venerdì 7 novembre 2014

EGITTO: Rivoluzione egiziana del 2011-2013 - Prevista il 13/07/2006. Messaggio n. 2.706. Profezia compiuta della Madonna di Anguera. "Ci sarà una grande ecatombe in Egitto e i miei poveri figli conosceranno una croce pesante."




  • POST DEL 7/11/2012  (PROFEZIA IN FASE DI SVOLGIMENTO PER PROTESTE IN CORSO) - AGGIORNATO AL 16/09/2018 (PROFEZIA COMPIUTA).





2.706 - 13/07/2006

Cari figli, il Signore è la certezza della vostra vittoria. Cercate in Lui la vostra forza e non conoscerete mai il peso della sconfitta. L’umanità si è allontanata da Dio e gli uomini camminano come ciechi che guidano altri ciechi. Pentitevi e testimoniate con la vostra stessa vita che siete del Signore. Ci sarà una grande *ecatombe in Egitto e i miei poveri figli conosceranno una croce pesante. Io sono vostra Madre e voglio dirvi che questo è il tempo del grande ritorno. Non restate stazionari. Dio attende il vostro Sì. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
·         1 Nell'antica Grecia, sacrificio di cento buoi in onore degli dei; estens. sacrificio di più animali
·         2 fig. Strage, massacro


  • Z - EGITTO - 8 Profezie di Anguera di cui 3 avverate.
  • 2.527 - 24.05.2005
    Cari figli, riempitevi dell’Amore di Dio e lasciatevi guidare dallo Spirito Santo. Allontanatevi da tutto ciò che paralizza il vero amore. I tempi in cui vivete sono difficili perché la creatura è più valorizzata del Creatore. Non permettete che il seme del male si impadronisca di voi. Siate unicamente del Signore. Io sono vostra Madre e soffro a causa delle vostre sofferenze. Qualunque cosa accada, Dio sarà sempre vicino a voi. DA UNA REGIONE DELLA BAHIA SI ALZERÀ UN GIGANTE ADDORMENTATO CHE PORTERÀ SOFFERENZA PER MOLTI. Pregate. Inginocchiatevi in preghiera per sopportare il peso delle prove che verranno. Dall’Egitto verrà una notizia che si diffonderà per il mondo e la fede di molti uomini sarà scossa. Non dimenticatevi dei miei appelli. Restate saldi sul cammino che vi ho indicato. Accogliete il Vangelo e gli insegnamenti del vero Magistero della Chiesa. State attenti. Non lasciatevi ingannare. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
    Bahia può riferirsi a:
    §  Bahia, nome con cui viene comunemente chiamata la città di Salvador, (ufficialmente São Salvador da Bahia de Todos os Santos) nello stato di Bahia


    2.662 - 1 aprile 2006
    Cari figli, non cercate le glorie di questo mondo, ma cercate la gloria del Signore. Non permettete che le cose del mondo vi allontanino dal Signore. Dite “no” al peccato. Dalla montagna di Malcesine verrà grande sofferenza per i suoi abitanti. La morte passerà per Tortola e i miei poveri figli sperimenteranno grande sofferenza. Chilliwack e il Cairo saranno in macerie. Non restate con le mani in mano. Questo è il tempo della grazia. Io sono vostra Madre e desidero la vostra conversione. Avanti. Dio è al vostro fianco. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
    Malcesine (Malsésen in dialetto gardesano[4]) è un comune di oltre 3.700 abitanti della provincia di Verona, nell'alto Lago di Garda. Italia
    Tortola è un'isola caraibica appartenente all'arcipelago delle Isole Vergini Britanniche (British Virgin Islands), colonia inglese. È l'isola più grande e la più popolata dell'arcipelago, su di essa è situata la capitale Road Town
    Il distretto regionale di Fraser Valley (FVRD) è un distretto regionale della Columbia BritannicaCanada di 257.031 abitanti, che ha come capoluogo Chilliwack.

    Toponimi


    2.670 - 20/04/2006
    Cari figli, il Signore vi chiama. Rispondete gioiosamente alla sua chiamata di amore e sarete salvi. Sappiate che il Giardino non sarà più un posto sicuro, perché il pericolo verrà dai terreni del grande campo vicino alla rupe del fiume nero. Inginocchiatevi in preghiera. Confidate nel potere di Dio e allontanatevi da ogni male. Salta* sarà colpita e i miei poveri figli porteranno una croce pesante. Convertitevi. Dalla vostra conversione dipendono molte cose. L’idolatria dell’Egitto sarà sconfitta. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
    *provincia del nordest argentino (nota del redattore brasiliano)
    Salta è una città situata nel nord-ovest dell'Argentina ai piedi della cordigliera delle Ande, capitale dell'omonima provincia

    Al di là del fiume Nero , a ovest, si trova l'altopiano di Tug Hill , e a nord il fiume San Lorenzo . Gli Adirondack rappresentano un ...

    La Ufa (anche Karaidel', dal baschiro Ҡариҙел, fiume nero) è un fiume della Russia europea orientale (Oblast' di Čeljabinsk e .

    Il fiume Nero è un corso d'acqua della provincia di Bergamo . Nasce dal monte Cima Soliva , nelle Alpi Orobie e confluisce dopo 6 km da ..

    Al di là del fiume Nero , a ovest, si trova l'altopiano di Tug Hill , e a nord il fiume San Lorenzo . Gli Adirondack rappresentano un ...

    2.706 - 13/07/2006
    Cari figli, il Signore è la certezza della vostra vittoria. Cercate in Lui la vostra forza e non conoscerete mai il peso della sconfitta. L’umanità si è allontanata da Dio e gli uomini camminano come ciechi che guidano altri ciechi. Pentitevi e testimoniate con la vostra stessa vita che siete del Signore. Ci sarà una grande ecatombe in Egitto e i miei poveri figli conosceranno una croce pesante. Io sono vostra Madre e voglio dirvi che questo è il tempo del grande ritorno. Non restate stazionari. Dio attende il vostro Sì. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.

    2.889 - 14/09/2007
    Cari figli, l’umanità si è contaminata con il peccato e gli uomini camminano come ciechi che guidano altri ciechi. Ecco che sono giunti i tempi da me predetti. Avvicinatevi al Signore. Egli vi attende a braccia aperte. Pregate e amate. Senza preghiera e senza amore non potete crescere nella vita spirituale. Io sono vostra Madre e attendo il vostro sì sincero alla mia chiamata di conversione. Non tiratevi indietro. Un attentato contro la casa del Signore attirerà l’attenzione del mondo. Colui che si oppone a Cristo agirà con grande furia. Pregate. Pregate. Pregate. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
    3.393 - 30 ottobre 2010
    Cari figli, Io sono vostra Madre e sono venuta dal cielo per chiamarvi alla conversione sincera. Vi chiedo di vivere i miei messaggi con coraggio. Non voglio forzarvi, ma vi chiedo di essere docili ai miei appelli. Gli uomini si sono allontanati da Dio e sono diventati ciechi spiritualmente. Sono giunti i tempi più dolorosi per l’umanità. Tornate al Signore per mezzo di un affidamento amorevole e sincero. Dio vi ama e vi attende con immenso amore di Padre. Camminate verso un futuro di grandi difficoltà. La terra si agiterà e l’Egitto berrà il calice amaro del dolore. Pregate, pregate, pregate. Il Medio Oriente conoscerà una croce pesante e i miei poveri figli chiederanno aiuto. Bela sarà in lacrime per la morte dei suoi figli. Inginocchiatevi in preghiera. La vostra vittoria è nel Signore. Non restate con le mani in mano. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
    Bela può riferirsi a:  -fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Bela

    3.554 - 15 ottobre 2011 

    Cari figli, pentitevi sinceramente dei vostri peccati e servite il Signore con amore e fedeltà. L’umanità si è contaminata con il peccato ed è arrivato il momento del vostro ritorno al Dio della salvezza e della pace. Vi chiedo di vivere coraggiosamente i miei appelli e di cercare di testimoniare ovunque che appartenete al Signore. L’umanità cammina verso l’abisso della distruzione che gli uomini hanno preparato con le proprie mani. Convertitevi. Se vi convertite, ben presto l’umanità sarà guarita spiritualmente. Inginocchiatevi in preghiera, perché la forza della preghiera trasformerà i cuori induriti. La croce sarà pesante per coloro che stanno a  Cher e Tanta. Soffro per ciò che vi attende. Tornate in fretta. Il mio Signore vi ama e vi attende a braccia aperte. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.

    Cher, dipartimento francese della regione Centro

    Tanta, città dell'Egitto, capoluogo del Governatorato di Gharbiyya.

    3.559 - 23 ottobre 2011 

    Cari figli, abbiate coraggio, fede e speranza. Io sono al vostro fianco anche se non mi vedete. Voi appartenete al Signore ed Egli si aspetta molto da voi. Credete fermamente nel potere di Dio e sperate in Lui con gioia. Vi chiedo di allontanarvi da tutto ciò che paralizza in voi il vero amore del Signore. Non voglio obbligarvi, ma ascoltatemi. Ho bisogno del vostro sì sincero e coraggioso. Inginocchiatevi in preghiera. L’umanità è malata e ha bisogno di essere curata. Servite il Signore e in tutto imitate mio Figlio Gesù. Soffro per ciò che vi attende. Accadrà a Monte Santo e si ripeterà a Qaliubia. I miei poveri figli porteranno una croce pesante. Cercate forza nell’Eucaristia e nelle parole di mio Figlio Gesù. In Lui è la vostra salvezza e al di fuori di Lui mai l’uomo troverà la piena felicità e salvezza. Tornate in fretta. Non rimandate a domani quello che dovete fare. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.

    Le località citate:
    Per Monte Santo credo che faccia riferimento alla Repubblica monastica del Monte Athos, territorio autonomo della Repubblica Greca, dotato di uno statuto speciale di autogoverno.

     Monte Santo, comune dello stato di Bahia inBrasile.

    Tuttavia, ci sono altre località con questo nome:
    per Monte Santo potrebbe far riferimento anche alla Repubblica monastica del Monte Athos, territorio autonomo della Repubblica Greca, dotato di uno statuto speciale di autogoverno.
    Oppure a:
    Monte Santo de Minas, comune dello stato del Minas Gerais in Brasile.
    O anche a:
    Monte Santo de Tocantins, comune dello stato del Tocantins in Brasile.

    Qaliubia, governatorato dell'Egitto che si trova nel delta del Nilo.


Elezioni presidenziali egiziane del 2012

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Elezioni presidenziali 2012
Stato
Data
23-24 maggio; 16-17 giugno
Candidati
Partito
-
I turno
5.764.952
24,78 %
5.505.327
23,66 %
II turno
13.230.131
51,73 %
12.347.380
48,27 %
Mohammed Hoseyn Tantawi (capo provvisorio)
Le elezioni presidenziali egiziane del 2012 si sono tenute il 23 e 24 maggio (primo turno) e il 16 e 17 giugno (secondo turno). Esse hanno visto la vittoria di Mohamed Morsi, che è divenuto Presidente.

Risultati elettorali 

Primo turno 

Candidati
Liste
Voti
 %
5.764.952
24,78
-
5.505.327
23,66
4.820.273
20,72
-
4.065.239
17,47
-
2.588.850
11,13
-
235.374
1,01
-
134.056
0,58
40.090
0,17
29.189
0,13
-
23.992
0,10
23.889
0,10
22.036
0,09
12.249
0,05
Totale
23.265.516

Secondo turno 

Candidati
Liste
Voti
 %
13.230.131
51,73
-
12.347.380
48,27
Totale
25.577.511



Tamàrrud

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l movimento del Tamàrrud (arabo: تمرد‎, "ribellione"), che in dialetto egiziano viene pronunciato tamarrod, è un movimento egiziano di opposizione al presidente d'Egitto Mohamed Morsi. Il movimento ribelle, nato il 28 aprile 2013, ha raccolto una vasta partecipazione popolare, e ha annunciato di aver raccolto oltre ventidue milioni di firme per chiedere la destituzione del presidente Morsi e per ottenere elezioni anticipate. Il movimento, inoltre, propugna l'istituzione di un governo tecnico in attesa di nuove elezioni. Il loro sito ufficiale è stato redatto in quattro lingue.
Il 3 luglio 2013, di fronte al movimento di protesta, Mohamed Morsi è stato rimosso dalla carica da un colpo di stato messo in atto dall'esercito egiziano, e sottoposto a misure restrittive della libertà, a poco più di un anno dalla sua elezione, nel 2012 avvenuta nelle file del Partito Libertà e Giustizia, espressione dei Fratelli Musulmani[1].

Note ^ Morsi agli arresti domiciliari, Rai News 24, 3 luglio 2013


Golpe egiziano del 2013

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Data
3 luglio 2013 - in corso
Luogo
Egittopiazza Tahrir e palazzo Heliopolis a Il Cairo e in altre città egiziane tra cuiAlessandriaPorto Said e Suez
Esito
·         Il presidente della Repubblica Mohamed Morsi deposto dai militari[1]
·         Costituzione sospesa[1]
·         Adli Mansur diventa presidente della Repubblica ad interim[1]
·         Invito a una nuova elezione da determinarsi da parte del governo provvisorio[1]
·         Arresti e la detenzione di membri dei Fratelli Musulmani[1]
Schieramenti
Comandanti

Il golpe egiziano del 2013 è un colpo di stato attuato il 3 luglio 2013 dall'esercito nazionale contro il presidente egiziano Mohamed Morsi, dopo una fase di contrapposizione tra quest'ultime e un vasto movimento popolare di opposizione, noto come Tamarrud.[2]
Storia
Antefatti
I disordini iniziano nel novembre 2012 all'indomani dell'auto-attribuzione, mediante decreto, del presidente Mohamed Morsi di ampi poteri nel campo del potere giudiziario, giustificandosi di voler rendere non impugnabili i suoi decreti presidenziali per mettere al riparo il lavoro dell'Assemblea Costituente incaricata di redigere una nuova Costituzione.[3][4]
Il colpo di stato
Dal 30 giugno 2013, a un anno dall'elezione del presidente e leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi, milioni di manifestanti scendono nelle principali piazze delle città egiziane.[1][5]
Numerosi saranno gli scontri durante la notte con 16 morti a Il Cairo, dopo che molti dimostranti hanno attaccato la sede dei fratelli musulmani nella capitale.
Le proteste vanno avanti, e il 1º luglio le forze armate egiziane e il ministero della difesa impongono un ultimatum di 48 ore al presidente Morsi. Entro quel tempo il presidente dovrà «dare delle risposte al popolo egiziano», realizzando le loro richieste.
L'ultimatum verrà rifiutato da Morsi il giorno seguente.[6][7]
Lo stesso giorno (2 luglio) il presidente Morsi lancia un «appello al martirio», affermando di voler proteggere la democrazia con la sua stessa vita. Su Twitter il presidente ribadisce: «Non mi lascerò dare ordini, né dall'interno né dall'estero». Verso sera il generale al-Sisi, capo dell'esercito, chiede a Morsi di cedere il potere, per salvare quelle vite che andrebbero perse negli scontri tra l'opposizione e i suoi sostenitori.[8]
Allo scadere dell'ultimatum il presidente Morsi propone un governo di coalizione nazionale[9], ma le forze armate dopo un dialogo con uno dei leader della protesta decidono di deporre il presidente.[10]
Morsi in seguito insieme ai suoi collaboratori e membri del governo vengono arrestati per evitare l'espatrio. L'annuncio del colpo di Stato è andato in onda a reti unificate nel paese ed è stato annunciato dal generale Abd al-Fattah Khalil al-Sisi.[1][5]
Dopo il golpe
Il giorno dopo il golpe, in molte città ci sono stati scontri tra gli oppositori e i fratelli musulmani. Vengono inoltre arrestati la guida spirituale musulmana e il suo vice, per istigazione alla violenza.
4 luglio
Il 4 luglio viene nominato presidente ad interim fino alle future elezioni presidenziali il giudice, nonché presidente della corte costituzionale, Adli Mansur.[1][11]
Si verificano nuovi scontri nelle principali città del paese, durante la notte, con 9 morti e 16 feriti.[11]
5 luglio
Il 5 luglio, giorno chiamato anche "Venerdì del rifiuto" dai Fratelli Musulmani, ci sono stati altri scontri tra i sostenitori di Morsi e l'esercito. A fine giornata il bilancio sarà di 30 morti.[12]
Il procuratore generale d'Egitto ha ordinato la scarcerazione di due figure di spicco della Fratellanza: Sa'd al-Katatni, capo del partito della Giustizia e Libertà e il vice della Guida Suprema, Rashad al-Bayumi.[12]
Ha fatto scalpore l'apparizione pubblica di Mohammed Badi', guida spirituale dei Fratelli Musulmani, durante le manifestazioni degli islamici, in quanto si riteneva fosse stato arrestato il 3 luglio. Egli ha dichiarato:
« Non sono in fuga, non mi hanno arrestato. A tutti gli egiziani dico: Morsi è il vostro presidente. E resteremo nelle strade a milioni finché non riporteremo in trionfo il nostro presidente eletto. Proteggeremo il presidente Mohamed Morsi a costo della nostra vita. L'esercito deve restare lontano dalla politica e l'Egitto non conoscerà mai più il potere militare.[12] »
Lo stesso giorno il Presidente della Repubblica ad interim Adli Mansur ha emesso un decreto costituzionale con cui viene sciolto anche il Consiglio della Shūra (che era l'unico organo depositario del potere legislativo dal 29 novembre 2012[13]).[12]
6 luglio
Il Fronte di salvezza nazionale, che raccoglie tutte le forze laiche di opposizione, ha convocato una manifestazione per «difendere la rivoluzione del 30 giugno», a seguito della decisioni dei Fratelli Musulmani di rimanere in piazza «fino al ritorno del nostro presidente eletto Mohamed Morsi».[14]
Il Presidente Mansour rende noto di voler nominare Mohamed El Baradei primo ministro d'Egitto ad interim, raccogliendo la forte opposizione dei Fratelli Musulmani e dei salafiti.[15]
7 luglio
Nel clima di forte opposizione del partito al-Nur (che sostiene l'azione dei militari) all'ipotesi di nominare al-Barade'i nuovo Primo ministro, l’economista liberale (laureato a Oxford), Ziyād Bahāʾ al-Dīn,[16] co-fondatore del Partito Socialdemocratico Egiziano, è stato indicato dalla TV di Stato egiziana come il probabile nuovo premier ad interim. Un portavoce della presidenza ha riferito che al-Barade'i sarebbe invece stato nominato vicepremier ad interim.[17][18][19]
Tale opzione trova, all'inizio, l'appoggio dei salafiti di al-Nūr: il loro portavoce dichiara che Ziyād Bahā' al-Dīn «è una delle figure liberali che gode di grande rispetto».[20]
In seguito però - per bocca del suo presidente - al-Nūr boccia anche questa proposta, poiché Muhammad al-Barāde'ī e Ziyād Bahā' al-Dīn «sono entrambi del Fronte di salvezza nazionale [la coalizione delle opposizioni laiche], ed è una cosa che respingiamo».[21][22]
Al Jazeera denuncia che le forze di sicurezza egiziane sono entrate nella redazione del Cairo dell'emittente qatarina. Già il 3 luglio, giorno in cui le Forze Armate deposero Morsi, la sede di Al Jazeera in Egitto era stata oggetto di un'irruzione apparentemente simile, conclusasi con l’arresto dei suoi dipendenti.[19][22]
In piena notte un'esplosione è avvenuta ad un gasdotto che attraversa il Sinai diretto in Giordania.[21]
Fonti dell'esercito hanno rivelato che le forze armate egiziane hanno chiuso tutti gli altri accessi alla parte orientale del Cairo, così da impedirvi l’afflusso dei seguaci del deposto presidente Mohamed Morsi e dei Fratelli Musulmani, allo scopo di evitare scontri con i militanti laici.[22]
Smentendo le iperboliche cifre fornite dalla Fratellanza, fonti militari hanno indicato in circa 20 000 i manifestanti pro-Morsi radunati di fronte alla moschea di Rābiʿa al-ʿAdawiyya a Nasr City, pressappoco a 5 km dal Palazzo presidenziale al-Ittiḥādiyya (Unità).
8 luglio
Un gruppo di sostenitori dell'ex-presidente Morsi, che manifestava davanti a una sede della Guardia Repubblicana (esercito egiziano), è stato attaccato da un gruppo di militari. I morti, dice la televisione di stato, sono 42 e i feriti almeno 300.[23][24]
Un esponente di spicco dei Fratelli Musulmani, Muhammad Ibrahim al-Beltagi, ha parlato di «vera carneficina» e ha esortato «tutte le persone libere del mondo a intervenire per fermare ulteriori massacri e impedire una nuova Siria nel mondo arabo», chiedendo alla comunità internazionale di fermare le stragi.[25]
L'esercito ha giustificato l'attacco ai sostenitori di Morsi con la necessità di impedire a un «gruppo terroristico» di assaltare una postazione della Guardia Repubblicana.[25]
Al Jazeera ha riferito che molte delle vittime della strage sarebbero state uccise da alcuni cecchini dell'esercito, poiché molti dei morti, secondo una fonte dei servizi di soccorso, riportano spari alla testa o al collo. Molti esponenti della Fratellanza hanno pubblicato su Twitter foto di cadaveri o di feriti che mostrano segni di pallottole al cranio o nella parte alta del corpo.[26]
A seguito della strage, al-Barade'i ha richiesto l'apertura di un'inchiesta su quanto accaduto. Sul suo profilo Twitter egli ha scritto: «La violenza genera violenza, e dovrebbe essere condannata in maniera forte. Un'indagine indipendente è necessaria. La transizione pacifica è l'unica strada da percorrere».[23][27]
L'agenzia di stampa AFP ha riferito che è stata ordinata la chiusura della sede del partito Libertà e Giustizia al Cairo dopo che la polizia vi avrebbe trovato «liquidi infiammabili, coltelli e armi» da usare durante le manifestazioni anti-Morsi, contro i militanti dell'opposizione laica.[23][28]
A fine giornata il portavoce delle forze armate chiede che «vengano smobilitati i sit-in [dei manifestanti pro-Morsi]» e promette che i «manifestanti non saranno arrestati».[29][30]
9 luglio
In attesa di nuove elezioni il portavoce presidenziale, Ahmad al-Muslimani, annuncia che è stato nominato Primo ministro ad interim l'economista liberale Ḥāzem al-Beblāwī, già ministro delle Finanze, anche in considerazione della non ostilità di al-Nūr.[31][32]
Il presidente Mansur ha deciso di assegnare ad al-Barade'i la carica di vice Presidente della Repubblica ad interim.[31][32]
I Fratelli Musulmani, in risposta a queste scelte, convocano un'altra manifestazione, definendo il 9 luglio il «giorno del milione di martiri», per chiedere la liberazione di Morsi e il ripristino della legalità.[33]
Nello stesso giorno il presidente Mansour emana un decreto che definisce la road map istituzionale per riportare il paese alla normalità:[33]
·         entro 15 giorni va istituita una commissione costituente che entro due mesi presenti alla presidenza gli emendamenti alla nuova costituzione di stampo islamico – sospesa nel colpo di stato – voluta dai Fratelli musulmani;
·         gli emendamenti saranno quindi sottoposti a referendum popolare entro un mese dalla loro presentazione.
·         svolta la consultazione popolare, entro due mesi (cioè entro la fine dell’anno) si dovranno tenere le elezioni parlamentari.
·         solo allora, con una nuova costituzione e un parlamento funzionante, saranno indette nuove elezioni presidenziali.
I leader della campagna Tamàrrud (contro l'ex presidente egiziano Mohammed Morsi) hanno definito «dittatoriale» la dichiarazione costituzionale diffusa dal presidente ad interim Adly Mansour. Lo si legge sul profilo Twitter di Tamarrod.[34]
10 luglio
Nella notte tra il 9 e il 10 luglio si sono verificati scontri nella regione del Sinai tra militanti islamisti e militari. Il bilancio è di due morti e sei feriti.[35]
In mattinata il Fronte di Salvezza Nazionale (opposizione laica) ha dichiarato di non essere soddisfatto del decreto presidenziale di Mansour, così come i Fratelli Musulmani.[36]
Il nuovo premier el Beblawi ha annunciato che avvierà oggi i lavori per la formazione del nuovo governo.[37] Un portavoce dell'esecutivo ha riferito che il premier Ḥāzem al-Beblāwī sarebbe intenzionato a offrire dei ministeri anche al partito Libertà e Giustizia (l'ala politica dei Fratelli Musulmani).[35] Il portavoce della Fratellanza ha però smentito qualsiasi possibilità di entrare nel governo provvisorio: «Non trattiamo con i golpisti, respingiamo qualunque cosa che arrivi da questo colpo di Stato».[38]
Il Procuratore generale egiziano ha emanato, poco dopo mezzogiorno, un mandato d'arresto per il leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Badi', per «istigazione all'omicidio e alla violenza».[39][40]
Opinioni e valutazioni sul colpo di stato
Il professore Roger Owen, docente di Storia del Medio Oriente all'Università di Harvard, ha dichiarato in un'intervista a il Manifesto:
« L'esercito egiziano interviene per fermare la mobilitazione popolare, dice di farlo in nome del popolo ma in realtà lo fa per far tornare il popolo a casa. È avvenuto lo stesso durante la rivoluzione francese.[41] »
David Piccardo, coordinatore delle Associazioni Islamiche di Milano (AIM), in un intervento sull'Huffington Post, ha scritto che ciò che è accaduto in Egitto è stato un vero colpo di Stato:
« Anche in Italia i difensori della democrazia a senso unico, oggi, nella migliore delle ipotesi, tacciono imbarazzati, nella maggior parte dei casi gioiscono chiamando democrazialibertà e progresso la destituzione di un presidente eletto, legittimo, la sospensione della costituzione, l'arresto dell'intera leadership di un movimento politico e la chiusura immediata dei canali televisivi ritenuti ostili. Questi provvedimenti, è bene ricordarlo, si sommano alla sospensione del parlamento eletto dagli egiziani avvenuta un anno fa.[42] »
Anche l'orientalista e storico della filosofia islamica Massimo Campanini, è convinto che si sia trattato di un vero e proprio colpo di Stato e non di una "rivoluzione". Lo studioso però pone l'accento sull'alleanza tra esercito e opposizione:
« Quello egiziano è stato un golpe, non una rivoluzione. I militari hanno rovesciato Morsi, eletto democraticamente, pretendendo di interpretare la volontà popolare. Non riuscendo in altro modo a ottenere le dimissioni di un presidente che durante il suo mandato ha fatto degli errori, varando anche provvedimenti autoritari, l'opposizione si è alleata con i generali, avallando il loro colpo di Stato.[43] »
Per il quotidiano francese le Monde si è trattato di «golpe che nessuno vuole chiamare golpe».[43]
Al contrario per il quotidiano britannico The Guardian: «La cacciata di Morsi in Egitto è la seconda rivoluzione in due anni».[43]
Per Hasni Abidi, politologo e specialista del mondo arabo, direttore del "Centro di studi e di ricerca sul mondo arabo e mediterraneo", l'azione dell'opposizione e dell'esercito rappresenta una continuazione della rivoluzione che depose Mubarak:
« Abbiamo assistito al colpo di Stato più twittato e più connesso della storia. Questo evento ci trasmette anche un’altra immagine della democrazia. La nostra percezione europea non è la stessa di quella degli egiziani scesi in strada. Sono convinti che il fatto di aver chiamato in aiuto l’esercito per rovesciare un uomo eletto rappresenta un ripristino della rivoluzione del 24 gennaio 2011.[44] »
Il giornalista francese Bernard Guetta, esperto di politica internazionale, in un articolo sull'Internazionale sostiene che:
« Non è stato solo l’esercito a rovesciare il presidente Mohamed Morsi, ma anche una larga coalizione che politicamente rappresenta la maggioranza degli egiziani. Ciò non toglie che si tratta di un golpe contro un capo di stato legittimo, che l’esercito ha ripreso in mano il controllo del paese e che l’ondata di arresti nei ranghi dei Fratelli musulmani è ingiustificabile. Certo, questo non significa necessariamente che siamo tornati alla dittatura militare, perché l’Egitto in rivoluzione non si lascerà rubare facilmente le libertà conquistate. Ma resta il fatto che l’esercito è uscito dalle caserme, e non sarà facile farcelo ritornare.[45] »
Il portavoce dei cattolici egiziani, Rafic Greiche, sostiene che ciò che è accaduto in Egitto non è un golpe:
« Quanto sta accadendo in Egitto non è un colpo di Stato. L'esercito ha scelto di proteggere una rivoluzione pacifica organizzata dai giovani egiziani e seguita da milioni di persone in tutto il Paese.[46] »
Voci correlate
·         Tamarrud
·         Primavera araba
·         Fratelli Musulmani
·         Mohamed Morsi
·         Rivoluzione egiziana del 2011

Referendum costituzionale egiziano del 2011

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
 Il referendum costituzionale si è svolto in Egitto il 19 marzo 2011[1], a seguito delle sommosse popolari in Egitto del 2011. Più di 14 milioni (77%) a favore, mentre circa 4 milioni (23%) contro le modifiche, il 41% di 45 milioni di elettori sono andati a votare[2].
Le riforme costituzionali approvate includono una limitazione della presidenza a un massimo di due termini di quattro anni, il controllo giudiziario delle elezioni, la possibilità per il presidente di nominare un vice, una commissione per redigere una nuova costituzione a seguito delle elezioni parlamentari, facilitato l'accesso alle elezioni presidenziali da parte dei candidati tramite la raccolta di 30.000 firme di almeno 15 province, 30 membri di una camera del legislatore, o la designazione da parte di detentori di almeno un seggio in parlamento[3].
Tali riforme sono state accettate da entrambi gli schieramenti politici per aumentare le garanzie democratiche, ma alcuni criticano che una imminente elezione possa favorire l'ascesa al potere deiFratelli musulmani e membri dell'ex Partito Nazionale Democratico di Hosni Mubarak. I sostenitori di quest'ultimi lamentano che un'attesa eccessiva delle elezioni possa consolidare il potere deimilitari con una conseguente destabilizzazione in vista delle future elezioni[2].
Le elezioni parlamentari sono previste entro i prossimi sei mesi, con gruppi già al lavoro per creare nuovi partiti politici, con i candidati pronti a riformare il paese.

Contesto storico 

La costituzione del 1971 è stata sospesa dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, il 13 febbraio 2011, due giorni dopo le dimissioni di Hosni Mubarak. Venne in seguito scelto un comitato di giuristi per elaborare emendamenti al fine di aprire la strada a nuove elezioni parlamentari e presidenziali[4][5].
In caso di vittoria del "no" la costituzione del 1971 sarebbe stata annullata e uno nuova doveva essere ratificata prima delle elezioni, che probabilmente hanno esteso il periodo previsto di transizione fino al 2012 le elezioni.[6]

Articoli della vecchia costituzione 

1.    Articolo 75 della costituzione egiziana: "Il Presidente della Repubblica deve essere un egiziano nato da genitori egiziani e godere dei diritti civili e politici. La sua età non deve essere inferiore a 40 anni"[7].
1.    Articolo 76 della costituzione egiziana: "L'Assemblea popolare designa il Presidente della Repubblica. La nomina è sottoposta al popolo per plebiscito. La nomina per il presidente della Repubblica deve essere fatta nel nome della Assemblea popolare su proposta di almeno un terzo dei suoi membri. Il candidato che ottiene i due terzi dei voti dei membri dell'Assemblea popolare è sottoposto al popolo per plebiscito. Se il candidato non ottiene la maggioranza il processo di nomina deve essere ripetuta due giorni dopo la prima votazione. Il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti dei membri dell'Assemblea è sottoposta ai cittadini per plebiscito. Il candidato dovrà essere considerato Presidente della Repubblica, quando ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi nel plebiscito. Se il candidato non ottiene questa maggioranza, l'Assemblea propone la nomina di un altro candidato e la stessa procedura deve seguire riguardo alla sua candidatura e l'elezione[7].
1.    Articolo 77 della costituzione egiziana: "La durata della presidenza è di sei anni a partire dalla data della proclamazione dei risultati del plebiscito. Il Presidente della Repubblica può essere rieletto per altri mandati consecutivi"[7].
1.    Articolo 88 della costituzione egiziana: "La legge determina le condizioni che membri dell'Assemblea devono soddisfare, nonché le regole di elezione e referendum, mentre il voto deve essere sotto la supervisione dei membri di un organo giudiziario[8].


Rivoluzione egiziana del 2011

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 (Reindirizzamento da Sommosse popolari in Egitto del 2011)
Rivoluzione egiziana del 2011
parte della Primavera Araba
La sede principale del Partito Nazionale Democratico di Mubarak data alle fiamme il 28 gennaio
La sede principale del Partito Nazionale Democratico diMubarak data alle fiamme il 28 gennaio


Data
Luogo
Il Cairo, Alessandria, Suez e altri centri
Causa
richiesta di riforme costituzionali e di cambiamento del regime politico, forte malessere della popolazione giovanile,corruzione, povertà, fame, demografiche fattori strutturali[1]
Esito
dimissioni di Hosni Mubarak e cambiamento del regime politico in senso democratico
846 vittime[2] e 6.647 feriti[3]
La rivoluzione egiziana del 2011, anche nota con il nome di rivolta egiziana del 2011, rivoluzione del Nilo[4], rappresenta un vasto movimento di protesta che ha visto il succedersi di episodi di disobbedienza civile, atti di contestazione e insurrezioni, verificatisi in Egitto a partire dal 25 gennaio del 2011.
Il moto di protesta popolare egiziano, imperniato sul desiderio di rinnovamento politico e sociale contro il trentennale regime del presidenteHosni Mubarak, si è inizialmente manifestato con mezzi pacifici, ispirati alle proteste organizzate in Tunisia e in altri paesi arabi che hanno portato alla destituzione del capo dello stato Zine El-Abidine Ben Ali e a incidenti in numerosi stati, ma ha poi conosciuto sviluppi violenti, sfociando in aspri scontri che hanno provocato numerose vittime tra manifestanti, poliziotti e militari.

Cause

L'Egitto tra crescita economica e povertà

Uno dei moventi della rivolta egiziana del gennaio 2011 è stato individuato soprattutto nel forte desiderio di rinnovamento del regime politico, cristallizzato attorno alla figura del presidente Hosni Mubarak, elemento cardine degli equilibri del paese negli ultimi trent'anni. Come per la Tunisia, dove le sollevazioni hanno avuto come obiettivo quello di un mutamento del vertice governativo occupato da una figura dittatoriale, anche in Egitto a provocare la detonazione della protesta sono stati elementi come l'aumento dei prezzi dei generi alimentari e la crisi occupazionale che colpisce in particolare i giovani.[5][6] Per l'Egitto, nondimeno, le cause della rivolta non sono da individuare nel deterioramento della situazione economica del paese, malgrado quest'ultimo, sebbene in pieno sviluppo, registri il 40% della popolazione su un totale di 85 milioni che vive con meno di 1,50 € al giorno.[6][7]
L'Egitto, infatti, il cui PIL annuo è cresciuto a un ritmo superiore al 5%, ha conosciuto negli ultimi anni la caduta del tasso di disoccupazione dall'11,2% all'8,9%, un aumento del tasso di IDE, con un livello di destinazione di risorse totale da parte di economie esterne per circa 8 miliardi di dollari annui nei settori del turismo, dell'industria e della finanza e inoltre non ha subito i contraccolpi della recente crisi finanziaria che ha colpito le maggiori economie occidentali.[6]
Il governo, a partire dal 2000, ha attuato una serie di riforme, compresi provvedimenti finalizzati alla liberalizzazione del mercato del lavoro e alla ristrutturazione del sistema bancario, che hanno fortemente incrementato i livelli di sviluppo delle imprese egiziane.[6]Tuttavia l'economia, nella quale negli ultimi anni si è registrato, al pari della Tunisia e degli altri mercati internazionali, un forte incremento dell'inflazione e dei prezzi dei generi alimentari, presenta anche aspetti dannosi come un livello dicorruzione molto alto, forti disuguaglianze nella distribuzione del reddito, e soprattutto un cospicuo tasso didisoccupazione giovanile.[8] Tale dato ha ripercussioni particolarmente negative se proiettate sul quadro politico e sociale del paese, tanto più che esso si riferisce alla popolazione giovanile con maggiore scolarizzazione.[8] All'aumento del grado di scolarizzazione, notevolmente promosso dalle autorità egiziane, non è subentrato un incremento della domanda di lavoro e una diffusione più ampia dell'impiego tra i giovani in possesso di un titolo di studio.[6]
La forte domanda di cambiamento da parte della popolazione egiziana, specie quella di giovane età (con il 29% della popolazione che ha un'età compresa tra i 15 e i 29 anni), dunque, a dispetto di un generale miglioramento della situazione economica negli ultimi anni, è stata sostenuta, più che da una richiesta di riforme in ordine all'assetto economico, da una forte volontà di mutamento delle condizioni sociali, oltreché da istanze molto radicate di trasformazione del regime politico in senso democratico e pluralistico[9].

Il trentennale stato d'emergenza

Le richieste di democrazia si uniscono a un malessere suscitato dalle condizioni generate da uno stato di polizia che ha conculcato le libertà personali dei cittadini egiziani, in virtù di uno stato di emergenza in atto per oltre trent'anni e mai revocato. Lo stato di emergenza, in base al quale il presidente Mubārak ha potuto dichiarare il coprifuoco e far intervenire l'esercito, è stato introdotto nella legislazione egiziana nel 1981, dopo l'assassinio del presidente Anwar al-Sadat per mano di estremisti islamici, e da allora sempre prorogato.[10] Tale stato di crisi che conferisce allo stato poteri speciali, assegna la facoltà alla polizia di attuare arresti per periodi illimitati e permette il ricorso ai tribunali speciali.[10]

La corruzione dilagante

Altro dato significativo dell'Egitto è l'alta percentuale di diffusione della corruzione.[11] Transparency International ha collocato il Paese, in base all'indice di percezione della corruzione (Corruption Perception Index), al 98º posto della classifica globale, con un indice di percezione della corruzione nell'ultimo anno della rilevazione (2010) di 3,1. La ricchezza, peraltro, risulta ripartita in modo non equo con una minima percentuale della popolazione che controlla la maggior parte della ricchezza del paese, mentre esiste un 20% degli egiziani che vive al di sotto della soglia di povertà.[11][12] Secondo alcuni calcoli la famiglia di Mubārak ha accumulato nel corso di 30 anni di potere un capitale che si aggira tra i 50 e i 70 miliardi di dollari, tra immobili di prestigio in tutto il mondo,asset finanziari e capitali ingentissimi custoditi in conti segreti all'estero.[12][13]

La rivolta

Proteste al Cairo il 25 gennaio

La scintilla della rivolta si fa risalire al 17 gennaio, quando al Cairo un uomo si dà fuoco, sulla scia di quanto accaduto in Tunisia al venditore ambulante Mohamed Bouazizi, divenuto simbolo della contestazione tunisina.[14] Ancora il 20 gennaio due operai si danno alle fiamme per protestare contro un trasferimento forzoso.[15]
La protesta esordisce il 25 gennaio, quando venticinquemila manifestanti scendono in piazza, nella capitale, per chiedere riforme politiche e sociali, sul modello della "rivoluzione del gelsomino" messa in atto in Tunisia. La manifestazione si trasforma poi in scontro aperto con le forze dell'ordine, con tumulti che hanno lasciato sul terreno quattro vittime, tra cui un poliziotto.[16]
Lo stesso giorno i principali social network, tra cui Twitter e Facebook, appaiono oscurati, secondo alcuni per iniziativa delle autorità per evitare che le notizie in diretta sulle proteste nel paese facciano il giro del mondo.[17]

Nuovi scontri il 26 gennaio

Nonostante il governo avesse vietato gli affollamenti, il giorno dopo le proteste nella capitale il "Movimento 6 aprile" e il gruppo "Khāled Saʿīd"[18], tra gli animatori delle proteste del martedì, incoraggiano la popolazione ad avviare nuove manifestazioni pacifiche per le piazze. Oltre che al Cairo, intense proteste si sviluppano nel Sinai, ad Alessandria e in alcune località del delta del Nilo. A Suez, dove le proteste sono più violente, un gruppo di manifestanti appicca il fuoco al palazzo del governo e tenta di dare alle fiamme la sede locale del partito del presidente Mubārak. Fonti della sicurezza riferiscono che durante il giorno 26 gennaio sono state arrestate 500 persone. Un civile e un agente, inoltre, perdono la vita, mentre decine risultano i feriti.[19]
Il Times of India riporta che il figlio di Mubārak, Gamāl, indicato come probabile successore del padre, sarebbe fuggito a Londra il 25 gennaio insieme alla moglie e ai figli. La notizia viene però smentita da fonti aeroportuali locali.[19]

La rivolta si intensifica

Circa mille persone risultano in stato di fermo dall'inizio della protesta secondo fonti della sicurezza.[20] Intanto per tutta la notte tra il 26 e il 27 gennaio, secondo l'emittente Al Jazeera, gli scontri nelle città egiziane non sono cessati. I fermati vengono accusati di manifestazione non autorizzata, danneggiamento di luoghi pubblici e di blocco stradale.[20][21] L'esponente dell'opposizione egiziana più noto al di fuori del paese, Muhammad al-Barade'i, intanto fa il suo ritorno in Egitto e annuncia di voler sostenere la protesta e di essere pronto a guidare la transizione dopo la caduta di Mubārak se il popolo gli darà il consenso.[22] Lo stesso giorno al-Barade'i, in risposta alle parole del Segretario di Stato americano Hilary Clinton che aveva definito "stabile" il governo di Mubarak, annuncia di essere "allibito e sconcertato" e chiede in una lettera al Daily Beast se con "stabilità" si intendesse riferirsi a "29 anni di leggi d'emergenza, a un presidente con un potere imperiale, a un Parlamento che è quasi una beffa, a una magistratura che non è indipendente".[21]
Mentre ad Ismailia, nel nord dell'Egitto, i manifestanti vengono dispersi dalla polizia, alla quale vengono contestati metodi illegittimi, al Cairo giungono altri 10 blindati e la borsa della capitale registra forti cali. Si decide anche per l'interruzione delle partite del campionato di calcio.[21][23]
A Suez alcuni edifici pubblici sono dati alle fiamme, tra cui una parte dell'ospedale pubblico. All'interno della città portuale 35 persone, fra cui 5 poliziotti, sono gravemente contuse, mentre i manifestanti danno fuoco ai blindati della polizia.[24]
Il timore, nel frattempo, di una fine prossima della dittatura del presidente egiziano, viene considerata dai tradizionali sostenitori del governo egiziano (a partire da Stati Uniti, Italia, Francia e Germania) come foriera di una forte destabilizzazione per l'intero quadro politico del Nordafrica.[25]
Nel frattempo circola la notizia, diffusa dal quotidiano britannico The Telegraph, riguardante un documento diplomatico segreto pubblicato sul sito WikiLeaks che riferisce di accordi riservati tra gli USA e presunti capi della rivolta in atto nel paese. Secondo queste notizie, gli Stati Uniti sarebbero giunti ad un accordo in base al quale se da un lato dichiaravano ufficialmente appoggio al governo alleato di Ḥosnī Mubārak, dall'altro da almeno tre anni avrebbero fiancheggiato segretamente alcuni dissidenti dietro la rivolta di piazza egiziana. Tale accordo farebbe parte di un piano volto a favorire un "cambio di regime" in senso democratico al Cairo nel 2011.[26]
Nel documento del 30 dicembre 2008 l’ambasciatrice americana al Cairo cita un giovane dissidente egiziano del Movimento "6 aprile" aiutato dalla stessa ambasciata a partecipare a un incontro di dissidenti a Washington assieme a esperti e funzionari del governo americano. Al suo ritorno al Cairo, il dissidente egiziano ha rivelato ai diplomatici americani che era stata formata un'alleanza fra gruppi di opposizione con un piano per rovesciare nel 2011 il governo del presidente Mubārak e per installare in Egitto un governo democratico, prima delle elezioni presidenziali previste per il settembre di quello stesso anno.
Nel cablogramma si sostiene inoltre che il piano è "così delicato da non poter essere messo per iscritto" e si afferma la necessità che l'identità del dissidente vada tenuta nascosta per evitare rappresaglie al suo rientro in Egitto. L'alto rappresentante statunitense, infine, si chiede se il piano, che definisce "non realistico", appaia nei fatti realizzabile.[27]

Mubārak posto sotto pressione

Decine di migliaia di persone il 29 gennaio scendono in strada per chiedere che il presidente Mubārak abbandoni il potere, il giorno dopo che lo stesso presidente aveva annunciato in televisione in un discorso tenuto alla nazione che "le violenze di queste ore sono un complotto per destabilizzare la società".[28] Mubārak aveva inoltre affermato di aver chiesto al governo di dimettersi, con la promessa dell'incarico per l'indomani a un nuovo esecutivo.[29]
Il bilancio dei morti dall'inizio della rivolta sale a 100, anche se Al Jazeera ha parlato di 100 morti nella sola giornata di venerdì,[30] si verificano assalti ai ministeri nel Cairo ai quali la polizia e l'esercito reagiscono impiegando armi da fuoco, mentre la piazza principale della capitale è circondata dai carri armati dell'esercito, che intanto ha preso in mano la situazione.[31] Quando manifestazioni e scontri poi sono in atto in tutto il paese, in mattinata diversi detenuti di un carcere nei pressi della cittadella del Cairo, riescono a fuggire prendendo con sé tutte le armi in custodia dopo aver dato fuoco ai posti di guardia.[32] Il Museo egizio del Cairo subisce il saccheggio, nel corso del quale si registra anche la distruzione di due mummiefaraoniche, nonché la sottrazione di diversi reperti.[33][34] Per le ore 16:00 del giorno 29 si fa ricorso alla misura del coprifuoco (esteso al Cairo, ad Alessandria e Suez), ma, nonostante gli appelli dell'esercito, i manifestanti ignorano volutamente tale disposizione e affollano le piazze, talvolta solidarizzando con gli stessi militari.[30]
Le dimissioni ufficiali dei ministri vengono presentate nel primo pomeriggio del 29 gennaio. Diverse ore dopo viene reso noto che il capo dei servizi segreti egiziani, ʿUmar Sulaymān, è stato nominato vice presidente della Repubblica, facendo quindi intravedere la concreta possibilità che a succedergli non sia più suo figlio Gamāl, bensì (secondo quanto stabilito dalla Costituzione) ʿUmar Sulaymān.[30]
Il bilancio delle vittime sale a 150 nella giornata del 30 gennaio.[35] Quando il presidente decide di attuare un nuovo giro di vite nel tentativo di porre sotto controllo la rivolta (rafforzando la presenza dei militari per le strade e ricorrendo maggiormente all'impiego di blindati e aerei militari che sorvolano la capitale), al-Barāde'i rinnova il proprio invito a Mubārak a lasciare la presidenza e si ripropone come nuovo leader del paese.[35] Il governo americano, intanto, per bocca del Segretario di Stato Hilary Clinton e attraverso lo stesso presidente Barack Obama, fa sapere di appoggiare "una ordinata transizione verso un governo che sia in linea con le aspirazioni del popolo egiziano".[35]
Il 31 gennaio, nella speranza di calmare l'escalation della protesta, Mubārak dimette il suo gabinetto,[36]dando corso a un nuovo governo, tra i quali componenti figurano il Ten. Gen. ʿUmar Sulaymān, già nominato vicepresidente, Jabir Asfur come ministro della Cultura,[37] Samir Radwan ministro delle Finanze,[38]l'ambasciatore Ahmad Abu l-Ghayt come ministro degli Esteri, il feldmaresciallo Mohammed Hoseyn Tantawiministro della Difesa e il Maresciallo dell'Aria Ahmad Shafiq Primo ministro. Diversi altri dicasteri, tra i quali quelli della Giustizia, dell'Istruzione e della Sanità sono lasciati vacanti. Il ricambio più rilevante è quello che riguarda il ministro degli Interni, additato come responsabile dell'uso delle armi da fuoco contro i manifestanti, sostituito con l'anziano generale Maḥmūd Wajdī.
Il presidente dell'Assemblea del Popolo, il parlamento egiziano, Aḥmad Fatḥī Surūr, fa sapere che sarà aperta un'inchiesta sulla regolarità delle contestate elezioni legislative del 2010 (vinte con netta maggioranza dal partito del raʾīs Mubārak), la cui dubbia legittimità ha rappresentato (insieme alla disoccupazione, specialmente giovanile, alla crescita ingente della corruzione del regime e allo stato di precarietà economica in cui è tenuto il paese) un elemento di crescente malcontento ed esasperazione nella popolazione.[39][40]
Nel frattempo gli assai numerosi manifestanti del Cairo, di ogni sesso e religione, contravvenendo al coprifuoco anticipato alle ore 15:00, lanciano l'invito affinché si raccolgano, in una mobilitazione generale, un milione di dimostranti nella sola Il Cairo.[41] I militari annunciano la propria decisione, sfidando l'autorità di Mubārak, di non usare la forza contro la popolazione che intenderà ancora dimostrare per richiedere la fine del potere del presidente.[42]
All'indomani della manifestazione svoltasi nella capitale alla quale, si viene a sapere, hanno partecipato due milioni di egiziani, e dopo che Mubārak annuncia in televisione di voler aprire un dialogo con le opposizioni, promettendo la libera scelta di colui che gli subentrerà alla carica di presidente e una riforma costituzionale, Barack Obama rinnova il proprio invito al raʾīs a lasciare la carica auspicando l'inizio immediato della transizione democratica.[43][44]

Ripresa degli scontri

Il 2 febbraio, a dispetto degli inviti dei militari ad abbandonare l'occupazione di piazza Tahrir, la gente decide di mantenere i presidi nel centro della capitale egiziana. Il coprifuoco viene ridotto di due ore, ma la tensione è ancora alta e scontri con numerosi feriti e qualche morto si verificano tra dimostranti a favore del presidente Mubarak e coloro che ne invocano le dimissioni.[45]
L'epicentro della protesta, piazza Tahrir, nelle giornate del 2 e 3 febbraio diviene luogo di un intenso conflitto (con sassaiole, lanci di oggetti e sparute raffiche di armi da fuoco) tra una parte dei dimostranti che difende il potere del rais (e intende sgomberare dalla piazza i presidi della protesta antigovernativa) e chi da giorni ne richiede la fine del governo trentennale. Stime ufficiali parlano di diverse centinaia di feriti trasportati negli ospedali del Cairo, ormai interessata da numerosi posti di blocco e checkpoint dell'esercito e del tutto paralizzata dalle manifestazioni e dagli scontri, mentre si registrano numerose vittime, secondo un bilancio provvisorio una decina.[46][47][48]
Carri armati ed esercito, nel tentativo di sedare gli scontri tra civili, intervengono per far cessare le violenze tra i gruppi favorevoli a Mubārak e i dimostranti contro il regime.[49] Si registrano, intanto, aggressioni nei confronti dei giornalisti stranieri, già dal 2 febbraio obbiettivo di pestaggi da parte dei sostenitori di Mubārak che cercano di impedire la diffusione di quanto si svolge per le strade della capitale.[50]
Il personale delle Nazioni Unite, comprendente decine di funzionari, lascia il paese per l'ulteriore inasprimento del clima.[51] Di fronte all'intensificarsi della rivolta e all'affacciarsi dello spettro della guerra civile, Mubārak annuncia di riservarsi di presentare le proprie dimissioni a causa della gravità della situazione che, a suo giudizio, andrebbe incontro a un ulteriore peggioramento se il paese rimanesse privo della sua guida.[52]

Trattative tra governo e opposizione

La diplomazia americana, intanto, si attiva per attuare - in coincidenza con lo scadere dell'ultimatum lanciato dalla piazza che aveva richiesto le dimissioni di Hosni Mubārak entro il 4 febbraio (ribattezzato "giornata della partenza") - la successione del presidente esercitando pressioni affinché il passaggio di consegne avvenga col vicepresidente, ex plenipotenziario dei servizi segreti, ʿOmar Sulaymān.[53][54] Il New York Times, citando fonti interne all'amministrazione Obama, ha fatto trapelare che le trattative per il conferimento del mandato a Sulaymān sono in atto da giorni.[54]
Le dimissioni del raʾīs, tuttavia, vengono escluse dal Premier egiziano Ahmed Shafīq in un intervento su Al Jazeera, in cui ha respinto l'ipotesi di un passaggio di poteri da Mubārak al vicepresidente.[55] Le manifestazioni di protesta proseguono e il coprifuoco dell'esercito continua a essere sfidato. Mīdān Taḥrīr rimane assediata da migliaia di persone che chiedono una svolta politica immediata. Il 5 febbraio un’esplosione si verifica nei pressi di unoleodotto che trasporta gas naturale a el-ʿArīsh, nel Sinai. L'evento, di natura dolosa, viene ricondotto all'azione di sabotatori.[55] Lo stesso giorno i vertici del Partito Democratico Nazionale di Mubārak, tra i quali il figlio Gamāl, vengono sostituiti.[56]
La situazione per le strade delle città egiziane, andata via via normalizzandosi sin dai primi giorni di febbraio, raggiunge un quadro più favorevole al dialogo tra governo e opposizione.[57] Attraverso trattative condotte tra il regime e il movimento di protesta egiziano, ancorché non rappresentato in tutte le sue sfaccettature, si cerca di raggiungere un accordo per l'istituzione di un comitato congiunto governo-opposizione per l'attuazione di riforme costituzionali entro marzo.[58] L'iniziativa è raggiunta nell'incontro tra il vicepresidente ʿOmar Sulaymān e i rappresentanti dell'opposizione, tra i quali anche una delegazione dei "Fratelli Musulmani", la maggiore formazione di opposizione egiziana, a forte impronta religiosa, sempre tollerata dal regime ma per anni confinata ai margini della scena politica.[59] Le opposizioni, tuttavia, rimangono scettiche verso l'accordo, in primo luogo per il mancato raggiungimento delle dimissioni di Mubārak e Aḥmed Māher, coordinatore del "Movimento del 6 aprile", invoca un'escalation nella protesta, con assedio al palazzo del parlamento, alla sede della televisione ed una marcia verso il palazzo presidenziale.[60]
Il 10 febbraio Ḥosnī Mubārak, mentre la piazza principale della capitale è gremita in attesa dell'annuncio delle sue dimissioni (di cui si è diffusa, nel frattempo, notizia), in un discorso alla tv pubblica dichiara la sua intenzione di trasferire in toto i poteri al vice presidente Sulaymān.[61] Contestualmente rende noto di non volersi ricandidare alle prossime elezioni, che si svolgeranno in settembre, e che sosterrà la transizione verso la riforma della costituzione che, promette, contribuirà a rinnovare.[61] Il presidente esprime quindi la volontà di preparare la strada per eliminare le leggi d'emergenza "nel momento in cui la stabilità è ritrovata e le condizioni necessarie sono in atto".[61]
La folla che segue il discorso del presidente dalla piazza, al suo annuncio di non rassegnare le dimissioni mostra simbolicamente le scarpe, compiendo uno dei gesti più ostili verso il potere costituito,[62] che qualcuno giudica invece offensivo per la propria cultura.[63] Dopo che i militari avevano dichiarato, alcune ore prima che Mubārak sostenesse la non intenzione di dimettersi, che avrebbero appoggiato le domande del popolo, alimentando i timori in un golpe e la speranza nei manifestanti di un approssimarsi della fine del regime, l'11 febbraio nel "comunicato n. 2" le Forze Armate egiziane assicurano che garantiranno "il pacifico passaggio dei poteri" ed "elezioni libere".[63][64]

Mubarak rassegna le dimissioni

Alla fine di intense trattative tra le diplomazie e di un braccio di ferro tra le opposizioni e il governo che appariva senza esito, Ḥosnī Mubārak, per un trentennio Presidente della Repubblica Egiziana, rassegna l'11 febbraio le dimissioni dalla propria carica. Ad annunciarlo è il vice presidente ʿOmar Suleymān, il quale comunica che Mubārak ha lasciato alle forze armate l'incarico di gestire gli affari dello stato e di decidere del destino politico dell'Egitto. La notizia viene accolta dalle centinaia di migliaia di persone raccoltesi per le strade della capitale per il 18º giorno di protesta con manifestazioni di gioia, mentre in tutto il paese si svolgono i festeggiamenti per un avvenimento atteso da milioni di persone.[65]
Decisive, al fine di indurre il rais alle dimissioni, sono state le pressioni esercitate dalla Casa Bianca.[66] I richiami netti rivolti all'apparato militare egiziano, supportato finanziariamente dall'amministrazione americana, hanno avuto una funzione dirimente al fine di indurre l'esercito a porre Mubārak nelle condizioni di rimettere il proprio mandato. Per alcune ore, il governo americano ha assistito a quella che si sarebbe potuta tramutare in una sconfitta per la propria diplomazia e una perdita di forza dell'influenza in Vicino Oriente. Il rais infatti, che nel messaggio rivolto al popolo il 10 febbraio aveva negato di volersi dimettere, aveva nella stessa occasione sottolineato di non voler accettare i diktat di altri paesi.[67] Tale affermazione è apparsa un riferimento chiaro ai tentativi da parte degli USA di spingerlo a lasciare la presidenza.[66]

Il potere in mano al Consiglio supremo delle forze armate

L'uscita di scena di Mubārak (il quale alcune ore dopo le dimissioni abbandona il Cairo e si rifugia nella sua residenza di Sharm el-Sheikh) lascia il potere politico sotto il controllo del Consiglio supremo delle forze armate, composto da 18 militari e presieduto dal feldmaresciallo Mohammed Hoseyn Tantawi, uomo chiave della giunta e capo di stato provvisorio dell'Egitto in virtù dell'assunzione de facto dei poteri presidenziali.[68] Ai militari viene demandato il compito di traghettare il paese verso la democrazia.[68]
Mentre il governo rimane ufficialmente in carica, il parlamento viene sciolto dal Consiglio, che decide anche per la sospensione della costituzione. La giunta, che promette di mettere fine allo stato d'emergenza in vigore nel paese dal 1981 solo quando le condizioni lo richiederanno, annuncia che rimarrà al potere per sei mesi o fino alle prossime elezioni legislative e presidenziali e che rispetterà i trattati internazionali, fra cui quello che sancisce la pace con Israele.[68][69] Viene decisa inoltre l'istituzione di un comitato che si occuperà di emendare la carta costituzionale.[69]
Il premier egiziano Ahmad Shafiq, dopo che per giorni numerosi egiziani avevano continuato a protestare in piazza Tahrir chiedendo le sue dimissioni, ritenendolo colluso col vecchio regime, il 3 marzo rimette il proprio incarico di Primo ministro.[70][71]
Il referendum sugli emendamenti alla Costituzione della Repubblica araba d'Egitto si tiene il 19 marzo.[72] La consultazione registra il 77,2% dei sì, che consentono in questo modo l'implementazione di elezioni parlamentari e presidenziali entro la fine dell'anno.[73]

Reazioni e conseguenze sul piano internazionale

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Conseguenze dei moti di protesta inNordafrica e Vicino Oriente del 2011:

██ Allontanamento del capo di stato
██ Cambiamento del primo ministro
██ Sommosse
██ Proteste maggiori
██ Proteste minori
██ Qualche incidente
Paesi non arabi:
██ Proteste collegate
██ Assenza di incidenti
Le paure di un epilogo violento del regime del rais hanno indotto la comunità internazionale, quantomeno all'inizio della rivolta, ad avere atteggiamenti di fiducia verso il presidente. Il segretario di stato degli USA Clinton il primo giorno di rivolta non si è sbilanciato, affermando la stabilità del governo egiziano, alleato di ferro del Paese e destinatario, secondo alcuni calcoli, di sessanta miliardi di dollari, o poco meno, dal 1982.[74] L'amministrazione Obama, non esprimendo una linea decisa sin dall'inizio degli eventi, ha mostrato segnali di confusione e debolezza, causati, secondo alcuni, da una assenza di referenti politici fidati nella regione mediorientale al di là dei governi dittatoriali da loro stessi fiancheggiati e sempre più privati del consenso popolare.[75] Proprio l'incompatibilità crescente tra un mondo in trasformazione e delle figure di governo ormai inadatte, privilegiate negli anni nello scacchiere mondiale dalla logica della stabilità, costituiscono il luogo di una analisi più approfondita per la politica estera statunitense a proposito dello scenario mediorientale.[senza fonte]
I tradizionali sostenitori del governo egiziano, a partire da Stati Uniti, Italia, Francia e Germania, hanno intravisto nella caduta del potere di Ḥosnī Mubārak, cardine degli equilibri politici del Nordafrica negli ultimi decenni, il pericolo di una forte destabilizzazione per l'intero quadro politico vicino-orientale.[25] L'Egitto di Mubarak, dal punto di vista dell'amministrazione americana, è considerato un caposaldo dello status quo della regione. La pace, ancorché asettica, tra Egitto e Israele rimane l'asse portante del quadro politico modellato dagli stati occidentali.[76] Stati Uniti, Unione Europea e Onuhanno chiesto con insistenza l'inizio della transizione verso la democrazia, senza nondimeno affermare con chiarezza la richiesta di abbandono del potere del rais. Israele, come gran parte dell'Occidente, teme che gli accordi di pace di Camp David del 1978 possano venire messi in discussione, con un significativo pericolo di una recrudescenza dei rapporti degli stati del Vicino Oriente.[77]
Quando però la situazione è sembrata peggiorare, anche di fronte ai soprusi della polizia, il presidente Obama si è schierato a fianco del popolo egiziano chiedendo "immediate riforme". Al fine di influenzare le scelte del governo Mubārak, per bocca dell'alto rappresentante Robert Gibbs, gli Stati Uniti si sono detti pronti a rivedere la politica di assistenza a favore del Cairo.[74] L'Egitto rappresenta inoltre, dopo l'Algeria, il primo mercato di destinazione delle esportazioni europee (circa 13 miliardi di euro) nel Mediterraneo meridionale.[78] Lo Stato d'Israele, attraverso il primo ministro Benjamin Netanyahu, a pochi giorni dallo scoppio delle sommosse ha dichiarato che è interesse dell'intero Vicino Oriente mantenere la stabilità del regime, anche in considerazione del pericolo di una deriva fondamentalista della protesta egiziana.[79]
I timori di instabilità nelle nazioni vicine sono apparsi tanto più fondati, quanto più il moto di rivolta è giunto a interessare gran parte dell'area nordafricana, con fermenti e agitazioni in atto anche in Marocco, Giordania, Siria e Libia, stati tradizionalmente considerati stabili dal punto di vista politico.[80][81] Altresì Yemen, Algeria, Libano e Oman sono coinvolti da sommovimenti di natura sociale e politica.[76]
La Repubblica islamica dell'Iran, le cui relazioni diplomatiche con l'Egitto sono sospese dal 1979, ha espresso pieno sostengo alla rivolta egiziana, sperando in un cambiamento degli equilibri a favore di una svolta teocratica, simile a quella avvenuta nello stesso Iran con la rivoluzione iraniana del 1979.[78] La Fratellanza musulmana, la più grande organizzazione politica di ispirazione islamica, nata in Egitto nel 1928, molto radicata nel paese e vicina ad Hamas (nato nel 1987 come appendice in Palestina, ma più radicale per il ricorso alla lotta armata e una spiccata identità nazionalista), è fortemente temuta dall'Occidente e, segnatamente, dai governi israeliano e americano. Il presidente degli Stati Uniti infatti, in un'intervista a Fox News, ha sostenuto che "è importante che non crediamo che le uniche due opzioni siano i Fratelli Musulmani o un popolo egiziano oppresso".[82] Gli USA si sono adoperati sin dal principio perché si realizzasse un passaggio di poteri tra Mubārak e ʿOmar Sulaymān, recentemente nominato vice Presidente, con l'uscita di scena definitiva del raʾīs. Oltre ad elevare lo stato di guardia delle potenze occidentali e di Israele, che si pronuncia in auspici del mantenimento degli equilibri attuali, con la maggior parte delle nazioni del Maghreb e del Vicino Oriente in mano a dittatori de facto, la crisi egiziana accentua lo iato tra lo stesso governo Netanyahu e l'amministrazione Obama, più favorevole a bilanciare le istanze di libertà con il bisogno della stabilità.[76]
Gli attivisti politici
·         Asmaa Mahfouz
·         George Isaac
·         Ahmed Ghanem (scrittore politico)
·         Israa Abdel-Fattah

Voci correlate

·         Primavera araba
·         Hosni Mubarak
·         Fratelli musulmani
·         Piazza Tahrir
·         Wael Ghonim
·         Magdy El Shafee
·         Tamarod
·         Mohamed Morsi
·         Golpe egiziano del 2013
 | [altre]

Primavera araba

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Primavera araba
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██ Allontanamento o morte del capo di stato
██ Conflitti armati e cambiamento nel governo
██ Cambiamento del primo ministro
██ Proteste maggiori
██ Proteste minori
██ Proteste collegate
██ Guerra civile
██ Assenza di proteste


Data
dal dicembre 2010
Luogo
Causa
Corruzione, povertà, fame, assenza di libertà individuali, violazione di diritti umani, disoccupazione, aumento del prezzo dei generi alimentari, malcontento popolare, desiderio di rinnovamento del regime politico
Schieramenti
Forze governative di:
Egitto Egitto
Siria Siria
Flag of Libya (1977-2011).svg Libia
Tunisia Tunisia
Yemen Yemen
Marocco Marocco
Iraq Iraq
Oman Oman
Arabia Saudita Arabia Saudita
Algeria Algeria
Giordania Giordania
Libano Libano
Sudan Sudan
Gibuti Gibuti
Bahrein Bahrein
Kuwait Kuwait
Flag of Libya.svg Ribelli libici
Flag of Syria 2011, observed.svg Ribelli siriani
Ribelli degli altri Paesi nominati
Effettivi
2.000.000 soldati
35.000 mercenari
3000 carri armati
5.000 cannoni
1.000 aerei
20.000.000 dimostranti
1200 carri armati
2.400 cannoni
1.300 aerei
500 aerei NATO (solo in Libia)
Perdite
140.000 morti in totale
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Mappa del mondo arabo.
Primavera araba (in arabo الثورات العربية al-Thûrât al-ʻArabiyy; letteralmente ribellioni arabe o rivoluzioni arabe) è un termine di origine giornalistica utilizzato perlopiù dai media occidentali [1] per indicare una serie di proteste ed agitazioni cominciate alcune già durante l'inverno 2010/2011 e in parte tuttora in corso[2][3] nelle regioni del Medio Oriente, del vicino Oriente e del Nord Africa. I paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse sono l'Algeria, il Bahrein, l'Egitto, la Tunisia, lo Yemen, la Giordania, il Gibuti, laLibia e la Siria, mentre ci sono stati moti minori in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Iraq, Marocco e Kuwait[4][5][6].

Contesto

Le proteste che hanno colpito paesi riconducibili in vario modo all'universo arabo ma anche esterni a tale circoscrizione come nel caso della Repubblica Islamica dell'Iran, hanno in comune l'uso di tecniche di resistenza civili, comprendente scioperi,manifestazioni, marce e cortei, talvolta anche atti estremi come suicidi (divenuti noti tra i media come "auto-immolazioni") e l'autolesionismo, così come l'uso di social network come Facebook e Twitter per organizzare, comunicare e divulgare gli eventi a dispetto dei tentativi di repressione statale.[7][8][9] I social network tuttavia non sarebbero il vero motore della rivolta, secondo alcuni osservatori, per i quali "il network della moschea, o del bazar, conta assai più dì Facebook, Google o delle email".[10][11]Alcuni di questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato ad un cambiamento di governo, e sono stati denominatirivoluzioni.[12][13] I fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e comprendono, tra le maggiori cause, la corruzione, l'assenza di libertà individuali, la violazione dei diritti umani e le condizioni di vita molto dure, che in molti casi riguardano o rasentano la povertà estrema.[14] Il crescere del prezzo dei generi alimentari e della fame sono anche considerati una delle ragioni principali del malcontento, che hanno comportato minacce all'equilibrio mondiale in ordine all'alimentazione di larghe fasce della popolazione nei paesi più poveri nei quali si sono svolte le proteste, ai limiti di una crisi paragonabile a quella osservata nella crisi alimentare mondiale nel 2007-2008.[15][16][17][18] Tra le cause dell'aumento dei costi, secondo Abdolreza Abbassian, capo economista alla FAO, la "siccità in Russia e Kazakistan accompagnata dalle inondazioni in Europa, Canada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina", a causa di cui i governi dei paesi del Maghreb, costretti ad importare i generi commestibili, hanno scelto l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari di largo consumo.[19] Altri analisti hanno messo in risalto il ruolo della speculazione finanziaria nel determinare la crescita del prezzo dei generi alimentari in tutto il mondo.[20] Prezzi più alti si sono registrati anche in Asia: in India dove ci sono stati rialzi nell'ordine del 18%, mentre in Cina dell'11,7% in un anno.[19]
Le proteste sono cominciate il 18 dicembre 2010 in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco in seguito a maltrattamenti da parte della polizia, il cui gesto è servito da scintilla per l'intero moto di rivolta che si è poi tramutato nella cosiddetta "rivoluzione dei gelsomini".[21][22] Per le stesse ragioni, un effetto domino si è propagato ad altri paesi del mondo arabo e della regione del Nordafrica, in seguito alla protesta tunisina. In molti casi i giorni più accesi, o quelli dai quali ha preso avvio la rivolta, sono stati chiamati "giorno della rabbia" o con nomi simili.[23][24]
Ad oggi, quattro capi di stato sono stati costretti alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali il 14 gennaio 2011, in Egitto Hosni Mubarak l'11 febbraio 2011, in Libia Muammar Gheddafi che, dopo una lunga fuga da Tripoli a Sirte, è stato catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011[25][26] e in Yemen Ali Abdullah Saleh il 27 febbraio 2012.
I sommovimenti in Tunisia hanno portato il presidente Ben Ali, alla fine di 25 anni di dittatura, alla fuga in Arabia Saudita. In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio 2011, dopo 18 giorni di continue dimostrazioni accompagnate da vari episodi di violenza, hanno costretto alle dimissioni, complici anche le pressioni esercitate da Washington, il presidente Mubarak dopo trent'anni di potere.[27] Nello stesso periodo, il re di Giordania Abdullah attua un rimpasto ministeriale e nomina un nuovo primo ministro, con l’incarico di preparare un piano di "vere riforme politiche".[28]
Sia l'instabilità portata dalle proteste nella regione mediorientale e nordafricana che le loro profonde implicazioni geopolitiche hanno attirato grande attenzione e preoccupazione in tutto il mondo.[29]

Paesi degli scontri principali

Tunisia

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Le proteste nel paese iniziano dopo il gesto disperato di un ambulante, Mohamed Bouazizi, che il 17 dicembre 2010 si dà fuoco per protestare contro il sequestro da parte della polizia della sua merce.[30] Il 27 dicembre il movimento di protesta si diffonde anche a Tunisi, dove giovani laureati disoccupati manifestano per le strade della città e vengono colpiti dalla mano pesante operata dalla polizia.[30]
Nonostante un rimpasto di governo il 29 dicembre, le rivolte nel paese non si placano.[30] Il 13 gennaio il presidente tunisino Ben Ali in un intervento sulla tv nazionale si impegna a lasciare il potere nel 2014 e promette che garantirà la libertà di stampa. Il suo discorso però non calma gli animi e le manifestazioni continuano.[30] Meno di un’ora dopo decreta lo stato d’emergenza e impone il coprifuoco in tutto il Paese.[30] Poco dopo il primo ministro Mohamed Ghannouchi dichiara di assumere la carica di presidente ad interim fino alle elezioni anticipate.[31]In serata viene dato l’annuncio che Ben Ali, dopo ventiquattro anni al potere, ha lasciato il Paese.[32]
A fine febbraio alcune decine di migliaia di manifestanti si radunano nel centro di Tunisi per chiedere le dimissioni del governo provvisorio, insediatosi dopo la cacciata dell'ex presidente Zine el-Abidine Ben Ali.[33]

Egitto

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Per approfondire, vedi Sommosse popolari in Egitto del 2011.
In seguito ai diversi casi di protesta estrema che hanno visto darsi fuoco diverse persone a gennaio, il 25 gennaio violenti scontri si sviluppano al centro del Cairo, con feriti ed arresti, durante le manifestazioni della "giornata della collera" convocata da opposizione e società civile contro la carenza di lavoro e le misure repressive.[34] I manifestanti contrari al regime di Mubarak invocano la liberazione dei detenuti politici, la liberalizzazione dei media, e sostengono la rivolta contro la corruzione e i privilegi dell'oligarchia.
Il 29 gennaio il presidente Hosni Mubarak licenzia il governo e nomina come suo vice l’ex capo dell’intelligence, Omar Suleiman. Proseguono tuttavia gli scontri e le manifestazioni nelle città egiziane.[35] Il 5 febbraio intanto si dimette l’esecutivo del Partito nazionale democratico di Mubarak, mentre il raisalcuni giorni dopo delega tutti i suoi poteri a Suleiman.[35] L'11 febbraio il vice presidente annuncia le dimissioni di Mubarak mentre oltre un milione di persone continuano a manifestare nel paese.[36] L'Egitto è lasciato nelle mani di una giunta militare, presieduta dal feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi, in attesa che venga emendata la costituzione e che venga predisposta la convocazione di prossime elezioni presidenziali.[37][38]

Libia

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Per approfondire, vedi Guerra civile libica.
Il 16 febbraio si verificano nella città di Bengasi scontri fra manifestanti,scontenti per l'arresto di un attivista dei diritti umani,e la polizia, sostenuta da militanti del governo. In tutto il Paese, nel frattempo si tengono manifestazioni a sostegno del governo del leader Mu'ammar Gheddafi.[39]
Il 17 febbraio si registrano numerosi morti in accesi conflitti a Bengasi, città simbolo della rivolta libica che intende attuare la cacciata del capo del paese al potere da oltre quarant'anni. Testimoni vicini ai ribelli riferiscono inoltre che sarebbero avvenute vere e proprie esecuzioni da parte delle forze di polizia.[40]Nella data del 17 febbraio, proclamata la "giornata della collera", milizie giunte da Tripoli a Beida, nell'est della Libia colpiscono i manifestanti causando morti e numerosi feriti.[41]
Molti dei decessi registrati in Libia risultano concentrati nella sola città di Bengasi, località tradizionalmente poco fedele al leader libico e più influenzata dalla cultura islamista.[42] Il 20 febbraio il bilancio delle vittime si avvicina ai 300 morti.[43] Il sito informativo libico "Libya al-Youm" denuncia che "i militari inviati dal regime libico per reprimere i manifestanti di Bengasi stanno usando in queste ore armi pesanti contro le persone riunite davanti al tribunale cittadino" come razzi Rpg e armi anti-carro.[43]
Il 21 febbraio la rivolta si allarga anche alla capitale Tripoli dove i contestatori danno fuoco a edifici pubblici.[44] Nella stessa giornata a Tripoli si fa ricorso a raiddell'aviazione sui manifestanti per soffocare la protesta.[45] Il 21 febbraio cominciano i tradimenti politici: la delegazione libica all’Onu prende nettamente le distanze dal leader Muammar Gheddafi. Il vice-ambasciatore libico, Ibrahim Dabbashi, a capo della squadra diplomatica libica, accusa il colonnello di essere colpevole di "genocidio" e di aver praticato "crimini contro l’umanita".[46]
Il 20 ottobre 2011 Muammar Gheddafi viene catturato e ucciso vicino a Sirte. Il suo cadavere riposa vicino a Misurata.

Siria

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Per approfondire, vedi Guerra civile siriana.
Le sommosse popolari in Siria del 2011-2012 sono un moto di contestazione, simile a quelli che si svolgono nel resto del mondo arabo nello stesso periodo, che interessa numerose città della Siria dal mese di febbraio del 2011. Le proteste, che hanno assunto connotati violenti sfociando in sanguinosi scontri tra polizia e manifestanti, hanno l'obiettivo di spingere il presidente sirianoBashar al-Assad ad attuare le riforme necessarie a dare un'impronta democratica allo stato. In virtù di una legge del 1963 che impedisce le manifestazioni di piazza (solo dopo diverse settimane di scontri formalmente revocata), il regime ha proceduto a sopprimere, anche ricorrendo alla violenza, le dimostrazioni messe in atto dalla popolazione, provocando un numero fin ora imprecisato di vittime tra i manifestanti e le forze di polizia.

Altri paesi

Proteste in corso

·         Guerra civile siriana
·         Proteste in Sudan del 2011

Proteste de facto terminate

·         Proteste in Marocco del 2011
·         Proteste in Libano del 2011
·         Proteste in Iraq del 2011
·         Proteste in Oman del 2011
·         Rivolta yemenita
·         Proteste a Gibuti del 2011

Paesi fuori dal mondo arabo

·         Proteste in Albania del 2011

·         Proteste in Iran del 2011

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