- POST DEL 24/12/2011 (PROFEZIA IN FASE DI SVOLGIMENTO PER PROTESTE IN CORSO) - AGGIORNATO AL 16/09/2018 (PROFEZIA COMPIUTA).
- Dal 1987, la Madonna appare ad Anguera (Brasile) al veggente Pedro Régis, dettandogli messaggi per tutta l'umanità.
- I messaggi vengono trasmessi 3 volte a settimana: ogni martedì e sabato, più un altro giorno variabile.
ULTIMO MESSAGGIO IN ITALIANO DAL SITO WEB UFFICIALE BRASILIANOGli articoli e le informazioni contenute nei siti Web "linkati" sono di proprietà degli autori dei siti medesimi. Pertanto tutti i diritti nonché la responsabilità di quanto riportato in questi siti sono riservati esclusivamente ai loro autori.Questo post presente sul blog: https://nostrasignoradianguera.blogspot.it/e Twitter: https://twitter.com/angueramessaggi è un interpretazione personale e non corrisponde necessariamente al vero significato dei messaggi, degli avvertimenti della Madonna al mondo e delle profezie annunciate da Nostra Signora ad Anguera.Si consiglia di visitare il sito web ufficiale brasiliano del veggente Pedro Regis:http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/ e la pagina dedicata al commento delle profezie: http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/cms/list/not%C3%ADcias(Gestore sito web: ANSA - Associacao Nossa Senhora de Anguera).
TERMINATE NEL 2012
Previsto il: 12/10/2005 messaggio 2.588
Morti: 2
Feriti: N.D.
Scomparsi:N.D.
Colpiti: intera nazione 3.069.000 stima 2009
Obiettivo: eliminazioni discriminazioni tribali
Motivazione: carovita. Precarie condizioni economiche della popolazione
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Proteste_in_Mauritania_del_2011
“Dalla Mauritania verrà una triste notizia. Devastazione e dolore giungeranno per i miei poveri figli.”
Un link utile per localizzare con Google Maps le Profezie di Anguera con alcuni eventi futuri in Italia e nel resto del mondo.
Link: https://www.google.com/maps/d/viewer?msa=0&mid=1pbswlltPk_CF9BaaS8fXY5QmxAc&ll=40.605609924008114%2C14.155884039062471&z=8
Un link utile per localizzare con Google Maps le Profezie di Anguera con alcuni eventi futuri in Italia e nel resto del mondo.
Link: https://www.google.com/maps/d/viewer?msa=0&mid=1pbswlltPk_CF9BaaS8fXY5QmxAc&ll=40.605609924008114%2C14.155884039062471&z=8
- COMMENTO
- Non credo si tratti dell'onda anomala ma le proteste della Primavera Araba
- Massimiliano Bruno
- MAURITANIA - Proteste popolari del 2011-2012-. Previsto il 12/10/2005. messaggio n. 2.588. Profezia compiuta della Madonna di Anguera.
Cari figli, Io sono vostra Madre e vengo dal cielo per chiamarvi alla conversione e per dirvi che questa è l’ora del Signore. L’umanità ha sfidato il Creatore e ora conoscerà una croce pesante. Ho chiamato, ma non ho avuto risposta. Ho seminato il bene tra gli uomini, ma questi hanno preferito il peccato. Soffro per ciò che vi attende. Il Brasile conoscerà la croce dell’autodistruzione. Ecco che giungerà per voi ciò che gli occhi umani non hanno mai visto. Preparatevi spiritualmente. Sappiate che il Signore chiederà conto a ciascuno di voi. Non allontanatevi dal cammino che vi ho indicato. L’umanità si è impoverita spiritualmente perché si è allontanata dall’unico e vero Signore. Tornate in fretta. Dalla Mauritania verrà una triste notizia. Devastazione e dolore giungeranno per i miei poveri figli. Pregate. Pregate. Pregate. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Fonte traduzione messaggi: http://www.messaggidianguera.net/
Proteste in Mauritania del 2011-2012
Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
·
Questa pagina è stata modificata per l'ultima volta il 25 giu 2018
alle 12:16.
Le proteste in Mauritania
del 2011-2012 si inseriscono nel contesto delle coeve proteste nel mondo
arabo.
A gennaio un uomo di 43 anni,
Yacoub Ould Dahoud, si immola nella capitale del paese Nouakchott davanti
al Senato, per protestare contro il regime del generale Mohamed Ould Abdel
Aziz e, in particolare contro la discriminazione nei confronti
della sua tribù. [1][2] Abdel Aziz, quarto presidente della Repubblica Islamica della
Mauritania, comanda il paese da quando si pose a capo
di un colpo di Stato che lo portò al potere nell'agosto del 2008.
Qualche giorno dopo, il 24
gennaio, un uomo di origini senegalesi, che
lavorava presso la locale ambasciata senegalese,
si è suicidato a Nouakchott all'interno di uno stadio di calcio.[3] Entrambi i casi
sarebbero forme di protesta contro il governo per i problemi del carovita e
delle precarie condizioni economiche in cui versano gli abitanti del paese.
Note
1.
^ (FR) Mauritanie: mécontent du régime, un homme s'immole par le
feu à Nouakchott, in leParisien, 17 gennaio
2011. URL consultato il 20-02-2011.
2.
^ Mauritania, imprenditore si dà fuoco [collegamento
interrotto],
in NTNN, 17 gennaio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
3.
^ Mauritania: giovane si impicca in campo di calcio,
in Aki, 24 gennaio 2011. URL consultato il 20-02-2011.
Voci correlate
Primavera araba
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
·
Questa pagina è stata modificata per l'ultima volta il 26 mag 2018
alle 12:07.
Proteste in Mauritania del 2011-2012
Note
Voci correlate
Primavera araba
Primavera
araba
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Allontanamento o morte del capo di stato
Conflitti armati e cambiamento nel governo
Cambiamento del primo ministro
Proteste maggiori
Proteste minori
Proteste collegate
Guerra civile
Assenza di proteste
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Data
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Luogo
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Causa
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Corruzione, povertà, fame,
assenza di libertà individuali,
violazione di diritti umani, disoccupazione, aumento del
prezzo dei generi alimentari, malcontento popolare, desiderio di rinnovamento
del regime politico
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Schieramenti
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Effettivi
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Perdite
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Mappa del
mondo arabo.
Con Primavera araba (in arabo الربيع
العربي al-Rabīʿ al-ʿArabī) si intende un termine di origine
giornalistica utilizzato per lo più dai media occidentali per indicare una
serie di proteste ed agitazioni cominciate tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011.[1]
I paesi maggiormente coinvolti dalle
sommosse sono la Siria, la Libia, l'Egitto, la Tunisia, lo Yemen, l'Algeria, l'Iraq, il Bahrein, la Giordania e il Gibuti, mentre ci sono stati moti minori in Mauritania, in Arabia Saudita, in Oman,
in Sudan, in Somalia, in Marocco e in Kuwait.[2][3][4] Le vicende sono tuttora
in corso nelle regioni del Medio Oriente, del vicino Oriente e del Nord Africa.[5][6]
Storia
La rivolta cominciò il 17 dicembre 2010, in seguito alla protesta
estrema del tunisino Mohamed Bouazizi, che si
diede fuoco in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia, il cui
gesto innescò l'intero moto di rivolta tramutatosi nella cosiddetta Rivoluzione dei
Gelsomini.[7][8] Per le stesse
ragioni, un effetto domino si propagò ad altri Paesi del mondo arabo e della
regione del Nord Africa. In molti casi i giorni più accesi, o quelli dai quali
prese avvio la rivolta, sono stati chiamati giorni della rabbia o con nomi
simili.[9][10]
Nel 2011, quattro
capi di Stato furono costretti alle dimissioni, alla
fuga e in alcuni casi portati alla morte: in Tunisia Zine El-Abidine Ben
Ali (14 gennaio 2011), in Egitto Hosni Mubarak (11
febbraio 2011), in Libia Mu'ammar Gheddafi che,
dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, fu catturato e ucciso
dai ribelli il 20 ottobre 2011[11][12] e
in Yemen Ali Abdullah Saleh (27
febbraio 2012).[13]
I sommovimenti in Tunisia portarono il presidente Ben Ali, dopo venticinque anni,
alla fuga in Arabia Saudita. In
Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio 2011, dopo diciotto giorni
di continue dimostrazioni, accompagnate da vari episodi di violenza,
costrinsero alle dimissioni (complici anche le pressioni esercitate da Washington) il
presidente Mubarak dopo trent'anni di potere.[14] Nello
stesso periodo, il re di Giordania ʿAbd Allāh attuò
un rimpasto ministeriale e nominò un nuovo primo ministro, con
l'incarico di preparare un piano di "vere riforme politiche".[15]
Sia l'instabilità portata dalle proteste nella regione
mediorientale e nordafricana, sia le loro profonde implicazioni geopolitiche,
attirarono grande attenzione e preoccupazione in tutto il mondo.[16]
I fattori scatenanti
Le proteste hanno colpito non solo paesi arabi, ma
anche alcuni Stati non arabi, come nel caso della Repubblica
Islamica dell'Iran, che ha in un certo senso
anticipato la primavera araba con le proteste post-elettorali del 2009-2010; i
due casi hanno in comune l'uso di tecniche di resistenza civile, come scioperi,
manifestazioni, marce e cortei e talvolta anche atti estremi come suicidi,
divenuti noti tra i media come auto-immolazioni, e l'autolesionismo. Anche
l'utilizzo di social network come Facebook e Twitter per organizzare,
comunicare e divulgare determinati eventi è stato molto diffuso, a dispetto dei
tentativi di repressione statale. La Primavera araba ha avuto lo scopo
di portare o riportare le tradizioni del mondo arabo al potere.[17][18][19] I social network tuttavia non sarebbero stati il vero motore della
rivolta, secondo alcuni osservatori, per i quali "il network della
moschea, o del bazar, conta assai più di Facebook, Google o
delle email".[20][21] Alcuni di
questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato a un
cambiamento di governo, e sono stati identificati come rivoluzioni.[22][23]
I
fattori che hanno portato alle proteste iniziali sono numerosi e comprendono
la corruzione, l'assenza
di libertà individuali, la violazione
dei diritti umani e la mancanza
di interesse per le condizioni di vita, molto dure, che in molti casi rasentano
la povertà estrema.[24] Delle
rivolte hanno poi cercato di approfittarne movimenti estremisti e terroristici
di matrice islamica, come i Fratelli Musulmani che con trucchi, intimidazioni e
corruzioni, sono riusciti anche a prendere il potere in alcuni stati,
riportando in vigore assurde leggi ancora più opprimenti e antiquate. Anche la
crescita del prezzo dei generi alimentari e la fame sono da considerarsi tra le
principali ragioni del malcontento; questi fattori hanno colpito larghe fasce
della popolazione nei Paesi più poveri nei quali si sono svolte le proteste,
portando quasi a una crisi paragonabile a quella osservata nella crisi alimentare mondiale
nel 2007-2008.[25][26][27] Tra
le cause dell'aumento dei costi, secondo Abdolreza Abbassian, capo economista
alla FAO, vi fu
la "siccità in Russia e Kazakistan,
accompagnata dalle inondazioni in Europa, Canada e Australia,
associate a incertezza sulla produzione in Argentina", a
causa della quale i governi dei Paesi del Maghreb, costretti ad importare i
generi commestibili, decisero per l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari
di largo consumo.[28] Altri
analisti hanno messo in risalto il ruolo della speculazione
finanziaria nel determinare la crescita del prezzo
dei generi alimentari in tutto il mondo.[29] Prezzi
più alti si registrarono anche in Asia e
in particolare in India, dove vi
furono rialzi nell'ordine del 18%, e in Cina, con
aumento dell'11,7% in un anno.[28]
Stati coinvolti
Tunisia
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Lo stesso argomento in
dettaglio: Sommosse
popolari in Tunisia del 2010-2011.
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Le proteste nel Paese iniziarono dopo il gesto disperato di un
fruttivendolo, Mohamed Bouazizi, che il
17 dicembre 2010 si diede fuoco per protestare contro il sequestro da parte
della polizia della propria merce.[30] Il
27 dicembre il movimento di protesta si diffuse anche a Tunisi, dove giovani laureati
disoccupati manifestarono per le strade della città e vennero colpiti duramente
dalla polizia.[30]
Nonostante un rimpasto di governo il 29 dicembre, le rivolte nel
paese non si placarono.[30] Il
13 gennaio il presidente tunisino Ben Ali, in un intervento
trasmesso dalla televisione nazionale, si impegnò a lasciare il potere
nel 2014 e
promise che avrebbe garantito la libertà di stampa. Il suo discorso però non
calmò gli animi e le manifestazioni continuarono.[30] Meno
di un'ora dopo, venne decretato lo stato d'emergenza e imposto il coprifuoco in
tutto il Paese.[30] Poco
dopo, il primo ministro Mohamed Ghannushi dichiarò
di aver assunto la carica di presidente ad interim fino
alle elezioni anticipate.[31] In
serata venne dato l'annuncio che Ben Ali, dopo ventiquattro anni al potere,
aveva lasciato il Paese.[32]
A fine febbraio alcune decine di migliaia di manifestanti si
radunarono nel centro di Tunisi per chiedere le dimissioni del governo
provvisorio, insediatosi dopo la cacciata di Ben Ali.[33]
Egitto
|
Lo stesso argomento in
dettaglio: Rivoluzione
egiziana del 2011, Tamarod e Golpe egiziano
del 2013.
|
Il 25 gennaio, in seguito ai diversi casi di protesta estrema,
in cui diverse persone si erano date fuoco, violenti scontri si svilupparono al
centro del Cairo, con
feriti ed arresti, durante le manifestazioni della giornata della collera,
convocata da opposizione e società civile contro la carenza di lavoro e le
misure repressive.[34] Il
fulcro delle manifestazioni è Piazza Tahrir, che si trova al centro della
metropoli e rappresenta un punto nevralgico della capitale egiziana, ospitando
importanti edifici amministrativi, hotel di lusso, l'università americana AUC e
il Museo delle antichità egizie.
Il 29 gennaio il presidente Hosni Mubarak licenziò
il governo e nominò come suo vice l'ex capo dell'intelligence, ʿOmar Sulaymān.
Tuttavia gli scontri e le manifestazioni continuarono nelle città egiziane.[35] Il
5 febbraio intanto si dimise l'esecutivo del Partito
nazionale democratico di Mubarak, mentre il rais alcuni giorni dopo delegò
tutti i suoi poteri a Sulaymān.[36] L'11
febbraio il vice presidente annunciò le dimissioni di Mubarak mentre oltre un
milione di persone continuavano a manifestare nel Paese.[37] L'Egitto
fu lasciato nelle mani di una giunta militare, presieduta dal
feldmaresciallo Mohamed Hussein
Tantawi, in attesa che venisse emendata la costituzione e che fosse
predisposta la convocazione di nuove elezioni presidenziali.[38][39]
Libia
|
Lo stesso argomento in
dettaglio: Prima guerra
civile in Libia e Seconda
guerra civile in Libia.
|
Il 16 febbraio 2011 si verificarono nella città di Bengasi scontri fra
manifestanti, irritati per l'arresto di un attivista dei
diritti umani, e la polizia, inviata da sostenitori del governo. In tutto il
Paese nel frattempo si tennero manifestazioni a sostegno del leader Mu'ammar Gheddafi.[40]
Il 17 febbraio si registrarono numerosi morti in accesi
conflitti a Bengasi, città simbolo della rivolta libica che intendeva cacciare
Gheddafi, al potere da oltre quarant'anni. Testimoni vicini ai ribelli
riferirono inoltre che sarebbero avvenute vere e proprie esecuzioni da parte
delle forze di polizia.[41] Nella
data del 17 febbraio, proclamata la giornata della collera, milizie giunte da
Tripoli a Beida,
nell'est della Libia, attaccarono i manifestanti, causando morti e numerosi
feriti.[42]
Molti dei decessi registrati in Libia risultarono concentrati
nella sola città di Bengasi, località tradizionalmente poco fedele al leader
libico e più influenzata dalla cultura islamista.[43] Il
20 febbraio il numero delle vittime si avvicinava ai 300 morti.[44] Il
sito informativo libico Libya al-Youm denunciò che i militari inviati
dal regime libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in
queste ore armi pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale
cittadino, come razzi Rpg e armi anticarro.[44]
Il 21 febbraio la rivolta si allargò anche alla capitale Tripoli, dove i contestatori
diedero fuoco a edifici pubblici.[45] Nella
stessa giornata a Tripoli si fece ricorso a raid dell'aviazione sui manifestanti
per soffocare la protesta.[46] Il
21 febbraio cominciarono i tradimenti politici: la delegazione libica all'Onu prese nettamente le
distanze dal leader Muʿammar Gheddafi. Il vice-ambasciatore libico, Ibrahim
Dabbashi, a capo della squadra diplomatica libica, accusò il Colonnello di
essere colpevole di genocidio e di aver praticato crimini
contro l'umanità[47]. Il 20
ottobre 2011 Gheddafi venne catturato e ucciso vicino Sirte. Il suo cadavere fu
poi sepolto nel deserto vicino a Misurata.
Siria
|
Lo stesso argomento in
dettaglio: Guerra civile
siriana.
|
Il 26 gennaio Ali Akleh ad Amman si
diede fuoco, in segno di protesta contro il governo siriano. A fine gennaio su
Facebook vennero invocate manifestazioni in tutto il Paese dopo la preghiera
settimanale islamica contro la monocrazia, la corruzione e la tirannia,
nella prima giornata della collera del popolo siriano e della
ribellione civile in tutte le città siriane[48].
In un'intervista rilasciata al quotidiano statunitense Wall Street Journal, Bashar
al-Assad, Presidente siriano, si disse convinto del fatto che fossero
necessarie riforme e che si stesse costruendo una nuova era in Vicino Oriente.[49]
La mobilitazione indetta però per il 4 e 5 febbraio, in
contemporanea con la giornata della partenza proclamata in Egitto, non ottenne il risultato
sperato, e le adesioni risultarono scarse da parte della popolazione, complice
anche il cattivo tempo. Il giorno prima si era rivelato un insuccesso il sit-in indetto davanti alla
sede del Parlamento in segno di solidarietà con studenti, lavoratori e
pensionati privi di reddito[50].
Il 10 febbraio Damasco aprì definitivamente
ai social network, e dopo
cinque anni fece cadere il divieto che ne prevedeva l'oscuramento[51]. La
decisione di eliminare le limitazioni, secondo quanto riferì il quotidiano
filo-governativo al-Waṭan (La patria), dimostrò la
fiducia del governo nell'uso della Rete. Secondo l'opposizione, la libera
accessibilità ai social network sarebbe stato un tentativo delle autorità
siriane di contrastare attività sediziose contro il regime.[51]
Il 17 febbraio Tal al-Mallouhi, giovane blogger siriana, venne
condannata a cinque anni di carcere dall'Alta Corte per la Sicurezza dello
Stato, con l'accusa di aver lavorato per conto della CIA.[52]
Tuttavia nel 2014, con l'affermarsi dell'ISIS e la cosiddetta 'balcanizzazione del territorio
siriano', Assad assunse
un ruolo nella guerra contro
il Califfato, dalla quale l'immagine ottenne una riabilitazione[53].
Iraq
|
Lo stesso argomento in
dettaglio: Proteste in
Iraq del 2011.
|
Yemen
|
Lo stesso argomento in
dettaglio: Rivolta yemenita.
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Episodi correlati
Conflitti e sommosse
Proteste in altri paesi arabi
Proteste in paesi non arabi
Voci correlate
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Collegamenti esterni
·
(EN) Amr Hamzawy e Marina
Ottaway, Protest Movements and Political Change in the Arab World (PDF),
Carnegie Endowment for International Peace: Policy Outlook, gennaio 2011.
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