- POST DEL 2/11/2014 AGGIORNATO AL 27 MAGGIO 2018
- Dal 1987, la Madonna appare ad Anguera (Brasile) al veggente Pedro Régis, dettandogli messaggi per tutta l'umanità.
- I messaggi vengono trasmessi 3 volte a settimana: ogni martedì e sabato, più un altro giorno variabile.
ULTIMO MESSAGGIO IN ITALIANO DAL SITO WEB UFFICIALE BRASILIANOGli articoli e le informazioni contenute nei siti Web "linkati" sono di proprietà degli autori dei siti medesimi. Pertanto tutti i diritti nonché la responsabilità di quanto riportato in questi siti sono riservati esclusivamente ai loro autori.Questo post presente sul blog: https://nostrasignoradianguera.blogspot.it/e Twitter: https://twitter.com/angueramessaggi è un interpretazione personale e non corrisponde necessariamente al vero significato dei messaggi, degli avvertimenti della Madonna al mondo e delle profezie annunciate da Nostra Signora ad Anguera.Si consiglia di visitare il sito web ufficiale brasiliano del veggente Pedro Regis:http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/ e la pagina dedicata al commento delle profezie: http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/cms/list/not%C3%ADcias(Gestore sito web: ANSA - Associacao Nossa Senhora de Anguera).- Mt 19:24 Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
Mc 10:25 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
Lc 18:25 È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!».
Gv 12:8 I poveri infatti li avete
sempre con voi, ma non sempre avete me».
Giac 2:5 Ascoltate, fratelli miei carissimi:
Dio non ha forse scelto i poveri
nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a
quelli che lo amano?
Ap 13:16 Faceva sì che tutti, piccoli e
grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla
mano destra e sulla fronte;
Lc 16:19 C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 20 Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 21 bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 22 Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23 Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 24 Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 25 Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 26 Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 27 E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 29 Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 30 E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 31 Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,17-27
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre"».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fce scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile presso Dio».
Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri
22/1/2018
1.415 - 24
aprile 1998
Cari figli, non permettete che le cose materiali vi
allontanino da Dio. E voi ricchi, piangete sui vostri beni materiali, perché a
causa di essi siete lontani da Dio e camminate verso un grande abisso. Voi che
avete fatto dei vostri beni terreni il vostro tutto, state camminando in una
triste cecità spirituale. Io sono venuta dal cielo per liberarvi e condurvi a
mio Figlio Gesù. Desiderate per voi i beni celesti, perché questi non avranno
mai fine. Quello che dico è: chi semina nella fede, raccoglie nella fede. E
questo basta. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della
Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una
volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete
nella pace.
Profezia della Madonna di Anguera n. 170 – 16 maggio 1989
Cari figli, quanti in questo
mondo soffrono la fame e molti, pur avendo una tavola imbandita, non fanno
nulla per loro. Verrà il
giorno nel quale molti ricchi piangeranno e supplicheranno i poveri,
perché le loro anime sono morte come una notte oscura. Sono una madre che ripete lo stesso ritornello; ritornate,
ritornate, perché il mio Signore ancora attende la vostra conversione.
Ritornate. C’è ancora tempo. Non attendete domani, perché potrebbe essere
troppo tardi. Tornate oggi, ora, se volete essere salvati. Grazie per avermi
permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Profezia della Madonna di Anguera n 205 – 8 settembre 1989
Cari figli, sono qui perché sono fedele a Cristo e perché
amo ciascuno di voi in particolare. Desidero parlare e testimoniare l’Amore di
mio Figlio Gesù a tutti voi, affinché possiate credere in Lui ed essere
salvati. L’umile serva del Signore è oggi in mezzo a voi con la stessa
intensità e lo stesso affetto con i quali il Divino Maestro riceveva e
benediceva le folle e specialmente le persone che soffrivano per i loro
problemi. Vengo ad aiutare tutti. Sono la Madre di tutti, specialmente dei
poveri. Benedetti sono i poveri e coloro che, per Cristo, sono specialmente
sensibili verso i Suoi fratelli che soffrono per la mancanza di cose
necessarie. Non preoccupatevi di accumulare ricchezze. Dovreste mettere i beni
che Dio vi ha donato a disposizione di tutti. Cercate innanzitutto la vostra
vita spirituale. Non sono qui per condannare i ricchi. Anche Cristo non ha
duramente condannato i ricchi
per il fatto di essere ricchi o perché usavano abiti lussuosi. Ha duramente
condannato i ricchi
che non consideravano i bisogni dei poveri che vivevano nella miseria. Cristo
non ha condannato il semplice possesso di beni materiali. Ma le Sue parole più
severe erano dirette a coloro che usavano i loro beni in modo egoista, senza
pensare al loro prossimo che mancava delle cose necessarie. Vivete nell’amore Immacolato del mio Cuore. Grazie per
avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Profezia della Madonna di Anguera n 2.473 - 22.01.2005
Cari figli; in una regione della Terra della Santa Croce (Brasile), che in passato
elevò molti uomini e impoverì molti, a causa di un famoso frutto, accadrà una
grande catastrofe che richiamerà l’attenzione del mondo. Non si sentirà più il
profumo di quel frutto. La vita senza Dio perde valore ed efficacia. Dio non abbandona i poveri. I ricchi avranno da lamentarsi.
Pregate. La vostra forza è nella preghiera. Non scoraggiatevi. Chi è con il
Signore non sarà mai confuso. Coraggio. Questo è il messaggio che oggi vi
trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di
riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Profezia della Madonna di Anguera n 2.496 - 17.03.2005
Cari figli, un uomo
cieco, un uccello veloce, uomini riuniti e un piatto rotto. Chi guarda solo se
stesso perde la grazia di Dio. Cosa sarà dei ricchi quando
hanno, avranno bisogno dei poveri? La tavola imbandita sarà un
giorno senza pane. Non dimenticate: Dio ha tutto sotto controllo. Pregate. Non allontanatevi dalla preghiera. Dio vi ama e vi
attende con immenso amore di Padre. Convertitevi in fretta. Vedrete orrori
sulla terra. Le nazioni saranno in guerra. La fede
sarà presente in pochi cuori, ma Dio farà sorgere qualcuno che condurrà nuovamente l’umanità alla vera
fede. Questo sarà un grande uomo di fede, ma la sua fine sarà dolorosa
perché avrà insegnato la verità e avrà condotto il popolo di Dio alla vittoria
spirituale. Anche nei momenti difficili, ricordatevi sempre che Dio non si
dimentica di voi. Questo è il messaggio che
oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso
di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Profezia
della Madonna di Anguera n 2.517 - 01.05.2005
Cari figli, gli angeli del Signore stanno con le
spade in mano e guai a coloro che hanno corrotto la terra. L’umanità si è
allontanate dal Creatore e ora deve pagare per i suoi crimini. Gli uomini più ricchi del
mondo saranno in difficoltà; stenderanno la mano ai poveri e chiederanno
grazia. L’Europa toccherà il fondo. Gli appelli del Signore non
sono stati ascoltati e gli uomini sono diventati ciechi spiritualmente. L’Angelo del Signore passerà e ferirà
la terra. L’umanità vivrà momenti di grande dolore. Pregate. Dite a tutti che
Dio è Verità e che Dio esiste. Solo in Lui è la vostra vera liberazione. Avanti. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel
nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui
ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Profezia della Madonna di Anguera n 458 – 2 novembre 1991
(È il messaggio più lungo dato dalla Madonna a Pedro Régis,
è salvato a parte)
IL
MESSAGGIO 458 (2 novembre 1991)
5. ANDATE
PER IL MONDO E ANNUNCIATE IL VANGELO
……..Miei cari figli, se volete
seguire l’esempio di mio Figlio Gesù, voi sacerdoti e vescovi, dovete vivere e
agire in modo da poter essere disponibili al gregge, dal più importante al più
piccolo. Dovete voler stare in mezzo a loro, che siano ricchi o poveri, colti o bisognosi di
educazione. Con prontezza, dovete
condividere le loro gioie e tristezze, non solo nei vostri pensieri e nelle
vostre preghiere, ma anche stando concretamente in mezzo a loro in modo
che, mediante la vostra presenza e il vostro ministero, essi possano
sperimentare l’amore di Dio. Sarete capaci di annunciare in maniera efficace
solo se ascolterete la Parola di Dio e la vivrete nella vostra vita quotidiana…………………..
367 - 5 gennaio 1991
CARI FIGLI, IO SONO LA
MADRE DEI POVERI. Voi che
siete nell’abbondanza dovete pensare ai più poveri, a coloro che non hanno
abbastanza, che vivono nella miseria cronica, che soffrono la FAME. Guardatevi
intorno. Quello che vedete non vi ferisce il cuore? Ricordate sempre che il valore di UN UOMO non sta in quello che ha, ma
in quello che è. Questo è
il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie
per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
675 – 7 agosto 1993
CARI
FIGLI, SONO LA MADRE DEI POVERI. SOFFRO PER COLORO CHE HANNO FAME E NON HANNO
NULLA DA MANGIARE. Sappiate valorizzare i poveri, poiché anche loro sono stati
creati come voi a immagine e somiglianza di Dio. Non vi fa male il cuore?
Quanti in questo mondo hanno FAME, sebbene abbiano i vostri stessi diritti? Non
ignorate questa situazione ma, per quanto è possibile, cercate di aiutare
coloro che hanno bisogno di voi. Siate generosi e Dio vi benedirà e vi
ricompenserà. Proseguite
sulla strada che vi sto mostrando, poiché è l’unico modo per poter crescere
nella vita spirituale. Ascoltatemi. Non fuggite da me. Convertitevi. Molte cose
dipendono dalla vostra conversione. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto
nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui
ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. Amen. Rimanete nella pace.
1.747
- 3 giugno 2000
Cari figli, si avvicina il tempo della
grande purificazione per l’umanità. Vi chiamo oggi a vivere rivolti al Signore,
che è il vostro bene assoluto e vi conosce per nome. Vi chiedo di non rimanere
nel peccato. Lasciate che la grazia del mio Signore vi trasformi. Voglio che
facciate parte dell’ESERCITO vittorioso del Signore. Grande è la grazia che il
Signore riserva per i suoi. Egli
trasformerà l’umanità in un NUOVO GIARDINO. Quando tutto questo accadrà, la
terra sarà fertile e nulla mancherà all’uomo. Sarà il tempo in cui i frutti
degli alberi si moltiplicheranno e la raccolta si farà due volte all’anno. La FAME
sarà estinta dall’umanità. Non ci sarà più MORTE né dolore e con il Signore
tutti vivranno FELICI. Affrettatevi. Convertitevi in fretta. Siate GIUSTI,
perché solo ai GIUSTI il Signore permetterà di sperimentare questo grande dono.
Pregate molto.
Non perdete la speranza. Io sono al vostro fianco. Questo è il messaggio che
oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso
di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
1.829
- 12 dicembre 2000
Cari figli, sono vostra Madre e vengo dal
Cielo per incoraggiarvi e dirvi che questi sono i miei tempi. La lotta tra me e
il mio avversario sta arrivando alla fine.
Presto vedrete la pace regnare sulla terra. Vedrete NUOVI
CIELI E NUOVE TERRE. Il Signore regnerà in tutti i cuori e non ci
saranno più guerre, né spargimento di sangue. I Paesi nemici si riconcilieranno.
LA RUSSIA SARA’ IL GRANDE ESEMPIO DI FEDE PER TUTTA
L’UMANITA’. SARA’ IL PAESE CHE PIU’ ONORERA’ IL NOME DI GESU’. Coloro
che soffrono a causa della FAME saranno saziati. La FAME sarà estinta
dall’umanità e tutti vivranno FELICI. RALLEGRATEVI. Non tiratevi indietro e
non risparmiate sforzi per convertirvi. A quelli che sono lontani, chiedo di
tornare al Signore. Ecco: il Signore vi concede il suo amore e il suo perdono.
Tornate con coraggio. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome
della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una
volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Rimanete nella pace.
2.533 - 07.06.2005
Cari
figli, il potere di Dio si manifesterà in favore dei GIUSTI. Il Signore è con
il suo popolo. Sappiate che dove oggi c’è FAME ci sarà abbondanza. Il triste paesaggio del sertão
sarà trasformato e gli uomini
vedranno la mano potente del
Signore agire. Arriverà il
giorno in cui la neve cadrà in pieno sertão (nordestino). I bambini giocheranno con gli animali
che oggi sono feroci e la vita sulla terra sarà totalmente differente. Cercate il Signore. Alimentatevi
dell’Eucarestia e della parola di Dio. Siate GIUSTI per ricevere da Dio la
grazia della sua MISERICORDIA. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel
nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui
ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. Amen. Rimanete nella pace.
sertão= regione semi-arida del nord est brasiliano.
3.002 - 27/05/2008
Cari figli, SONO LA MADRE che ripete la STESSA
CANZONE: ritornate, ritornate. Il vostro Dio vi attende a braccia aperte.
Assumete la vostra missione di veri figli di Dio e cercate di essere in tutto
come Gesù. Ovunque testimoniate che siete veramente di Cristo. L’umanità si è
allontanata dal Creatore ed è giunto il momento del grande ritorno. Non state
con le mani in mano. Dio ha fretta. Sono vostra Madre e desidero vedervi FELICI
già qui sulla terra e più tardi con me in cielo. Non restate stazionari nel
peccato. Aprite i vostri cuori e accettate la volontà del Signore per le vostre
vite. Sappiate che il Signore ha preparato per voi ciò che gli occhi umani non
hanno mai visto. Dopo tutta la tribolazione, il Signore
asciugherà le vostre lacrime e la pace regnerà sulla terra. L’umanità conoscerà
le meraviglie del Signore e tutti vivranno FELICI. Non ci sarà più FAME e il
Signore regnerà nel cuore degli uomini e delle donne di fede. Sarà il tempo del
TRIONFO DEFINITIVO DEL MIO CUORE IMMACOLATO con la vittoria della Chiesa. Coraggio. Non perdetevi d’animo. Non
permettete che la fiamma della fede si spenga dentro di voi. Questo è il
messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per
avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
3.020 - 08/07/2008
Cari figli, sono vostra Madre Addolorata e
soffro per ciò che vi attende. L’umanità porterà una CROCE PESANTE e gli uomini
chiederanno soccorso, ma non troveranno aiuto. Molti dei miei poveri figli soffriranno,
perché non ci sarà alimento per saziare la FAME.
L’umanità sarà sorpresa. INGINOCCHIATEVI in preghiera. Io SONO LA
MADRE che ripete la STESSA CANZONE: tornate, tornate, tornate. Quando
il regno sarà diviso, ci sarà grande DISORDINE tra i leader religiosi. Molti
uomini e donne di fede cammineranno senza direzione e pieni di dubbi. Non
sapranno da che parte stare. Una piaga sarà aperta nel cuore della Chiesa.
Dite a tutti che Dio ha fretta. Ciò che dovete fare, non rimandatelo a domani.
Ascoltate i miei appelli e testimoniate a tutti ciò che vi dico. Questo è il
messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per
avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
3.069 - 21/10/2008
Cari figli, pregate, perché solo così
potete comprendere i disegni di Dio per le vostre vite. Siate docili alla
chiamata del Signore. Aprite i vostri cuori all’amore di Dio e sarete capaci di
amare e perdonare. L’umanità è divenuta cieca per mancanza di
amore. Soffro per ciò che vi attende. Prendete sul serio ciò che vi dico. Non
state con le mani in mano. La FAME
porterà grande sofferenza all’umanità. Soffro a causa dei miei poveri
figli. Per i fedeli giungeranno i momenti difficili. Cercheranno nella Chiesa
l’alimento prezioso, ma torneranno affamati. Camminate
verso un futuro doloroso. Siate preparati. Confidate nel Signore e sarete
vittoriosi. Avanti. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della
Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una
volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Rimanete nella pace.
Onu: “Siamo davanti alla più grave crisi umanitaria dal 1945”
Farmageddon racconta l'orrore degli allevamenti intensivi
La fame colpisce ancora 800 milioni di persone nel
mondo
Pubblicato il 15/06/2016
Ultima modifica
il 15/06/2016 alle ore 10:42
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Questa pagina
è stata modificata per l'ultima volta il 21 mar 2017 alle 10:14.
Il premio Nobel Norman Borlaug,
che ha posto al centro della sua attività il problema della fame del mondo
La fame è riferita
letteralmente al bisogno di cibo; può anche essere
applicata metaforicamente ai desideri di
altra natura. Il termine è usato più largamente per riferirsi ai casi di
diffusa malnutrizione o
privazione di cibo fra le popolazioni, solitamente dovuto a povertà, conflitti,
instabilità politica, o a circostanze agricole avverse (carestia).
La fame come condizione fisiologica
Il termine fame è usato comunemente per
indicare l'avere un forte appetito o l'essere pronti per mangiare. Dopo un
lungo periodo senza alimentazione, la
sensazione di fame si trasforma in una sensazione progressivamente più grave,
fino a diventare acutamente dolorosa. Dopo malnutrizione prolungata, l'organismo giunge a morte a
causa di un mancato apporto di principi nutritivi indispensabili. Questo stato
si chiama cachessia.
Politiche sulla fame
La fame continua ad essere un problema
in tutto il mondo. Secondo l'Organizzazione per l'alimentazione e
l'agricoltura delle Nazioni
Unite, "850 milioni di persone nel mondo erano denutrite fra
il 1999 e il 2005"
ed il numero è in continuo aumento.
Nell'anno 2000 tutte
le nazioni del mondo nel quadro delle Nazioni Unite (2000-Obiettivi del
Millennio) si sono impegnate a ridurre la povertà della metà entro l'anno 2015.
Ma in effetti il difficile obiettivo non è stato raggiunto; anzi, la fame nel
mondo sembra, soprattutto in alcune regioni africane, tendere all'aumento.
Sul problema della fame del mondo si
scontrano due teorie opposte:
·
La prima ritiene che non sia dovuta alla carenza della produzione
alimentare mondiale, e il problema fondamentale sarebbe solo la ripartizione
del potere di acquisto a livello mondiale che resta fortemente asimmetrica.[1]
·
La seconda vede, dopo un periodo di relativa
abbondanza dei mezzi di produzione, scenari sempre più apocalittici.[senza fonte]
Una bambina affetta
da Kwashiorkor in un campo per rifugiati durante
la guerra civile
nigeriana
L'equilibrio tra la produzione di alimenti e il loro consumo ha sempre
costituito uno degli obiettivi più ardui delle società umane. Ragioni plurime
hanno congiurato, nel corso della storia, per rendere le disponibilità
inferiori al fabbisogno. A chi la osservi dal punto di vista della
disponibilità di cibo la storia umana è una lunga serie di carestie interrotte da rari periodi di
prosperità. Tra le ragioni delle carestie un ruolo peculiare svolge la guerra,
siccome i popoli in guerra hanno sempre cercato di distruggere, reciprocamente,
le messi dei nemici, e la guerra è stata indissolubilmente legata, per
millenni, alla carestia.
Cause di carestie erano anche gli eventi
climatici e i parassiti dei
vegetali. Gli storici del clima hanno provato le
conseguenze catastrofiche, sui raccolti, di lunghi periodi freddi, le
piccole glaciazioni. Le
cronache del passato sono ricolme, peraltro, di notizie sulla distruzione
totale dei raccolti a causa di insetti, cavallette, coccinelle, coleotteri (ad esempio la dorifora), e a causa di infezioni di alcuni
microrganismi, le "crittogame", causa
di grandi carestie, che si sono potute controllare solo dopo la diffusione
degli insetticidi e
degli anticrittogamici di
sintesi, anche se le relative problematiche hanno aperto questioni molto
complesse. Le cronache italiane del Settecento ci propongono il quadro più
inquietante della più grave carestia del secolo, quella che si protrasse tra
il 1765 e il 1766,
causata da giornate fredde e umide all'inizio dell'estate, che crearono le
condizioni ideali per il pullulare della ruggine
del frumento, uno dei funghi microscopi più dannosi, che i contadini
dell'epoca non poterono combattere con alcun formulato antiparassitario. Come conseguenza ci furono
decine di migliaia di morti.
Oggi gli equilibri alimentari del
Pianeta sono assicurati da 2 miliardi di tonnellate di cereali, che, sommati alle altre derrate
chiave, gli oli, gli zuccheri, la carne e i latticini, assicurano una razione
media, per ogni abitante della terra, di 2.700 Kcal, astrattamente adeguata ai
bisogni biologici. Si deve dire astrattamente siccome la media non corrisponde,
palesemente, ai valori che la compongono. Nei paesi occidentali sono comuni
diete che sfiorano le 5.000 Kcal, che salirebbero a 10.000 se si computassero
le calorie fornite agli animali per produrre carne e latticini, mentre 800
milioni di uomini vivono al di sotto delle 2.000 Kcal, confrontandosi, quindi,
con la fame e le malattie che ne derivano, e gran parte dell'Asia non
supera le 2.300, dimostrando l'esistenza di vastissimi bisogni non soddisfatti.
Bambino sottonutrito
I due miliardi di tonnellate di cereali
prodotti sul planisfero sono il risultato di cinque fattori:
·
La semina dei cereali su 700 milioni di ettari, metà della superficie
coltivata sul pianeta (che comprende la coltura delle foraggere, delle piante oleaginose,
degli ortaggi e dei alberi da frutto, esclusi i pascoli naturali).
·
La disponibilità, sul totale, di 260 milioni di ettari irrigabili, un terzo
del totale su cui si realizza il 70 per cento della produzione complessiva.
·
L'uso, sulla superficie irrigua, di 3.100 chilometri cubici di acqua
·
L'impiego di 150 milioni di tonnellate di fertilizzanti, che, combinati con l'acqua,
rendono possibili produzioni quattro volte maggiori di quelle asciutte senza
fertilizzanti.
·
Varietà di cereali selezionate dai genetisti per la maggiore produttività,
capaci di rese cinque-dieci volte maggiori di quelle primitive.
Si deve rilevare che la produzione
di cereali è cresciuta in modo travolgente,
triplicandosi in entità, nell'ultimo cinquantennio, nel quale ha visto
l'impiego massiccio di tutti i fattori elencati. Ma si deve rilevare che alle
foreste non si può, ormai, sottrarre nuovi campi, che acqua ai grandi fiumi non
se ne può più estrarre, che perciò è difficile estendere le superfici irrigue,
che un impiego maggiore di fertilizzanti potrebbe rivelarsi catastrofico per
gli equilibri idrologici. E che, infine, le nuove creature della genetica
assicurano piccoli vantaggi sui cereali attuali, senza ricalcare i grandissimi
guadagni che realizzavano quelli degli anni cinquanta. Come risultato, gli incrementi
di produttività annuale delle colture mondiali continuano a diminuire.
Negli anni sessanta le
rese cerealicole crescevano del 3% ogni anno,
negli anni settanta del 2,3%, negli anni ottanta e novanta sono cresciute del 2%, varcato il
millennio gli incrementi sono stati ancora più modesti.
Mentre si prevedono massicci incrementi
della domanda, soprattutto per il miglioramento delle condizioni economiche di
tutta la popolazione asiatica, l'aumento futuro
delle produzioni agricole in assenza di un vigoroso impulso alla ricerca, e di
un programma globale di rispetto delle risorse agricole, suoli e acque, è
incerto.
La "lotta alla fame"
Per la possibilità di sconfiggere la
fame nel mondo si scontrano due scuole di pensiero: una sottolinea soprattutto
la necessità di una migliore distribuzione delle risorse alimentari,
la seconda vuole, invece, porre l'accento sulla necessità di aumentare
le capacità produttive, come avvenne con la "Rivoluzione verde".
Goya:I disastri della guerra
Nutrire il pianeta
Il tema
del Nutrire il pianeta è stato scelto
come argomento centrale dell'Expo 2015 di Milano. Pensato ancora quando la comunità
mondiale riteneva che si fossero create le premesse per una stabile situazione
di surplus agricoli e
che il problema fosse principalmente quello di una più equa distribuzione del
cibo, ha visto in un breve periodo di tempo spostarsi verso rialzi impensabili
dei prezzi delle derrate agricole, mentre le eccedenze di cereali venivano
dirottate verso la produzione di biocarburanti[2]
Note
1. ^ A loro dire esistono studi FAO, secondo cui la
Terra potrebbe permettere di nutrire più di 12 miliardi di persone.
Bibliografia
·
Alexandratos Nikos (editor), World agricolture: towards 2010. An
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·
Brown R. Lester, Who will feed China?, W. W. Norton &
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Calla Alex F. mc, Agriculture in 21st Century, Cimmyt Economic
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Conway Gordon, The doubly green revolution, Penguin books,
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George Susan, Come muore l'altra metà del mondo. Le vere ragioni
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Dies. The Real Reasons for World Hunger, Feltrinelli, Milano 1978
Voci correlate
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Povertà
·
Carestia
·
Inedia
Crisi dei ricchi, via
crucis dei poveri
Pubblicato
giovedì 5 Marzo 2009
di Jorge Majfud
(Lincoln University. http://majfud.info)
Le teorie
dell’evoluzione dopo Darwin assumono una dinamica divergente. Due specie
possono discendere da una comune; ogni tanto, le specie stesse possono
scomparire in forma graduale o drastica, ma mai due specie finiscono con il
confluire in una sola. Non esiste meticciato se non all’interno della stessa
specie. Nel lungo periodo, una gallina e un’uomo sono parenti lontani,
discendenti di un qualche rettile ed entrambi rappresentano una risposta
positiva della vita nella lotta per la sopravvivenza.
Cioé, la diversità
è la forma in cui la vita si espande e si adatta ai diversi ambienti e alle
diverse condizioni. Diversità e vita sono sinonimi per la biosfera. I processi
vitali tendono alla diversità ma allo stesso tempo sono espressione di una
unità, la biosfera, Gaia, l’esuberanza della vita nella sua permanente lotta
per sopravvivere in ambienti ostili al suo stesso miracolo.
Per la stessa
ragione la diversità culturale è un requisito per la vita dell’umanità. Ovvero,
e comunque potrebbe essere una ragione sufficiente, la diversità non si limita
solo a evitarci la noia della monotonia ma, inoltre, è parte della nostra
sopravvivenza vitale come umanità.
Nonostante ciò,
siamo stati noi esseri umani la unica specie che ha sostituito la naturale e
prudente sostituzione di specie con un artificiale e minaccioso sterminio, con
il saccheggio industriale e con la contaminazione del consumismo. Coloro tra
noi che sostengono un possibile ma non inevitabile “progresso della storia”
basato sulla conoscenza e l’esercizio dell’eguale-libertà, possono vedere che
l’umanità, tante volte posta in pericolo di estinzione da se stessa, ha
ottenuto alcuni successi che le hanno permesso di sopravvivere e di convivere
con la propria crescente forza muscolare. E nonostante ciò, non abbiamo
aggiunto niente di buono al resto della natura. In molti aspetti, in questo
naturale processo di prove ed errori, forse siamo andati indietro o i nostri
errori sono diventati esponenzialmente più pericolosi.
Il consumismo è uno
di questi errori. Questo appetito insaziabile ha poco o niente a che fare con
il progresso verso una possibile e comunque improbabile era senza-fame,
post-scarsità, piuttosto ha a che vedere con una più primitiva era della gola e
dell’avidità. Non diciamo che ha a che fare con un istinto animale, perchè
nemmeno i leoni monopolizzano la savana né praticano lo sterminio sistematico
delle proprie vittime, e perchè perfino i maiali si saziano solo di tanto in
tanto.
La cultura del
consumismo ha mostrato i suoi limiti in vari aspetti. Primo, ha contraddetto la
condizione prima segnalata, superando le diversità culturali, sostituendole con
i suoi ninnoli universali o creando una pseudo diversità dove un operaio
giapponese o una meccanica tedesca possono utilizzare per due giorni un oggetto
di artigianato peruviano fatto in Cina o possono godere cinque giorni della più
bella tendina veneziana importata da Taiwan prima che si rompano per l’uso
eccessivo. Secondo, perchè ha anche minacciato l’equilibrio ecologico con le
sue estrazioni illimitate e le sue restituzioni sotto forma di spazzatura
immortale.
Esempi concreti
possiamo osservarli attorno a noi. Potremmo dire che è una fortuna che un
operaio possa apprezzare le comodità che prima erano riservate solo alle classi
agiate, le classi improduttive, le classi consumatrici. Nonostante ciò, questo
consumo –indotto dalla pressione culturale e ideologica- si è convertito molte
volte nella finalità del lavoratore e in uno strumento dell’economia. Il che, a
rigor di logica, significa che l’individuo-strumento si è convertito in un
mezzo dell’economia in quanto individuo-consumatore.
In quasi tutti i
paesi sviluppati o in via di questo “modello di sviluppo”, i mobili che
invadono i mercati sono pensati per durare pochi anni. O pochi mesi. Sono carini,
hanno un bell’aspetto come quasi tutto nella cultura del consumo, ma se li
fissiamo a lungo si rigano, perdono una vite o sono squadrati. Ogni giorno di
più risulta esotica la preocupazione della mia familia di carpentieri per
migliorare il disegno di una sedia perchè durasse cent’anni. Dei nuovi mobili
usa-e-getta non ci si preoccupa molto perchè sappiamo che sono costati poco e
che, in due o tre anni ne compreremo degli altri nuovi, il che comporta maggior
interesse e trasformazione nella decorazione delle nostre case e dei nostri
uffici e soprattutto stimola l’economia mondiale. Secondo la teoria in corso,
ciò che buttiamo qui aiuta lo sviluppo industriale in qualche paese povero. Per
questo ci sentiamo buoni, perchè siamo consumatori.
Ma questi mobili,
anche quelli più economici, hanno consumato alberi, hanno bruciato combustibile
nel loro lungo viaggio dalla Cina o dalla Malesia. La logia del “butto dopo
aver usato”, che è la cosa più ragionevole per una siringa di plastica, diventa
una legge necessaria per stimolare l’economia e mantenere il PIL in perpetua
crescita, con le sue rispettive crisi e fobie quando la caduta provoca una
recessione del due per cento. Per uscire dalla crisi bisogna aumentare la
droga. I soli Stati Uniti, per esempio, destinano milioni di dollari perchè i
suoi abitanti ritornino a consumare ed a spendere, destinano milioni di dollari
per uscire dalla disperazione della recessione in modo che così il mondo possa
continuare a girare, consumare e buttare.
Ma questi rifiuti,
pur economici che siano –il consumismo è basato su della mercanzia economica,
usa-e-getta, che rende quasi impossibile il riciclaggio di prodotti durevoli-
possiedono pezzi di legno, plastica, batterie, canne di ferro, viti, vetro e
ancora plastica. Negli Stati Uniti tutto ciò e anche di più va nella spazzatura
–anche in questo tempo chiamato per ragioni equivoche “di grande crisi” -
mentre nei paesi poveri, i poveri vanno alla ricerca della stessa spazzatura.
Alla lunga, chi finisce con il consumare tutta la spazzatura è la natura mentre
l’umanità continua a sospendere i cambiamenti nel proprio stile di vita al fine
di uscire dalla recessione e al fine di sostenere la crescita dell’economia.
Ma cosa significa
“crescita economica”, cosa significa questo due o tre per cento che
ossessionano tutto il mondo, da Nord a Sud da Est a Ovest?
Il mondo è convinto
che si trova in una terribile crisi. Ma il mondo è sempre stato in crisi. Ora
la crisi è definita come mondiale perché (1) avanza e colpisce l’economia dei
più ricchi; (2) il semplificato paradigma dello sviluppo ha diffuso la propria
isteria al resto del mondo, contribuendo a darle legittimità. Ma negli Stati
Uniti le persone continuano ad innondare i negozi e i ristoranti e i loro tagli
non implicano mai la fame, sebbene siano in una situazione di gravità in cui
milioni di lavoratori si trovano senza lavoro. Nei nostri paesi periferici una
crisi significa bambini per la strada a chiedere elemosina. Negli Stati Uniti
vuol dire consumatori che consumano un po’ meno mentre aspettano il prossimo
ticket del governo.
Per uscire da
questa “crisi”, gli specialisti si strizzano il cervello e la soluzione risulta
sempre la stessa: aumentare il consumo. Ironicamente, aumentare il consumo
prestando alla gente comune il suo stesso denaro attraverso le grandi banche
private che ricevono l’aiuto salvifico del governo. Non si tratta solo di
salvare alcune banche, ma, soprattutto, di salvare una ideologia e una cultura
che da sole non sopravviverebbero se non ricevessero frequenti iniezioni ad
hoc: stimoli finanziari, guerre che promuovono l’industria e controllano la
partecipazione popolare, droghe e diversioni che stimolano, tranquillizzano e
anestetizzano in nome di un bene comune.
Usciremo veramente
dalla crisi quando il mondo ricomincerà una crescita del cinque per cento
attraverso lo stimolo del consumo nei paesi ricchi? Non staremo preparando la
prossima crisi?, una crisi reale –umana ed ecologica- e non una crisi
artificiale come quella che subiamo oggi? Quando ci renderemo conto che questa
non è veramente una crisi ma solo un’avvertenza, ovvero una opportunità per
cambiare le nostre abitudini?
Ogni giorno
rappresenta una crisi perchè ogni giorno scegliamo un percorso. Ma ci sono
crisi che sono una lunga via crucis e altre che sono critiche perchè, sia per
gli oppressi che per gli oppressori comportano una doppia possibilità: la
conferma di un sistema o il suo annichilimento. Finora la prima ha prevalso sul
secondo per mancanza di alternative. Ma non bisogna mai sottostimare la storia.
Nessuno avrebbe mai pensato ad una alternativa al feudalesimo medioevale o al
sistema schiavista. O quasi nessuno. La storia degli ultimi millenni dimostra
che gli utopici l’avevano previsto con una precisione esagerata. Ma, come ai
giorni nostri, gli utopici hanno sempre goduto di una cattiva fama. Perchè sono
la denigrazione e il discredito le forme che ciascun sistema dominante ha
sempre avuto per evitare la proliferazione di gente con troppa immaginazione.
ALAI AMLATINA, 25
febbraio 2009
Traduzione di
Ruggero Fornoni
Povertà
Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La povertà è la condizione di singole persone o collettività
umane nel loro
complesso, che si trovano ad avere, per ragioni di ordine economico, un
limitato (o del tutto mancante nel caso della condizione di miseria) accesso a beni essenziali e primari, ovvero a beni e servizi sociali d'importanza vitale. La povertà
diventa pauperismo quando riguarda masse che non riescono più ad assicurarsi i minimi
mezzi di sussistenza: è questo un fenomeno collegato a una particolare
congiuntura economica che porta al di sotto del minimo di sussistenza una gran
parte della popolazione.[1]
La
povertà in linea generale tende ad essere di grado più elevato nelle aree rurali che in quelle urbane dove vi sono maggiori opportunità di fonti di reddito: inoltre
nelle zone rurali, la povertà si accompagna ad un isolamento sociale maggiore
di quello che la povertà di per sé determina. In genere però la povertà urbana
può causare maggiori problemi rispetto a quella rurale: si vedano ad esempio i
problemi sanitari che caratterizzano le baraccopoli o gli slums neipaesi in
via di sviluppo.
La durata
della povertà è un elemento molto importante per quanto riguarda la posizione
sociale delle persone che non viene intaccata in casi di durata breve della
situazione d'indigenza.
Le famiglie povere sono di norma quelle più numerose con
un numero elevato di figli e di persone conviventi nello stesso ambito
familiare. La numerosità della famiglia assolve ad un compito di assistenza per
la vecchiaia dei genitori. Una funzione analoga di
assistenza e di mutuo soccorso vengono svolte dalla cosiddetta famiglia allargata.
Il lavoro
minorile è una
fonte di reddito spesso essenziale per le famiglie povere, ma
spesso causa un difetto dell'istruzione,
determinando una sorta di circolo vizioso della povertà.
La posizione della donna
riguardo alla situazione di povertà è spesso svantaggiata rispetto a quella
dell'uomo, in termini sia di cultura e partecipazione alla vita sociale sia di
carichi di lavoro e, talvolta, di disponibilità di cibo e altri beni
essenziali.[2]
Povertà ed emarginazione
La
povertà costituisce la principale causa, ma non l'unica, di esclusione sociale oemarginazione: la
peculiarità è che l'estromissione dall'accesso a beni e servizi essenziali
deriva (quasi sempre "de facto", in rari casi anche "de
iure") dalla scarsità di mezzi economici.
Ciò vale
a distinguerla da altre situazioni in cui la privazione ha origini diverse,
come ad esempio i casi di discriminazione su baseetnica, religiosa, sessuale (pur esistendo situazioni in cui tali condizioni
si sovrappongono ed aggravano fra loro). Si parla di povertà anche in termini
"relativi", cioè in riferimento a situazioni di rilevante disparità
di reddito e potere d'acquisto fra
singoli e gruppi sociali nella stessa comunità nazionale o locale.
Povertà e miseria
« Noi non ci occupiamo dei poverissimi. Questi sono
inimmaginabili e li possono avvicinare solo gli esperti di statistica o ipoeti. La
nostra storia tratta della gente di buona famiglia, o di
coloro che sono obbligati a far finta di esserlo. »
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Il
termine "povertà" può assumere molteplici significati ed essere
impiegato con diverse accezioni.
Quando la povertà assume connotazioni estreme di assenza di beni materiali primari si parla di miseria, termine che assume oltre a quello economico e sociale, come quello di povertà, anche un valore immateriale indicante sia un'estrema infelicità sia una condizione spirituale di grettezza e meschinità morale.
Quando la povertà assume connotazioni estreme di assenza di beni materiali primari si parla di miseria, termine che assume oltre a quello economico e sociale, come quello di povertà, anche un valore immateriale indicante sia un'estrema infelicità sia una condizione spirituale di grettezza e meschinità morale.
Il più
delle volte nei vari significati i due termini vengono comunemente indicati
come equivalenti, essendo la differenza genericamente indicata in
un'accentuazione delle caratteristiche negative della miseria rispetto a quelle
della povertà.[3]
La soglia di povertà è un
termine di riferimento oggettivo (che ha la valenza di criterio normativo) che
caratterizza quantitativamente una determinata situazione di povertà, per cui
chi vive in condizioni tali da non raggiungere il minimo per la sopravvivenza
(che secondo la Banca
mondiale viene
indicato nell'avere due dollari per persona al giorno) può essere indicato in
condizioni di povertà. [4] Non esistono invece indicatori certi dello
stato di miseria, che del resto ha un aspetto molto più evidente dello stato di
povertà, che può (entro certi limiti) essere mascherato[5] come quando si parla ad esempio di "una
dignitosa povertà" mentre una "dignitosa miseria" è
un'espressione improponibile.
Storia sintetica della povertà nel mondo
occidentale
La storia
della povertà coincide evidentemente con quella dell'umanità. Uomini dalle
condizioni disagiate rispetto ad altri in una situazione sociale per vari
motivi più favorevole, sono stati presenti in tutte le società organizzate. È evidente che il concetto di
povertà è un concetto relativo nel senso che in una ipotetica società di poveri
il meno povero assume la dignità di ricco. La povertà quindi come tale è in
connessione con il concetto di ricchezza per cui ad esempio sociologi ottocenteschi hanno sostenuto la tesi che è la stessa
ricchezza nell'ambito dell'economia industriale a produrre la povertà.
La povertà nel mondo antico romano
La
situazione dei poveri nel mondo antico romano divenne particolarmente grave in coincidenza
con la crisi dell'Impero. Fino ad allora le stesseclassi
sociali più
ricche avevano provveduto ad attenuare le condizioni dei poveri allo scopo di
evitare sommovimenti sociali: periodiche elargizioni di beni, soprattutto
alimentari, riuscivano così a conservare l'ordine sociale.
Già in epoca repubblicana la plebe era riuscita ad ottenere la difesa dei loro diritti mediante la creazione di un'apposita magistratura a loro riservata, quella dei tribuni della plebe che avrebbe dovuto proteggere coloro che come unica fonte di reddito avevano la loro prole, i proletari.
Nell'età imperiale gli elementi più disagiati della popolazione, assumendo il ruolo di clientes, sostenitori di una casata gentilizia, riuscivano ad avere i beni essenziali per la sopravvivenza in cambio del loro appoggio politico. Le classi elevate consideravano con un certo disprezzo queste torme di poveri che con le loro sportulae (ceste) si presentavano periodicamente a ricevere quanto pretendevano. Si trattava di un ceto cittadino parassitarioche il sistema economico romano basato sulla produzione schiavistica permetteva di sostenere. Quando però Roma, per la stessa estensione dei confini imperiali, sarà costretta a rinunciare alle guerre di conquista ed espansione e quindi ad acquisire nuovi schiavi, allora comincerà ad emergere il problema della povertà e dei rimedi da mettere in atto per la sua soluzione.
Già in epoca repubblicana la plebe era riuscita ad ottenere la difesa dei loro diritti mediante la creazione di un'apposita magistratura a loro riservata, quella dei tribuni della plebe che avrebbe dovuto proteggere coloro che come unica fonte di reddito avevano la loro prole, i proletari.
Nell'età imperiale gli elementi più disagiati della popolazione, assumendo il ruolo di clientes, sostenitori di una casata gentilizia, riuscivano ad avere i beni essenziali per la sopravvivenza in cambio del loro appoggio politico. Le classi elevate consideravano con un certo disprezzo queste torme di poveri che con le loro sportulae (ceste) si presentavano periodicamente a ricevere quanto pretendevano. Si trattava di un ceto cittadino parassitarioche il sistema economico romano basato sulla produzione schiavistica permetteva di sostenere. Quando però Roma, per la stessa estensione dei confini imperiali, sarà costretta a rinunciare alle guerre di conquista ed espansione e quindi ad acquisire nuovi schiavi, allora comincerà ad emergere il problema della povertà e dei rimedi da mettere in atto per la sua soluzione.
Nell'età
di Diocleziano il regime fiscale colpì pesantemente le campagne in modo
particolare i coloni che cominciarono ad abbandonarle per fuggire
dall'oppressione delle tasse. Il mondo contadino comincia ad essere afflitto
pesantemente da miseria e malattie. "Il lamento inusitato " (Gregorio
di Nissa, Sermo de
pauperibus amandis, II) di bande di poveri si ode nelle campagne
abbandonate, negli agri
deserti. La miseria coesiste spesso con le malattie, in
particolare la lebbra considerata una conseguenza di colpe morali.
La guarigione comporterà quindi l'intervento del santo che liberi dai demoni della malattia
l'ammalato e li ricacci nei loro covi.[7]
L'oppressione
fiscale fu la causa del brigantaggio di contadini poveri e di rivolte, come quelle
delle Bagaudae in Gallia e Spagna, per
ribellarsi allo Stato e alla Chiesa
cattolica che li
perseguitava per la loro adesione all'eresia
donatista.
In questo
periodo nasce la figura del patronus , un capo militare che in cambio del
sostentamento dato ai soldati protegge i villaggi contadini dall'esattore delle
tasse.
Il vescovo, buon patronus
La figura
del patronus si estende dalla campagna alle città
dove viene impersonata dal vescovo che proteggeva i contadini poveri che in
occasione di carestie affluivano nelle città a mendicare il pane. A Milano, ad
esempio, è Ambrogio che difende i poveri della città che gli
aristocratici vorrebbero espellere: « ...se
tanti coltivatori sono ridotti alla fame e tanti coloni muoiono, il nostro
approvvigionamento di grano sarà gravemente rovinato: noi vogliamo escludere
proprio coloro che normalmente ci forniscono il nostro pane quotidiano» (De
Officiis Ministrorum, III)
Ambrogio
rappresenta il buon patronus difensore dei pauperes
Christi ai quali egli stesso
devolse gran parte del proprio patrimonio imitato da molti nobili di famiglia
senatoria, convertitisi al Cristianesimo.
Questa carità degli uomini di Chiesa, come ha osservato
A.Giardina, indeboliva il potere delle classi dominanti che riempivano le
sportulae dei clientes: «Il dono pagano era destinato alla città, al popolo
inteso come insieme dei cittadini, i donatori cristiani indirizzavano invece la
loro carità ai poveri, intesi come categoria sociale e morale, non civica»
(A.Giardina, Melania la santa,
in Roma al femminile, a cura di A.Fraschetti, Laterza,1994, p. 249.)
Nel De Nabuthae historia, Ambrogio sostiene che è vero
che la ricchezza in sé può essere causa di perdizione, ma il ricco può
guadagnarsi la pietà di Dio: «tu dici: demolirò i miei granai; il Signore ti
risponde: cerca piuttosto che quanto è contenuto nel granaio è destinato ai poveri,
fa in modo che codesti tuoi magazzini riescano utili agli indigenti. Ma tu
insisti: ne farò di più grandi e lì raccoglierò tutto quello che i campi hanno
prodotto per me. E il Signore risponde: spezza il pane che è tuo all'affamato.
Tu dici: porterò via ai poveri la loro casa. Il Signore invece ti chiede:
conduci a casa tua i poveri che non hanno un tetto"(X,44).»
Ambrogio
rifiuta la convinzione generalizzata del suo tempo che vedeva nel povero un
maledetto dalla divinità. I poveri vanno distinti in meritevoli e non
meritevoli: «ma forse dirai anche tu quello che avete l'abitudine di dire in
queste occasioni: non abbiamo
diritto di fare regali a colui che Dio ha tanto maledetto da volere che vivesse
in miseria invece, non è vero
che i poveri sono maledetti; al contrario è detto beati i poveri perché‚ di
essi è il regno dei cieli. Non a proposito del povero ma a proposito del ricco
la Scrittura dice che 'Chi accaparra il grano per alzarne il prezzo verrà
maledetto'. E poi non stare ad indagare i meriti delle singole persone. La
misericordia è abituata a non giudicare il merito della gente, ma a venire
incontro alle necessità altrui; ad aiutare il povero, non a soppesare la pura
giustizia. Sta scritto 'Felice colui che pensa al bisognoso e al povero'; chi ne
ha compassione, chi si sente partecipe della medesima natura con lui, chi
comprende che il ricco e il povero sono ugualmente creature del Signore, chi sa
di santificare i propri raccolti, se ne riserva una porzione per i poveri.
Insomma dato che hai per fare del bene, non rimandare dicendo: 'darò domani':
potresti anche perdere la possibilità di donare. È pericolosa qualsiasi
dilazione nel salvare gli altri; può accadere che, mentre tu continui a
rinviare, quello muoia. Preoccupati piuttosto di arrivare prima che muoia; può
accadere infatti che quando arriva il domani, l'avarizia ti trattenga e le
promesse siano annullate». (De Nab., VIII,40)
La povertà nel Medioevo
Nel Medioevo il patrimonio della Chiesa,
enormemente accresciuto per le donazioni dei re franchi, era
espressamente definito come proprietà dei poveri che si doveva amministrare con
la cura delpater familias, imponendo a tutti di non pesare su di esso
qualora non ci fossero stati i requisiti della povertà, e difendendolo anche
con minacce di sanzioni come la scomunica. Solo
chi non poteva sostenersi con il proprio lavoro aveva il diritto di ricorrere
alle proprietà ecclesiastiche. Anche il clero si doveva sostenere con il proprio lavoro:
«Il chierico provveda al vitto e al vestito con un lavoro artigianale o
contadino...anche il chierico erudito nella Parola di Dio» (IV concilio di Cartagine del 398). Chi
attenta al patrimonio dei poveri è da considerarsi necator pauperum, assassino dei
poveri come affermano molti concili della Gallia nei secoli VI-XI che stabiliscono anche che nessuno, neppure i vescovi possono alienare né vendere nessun bene che
sia stato dato alla Chiesa perché con questi beni vivono i poveri (canone IV
del concilio di Adge dell'anno 506),
altrimenti saranno considerati anch'essi necatores
pauperum e subiranno la scomunica.
Povertà e malattia
Nel XII
secolo la
condizione di povero incomincia ad essere distinta tra coloro che avessero
scelto la povertà come un mezzo per arrivare a Dio, i pauperes cum Petro, com'erano i frati mendicanti di San
Francesco, e quelli che erano poveri per necessità: i pauperes cum Lazaro, dei quali
si dovevano occupare la Chiesa e i buoni cristiani. I teologi discutono inoltre se si dovessero beneficiare
solo i veri poveri escludendo i falsi poveri o tutti indistintamente.
Sostenevano gli studiosi di teologia che se il povero riceveva l'hospitalitas,
in questo caso non si facevano distinzioni, poiché questa era una sorta di
assistenza sociale per tutti i bisognosi, se invece il povero era oggetto della liberalitas, quindi della
beneficenza, in questo caso bisognava operare una distinzione tra i veri e i
falsi poveri.
Un segno
per identificare il vero povero dal falso è la malattia: al
concetto di pauper si associa quello di infirmus e il termine di pauper infirmus indica il povero che a causa delle
gravi carenze alimentari è affetto da malattie come la peste, il vaiolo e la lebbra. (V.
Paglia, op. cit., pp. 191–192). Il povero quindi coincide con il malato
che deve essere accolto e aiutato.
La
distinzione tra la condizione di povero e malato incomincia a definirsi nel
periodo che va dal XIII al XIV
secolo quando la
diffusione della lebbra divenne endemica in coincidenza con l'aumento della
popolazione e degli scambi commerciali e con il fenomeno delle crociate che avevano messo l'occidente in stretto
contatto con il vicino Oriente, la terra del morbus
phoenicius (malattia
fenicia), la lebbra [8]
Incominciano
a diffondersi i lebbrosari che raccolgono coloro destinati alla morte fisica e
a quella civile. Ubicati nei sobborghi o fuori dalle città i lebbrosari incominciano
a diventare luoghi di separazione tra i sani e i malati: che la Chiesa
considerava nel duplice aspetto della conseguenza del peccato
originale: il peccatore che soffre nella carne e la figura del Cristo che
con la sofferenza redime. Il lebbroso era quindi il maledetto ma anche l'amato
da Dio (in J.C.Schmitt, La
storia dei marginali, in La nuova storia, a cura di J. Le Goff, Milano
2002, p. 271). Il lebbrosario viene organizzato quindi come un monastero (hospitale purgatorii) spesso intitolato a San
Lazzaro: quello che Gesù aveva resuscitato, come raccontava l'evangelista Giovanni, o il Lazzaro di cui i cani
leccano le piaghe, com'è detto nel vangelo
di San Luca (in F.
Bèriac, La paura della lebbra,
in Per una storia delle malattie, op. cit., Bari 1986, p. 173)
Povertà e ribellione
Nel Medioevo quindi i poveri sono riconosciuti come tali e
sono integrati nella società medioevale che dibatte sull'elemosina e
sull'assistenza dei poveri, sul valore morale e religioso della povertà che
troverà il suo massimo rappresentante in San Francesco d'Assisi, (1181/1182 - 3 ottobre 1226), pauper cum
Petro, il poverello di Dio, fondatore dell'Ordine
mendicante. La concezione della povertà diventa con lui non solo imitazione
della vita di Cristo ma viene interpretata, specialmente dopo la sua morte,
anche come denuncia della condotta morale della Chiesa e del suo potere
temporale. Solo quattro anni dopo la sua morte infatti il papa
Gregorio IX, con la bolla Quo elongati, si
preoccupava di rendere noto che il Testamento del santo d'Assisi non avesse un valore vincolante per i suoi successori.
La divisione in Spirituali, che seguono il precetto dell'assoluta povertà, e
dei Conventuali più vicini al carattere temporale della Chiesa, è un segno di
una crisi sociale dove le differenze tra ricchi e poveri si sono accentuate ed
ormai la ricchezza ha perso quasi del tutto il carattere provvidenziale di aiuto e sostegno della povertà com'era in
Sant'Ambrogio. L'unica via per la perfezione morale ora è diventata quella indicata
dal gioachimismo contro la ecclesia carnalis meretrix magna (chiesa carnale, grande prostituta).
La disputa teologica sulla povertà diviene motivo di scontro politico tra le
pretese teocratiche dei papi, sostenuti dalle nuove aspirazioni
all'autonomia dei nascenti stati
nazionali e
l'aspirazione all'impero universale, alla res
publica cristiana (stato
cristiano) degli imperatori medioevali miranti ad un potere unificato temporale
e spirituale. Per i gioachimiti e idolciniani l'ideale della perfetta povertà diventa
invece messaggio di ribellione anarchica contro ogni forma di potere dei ricchi, siano
essi nella Chiesa o presso l'imperatore, in nome di una trasformazione radicale
di una società afflitta dalla miseria materiale e spirituale. Come ribelli essi
saranno duramente colpiti sia dal potere spirituale che da quello temporale che
divengono alleati quando si sentono minacciati. La crisi interna della Chiesa
sfocerà nel Grande Scisma al cui termine la nuova società degli umanisti e degli uomini del Rinascimento dichiarerà il suo disgusto per la gerarchia
romana preferendo rivolgersi ad una religione tutta naturaleed immanente.
La povertà nell'età moderna
Dopo la
definitiva separazione tra la Chiesa cattolica e quella Protestante entrambe le
Chiese sono coinvolte nello stesso atteggiamento d'intolleranza dimostrando di
essere due diversi aspetti di uno stesso clima culturale di apprensione e sospetto determinato dalle
guerre di religione,
dall'insicurezza sociale prodotta dall'inflazione aggravata dall'aumento della popolazione.
Nel Cinquecento si è calcolato che nell'Europa occidentale circa un
quinto della popolazione fosse costituito da poveri: l'incremento demografico, lo
sviluppo delle manifatture, in specie quelle tessili, la rivoluzione dei prezzi
aveva determinato l'avvento di una moltitudine di poveri e sbandati in modo
particolare nelle campagne. Ad aggravare le condizioni di vita subentravano poi
i tre flagelli della peste, della guerra e della carestia che spingevano queste masse di disperati a trovare soccorso nelle città.
Ad
aumentare le ansie dei cittadini si aggiungeva poi lo sbandamento dei soldati mercenari che ora, con la creazione dell'esercito
permanente negli stati
assoluti, non trovano più chi li assoldasse generando, in misura prima
sconosciuta, masse disperse di poveri e vagabondi, banditi e rivoltosi.
Le istituzioni cittadine cominciano allora a distinguere tra
la povertà "vera" da quella "falsa" comprendendo nella
prima i malati, coloro che non potevano più mantenersi per motivi fisici, i ragazzi
e i bambini abbandonati dalle famiglie, i vecchi che non potevano più lavorare
ma che avendo lavorato in passato. Vi erano poi i poveri organizzati in
"compagnie" come quelle dei ciechi e degli storpi riconosciute
dall'assistenza pubblica. A questi si aggiungeva la moltitudine dei poveri
occasionali che ricevevano l'elemosina saltuariamente, costituita da lavoratori che
attraversavano periodi di povertà dovute soprattutto ai debiti che non
riuscivano a saldare.
Tra
questa massa di marginali una figura che emerge è quella del mendicante. Le
città cominciano a riempirsi di schiere di assillanti cenciosi che ispirano
paura e ripugnanza. I mendicanti non avevano nessun tipo di potere, non
pagavano le tasse, erano
esclusi dalle corporazioni e dalle confraternite. Le
istituzioni nel XVI secolo iniziarono a emanare leggi che colpivano i falsi
mendicanti includendo in questa categoria i vagabondi.
Per approfondire, vedi la voce Povertà nella Roma del
XVI secolo.
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Il povero
era stato per tutto il Medioevo un simbolo di valori cristiani: in ogni
povero c'era la sofferenza di Cristo e la stessa elemosina più che un carattere di
solidarietà sociale assumeva un valore religioso. La figura del povero prima
assimilata a quella dell'eremita, del viandante pellegrino ora si confondeva con quella di un esercito
minaccioso di miserabili.
Nel XVI
secolo si va infatti affermando l'identificazione del mendicante con la familia diaboli in contrapposizione con i poveri di
Dio. Si diffondono libri che trattano di una mendicità organizzata in
corporazioni illegali più o meno segrete e delle loro tecniche di accattonaggio
che venivano usate per ingannare il prossimo. «Nel 1528, nella
prefazione del Liber
vagatorum, manoscritto circolante già alla fine del XV secolo ma stampato agli inizi del XVI, Martin
Lutero rappresentava
i vagabondi come coloro che agivano in
combutta con il diavolo, anzi
era lo stesso diavolo che si serviva di loro per impedire che le elemosine finissero nelle mani dei veri
mendicanti. Ma è nell'opera di Teseo Pini, lo "Speculum cerretanorum"
scritto tra il 1484 e il 1486 e rielaborato successivamente da
Giacinto Nobili sotto lo pseudonimo di "Rafaele Frianoro" con il
titolo "I vagabondi", che viene analizzata la mendicità assieme ai
complicati metodi di fraudolenza: accanto alla rappresentazione dei diversi
mascheramenti viene riprodotto il linguaggio segreto usato dai vagabondi e
mendicanti per comunicare tra di loro» (Il libro dei vagabondi,
a cura di P. Camporesi, Torino 1973)
A questo
malessere sociale la Chiesa cattolica cerca di rispondere con la creazione di
numerose organizzazioni caritative ed assistenziali schierando in prima fila la
generosità altruistica dei grandi santi del Cinquecento
.
Diversamente
reagirono le autorità cittadine e statali che con metodi repressivi cercano di
eliminare la presenza dei poveri nelle città,
eliminando la possibilità del loro continuo vagabondare e incanalando in forme
controllabili quelle masse di accattoni che potevano divenire un serio
pericolo di rivolte ogniqualvolta vi fosse una carestia o un aumento dei prezzi dei beni alimentari.
Dalla carità medioevale ormai nel Cinquecento si è persa
ogni traccia: gli ospedali aperti senza troppe distinzioni ai malati e
ai miserabili diventano istituti d'internamento coattivo e, quando questo non
basta, i poveri vengono a forza arruolati negli eserciti o divengono rematori
nelle galere.
La
repressione è ancora più evidente nelle zone calviniste e luterane dell'Europa settentrionale dove l'etica del
lavoro rendeva difficile la tolleranza e la giustificazione della povertà
considerata una colpa morale: i poveri vengono giudicati severamente come
esseri antisociali e parassiti, sebbene Calvino avesse stabilito a Ginevra come fosse compito precipuo assegnato ai diaconi l'assistenza dei poveri e dei malati.
La povertà nel XVII secolo
Continua
nel Seicento la configurazione dell'ospedale non come
istituzione di cura per i malati ma struttura per l'isolamento e
l'internamento. Già in Inghilterra nel 1576 una legge di Elisabetta I istituiva degli stabilimenti, le "Houses
of correction", che miravano alla "punizione
dei vagabondi e al sollievo dei poveri" istituite come case di lavoro
(workhouse) come mezzo per la repressione della mendicità. Sull'esempio inglese
fece altrettanto la Svizzera che nel 1631 a Berna (nel 1637 a Zurigo) aprì
come un nuovo reparto dell'ospedale generale una casa di correzione e per il
lavoro forzato. Così anche in Francia tipico è il caso dell'"Hospital
General" di Parigi fondato nel 1656 che Michel
Foucault definisce il terzo stato della repressione (cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, 1976).[9] Questi istituti diffusi in Europa tra la fine
del Cinquecento e gli inizi del Seicento volevano associare l'assistenza ai
poveri ed insieme la funzione di rieducazione al lavoro per conseguire un
rinnovamento morale e una redditività economica, considerata base di una
ipotetica integrazione sociale dei mendicanti, da raggiungere con la privazione
della libertà e una rigida disciplina che prevedeva sanzioni e punizioni
corporali per i trasgressori. L'importanza attribuita all'osservanza delle
regole, diligenza, produttività lavorativa, rispetto degli orari, pulizia ecc.
era vista come uno strumento di disciplinamento sociale valido anche per la
società al di fuori degli istituti. L'ospedale è divenuto luogo di repressione
per il povero "cattivo", il ribelle alle regoli sociali, ma anche di
beneficenza per il povero "buono" sottomesso all'ordine sociale. La
classe dirigente, di fronte all'aggravarsi del fenomeno del pauperismo, tende a
porre in atto una politica assistenziale "di contenimento della
povertà", che pone sempre più l'accento sulla classificazione dei poveri
in "meritevoli" (e tra questi i poveri "vergognosi" sono
considerati una categoria privilegiata) e "non meritevoli" (in primo
luogo mendicanti e vagabondi).
Una
politica di vera e propria segregazione dei poveri, avviata già alla fine del XVI
secolo, si affermerà quindi soprattutto nel XVII
secolo, e ad un punto tale che il Seicento sarà appunto definito il
secolo della "grande reclusione". Il povero "cattivo" [10] è colui che rifiuta il lavoro come mezzo di
espiazione, per guadagnarsi la grazia divina, e strumento dato da Dio per
riscattarsi dal peccato
originale: chi non lavora quindi è colui che si ribella e rifiuta Dio.
L'inutilità sociale del povero determina la sua condanna ed esclusione dalla società dei buoni. Al di fuori di ogni controllo della legge comune l'ospedale diviene una casa di correzione, molto simile a un carcere, dove relegare i marginali. La carità si è laicizzata come dovere di stato sanzionato da leggi e la povertà è considerata una colpa contro l'ordine pubblico.
L'inutilità sociale del povero determina la sua condanna ed esclusione dalla società dei buoni. Al di fuori di ogni controllo della legge comune l'ospedale diviene una casa di correzione, molto simile a un carcere, dove relegare i marginali. La carità si è laicizzata come dovere di stato sanzionato da leggi e la povertà è considerata una colpa contro l'ordine pubblico.
La povertà nel XVIII secolo
Questa politica d'internamento sistematico diffusa tra gli stati europei appare nel
Settecento inumana e dannosa sul piano sanitario. Viene finalmente contestata
dai filosofi illuministi e abbandonata. Ci si avvicina alla concezione
attuale della povertà considerata come una disfunzione della società. Il
fattore economico viene identificato come causa principale
della povertà anche se quello morale non è del tutto messo da parte. Si propone
come soluzione dell'indigenza l'applicazione del principio della ridistribuzione della ricchezza: siamo
però ancora lontani da una concezione dello stato
assistenziale poiché
l'intervento laico delle strutture statali è indirizzato non a tutta la popolazione ma
solo a certe categorie come le vedove, gli orfani...i poveri "buoni"
e "meritevoli".
Ancora
nei giorni della Rivoluzione dell'89 la
condizione della povertà non era del tutto mutata dal secolo precedente: quando
il popolo parigino diede l'assalto al famigerato Hospital general e, dopo aver trucidato il personale
ospedaliero, liberò circa 8000 ricoverati, in maggioranza donne, le condizioni
di queste infelici, descritte da Restif de la Bretonne, un testimone del tempo,[11] non erano diverse da quelle dei tempi
passati.
Ma già
qualcosa era cambiata nella politica sociale: repressione e carità cominciarono
ad essere distinte: fu abolito il lavoro forzato nelle manifatture ospedaliere
e furono istituiti i depots de
mendicité (depositi di
mendicità) dove erano internati i vagabondi e i mendicanti mentre negli
ospedali generali venivano ricoverati i poveri di ogni genere. Nei dépôts ai
mendicanti era offerto un ricovero provvisorio in attesa che li reclamasse la famiglia o un qualche datore di lavoro. Più a lungo
erano trattenuti solo i vagabondi ed i mendicanti di professione il cui
accattonaggio era considerato un reato.[12] Tutti i detenuti erano obbligati a lavorare
dall'alba al tramonto e ogni dépôts era attrezzato a tale scopo di botteghe
artigiane. Sommosse agitazioni periodicamente nascevano in quegli agglomerati
di mendicanti e assumevano spesso il carattere di aperte e sanguinose rivolte
come quella di Rennes, nel 1782.
La
rivoluzione del 1789 mise fine anche ai depositi di mendicità
segnando la conclusione dell'epoca della "grande reclusione".
L'originale
esperienza sociale che aveva messo assieme lo spirito di carità e la crudele
repressione, aveva nello stesso tempo esaltato la funzione del lavoro come una forma di educazione e
socializzazione sia nelle società cattoliche che in quelle protestanti. Ora il
lavoro viene esaltato nel sistema industriale come sinonimo di riscatto e
elevazione sociale ma nella realtà il lavoro operaio diviene una forma di mantenimento e talora di
aggravamento della povertà.
L'Europa che
si stava avviando verso lo sviluppo industriale sembrava voler conservare nella
moderna fabbrica con il rigido regolamento interno, le norme di disciplina del lavoro e quasi nella stessa struttura architettonica, quella
passata commistione dicarcere e
manifattura degli ospedali generali.
La povertà nel XIX secolo
Nell'Inghilterra
dell'ormai avviata rivoluzione industriale era giunto il tempo di una nuova legge per la
povertà che, emanata nel 1834, aboliva
la “carità legale”, proibiva l'aiuto a domicilio e costringeva i poveri nelle
nuove workhouse (case di lavoro), nuove versioni degli
ospedali generali con il medesimo rigido regime del passato di costrizioni e di
privazioni, nonché di separazione secondo il sesso e l'età.
Autore di
questa politica fu Sir Edwin Chadwick (1800-1890),
discepolo di Jeremy
Bentham, personaggio molto odiato, un amministratore dispotico e discusso
la cui figura è ricordata soprattutto per il suo impegno nella riforma della sanità pubblica, convinto com'era che le condizioni
insalubri delle città provocassero malattie biologiche e sociali, causa di un degrado psicologico che può trascinare le persone verso i vizi,
come l'alcolismo, o
peggio, verso la rivoluzione. Rendere le città più salubri poteva essere lo
strumento per rendere il proletariato più felice, più sano, più produttivo, e più
docile.[13]
Il tema
della povertà comincia in questi anni ad essere associato a quello dell'industrialismo. L'Accademia
delle scienze morali e politiche francese
promosse delle inchieste sulle condizioni degli operai in Francia volendo
stabilire in che cosa consistesse la loro povertà, come si manifestasse e quali
fossero le cause che la determinavano. Una prima risposta era stata data da Louis Renè Villermé, un
medico fautore degli aspetti positivi del sistema della fabbrica e convinto che
tutto ciò che lo contrastasse fosse un'offesa della pubblica morale: la
promiscuità dei sessi all'interno delle fabbriche, l'eccessiva durata
dell'orario di lavoro minorile, i prestiti concessi agli operai come anticipo
dei loro salari erano le uniche cause del degrado morale e fisico degli operai.
Questa
tesi moralistica venne contestata da Antoine-Eugène Buret nella sua opera "De la misère des classes
laborieuses en Angleterre et en France... "; egli vuole eliminare
dall'analisi sociologica della cause della povertà ogni riferimento
astratto e non verificabile: comincia quindi a stabilire una stretta
connessione tra le condizioni di indigenza degli operai e la ricchezza
considerati entrambi come fenomeni strettamente economici e controllabili
oggettivamente. Le sue conclusioni lo portano a sostenere che esiste un
rapporto di «coesistenza» o «simultaneità» tra la povertà e la «ricchezza
della nazione» e che le cause di questa concomitanza sono da riportare «ai
processi industriali, alle circostanze in cui si trovano posti, gli uni in
relazione con gli altri, gli agenti della produzione» così
che «la condizione fisica e morale dei lavoratori si misura esattamente
sulla posizione in cui essi si trovano di fronte agli strumenti o ai capitali» nel senso che «più ne sono vicini e più
la loro vita è assicurata; ed essa si eleverà e migliorerà secondo la misura e
l'estensione di questi rapporti.» (in op. cit. tomo II libro III cap.V
pag.86)
Il pensiero sociale della Chiesa
« Il denaro non è 'disonesto' in
se stesso, ma più di ogni altra cosa può chiudere l'uomo in un cieco egoismo.
Si tratta dunque di operare una sorta di 'conversione' dei beni economici:
invece di usarli solo per interesse proprio, occorre pensare anche alle
necessità dei poveri, imitando Cristo stesso »
|
|
« La dottrina sociale cattolica
ha sempre sostenuto che l'equa distribuzione dei beni è prioritaria. Il
profitto è naturalmente legittimo e, nella giusta misura, necessario allo
sviluppo economico.... L'emergenza della fame e quella ecologica stanno a
denunciare, con crescente evidenza, che la logica del profitto, se
prevalente, incrementa la sproporzione tra ricchi e poveri e un rovinoso
sfruttamento del pianeta »
|
|
Di fronte
all'ascesa del movimento socialista le Chiese cristiane, sia quelle protestanti
che cattoliche, sentirono la necessità di chiarire esplicitamente le proprie
concezioni sul problema sociale della povertà dei lavoratori. Nel 1871 il vescovo cattolico di Magonza, Wilhelm Emmanuel von Ketteler nel suo libro "Liberalismo, socialismo,
cristianesimo" denunciava gli abusi del capitalismo e sosteneva che lo Stato, contro le teorie
liberiste, dovesse intervenire con una legislazione sociale a regolare i fatti
economici. Da lui nacque un movimento cristiano-sociale che si diffuse in Austria, Francia
e Belgio.
Nel 1891 prese ufficialmente posizione lo stesso
pontefice Leone
XIII con l'enciclica Rerum
novarum sulla
questione sociale, cui era particolarmente sensibile per aver direttamente
visto esplodere le rivolte operaie in Belgio al tempo della sua nunziatura
apostolica.
L'enciclica
afferma che voler trasformare la proprietà da
personale a collettiva offende i diritti naturali («diritto di natura è la proprietà privata»
) ed è impossibile
togliere dal mondo le disparità sociali così come non si può eliminare il dolore
(«levar via le sofferenze del mondo non v'è forza o arte che possa») anzi le differenze tra ricchi e
poveri sono necessarie per mettere in atto le virtù cristiane della carità e
della pazienza. L'enciclica
inoltre muove un preciso atto d'accusa al capitalismo e ai ricchi, indifferenti
alla dignità umana e cristiana dei poveri: «Si ricordino i
capitalisti e i padroni che né le divine né le umane leggi permettono di
opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e trafficare sulla
miseria del prossimo. Defraudare la giusta mercede è colpa sì enorme che grida
vendetta al cospetto di Dio» (da Gaeta, Villani, "Le encicliche
sociali dei Papi da Pio IX a Pio XII, 1846-1946", Milano 1971). La
soluzione della questione sociale, secondo l'enciclica, sarà nella cooperazione tra capitale e lavoro e nell'intervento dello
Stato che dovrà da un lato tutelare il lavoro e assicurare il giusto salario e dall'altro frenare le cupidigie delle plebi
malconsigliate prevenendo a tempo le cause dei tumulti e delle violenze.
Note
1.
^ Nella
stessa etimologia della
parola sembra avanzarsi un giudizio sulla condizione di povertà. Infatti
secondo alcuni etimologisti il termine nascerebbe dal latino pauper come la
contrazione dipauca (poco), e pariens (che produce). Il povero dunque è colui che produce poco e quindi
inevitabilmente tale.
2.
^ Rapporto
sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale a cura di
Nicola Acocella, Giuseppe Ciccarone, Maurizio Franzini,Luciano Marcello Milone,
Felice Roberto Pizzuti e Mario Tiberi. Edito a cura della Fondazione
Premio Napoli (2004) p. 219
3.
^ Per questo
motivo in questa voce, che mira a delineare soprattutto l'aspetto storico e sociale del tema
in oggetto, più che quello specificatamente economico, non si
farà una distinzione tra povertà e miseria trattandoli ambedue, sia pure
arbitrariamente, ma per semplicità di esposizione, come termini equivalenti.
4.
^ Quasi
mezzo miliardo di persone sono uscite dalla povertà tra il 2005 e il 2010, una
cifra storicamente mai raggiunta prima in un lasso di tempo così breve. Questo
fenomeno si è verificato per «la forte crescita nei paesi in via di sviluppo
dall'inizio del nuovo Millennio». Lo afferma un rapporto pubblicato da Laurence Chandy e Geoffrey
Getz del Brookings Institute, istituto
indipendente di ricerca con base a Washington D.C. I due ricercatori giungono a
questa conclusione grazie a un aggiornamento delle stime sulla povertà globale.
La loro ricerca li porta anche a concludere che l’obbiettivo del Millennio definito
dall’Onu di dimezzare il numero di poveri entro il 2015 è stato raggiunto nel
2007. Di conseguenza, affermano i due, entro il 2015 il numero dei poveri sarà
stato dimezzato ancora una volta, per raggiungere il 10% della popolazione
mondiale, ovvero 600 milioni di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al
giorno.
5.
^ Significativa
l'espressione usata per indicare nel Medioevo quei benestanti che a causa di specifici problemi decadevano dal
loro status sociale divenendo "pauper verecundus" (povero
vergognoso).
6.
^ Secondo
una leggenda sviluppatasi nel Medioevo, Giustiniano avrebbe
ordinato di accecare Belisario riducendolo ad un mendicante, condannato a
chiedere l'elemosina ai viandanti presso Porta
Pinciana a Roma. A testimoniarlo sarebbe esistita una pietra graffita sulla quale
era inciso :«Date obolum Belisario».
7.
^ in
A.H.M.Jones, Il Tardo Impero Romano, trad.it. Il Saggiatore, Milano,1974, vol.III, "Agri
deserti", pp. 1256–58.
8.
^ Ospedali e
città. L'Italia del centro Nord, XII-XVI secolo, a cura di J. Allen Grieco, L. Sandri, Firenze 1997.
9.
^ ...
malgrado ogni sorta di resistenze, in nessuna delle case dell'Ospedale ci sono
dei poveri che non siano occupati, ad eccezione dei malati gravi o di quelli
completamente invalidi. Vengono costretti a lavorare persino vecchi, storpi o
paralitici, e da quando è stato introdotto questo lavoro diffuso, c'è più
disciplina, più ordine e più devozione fra i poveri. (in Ch.
Paultre, De la répression de la mendicité et du vagabondage en France sous
l'Ancien régime, Paris
1906, p. 138.)
10.
^ Molti
poveri si affezionarono al lavoro e si può dire che tutti ne fossero capaci, ma
le loro abitudini all'ozio e alla malvagità spesso prendevano il sopravvento
sulle loro promesse e assicurazioni, come anche sugli sforzi dei direttori e
del personale dell'ospedale (in Ch. Paultre, op.cit. pag.189)
11.
^ «Quegli
esseri infelici conducono qui una triste vita. Sempre a scuola, sempre alla portata della frusta della vigilante, condannate
all'eterno celibato, ad un cibo cattivo e repellente, possono solo sperare in un caso
fortunato: che qualcuno le prenda a servizio o ad imparare qualche mestiere
faticoso. Ma anche allora, che razza di vita! Basta una piccola lamentela di un
datore di lavoro ingiusto e vengono riportate all'ospedale per essere punite...
[ecco] degli esseri offesi che, se anche il caso li gettasse nella vita
sociale, occuperebbero la più infima delle posizioni.» ( Restif de la Bretonne, Les nuits de Paris, scelta a cura di P.
Boussel, Paris, 1963, p. 287.)
12.
^ Chi veniva
colto a mendicare per la prima volta veniva condannato alla reclusione
nell'ospedale generale per almeno due mesi; la seconda volta , si veniva
condannati all'internamento per almeno tre mesi e alla marchiatura con la
lettera M (da mendiant, mendicante); per la terza volta agli uomini toccavano
cinque anni sulle galere, alle donne cinque anni di reclusione nell'ospedale generale (itribunali potevano
aumentare la pena fino all'ergastolo)
13.
^ Sulla
presunta "felicità del proletariato inglese" scriveva qualche anno
dopo nel 1844 Karl Marx in un
articolo pubblicato a firma : "Un prussiano" intitolato "Il
re di Prussia e la riforma sociale":«Si concederà inoltre che
l'Inghilterra è il paese del pauperismo; perfino questa parola è di origine inglese. L'esame
dell'Inghilterra è dunque l'esperimento più sicuro per conoscere il rapporto di
un paese politico col pauperismo. In Inghilterra la miseria degli operai non è
parziale, ma universale; non limitata ai distretti industriali, ma estesa a quelli agricoli. I movimenti qui non sono in sul nascere, bensì da quasi un secolo
si ripresentano periodicamente. Come intendono il pauperismo la borghesia inglese e
il governo e la stampa ad essa
legati? Nella misura in cui la borghesia inglese ammette che il pauperismo è
una colpa della politica, il whig considera il tory, e il tory il whig, come la causa del pauperismo. Secondo il
whig, il monopolio della
grande proprietà terriera e la legislazioneprotezionista contro l'importazione dei cereali è la fonte
principale del pauperismo. Secondo il tory, tutto il male risiede nel liberalismo, nella concorrenza, nel sistema industriale spinto
troppo avanti. Nessuno dei partiti trova il
motivo nella politica in
generale, bensì ciascuno di essi lo trova nella politica del proprio partito;
ma ambedue i partiti non si sognano neppure una riforma della società.»
Bibliografia
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§ Restif de
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§ E.Buret, De la misère des classes
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lui opposés jusqu'ici; avec l'indication des moyens propres a en affranchir les
sociètes, Bruxelles, 1842
§ Gaeta,
Villani, Le encicliche sociali
dei Papi da Pio IX a Pio XII, 1846-1946, Milano 1971
Voci correlate
§ Carestia
§ Fame
§ Inedia
§ Malattia
Collegamenti esterni
§ Pagina sul sito Istat contenente
dati su povertà e consumi in Italia
§ Sezione
del sito di Caritas Italiana con
presentazioni e schede di sintesi di tutti i Rapporti Caritas-Zancan su povertà
ed esclusione sociale in Italia
La
ricchezza oggi
XXI Secolo (2009)
di Daniele Fano
La
ricchezza oggi
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