occidentale del Paese.[1]
I gruppi jihadisti
I gruppi jihadisti in Libia sono diversi, e
comprendono anche veterani della guerra
anti-sovietica in Afghanistan e della guerra anti-americana in Iraq, che facevano
già parte di organizzazioni jihadiste libiche come il Gruppo
dei combattenti islamici libici (LIFG) e che hanno partecipato
alla rivolta contro Gheddafi nel 2011.[257] I gruppi più noti sono Anṣār
al-Sharīʿa, con una forte presenza a Bengasi, e i gruppi affiliati allo
Stato Islamico, che hanno proclamato la creazione in Libia di tre “province” (wilayat) dello Stato Islamico corrispondenti
alle tre principali regioni del Paese: Barqa (Cirenaica) nell'est, Tripoli nell'ovest e Fezzan nel sud.
Anṣār
al-Sharīʿa in Libia (abbreviato
ASL, lett. “Partigiani della Shari'a”, nome comune ad altre organizzazioni
jihadiste nel mondo arabo), si è ufficialmente formata nel giugno 2012 ed è
venuta a dominare il panorama jihadista libico in seguito all'uccisione del
diplomatico statunitense Christopher
Stevens a Bengasi l'11
settembre 2012.[258] È composta da ex-ribelli
provenienti da numerose milizie basate in Cirenaica, e si stima che abbia
almeno 10.000 membri e simpatizzanti, ma solo un migliaio di combattenti.[5] Ha cercato di ottenere il
sostegno locale a Bengasi fornendo servizi sociali alla popolazione. Nel giugno
2014, Anṣār al-Sharīʿa ha formato a Bengasi un’alleanza
anti-Haftar con altri gruppi islamisti (tra cui la Brigata dei martiri del 17
febbraio), chiamata Consiglio consultivo dei rivoluzionari di Bengasi. Il 31
luglio, Anṣār al-Sharīʿa ha proclamato la creazione di un
emirato islamico a Bengasi, seconda città della Libia.[259] Nel gennaio 2015, il leader
di Ansar al-Sharia Mohamed al-Zahawi è morto a causa delle ferite riportate in
battaglia.[260] Anṣār al-Sharīʿa ha
anche un ramo a Derna, capeggiato dall'ex detenuto di Guantanamo Sufian
bin Qumu.[261]
L'autoproclamato Stato Islamico (ISIS) ha approfittato del
caos libico per instaurarvi una propria presenza territoriale nella seconda
metà del 2014, attratto dalla posizione strategica della Libia nel Nordafrica.
La sua espansione in Libia viene tuttavia giudicata più difficile che in Siria
e Iraq, a causa dell'estrema frammentazione dei centri di potere in Libia e
della mancanza di una polarizzazione settaria tra sunniti e sciiti (quasi tutti
i Libici sono sunniti).[262] Nel settembre 2014, Abu Bakr al-Baghdadi ha
inviato a Derna un
proprio emissario, Abu Nabil al Anbari (poi ucciso da un raid statunitense nel
novembre 2015), e in ottobre un gruppo jihadista locale parzialmente in
controllo di Derna, il Consiglio dei Giovani Musulmani, ha proclamato la
propria fedeltà al califfato, facendo di Derna il primo nucleo della Provincia
di Barqa dello Stato Islamico.[263][264] La città di Derna, che ha
circa 100.000 abitanti, era già nota come culla jihadista per aver mandato a
combattere in Iraq negli anni Duemila un numero di combattenti pro capite più
alto di ogni altra città al mondo, e perché sin dall'inizio della rivolta del
2011 il governo di Gheddafi aveva accusato combattenti di Derna legati ad al-Qa'ida (tra cui Abdul-Hakim
al-Hasadi e Sufian
bin Qumu) di avervi proclamato un emirato islamico.[265][266][267][268]
Tra gennaio e febbraio 2015, i militanti
affiliati all'ISIS in Libia hanno attirato l'attenzione internazionale con una
serie di azioni quali un attacco terroristico ad un importante hotel nella
capitale Tripoli il 27 gennaio, l'espansione del loro controllo territoriale a
Nofaliya nel distretto della Sirte e a Sirte stessa
tra il 9 e il 13 febbraio, e la pubblicazione di un video raffigurante la
decapitazione di 21 egiziani copti il 15 febbraio, con la conseguente reazione
militare dell'Egitto, che ha effettuato attacchi aerei contro obiettivi
dell'ISIS a Derna. Lo Stato Islamico ha inoltre instaurato basi operative nella
regione di confine della Libia sud-occidentale, da cui traffica armi e
militanti nei Paesi circostanti del Maghreb e del Sahel.[257]
Un rapporto dell'ONU pubblicato
nel novembre 2015 ha stimato il numero dei combattenti dell'ISIS in 2.000-3.000
unità:[6] a Derna sono aumentati da un
numero iniziale di 800 nel novembre 2014[263] a 1.100 nel momento di
massima influenza, prima di essere espulsi da buona parte della città nel
giugno 2015; da allora molti si sono trasferiti a Sirte, dove sono passati da
200-400 unità nel marzo 2015[264][269] a 1.500 nel settembre 2015. I
militanti affiliati all'ISIS appartengono a tre gruppi: molti erano membri di
organizzazioni radicali già presenti sul territorio (tra cui Anṣār
al-Sharīʿa), i quali hanno deciso di dichiarare la loro affiliazione al
"califfato" di al-Baghdadi nella seconda metà del 2014 per ottenere
maggiore visibilità e legittimità; in parte si tratta di combattenti libici che
hanno fatto ritorno in Libia dopo aver combattuto nei territori del
"califfato" in Siria e in Iraq (tra questi, la brigata al-Battar,
composta da 300 jihadisti libici ritornati a Derna da Deir ez-Zor (Siria) e Mosul (Iraq)
nell'aprile 2014); infine, vi sono combattenti stranieri, provenienti
soprattutto dal Maghreb.[270][271]
Effetti della guerra
Secondo Libya Body Count,
un'organizzazione non governativa che tiene il conto delle morti violente in
Libia registrate dalla stampa, 2.825 persone, tra combattenti e civili, sono morte in Libia a causa dei
combattimenti nel 2014, 1.523 nel 2015 e 1.523 nel 2016;[10] secondo ACLED (Armed
Conflict Location and Event Data Project), che segue la stessa metodologia,
i morti sono stati 2.650 nel 2014, 2.705 nel 2015 e 2.865 nel 2016.[11] Secondo l'ONU,
“diffuse violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e
del diritto
internazionale umanitario, e abusi dei diritti umani, sono state commesse da tutte le
parti in conflitto in Libia nel 2014 e nel 2015”; le violazioni includono
uccisioni illegali, attacchi contro i civili, detenzioni arbitrarie, torture e
violenze contro le donne.[12] Il numero di sfollati all'interno del Paese è passato
da 80.000 nel maggio 2014 a 435.000 nel maggio 2015, secondo l'UNHCR.[12] Una nuova ondata di rifugiati di nazionalità libica è inoltre
arrivata in Tunisia, portando, secondo alcune stime, il
numero di libici espatriati in Tunisia dall’inizio della guerra civile nel 2011
a 1,8 milioni, circa un terzo della popolazione libica.[272][273]L'instabilità e la guerra, abbinate
a un contemporaneo aumento del numero di rifugiati nella regione
(prevalentemente siriani, a causa della guerra civile siriana),
hanno reso le partenze dalle coste libiche verso l'Italia di rifugiati e migranti provenienti da Paesi africani e
asiatici più facili e numerose, a causa della mancanza di un'autorità centrale
in grado di controllare i porti libici e collaborare con i Paesi europei nel
contrasto alle reti in espansione del traffico di migranti. La guerra ha anche
costretto alla partenza molti immigrati africani residenti in Libia, essa
stessa storicamente un Paese non solo di transito, ma anche di destinazione per
i migranti economici africani.[274][275] Dal 2014 si è così verificata
un'impennata nel numero di sbarchi in Italia,
principalmente dalla Libia, proseguita nel 2015 nella più ampia crisi europea
dei rifugiati: gli sbarchi in Italia sono stati 170.100 nel 2014,
prevalentemente di siriani (42.323) ed eritrei (34.329),[276] e 153.842 nel 2015,
prevalentemente di eritrei (38.612), nigeriani (21.886) e somali (12.176).[277]
I danni causati dalla guerra
all'economia libica sono considerevoli. Ci sono frequenti blackout elettrici e
ridotta attività economica.[279] La produzione di petrolio,
pilastro dell'economia libica, è crollata da un massimo di 1,4 milioni di
barili al giorno nell'aprile 2013 (un valore simile a quello pre-2011) a un
minimo di 200.000 barili al giorno nell'aprile 2014; è poi ripresa in parte
nella seconda metà del 2014, ma è nuovamente scesa intorno ai 400.000 barili al
giorno nel corso del 2015.[60][280] Nel gennaio 2016, la Compagnia
petrolifera nazionale (NOC) ha stimato in 68 miliardi di
dollari la perdita di ricavi dal petrolio dal 2013 a causa della diminuita
produzione. Le perdite sono state aggravate dal contemporaneo crollo mondiale
dei prezzi del petrolio a
partire dalla seconda metà del 2014.[281] L'unica compagnia petrolifera
straniera che ha continuato ad estrarre gas e petrolio nel Paese è stata
l'italiana ENI, che gestisce, in particolare, il
gasdotto Greenstream.[282] Secondo la Banca Mondiale, il PILnominale
libico si è dimezzato tra il 2012 (82 miliardi di dollari) e il 2014 (41,2
miliardi di dollari).[283] Il deficit pubblico della Libia è stato pari
al 44% del PIL nel 2014[60] e al 54% del PIL nel 2015, uno
dei più alti al mondo.[281]
Voci correlate
·
Libia
Collegamenti esterni
·
A. Varvelli, Crisi libica: tra tentativi di mediazione e conflitto
aperto, gennaio 2015
·
A. Varvelli, Libia, non solo Stato Islamico, febbraio 2015
·
Rapporto dell'ONU sull'ISIS in Libia, novembre
2015
·
M. Toaldo, R. Aliboni, N. Ronzitti, La crisi libica. Situazione attuale e prospettive di
soluzione, giugno 2016
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