domenica 2 novembre 2014

SEGNI DEI TEMPI - PETROLIO - Crisi mondiale, l' oro nero, il tesoro nascosto è agli sgoccioli. Previsto il 13/04/2005, messaggio n. 2.509. Profezia in fase di svolgimento della Madonna di Anguera. -Cari figli, il tesoro che gli uomini cercano nelle profondità della terra e che è diventato motivo di guerra e divisioni, cesserà di esistere. L’umanità passerà per grandi prove e gli uomini cercheranno la morte per fuggire dalle sofferenze. L’eclittica: per causa di essa verrà grande dolore per l’umanità. Inginocchiatevi in preghiera. Non voglio forzarvi, ma ciò che dico dev’essere preso sul serio. Cambiate vita. Dio vuole salvarvi. Pentitevi.

2.509 - 13.04.2005

Cari figli, il TESORO che gli uomini cercano nelle profondità della terra e che è diventato motivo di GUERRA e divisioni, cesserà di esistere. L’ UMANITA’ PASSERA’ PER GRANDI PROVE E GLI UOMINI CERCHERANNO LA MORTE PER FUGGIRE DALLE SOFFERENZE. L’ ECLITTICA: PER CAUSA DI ESSA VERRA’ GRANDE DOLORE PER L’ UMANITA’. INGINOCCHIATEVI in preghiera. Non voglio forzarvi, ma ciò che dico dev’essere preso sul serio. Cambiate vita. Dio vuole salvarvi. Pentitevi. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.

Usa
CRISI  MONDIALE DEL PETROLIO: L’ ORO NERO, IL TESORO NASCOSTO E’ AGLI SGOCCIOLI

Previsto il: 13/04/2005, messaggio n. 2.509
Colpiti: sistema delle infrastrutture tecnologiche a livello mondiale
Stato: in fase di svolgimento
Luogo: ovunque
Obiettivo: crisi economica generata dalle crisi petrolifere
Responsabili: per il profitto commerciale non sono state create in tempi utili, fonti di energia rinnovabili
Motivazione: massimo profitto generato dalla crisi petrolifera (maggior domanda minore offerta)
Fonte - diverse indicate negli articoli sottostanti

Allarme petrolio: “Finirà entro il 2067”. Dati e prospettive


Petrolio, brutte notizie per i catastrofisti: "Scoperto il giacimento più ricco di sempre"


Il petrolio sta finendo? Sì, no, forse.


Apocalisse, capitolo9, versetto 20: 
Il resto dell'umanità che non perì a causa di questi flagelli, non rinunziò alle opere delle sue mani; non cessò di prestar culto ai demòni e agli idoli d'oro, d'argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare;


Messaggio della Madonna di Anguera n.2.509 del 13.04.2005
“Cari figli, il tesoro che gli uomini cercano nelle profondità della terra e che è diventato motivo di guerra e divisioni, cesserà di esistere L’umanità passerà per grandi prove e gli uomini cercheranno la morte per fuggire dalle sofferenze”

2.509 - 13.04.2005

Cari figli, il tesoro che gli uomini cercano nelle profondità della terra e che è diventato motivo di guerra e divisioni, cesserà di esistere. L’umanità passerà per grandi prove e gli uomini cercheranno la morte per fuggire dalle sofferenze. L’eclittica: per causa di essa verrà grande dolore per l’umanità. Inginocchiatevi in preghiera. Non voglio forzarvi, ma ciò che dico dev’essere preso sul serio. Cambiate vita. Dio vuole salvarvi. Pentitevi. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.

3.212 - 10 settembre 2009

Cari figli, la ricerca del tesoro avrà come risultato la morte di molti innocenti. La vostra nazione avanza verso un futuro di sangue. Soffro per quello che vi attende. Inginocchiatevi e pregate. Ascoltate i miei appelli e testimoniate che siete unicamente di Cristo. Sono venuta dal cielo per aiutarvi, ma non posso obbligarvi. So che avete la libertà, ma la cosa migliore è fare la volontà del Signore. Lasciate che la luce di Dio illumini le vostre vite e sarete condotti lungo il cammino del bene. Avanti. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
National Geographic - L'alba Del Giorno Dopo (2011) Documentario Streaming Videoweed Videobb Megavideo

Cosa succederebbe se il mondo rimanesse senza petrolio? E se la Terra smettesse di girare? In onda dal 29 gennaio su National Geographic Channel una serie di episodi sulle alterazioni radicali che il nostro pianeta potrebbe subire.

Video e Audio funzionanti solo su Videobb

Video e Audio funzionanti solo su Videobb

1x01 La Fine Del Petrolio-Videobb
1x02 Boom Demografico-Videobb
1x03 La Terra Smette Di Girare-Videobb
1x04 Traditi Dal Sole-Videobb
   
         

Petrolio
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il petrolio (dal termine tardo latino petroleum[senza fonte], composto di petra, "roccia", e oleum, "olio"), anche detto oro nero, è un liquido infiammabile, denso, di colore che può andare dal nero al marrone scuro, passando dal verdognolo fino all'arancione, che si trova in alcuni giacimenti entro gli strati superiori della crosta terrestre. È composto da una miscela di vari idrocarburi (in prevalenza alcani, ma con variazioni nell'aspetto, nella composizione e nelle proprietà fisico-chimiche).

Formazione
Teoria biogenica del petrolio

Rappresentazione schematica di un reservoir di petrolio.

La teoria biogenica del petrolio indica che il petrolio deriva dalla maturazione termica di materia organica rimasta sepolta (quindi in assenza di ossigeno), che si decompone in un materiale ceroso, noto come pirobitume o cherogene, che in condizioni di elevata temperatura e pressione libera idrocarburi.[1]
Il primo a sostenere che petrolio e metano sono prodotti della trasformazione di materiale biologico in decomposizione in molecole di idrocarburi fu lo scienziato russo Lomonosov nel XVIII secolo. La sua teoria fu confermata nel 1877 da Mendeleev.
Una volta prodotti, gli idrocarburi risalgono verso l'alto, grazie alla loro bassa densità, e si accumulano in rocce porose (dette anche rocce madri), che costituiscono le "trappole petrolifere" (o reservoir). Perché le rocce porose possano costituire un reservoir, è necessario che queste rocce siano al di sotto di rocce meno permeabili (normalmente argille o evaporiti), in maniera tale che gli idrocarburi non abbiano la possibilità di risalire sino alla superficie terrestre.[2]
È perciò errato credere (nonostante l'idea comune possa suggerirlo) che il petrolio formi laghi o fiumi sotterranei. Il petrolio impregna rocce porose. Poiché nel giacimento vigono forti pressioni, il petrolio risale naturalmente verso la superficie in virtù del gradiente di pressione esistente nel momento in cui il giacimento è raggiunto in seguito ad una operazione di trivellazione.
Una conformazione geologica che costituisce un caso tipico di "trappola petrolifera" è la piega anticlinale. Spesso all'interno della trappola si trova una miscela di idrocarburi liquidi e gassosi (in proporzioni variabili). Gli idrocarburi gassosi costituiscono gas naturale (metano ed etano) e riempono le porosità superiori. Quelli liquidi (nelle condizioni di pressione esistenti nel giacimento, cioè svariate centinaia di atmosfere) occupano le zone inferiori del reservoir. Poiché gli idrocarburi sono sovente associati ad acqua è frequente la situazione per la quale all'interno della roccia madre si trovino tre strati: uno superiore di gas naturale, uno intermedio costituito da idrocarburi liquidi ed uno inferiore di acqua salata. Nelle operazioni di messa in produzione di un giacimento si presta notevole attenzione alla profondità alla quale si situa lo strato di acqua perché questa informazione è necessaria per calcolare il rendimento teorico del giacimento.
In particolare, se gli idrocarburi liquidi più pesanti presenti nel giacimento non superano i dodici-quindici atomi di carbonio (C12 - C15) si parla di un giacimento di gas e condensato. Se negli idrocarburi liquidi presenti sono rappresentate molecole più lunghe si parla di giacimento di petrolio propriamente detto.
Teorie abiogene
Molte teorie abiogene sono complementari, non mutuamente esclusive e generalmente non accettate dalla comunità dei ricercatori che operano nel campo delle scienze della Terra[senza fonte]. La teoria abiotica è sostenuta da pochi studiosi (prevalentemente di scuola russa)[senza fonte]. Vi è un generale consenso, fra i ricercatori che non condividono questa teoria, sul fatto che i giacimenti di idrocarburi di possibile origine abiotica, se esistono, sarebbero comunque minoritari rispetto a quelli di origine biogenica presenti nella crosta terrestre[senza fonte].
Fra questi teorici, c'è il professor Thomas Gold che nel 1992 pubblicò la sua teoria della profonda biosfera calda, allo scopo di spiegare il meccanismo dell'accumulo di idrocarburi nei giacimenti profondi.
Nel 2001 J. Kenney dimostrò che secondo le leggi della termodinamica non sarebbe possibile la trasformazione a basse pressioni di carboidrati o altro materiale biologico in catene idrocarburiche. Infatti il potenziale chimico dei carboidrati varia da -380 a -200 kcal/mole, mentre il potenziale chimico degli idrocarburi è maggiore di 0. Siccome le trasformazioni termodinamiche evolvono verso condizioni a potenziale chimico più basso, la trasformazione citata non può avvenire. Il metano non si polimerizza a basse pressioni ad alcuna temperatura.
Talvolta, giacimenti di gas naturale e petrolio ritenuti in fase di esaurimento, si riempono di nuovo; questo processo può essere alimentato solo da depositi profondi, percorrendo la sequenza di fenomeni che portò alla formazione iniziale. La teoria abiotica sostiene che tutti gli idrocarburi naturali siano di origine abiotica, ad eccezione del metano biogenico (spesso chiamato gas di palude), che è prodotto in prossimità della superficie terrestre attraverso la degradazione batterica di materia organica sedimentata.
Una teoria dell'origine abiotica del petrolio ritiene che al momento della formazione della Terra si siano formati dei significativi depositi di carbonio, ora preservati solo nel mantello superiore. Questi depositi, trovandosi in condizioni di elevata temperatura e pressione, catalizzerebbero la polimerizzazione di molecole di metano, fino a formare lunghe catene idrocarburiche.[3]
Una variante di questa teoria prevede l'idrolisi di peridotiti del mantello, con conseguente formazione di un fluido ricco in idrogeno e con metalli catalizzatori (come nichel, cromo, cobalto o vanadio), che risalendo, dilaverebbe le rocce carbonatiche superiori, generando idrocarburi. Questa reazione chimica ipotizzata è la stessa che si avrebbe nel processo industriale della sintesi di Fischer-Tropsch.
Composizione

Bottiglia con un campione di petrolio non raffinato

Il petrolio deriva da depositi naturali sotterranei di carbonio ed idrogeno, sottoposti ad elevate pressioni e ad elevata temperatura. Sia la fase liquida oleosa (petrolio) che la fase gassosa (gas naturale) tendono a spostarsi, migrando verso l'alto, attraverso le rocce porose finché incontrano strati impermeabili del sottosuolo, dove vengono intrappolati e si raccolgono.
Dopo il processo di estrazione, il petrolio greggio viene trasportato verso stabilimenti (raffinerie di petrolio), dove avvengono le operazioni di trasformazione che permettono di produrre a partire dal grezzo petrolifero una serie di prodotti di uso comune. I prodotti finali includono: GPL, benzina, cherosene, gasolio, oli lubrificanti, bitumi, cere e paraffine. Le operazioni attraverso le quali il grezzo viene trasformato sono molteplici e di diversa natura. Esse tendono a separare le differenti classi di molecole, ad eliminare una serie di impurità indesiderate (tra le quali principalmente lo zolfo) ed a migliorare le proprietà dei prodotti finiti. Nelle raffinerie più moderne il grezzo è soggetto ad una serie di operazioni grazie alle quali, in funzione della domanda di mercato, si può orientare il rendimento dell'operazione di raffinazione verso determinati specifici prodotti.
Il petrolio consiste per la maggior parte di molecole di idrocarburi alifatici sia lineari che ramificati e di idrocarburi aromatici (mono-, bi- e poli- ciclici), composti quasi esclusivamente da idrogeno e carbonio. Sono tuttavia presenti quantità di composti solforati (solfuri e disolfuri), azotati (chinoline e piridine) e ossigenati (acidi grassi e acidi naftenici), in percentuale variabile anche se la loro percentuale in massa, complessivamente, difficilmente supera il 7%. Nel petrolio si trovano anche tracce di metalli (come nichel, vanadio, cobalto, cromo, cadmio, piombo, arsenico e mercurio).
Le catene molecolari nell'intervallo di C5-7 sono nafte leggere ed evaporano facilmente. Vengono usate come solventi, fluidi per pulizia a secco, e altri prodotti ad asciugatura rapida.
Il cherosene è composto da catene nell'intervallo da C10 a C15, seguito dal combustibile per i motori diesel e per riscaldamento (da C10 a C20) e da combustibili più pesanti, come quelli usati nei motori delle navi. Questi prodotti derivati del petrolio sono liquidi a temperatura ambiente.
Gli oli lubrificanti e i grassi semi-solidi (come la vaselina) sono posizionati nell'intervallo da C16 fino a C20.
Le catene da C20 in avanti sono solidi a temperatura ambiente e comprendono la paraffina, poi il catrame e il bitume per asfalto.
La tabella seguente indica, orientativamente, gli intervalli di temperature di ebollizione delle frazioni di distillazione del petrolio (a pressione atmosferica, in gradi Celsius), detti anche tagli petroliferi:[4]
pressione atmosferica, in gradi Celsius), detti anche tagli petroliferi:[4]
Prodotto petrolifero Temperatura di ebollizione (°C) Utilizzi
metano e altri gas combustibili −160 ÷ −40 combustibili di raffineria
propano -40 Gas di petrolio liquefatti (combustibile per autotrazione o per riscaldamento)
butano -12 ÷ 1 utilizzato per aumentare la volatilità della gasolina
etere di petrolio 0 ÷ 70 solvente
nafta leggera -1 ÷ 150 componente di combustibile per automobili
nafta pesante 150 ÷ 205 materia prima per il reforming, combustibile per jet
gasolina -1 ÷ 180 combustibile per motori
cherosene 205 ÷ 260 combustibile
gasolio leggero 260 ÷ 315 carburante per motori Diesel / riscaldamento
gasolio pesante 315 ÷ 425 materia prima per cracking catalitico
olio lubrificante > 400 olio per motori
frazioni rimanenti bitume, asfalto pavimentazione stradale


Ogni taglio petrolifero è costituito da molecole di lunghezza comparabile. Poiché l'operazione di distillazione non può essere perfetta, ogni taglio petrolifero contiene un po' del taglio più leggero ed un po' del taglio più pesante. Per questo motivo gli intervalli di ebollizione di un taglio "ricoprono" parzialmente quelli del taglio immediatamente più leggero ed immediatamente più pesante.
In realtà, non esistono due petroli identici. E talvolta all'interno dello stesso giacimento la composizione tende a variare nel tempo o in funzione della localizzazione del punto di estrazione. Per questo motivo per poter caratterizzare ogni tipo di petrolio si ricorre all'operazione, detta di distillazione frazionata TBP (True Boiling Point). Questa metodologia è descritta negli standard ASTM D86 e D2892, che definiscono le condizioni normalizzate per realizzare l'operazione. L'operazione è condotta prendendo una quantità predefinita di petrolio grezzo e sottoponendola a riscaldamento a pressione atmosferica.
Sotto effetto del riscaldamento il campione di petrolio comincia ad evaporare, e per prime le frazioni più leggere. I vapori di petrolio che man mano evaporano sono raffreddati, condensati e raccolti in un recipiente graduato. Le frazioni più volatili (dette basso-bollenti) sono le prime ad evaporare ed in seguito evaporano quelle meno volatili (dette alto-bollenti). Durante questa operazione di distillazione il campione di petrolio diventa progressivamente sempre meno volatile e dunque occorre riscaldare il campione a temperature sempre più elevate per poterlo distillare. L'obiettivo del test è di misurare in funzione degli intervalli di temperatura ai quali è soggetto il campione quale è il rendimento percentuale della corrispondente frazione evaporata. Il test è interrotto quando il campione raggiunge la temperatura di 550 °C, perché a questa temperatura intervengono delle reazioni di cracking che modificano la natura chimica delle molecole. Il volume che resta a 550 °C è detto residuo.
I risultati del test TBP sono di notevole interesse perché permettono di caratterizzare i diversi tipi di petrolio. Questo è essenziale per poterne definire il valore di mercato e per poter prevedere quali saranno i rendimenti quando il grezzo petrolifero arriva in in raffineria per essere raffinato. Da un punto di vista generale (anche se esistono delle eccezioni) i petroli che contengono una quantità più elevata di frazioni leggere sono più costosi. Un altro parametro che influenza il valore del petrolio grezzo è in contenuto in zolfo. Quest'ultimo infatti deve essere allontanato durante l'operazione di raffinazione e questa operazione di purificazione è tanto più onerosa quanto più alto è il tenore in zolfo.
Altri parametri che influenzano il valore del grezzo sono la sua acidità ed il tenore in metalli pensanti, quali il Vanadio. La conoscenza di questi due ultimi parametri sono di grande importanza allorché si il grezzo è raffinato. Infatti petroli acidi o con contenuti di Vanadio elevati richiedono impianti particolarmente resistenti alla corrosione e dunque costruiti con acciai speciali.
Tipi di petrolio
Esistono centinaia di petroli diversi. Essi si differenziano per i differenti rendimenti, il tenore in zolfo, in metalli pesanti ed in funzione della loro acidità. Frequentemente (ma questa non è una regola) i grezzi più pesanti sono anche quelli che hanno un tenore in zolfo più elevato. È invece sistematico che per un determinato petrolio le frazioni alto-bollenti hanno un tenore in zolfo più elevato delle frazioni basso-bollenti.
Per illustrare la variabilità delle composizioni si faccia riferimento alla distillazione TBP sull'intervallo 15-550 °C di due petroli ed al loro tenore in zolfo: Souedia (origine: Siria) e Zarzaitine (origine: Algeria).




Zarzaitine (0,14% %S) Souedia (3,91 %S
°C  % peso  % volume °C  % peso  % volume
015-080 6,685 8,219 015-080 4,028 5,613
080-150 15,904 17,497 080-150 7,841 9,801
150-230 15,914 16,378 150-230 9,751 11,204
230-375 27,954 26,977 230-375 20,619 21,529
375-550 21,303 19,409 375-550 25,263 24,159
550+ 9,497 8,044 550+ 31,193 26,179
È importante tenere presente che questi tagli petroliferi sono il risultato della sola operazione di distillazione e che in raffineria molteplici altre operazioni sono condotte per produrre prodotti di uso finale. In effetti le frazioni risultanti dall'operazione di distillazione non sono pronte per l'uso e richiedono ulteriori stadi di lavorazione.
Storia del petrolio
Il petrolio accompagna la storia dell'uomo da secoli: la parola greca naphtha fu utilizzata inizialmente per indicare il fiammeggiare tipico delle emanazioni petrolifere. I popoli dell'antichità conoscevano i giacimenti di petrolio superficiali, che utilizzavano per produrre medicinali e bitume o per alimentare le lampade.
Non mancarono anche gli usi bellici del petrolio. Già nell'Iliade, Omero narra di un "fuoco perenne" lanciato contro le navi greche. Il "fuoco greco" dei bizantini era un'arma preparata con petrolio, una miscela di olio, zolfo, resina e salnitro, che non poteva essere spenta dall'acqua; questa miscela era cosparsa sulle frecce o lanciata verso le navi nemiche per incendiarle.
Il petrolio era conosciuto anche nell'antico Medio Oriente. Marco Polo, ne Il Milione, parla del petrolio con le seguenti parole:
     « Ancor vi dico che in questa Grande Erminia (Armenia) è l'arca di Noè in su una grande montagna, ne le confine di mezzodie in verso il levante, presso al reame che si chiama Mosul, che sono cristiani, che sono iacopini e nestarini (nestoriani), delli quali diremo inanzi. Di verso tramontana confina con Giorgens (l'attuale Georgia), e in queste confine è una fontana, ove surge tanto olio e in tanta abondanza che 100 navi se ne caricherebboro a la volta. Ma non è buono a mangiare, ma sí da ardere, e buono da rogna e d'altre cose; e per tutta quella contrada non s'arde altr'olio. »
     (Marco Polo, Il Milione)
Il petrolio venne introdotto in Occidente soprattutto come medicinale, in seguito all'espansionismo arabo. Le sue doti terapeutiche si diffusero con grande rapidità e alcune fonti d'olio a cielo aperto, come l'antica Blufi (santuario della "Madonna dell'olio") e Petralia in Sicilia, divennero noti centri termali dell'antichità.
Il valore del petrolio come fonte di energia trasportabile e facilmente utilizzabile, usata dalla maggioranza dei veicoli (automobili, camion, treni, navi, aeroplani) e come base di molti prodotti chimici industriali, lo rende dall'inizio del XX secolo una delle materie prime più importanti del mondo. L'accesso al petrolio è stato uno dei principali fattori scatenanti di molti conflitti militari, compresi la Seconda guerra mondiale e la guerra del Golfo. La maggior parte delle riserve facilmente accessibili è collocata nel Medio Oriente, una regione politicamente instabile.

Campo di estrazione petrolifera in California, 1938

L'industria petrolifera nacque negli anni 1850 negli Stati Uniti (nei pressi di Titusville, Pennsylvania), per l'iniziativa di Edwin Drake. Il 27 agosto 1859 venne aperto il primo pozzo petrolifero redditizio del mondo. L'industria crebbe lentamente durante il 1800 e non diventò di interesse nazionale (USA) fino agli inizi del ventesimo secolo; l'introduzione del motore a combustione interna fornì la domanda che ha poi largamente sostenuto questa industria. I primi piccoli giacimenti "locali" in Pennsylvania e in Ontario sono stati velocemente esauriti, portando ai " boom petroliferi" in Texas, Oklahoma, e California. Altre nazioni avevano considerevoli riserve petrolifere nei loro possedimenti coloniali, e incominciarono ad utilizzarli a livello industriale.
Sebbene negli anni cinquanta il carbone fosse ancora il combustibile più usato nel mondo, il petrolio cominciò a soppiantarlo. Agli inizi del ventunesimo secolo circa il 90% del fabbisogno di combustibile è coperto dal petrolio. In conseguenza della crisi energetica del 1973 e della crisi energetica del 1979 si è sollevato l'interesse nella pubblica opinione sui livelli delle scorte di petrolio, portando alla luce la preoccupazione che essendo il petrolio una risorsa limitata essa sia destinata ad esaurirsi (almeno come risorsa economicamente sfruttabile).
Il prezzo di un barile di petrolio è aumentato, dagli 11 dollari del 1998 a circa 147, per poi ripiegare (a causa della recessione globale, ma anche delle "prese di beneficio" degli speculatori), fino a 45 nel dicembre 2008. In seguito le quotazioni del greggio hanno ripreso a crescere per installarsi solidamente al di sopra dei 100 dollari nel marzo 2011. Data l'elevata volatilità del prezzo di un barile, l'OPECha preso in valutazione di tagliare la produzione per far aumentare i costi dell'oro nero[senza fonte] (per fare un esempio: se un barile aumenta di un dollaro, negli Emirati Arabi Unitiarrivano oltre 100 milioni di dollari di guadagni[senza fonte]). Tuttavia il re dell'Arabia SauditaʿAbd Allāhsi è detto disponibile ad aumentare l'estrazione di petrolio per riportarlo ad un prezzo ragionevole[senza fonte].
Esistono e sono continuamente allo studio fonti alternative e rinnovabili di energia, sebbene la misura in cui queste possano rimpiazzare il petrolio e i loro eventuali effetti negativi sull'ambiente sono attualmente oggetto di dibattito.
Studi sulle riserve del petrolio


Grafico rappresentativo della produzione petrolifera, mostrante il picco di Hubbert.

Per riserve di petrolio si intende la quantità di idrocarburi liquidi che si stima potranno essere estratti in futuro dai giacimenti già scoperti.
Generalmente i volumi che potranno essere estratti da giacimenti non ancora sfruttati sono denominati riserve.
La determinazione delle riserve è condizionata dalle incertezze tecniche ed economiche. Le incertezze tecniche derivano dal fatto che i volumi di idrocarburo contenuti nel giacimento sono stimati quasi esclusivamente attraverso dati ottenuti con metodi indiretti (tra i più diffusi la prospezione sismica e le misure di proprietà fisiche delle rocce nei pozzi). Le informazioni dirette sono necessariamente poche, se confrontate con l'eterogeneità delle rocce serbatoio, in quanto provengono dalla perforazione dei pozzi, che è molto costosa.
Le incertezze di tipo economico includono la difficoltà di poter prevedere l'andamento futuro dei costi di estrazione e dei prezzi di vendita dell’idrocarburo (mediamente la vita produttiva di un giacimento è di 10-20 anni). Anche la disponibilità commerciale di nuove tecnologie di estrazione è difficilmente prevedibile con totale certezza. Il livello di incertezza sulle riserve è quindi massimo quando vengono stimati potenziali nuovi giacimenti, diminuisce nel momento della loro scoperta tramite perforazioni di pozzi, e durante il periodo produttivo e diviene nullo quando le riserve producibili del giacimento sono azzerate in quanto tutti gli idrocarburi estraibili sono effettivamente stati prodotti.
Il grado di aleatorietà delle riserve è espresso attraverso la loro classificazione secondo categorie definite. Esistono diversi schemi di classificazione, quella della Society of Petroleum Engineers (SPE) è internazionalmente diffuso e distingue tra Risorse (idrocarburi non ancora scoperti o non commerciali) e Riserve (idrocarburi scoperti e commerciali). Le Riserve infine sono classificate come certe, probabili e possibili secondo un grado di incertezza crescente. Questo stesso schema è stato inserito all’interno del sistema di classificazione delle risorse naturali, esclusa l’acqua, pubblicato dalle Nazioni Unite nel 2004 sotto il nome di United Nations Framework Classification (UNFC).
L'impossibilità di calcolare esattamente la quantità di riserve e di risorse, dà spazio a diverse previsioni più o meno ottimistiche.
Nel 1972 uno studio autorevole, commissionato al MIT dal Club di Roma (il famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo), affermò che nel 2000 sarebbero state esaurite circa il 25% delle riserve mondiali di oro nero. Il rapporto, però, fu frainteso, e i più pensarono che predicesse la fine del petrolio entro il 2000.
La situazione oggi appare più grave di quanto il MIT avesse predetto. Dai dati pubblicati annualmente dalla BP si rileva che la quantità di petrolio utilizzata dal 1965 al 2004 è di 116 miliardi di tonnellate, le riserve ancora disponibili nel 2004 sono valutate in 162 miliardi di tonnellate.
Con questi valori si può facilmente calcolare che, escludendo i nuovi giacimenti che saranno scoperti nei prossimi anni, è già stato consumato il 42% delle riserve inizialmente disponibili, in altre parole si avvicina il momento del raggiungimento del "picco" dell'estrazione. Secondo la BP, il petrolio disponibile è sufficiente per circa 40 anni a partire dal 2000, supponendo di continuarne l'estrazione al ritmo attuale, quindi senza tenere conto della continua crescita della domanda mondiale, che si colloca intorno al 2% annuo. Ma al momento dell'estrazione dell'ultima goccia di petrolio, l'umanità dovrà già da tempo aver smesso di contare su questa risorsa, in quanto man mano che i pozzi si vanno esaurendo la velocità con cui si può continuare ad estrarre decresce, costringendo a ridurre i consumi o utilizzare altre fonti energetiche.
Diversi altri studi hanno in tutto o in parte confermato queste conclusioni; in particolare sono da menzionare quelli del geologo americano Marion King Hubbert (vedi anche picco di Hubbert) e in seguito, a partire da questi, quelli di Colin Campbell e Jean Laherrère.
Secondo questi studi la quantità di petrolio estratto da una nazione segue una curva a campana e la massima estrazione di greggio per unità di tempo la si ha quando si è prelevato metà di tutto il petrolio estraibile. Questo è quanto si è verificato negli USA (i 48 stati continentali - lower 48 - esclusa l'Alaska) in cui l'estrazione di petrolio ha avuto un massimo nel 1971 (circa 9 milioni di barili al giorno) e poi è declinata come in una curva a campana secondo quanto previsto da Hubbert.
Altri studi di diversa matrice (in gran parte di economisti) sostengono che la tecnologia continuerà a rendere disponibili per l'industria idrocarburi a basso costo e che sulla Terra ci sono vaste riserve di petrolio "non convenzionale" quali le sabbie bituminose, gli scisti bituminosi consentiranno nel futuro l'uso del petrolio per un periodo di tempo ancora molto lungo.
L'Agenzia internazionale dell'energia nel 2008 ha stimato che la produzione di petrolio sia destinata a calare del 9,1% annuo, o almeno il 6,4% se aumentassero gli investimenti; le stime corrette dell'agenzia abbassano tale dato al 5%[5] e considerano più probabile il 6,7%.[6]
Paesi con le maggiori riserve di petrolio
Qui di seguito sono elencati i primi 20 paesi per riserve certe di petrolio all'anno 2010.
Per vita media residua si intende la stima della durata delle riserve ai ritmi di estrazione dell'anno 2010.[7]


Paese Milioni di barili (bbl)  % sul totale Vita media residua
1 Arabia Saudita 264.500 19,1% 72,4
2 Venezuela 211.200 15,3% 193,7
3 Iran 137.000 9,9% 88,4
4 Iraq 115.000 8,3% 126,9
5 Kuwait 101.500 7,3% 112,1
6 Emirati Arabi Uniti 97.800 7,1% 94,1
7 Russia 77.400 5,6% 20,6
8 Libia 46.400 3,4% 76,7
9 Kazakhstan 39.800 2,9% 62.1
10 Nigeria 37.200 2,7% 42,4
11 Canada 32.100 2,3% 26,3
12 USA 30.900 2,2% 11,3
13 Qatar 25.900 1,9% 45,2
14 Cina 14.800 1,1% 9,9
15 Angola 13.500 1,0% 20,0
16 Brasile 14.200 1,0% 18,3
17 Algeria 12.200 0,9% 18,5
18 Messico 11.400 0,8% 10,6
19 Norvegia 6.700 0,5% 8,5
20 Azerbaijan 7.000 0,5% 18,5
Resto del mondo 81.200 6,1% *
Totale 1.383.200 100% 46,2
46 Italia 1.000 0,10% 25,0
I volumi si riferiscono alle riserve certe. Sono escluse le stime ufficiali delle sabbie bituminose canadesi (pari a circa 143.300 milioni di barili) relative ai progetti oggetto di sviluppo attivo, ai liquidi separati dal gas naturale ( "Natural Gas Liquids - NGL") e ai liquidi condensati dai gas naturali ("gas condensate").
Impatti ambientali del petrolio

Per approfondire, vedi la voce Disastro petrolifero.
  




Effetti sull'ambiente di un incidente ad una nave petroliera

La presenza dell'industria petrolifera ha significativi impatti sociali e ambientali, da incidenti e da attività di routine come l'esplorazione sismica, perforazioni e scarti inquinanti.
L'estrazione petrolifera è costosa e spesso danneggia l'ambiente. La ricerca e l'estrazione di petrolio offshore disturbano l'ambiente marino circostante. L'estrazione può essere preceduta dal dragaggio, che danneggia il fondo marino e le alghe, fondamentali nella catena alimentare marina. Il greggio e il petrolio raffinato che fuoriescono da navi petroliere incidentate, hanno danneggiato fragili ecosistemi in Alaska, nelle Isole Galapagos, in Spagna e in molti altri posti.
Infine, la combustione, su tutto il pianeta, di enormi quantità di petrolio (centrali elettriche, mezzi di trasporto) risulta essere tra i maggiori responsabili dell'incremento riscontrato delle percentuali di anidride carbonica e di altri gas nell'atmosfera, incidendo sull'aumento dell'effetto serra.
Principali paesi produttori


Barili di petrolio.
Qui di seguito vengono elencati i primi 20 paesi produttori di petrolio nel mondo nell'anno 2009[7]:


Paese Milioni di barili (bbl)  % sul totale Vita media residua
1 Arabia Saudita 264.500 19,1% 72,4
2 Venezuela 211.200 15,3% 193,7
3 Iran 137.000 9,9% 88,4
4 Iraq 115.000 8,3% 126,9
5 Kuwait 101.500 7,3% 112,1
6 Emirati Arabi Uniti 97.800 7,1% 94,1
7 Russia 77.400 5,6% 20,6
8 Libia 46.400 3,4% 76,7
9 Kazakhstan 39.800 2,9% 62.1
10 Nigeria 37.200 2,7% 42,4
11 Canada 32.100 2,3% 26,3
12 USA 30.900 2,2% 11,3
13 Qatar 25.900 1,9% 45,2
14 Cina 14.800 1,1% 9,9
15 Angola 13.500 1,0% 20,0
16 Brasile 14.200 1,0% 18,3
17 Algeria 12.200 0,9% 18,5
18 Messico 11.400 0,8% 10,6
19 Norvegia 6.700 0,5% 8,5
20 Azerbaijan 7.000 0,5% 18,5
Resto del mondo 81.200 6,1% *
Totale 1.383.200 100% 46,2
46 Italia 1.000 0,10% 25,0
I volumi si riferiscono alle riserve certe. Sono escluse le stime
Fonte: BP Statistical Review of World Energy - June 2010
Sono inclusi i volumi di petrolio estratti da sabbie bituminose e scisti bituminosi oltre che ai liquidi separati dal gas naturale ( “Natural Gas Liquids - NGL”). Sono esclusi i carburanti (liquid fuels) prodotti da altre fonti (es. carbone).
Principali paesi consumatori

Consumo di petrolio nel mondo, dal 1970 al 2025.
Qui di seguito vengono elencati i primi 20 paesi consumatori di petrolio nel mondo nell'anno 2009:




Paese Milioni di barili (bbl)  % sul totale
1 USA 6820 21,7%
2 Cina 3148 10,4%
3 Giappone 1604 5,1%
4 India 1161 3,8%
5 Russia 984 3,2%
6 Arabia Saudita 954 3,1%
7 Germania 884 2,9%
8 Brasile 878 2,7%
9 Corea del Sud 849 2,7%
10 Canada 801 2,5%
11 Messico 710 2,2%
12 Paesi Bassi 670 1,5%
13 Francia 669 2,3%
14 Iran 635 2,2%
15 Regno Unito 588 1,9%
16 Italia 577 1,9%
17 Spagna 545 1,9%
18 Indonesia 490 1,6%
19 Taiwan 370 1,2%
20 Singapore 366 1,2%
Resto del mondo 6985 24,0%
Totale 30688 100%

Lista di alcune compagnie petrolifere

Americhe

Asia
Europa

Africa


Mercato del petrolio
I due mercati principali per lo scambio di petrolio sono il NYMEX di New York e l'IntercontinentalExchange di Atlanta. Attualmente entrambi sono di proprietà statunitense. In precedenza il Brent era quotato al International Petroleum Exchange di Londra (IPE). Su questi due mercati sono quotati rispettivamente contratti (l'unità di scambio è costituita da lotti indivisibili di 1000 barili) per petrolio di qualità WTI (West Texas Intermediate) e Brent Blend per consegna immediata (spot) o future rispettivamente a Cushing (Oklahoma, USA) e Sullom Voe (Gran Bretagna). In entrambi, il prezzo del petrolio e la quotazione avvengono in dollari. I contratti di scambio di questi due petroli in realtà agiscono solo come benchmark (oil marker) per la totalità delle altre transazioni. In realtà, le transazioni di petrolio WTI e Brent Blend costituiscono solo una piccola parte del totale degli scambi, ma i prezzi di questi scambi sono utilizzati come prezzo di riferimento per gli altri. IL Brent Blend è costituito da un paniere di 15 petroli estratti nel Mar del Nord. In passato si utilizzava il petrolio estratto da un solo campo petrolifero (Blend appunto). Verso la fine degli anni 90, il numero di transazioni riguardante questo petrolio era diventato insufficiente per garantire che gli scambi di petrolio Brent fossero rappresentativi del prezzo di scambio e dunque si è deciso di utilizzare un numero più ampio di transazioni e dunque di includere gli scambi riguardanti altri grezzi petroliferi.
Il WTI è utilizzato principalmente per quotare petroli prodotti in Nord e Sud America; il Brent Blend è utilizzato per quelli prodotti in Europa (inclusa la Russia), Africa e Medio Oriente. Più del 60% delle transazioni sono fatte utilizzando come benchmark il Brent Blend. Altri benchmark esistono (come il Dubai, Tapis e Isthmus) ma sono largamente meno utilizzati che il WTI ed il Brent Blend.
Nella pratica commerciale, ogni petrolio è quotato rispetto al benchmark di riferimento più una differenza (detta premium), che può essere negativa o positiva. La differenza esistente tra il petrolio in questione ed il benchmark di riferimento è funzione essenzialmente della qualità. Petroli più leggeri o con un contenuto in zolfo minore del loro benchmark di riferimento saranno scambiati con un premium positivo; l'inverso se sono più pesanti o hanno un contenuto in zolfo più elevato.
Il Brent ha toccato il suo minimo storico il 10 dicembre 1998 quando fu quotato a 9,55 $ al barile[8][9]. Il massimo storico è dell'11 luglio 2008 quando le quotazioni registrarono i 147,25 $ al barile[10]. Da allora il corso ha raggiunto un minimo di circa 40 $ nel 2009 per ritornare nel 2011 solidamente al di sopra dei 90 $.


Andamento del prezzo del petrolio (in dollari al barile) dal 1861 al 2007.


Note

  1. ^ Arduino, op. cit., p. 455
  2. ^ Arduino, op. cit., p. 456
  3. ^ Questa teoria non è in contraddizione col secondo principio della termodinamica.
  4. ^McGraw-Hill Concise Encyclopedia of Science and Technology, op. cit.
  5. ^ La notizia è stata data inizialmente dal Financial Times del 28 ottobre 2008 (che cita come fonte una bozza del World Energy Outlook) e ripresa dal Guardian due giorni dopo. Fonte: Sergio Ferraris, Nessuno parli del picco, QualEnergia, novembre/dicembre 2008, p. 91.
  6. ^George Monbiot, When will the oil run out?, The Guardian, 15 dicembre 2008.
  7. ^abFonte : BP Statistical Review of World Energy - June 2010.
  8. ^ 10 anni fa il petrolio sotto i 10 dollari
  9. ^ Cala d 5 mila miliardi la bolletta petrolifera
  10. ^ Petrolio sopra 147 dollari, Borse a picco

Bibliografia

Voci correlate

Chimica e geologia
Fasi della produzione e del trasporto
Tipologie e prodotti del petrolio
Problematiche ambientali correlate
Risvolti economici e legislativi
Altre

Collegamenti esterni

 

Picco di Hubbert
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.



2004 Previsioni della produzione di petrolio esclusi i paesi OPEC e l'Unione Sovietica fatta dal Governo Americano
La teoria del picco di Hubbert (detta anche più brevemente picco di Hubbert) è una teoria scientifica (o modello) proposta, nella sua formulazione iniziale, nel 1956 dal geofisico americano Marion King Hubbert, riguardante l'evoluzione temporale della produzione di una qualsiasi risorsa minerale o fonte fossile esauribile o fisicamente limitata. In particolare, l'applicazione della teoria ai tassi di produzione petrolifera risulta oggi densa di importanti conseguenze dal punto di vista geopolitico, economico e ingegneristico.

 La teoria
La teoria si propone di prevedere, a partire dai dati relativi alla "storia estrattiva" di un giacimento minerario, la data di produzione massima della risorsa estratta nel giacimento, così come per un insieme di giacimenti o una intera regione. Il punto di produzione massima, oltre il quale la produzione può soltanto diminuire, viene detto picco di Hubbert.
Alla base di questa teoria, vi è la descrizione del consumo della risorsa (ad esempio il petrolio) come una funzione continua (in costante crescita nell'età industriale) che, per il teorema di Weierstrass, possiede massimo e minimo assoluti. L'analisi delle serie storiche consente di posizionare questa funzione e calcolarne il valore massimo, nonché il momento oltre il quale tale curva non può che essere decrescente.
È da notare tuttavia che l'analisi considera solo la variabile quantitativa, e non di prezzo. In altre parole, la quantità prodotta è la sola variabile indipendente, e il prezzo di mercato dipende dalla quantità domandata e offerta. Questo approccio trascura cioè il fatto che il prezzo stesso condiziona la quantità offerta, rendendo conveniente l'estrazione e la raffinazione di nuovi giacimenti, seppure meno "convenienti" o con costi maggiori. Quando il prezzo di mercato supera il costo pieno industriale di una nuova tecnologia di estrazione o raffinazione, l'adozione di questa diviene economicamente conveniente e può generare un nuovo aumento della produzione, o anche un nuovo picco relativo.
Dopo il picco, in ogni caso (o meglio dopo il picco "principale"), sebbene la variabile di prezzo e tecnologica possano quindi creare delle discontinuità e dei salti nella produzione petrolifera, secondo tale teoria comunque la produzione non può che diminuire. Infatti, sebbene sotto l'ipotesi di una domanda crescente di petrolio non supportata dall'offerta i prezzi, salendo, possano portare (quando oltre un determinato valore critico), alla scoperta o allo sfruttamento di nuovi giacimenti, tali risorse sarebbero comunque meno convenienti, meno importanti o meno disponibili di quelle già sfruttate.
In particolare, la storia di produzione della risorsa nel tempo segue dunque una particolare curva a campana, detta appunto curva di Hubbert, che presenta in una fase iniziale una lenta crescita della produzione, che man mano aumenta fino ad un punto di flesso e quindi al picco per poi cominciare un declino dapprima lento, e quindi sempre più rapido.
In una prima fase, la teoria fu proposta da Hubbert come modello puramente empirico basato esclusivamente sull'osservazione di dati estrattivi storici e dei fattori economici che possono intervenire in una economia di mercato quando ci si trova a che fare con una risorsa fisicamente limitata (come ad esempio il petrolio) e solo in seguito vi fu affiancata una trattazione matematica.

 Fasi di estrazione

Possono essere distinte così almeno quattro macrofasi all'interno della storia estrattiva di un giacimento:
1.    espansione rapida - Inizialmente, dopo la prima fase di esplorazione, la risorsa è abbondante e bastano modesti investimenti per estrarla. In questa fase, la crescita della produzione è esponenziale.
2.    inizio dell’esaurimento - Le riserve "facili", ovvero quelle meno costose, sono quelle estratte per prime. Con l'esaurimento di queste, comincia a essere necessario sfruttare risorse più difficili e ciò richiede investimenti sempre maggiori. La produzione continua a crescere, ma non più esponenzialmente come nella prima fase.
3.    picco e declino - A un certo punto, il graduale esaurimento rende talmente elevati gli investimenti necessari che questi non sono più sostenibili. La produzione raggiunge un massimo (il picco di Hubbert) e poi comincia a declinare.
4.    declino finale - In questa fase non si fanno più investimenti significativi. La produzione continua, ma il declino procede fino a che non diventa talmente ridotta da cessare completamente.
Queste caratteristiche "empiriche" possono essere estese a diversi insiemi di giacimenti ed essere simulate con diversi modelli matematici: empirici, stocastici oppure basati sulla dinamica dei sistemi. Si ottengono comunque sempre curve a campana, anche se non necessariamente simmetriche.
Dopo la formulazione iniziale della teoria, molti lavori successivi sono stati effettuati per "raffinare" ulteriormente la parte matematica dei modelli nonché per estendere il campo di validità della teoria. Da menzionare sono, in questo ambito, i lavori di Colin Campbell e Jean Laherrère.

 Applicazioni

Confronto tra produzione di petrolio rilevata (stati continentali U.S.A.) e curva di Hubbert

Hubbert basò inizialmente la sua teoria sull'osservazione dei dati storici della produzione di carbone in Pennsylvania, giungendo solo in seguito ad una trattazione matematica generalizzata applicabile anche ad altri casi.
Estrapolando la sua teoria al futuro della produzione di petrolio degli stati continentali americani, Hubbert fece la previsione (nel 1956) che agli inizi degli anni '70, gli USA avrebbero raggiunto il loro "picco di produzione" petrolifera.
Le conclusioni di Hubbert furono inizialmente guardate con sufficienza dagli ambienti scientifici ed economici, situazione che cambiò radicalmente nei primi anni settanta, quando, effettivamente, i 48 stati continentali USA raggiunsero il loro picco di produzione. La concomitanza di questi eventi con le crisi petrolifere del 1973 e del 1979 fece di Hubbert forse il geofisico più famoso del mondo.
Negli ultimi anni diversi studiosi in tutto il mondo (tra cui Colin Campbell, Jean Laherrère ed altri) hanno ripreso le sue teorie cercando di estrapolare e formalizzare meglio i suoi risultati al fine di prevedere il picco di Hubbert della produzione mondiale di petrolio e gas naturale.
Sebbene tali analisi risultino molto più complicate a causa della grande incertezza sulle riserve petrolifere di molti stati (in particolare mediorientali), la maggior parte delle analisi fa cadere il "picco di Hubbert mondiale" all'incirca nel secondo decennio del XXI secolo o, più precisamente, tra il 2006 e, al più tardi, il 2020, anche in previsioni di eventuali crisi economiche che potrebbero temporaneamente ridurre la richiesta di petrolio.
Altri studi collegati, che tengono in conto anche lo sviluppo di fonti petrolifere "non convenzionali", quali le sabbie bituminose, gli scisti bituminosi, e i gas liquefatti (detti anche NGL) non giungono comunque a spostare di molto in avanti queste date.
Sono collegati anche altri studi, portati avanti parallelamente dal Club di Roma con il suo famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo del 1972, che giungono essenzialmente alle stesse conclusioni della teoria del Picco di Hubbert.
Recentemente è stata sviluppata a contorno una teoria che modellizza gli effetti del declino produttivo petrolifero dal punto di vista dei pesi produttori e da quello dei consumatori, denominato Export Land Model. Tale modello prevede che, a causa dell'incremento di domanda interna petrolifera dei paesi produttori, congiuntamente al declino produttivo dei giacimenti, i paesi importatori dovranno fronteggiare un tasso di declino di offerta più che raddoppiato rispetto al declino naturale. Il limite di tale teoria è che esula da studi economici che riflettano eventuali retroazioni sulle economie dei paesi produttori dell'innesco di crisi economiche dei paesi importatori, innescate dalla carenza di offerta petrolifera.

 Effetti del Picco

La grande crescita economica e prosperità del XX secolo sono state dovute in gran parte all'utilizzo di una risorsa energetica, come il petrolio, estremamente efficiente, versatile e a basso costo. Il petrolio rappresenta oggi quasi il 40% dell'energia primaria generata e circa il 90% dell’energia usata nei trasporti; importanti sono anche le sue applicazioni nell'industria chimica, in particolare quella dei fertilizzanti per l'agricoltura, nonché plastiche, colle, vernici, lubrificanti, detersivi.
Eventuali sostituti del petrolio comportano in ogni caso diversi problemi di ordine tecnologico o politico e comunque non riescono a "coprire" totalmente tutti i settori di utilizzo attuali.

 Risvolti tecnologici

Il fatto di prevedere, per il futuro a breve, un'epoca in cui il petrolio diverrà sempre meno disponibile ed economico, impone di ricercare sostituti adeguati per i principali campi di applicazione del petrolio (produzione di energia elettrica, mezzi di trasporto, industria chimica). Ciò potrebbe provocare grossi problemi (e costi) connessi alla produzione agricola, ove regnano la meccanizzazione ed il trasporto delle derrate anche in altre nazioni, la riconversione di apparati industriali, gli impianti di generazione elettrica, e anche al cambiamento di abitudini individuali e collettive.
Finché il petrolio era una merce abbondante e ad un costo relativamente basso, erano messe da parte soluzioni di produzione e consumo energetico, tecnicamente fattibili, ma economicamente non convenienti. I loro costi divengono confrontabili con quelli della situazione petrolifera che segue il picco di Hubbert.
Un primo effetto del picco di Hubbert è quello di rendere conveniente l'estrazione di petrolio alle più alte profondità e di un greggio di minore qualità, che presenta maggiori costi di raffinazione. L'aumento dei prezzi rende economicamente fattibile lo sfruttamento di giacimenti dei quali era nota l'esistenza, così come l'investimento in nuove tecnologie di ricerca, estrazione e raffinazione dei giacimenti petroliferi.
Il rincaro delle fonti petrolifere rende inoltre economicamente convenienti lo sviluppo di motori a bassi consumi ed emissioni, e l'adozione di forme alternative di produzione energetica, ad esempio da fonti rinnovabili, con l'investimento in tecnologie per la razionalizzazione dei costi associati.
La riconversione degli impianti di generazione elettrica in particolare potrebbe tanto portare all'adozione di politiche più "sostenibili", con l'utilizzo di fonti rinnovabili (ad esempio solare, eolico, idroelettrico, ecc.), quanto alla scelta di sostituti con un maggior impatto ambientale (quali potrebbero essere il carbone o il nucleare).
Grosse ripercussioni potrebbero aversi anche nel settore dei trasporti basati sul petrolio (auto, aerei, navi, ecc.), in cui, se non si trovano soluzioni alternative "efficienti", tutto il settore potrebbe anche essere scosso da una crisi globale.

 Implicazioni politiche

Il raggiungimento a breve del picco di Hubbert potrebbe portare a cambiamenti geopolitici oggi difficilmente prevedibili.
In particolare è da notare che l'area del pianeta che dovrebbe raggiungere più tardi il "picco" è (come unanimemente riconosciuto) l'area mediorientale. Il mondo si troverà dunque (almeno in una prima fase) ad essere sempre più dipendente da quest'area, oggi politicamente instabile.
In seguito, l'utilizzo di nuove risorse, potrebbe portare "alla ribalta" altre aree del pianeta oppure anche essere causa di guerre o instabilità politiche.
Consapevoli del fatto che prima poi il petrolio finirà, alcuni Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, provvedono ad esempio a investire gli utili derivanti dalla vendita del petrolio, in attività durature che possano garantire uno sviluppo economico del territorio, anche dopo la sua cessazione.

 Teorie derivate

Sulla base degli studi intorno al Picco di Hubbert per la risorsa petrolifera sono sorte diverse teorie scientifiche e, principalmente, economiche e politiche, alcune delle quali anche di stampo più o meno "catastrofista".
Vogliamo qui solo menzionare, tra le più importanti, la teoria di Olduvai proposta da Richard Duncan, che lega l'esistenza stessa della civiltà industriale all'inclinazione "crescente" della curva di Hubbert, giungendo dunque a prevedere la fine di tale tipo di civiltà in un'epoca di curva di Hubbert "decrescente". Questo ovviamente postulando che la produzione energetica mondiale continui a basarsi prevalentemente sull'utilizzo del petrolio e di fonti fossili.

 Critiche alla teoria

Alcuni economisti sono critici nei confronti delle teorie collegate al picco del petrolio poiché considerano il bene energia come il petrolio come bene sostituibile da un bene non energetico ma che la tecnologia eleva alla classe di bene energetico in caso di crisi mondiale dell'energia [1].
In pratica si immagina che in caso di crisi e di prezzi elevati del greggio possano arrivare "naturalmente" una o più scoperte o un generale affinamento della tecnologia che riesca ad utilizzare meglio o sostituire il bene petrolio e ne faccia calare il prezzo. Per questo motivo economisti come Michael Lynch del MIT, Carlo Stagnaro dell'Istituto Bruno Leoni e molti altri avversano le teorie probabilistiche del peak oil poiché non si contemplano nuovi metodi per produrre energia.
Si fa notare inoltre come la domanda petrolifera sia sostanzialmente anelastica ai prezzi, ovvero che il petrolio sia un bene primario, del quale non si può fare a meno; se a un certo punto gli investimenti necessari all'estrazione divengono proibitivi, la produzione non cesserà perché incontrerà una domanda comunque disposta a remunerarli. La teoria di Hubbert poi considera solamente logiche di mercato, mentre la produzione può essere finanziata in parte dall'intervento statale o da forme differenti per le quali l'investimento del privato ritorna remunerativo, e solo una parte dei costi è caricata sul consumatore.
In risposta a tali posizioni, viene fatto notare che tali assunzioni non confutano la teoria di Hubbert: la prima, introducendo eventuali altre sorgenti di energia, non fanno che uscire dal contesto per cui la teoria di Hubbert è valida, cioè la modellizzazione del flusso estrattivo di un bene limitato o lentamente rinnovabile rispetto al tasso di consumo. In parole povere, tale modellizzazione è valida finché qualche elemento non viene a cambiare i presupposti della teoria. Al momento, non essendo stata ancora scoperta un sorgente dotata di densità energetica e versatilità di impiego comparabile a quella del petrolio, la teoria rimane valida.
In merito alla seconda posizione, un sovvenzionamento statale sulla ricerca di nuovi giacimenti fossili non può cambiare il sottostante quadro geologico dei giacimenti, né può quindi influire sul costo unitario energetico assoluto di estrazione, che si fa via via più sfavorevole man mano che si è costretti a mettere in produzione giacimenti più piccoli e di minor qualità, traducendosi questo in costi più elevati e/o flussi estrattivi ridotti. In altre parole, un intervento statale può modificare la forma della curva di Hubbert, ma non le caratteristiche fondamentali. Va fatto inoltre notare che esistono già da molto tempo sovvenzioni statali al settore petrolifero privato, sotto forma di consistenti sgravi fiscali, e che soprattutto il 95% del petrolio mondiale viene già estratto da compagnie statali[senza fonte] .

Bibliografia
 Voci correlate
 Collegamenti esterni

Petrolio


Olio di pietra, dal latino petra e oleum, è un liquido denso, vischioso, dall’odore caratteristico e di colore variante da giallo-bruno a nerastro. Il petrolio è costituito da una miscela di idrocarburi naturali liquidi (olio) e, in proporzione molto minore, gassosi (gas naturale) e solidi (bitumi e asfalti).

Il petrolio si concentra in rocce serbatoio, ossia in volumi circoscritti del sottosuolo dove particolari conformazioni delle rocce porose e delle sovrastanti rocce impermeabili, definite trappole, ne impediscono la dispersione verso la superficie. La composizione dell’olio ha caratteristiche chimico-fisiche molto diverse, a seconda della provincia petrolifera di provenienza, che variano da quelle degli oli pregiati leggeri (>30°API), con basso contenuto di zolfo, a quelli degli oli pesanti (<20°API) con alto tenore di zolfo e diminuito valore commerciale. La formazione del petrolio deriva principalmente dall’alterazione termica nei tempi geologici della materia organica contenuta nelle rocce madri durante il loro seppellimento nei bacini sedimentari. La stragrande maggioranza delle riserve originarie di olio (oltre il 90%) sono contenute in 1.330 grandi giacimenti che rappresentano solo il 3,2% degli oltre 41.000 giacimenti finora scoperti.


Il disegno mostra un bacino dove si forma il petrolio: i resti di organismi animali e vegetali si depositano, l'ossigeno si disperde, il carbonio e l'idrogeno formano gli idrocarburi che danno origine alla roccia madre.
Le alte pressioni e temperature permettono la formazione del petrolio che si accumula nella roccia serbatoio.
creazione di un giacimento petrolifero

La produzione è aumentata di otto volte negli ultimi 50 anni. Il petrolio contribuisce con il 40% al fabbisogno mondiale di energia collocandosi al primo posto tra le fonti primarie di energia, seguito dal carbone (27%), dal gas naturale (23%) . Le sue riserve attuali, stimate attorno a 140 miliardi di tonnellate, 2/3 delle quali localizzate nel Medio Oriente, hanno una durata di circa 40 anni e si sono notevolmente accresciute rispetto al 1970, quando la durata delle stesse era prevista attorno ai 30 anni. La genesi del petrolio era dibattuta fin dall'inizio del 1800 fra i sostenitori di un'origine inorganica (il petrolio sarebbe un prodotto dell'attività di rocce fuse o magmi) e gli assertori di un’origine organica (il petrolio sarebbe derivato dalla decomposizione di organismi fossilizzati nelle rocce).

Negli anni Settanta i risultati di moderne e approfondite ricerche geochimiche, di esperimenti di laboratorio e di studi e osservazioni geologiche, hanno dimostrato in modo inconfutabile che i depositi di olio e gas del mondo si sono originati, principalmente, per un lento processo di alterazione termica della materia organica dispersa nelle rocce sedimentarie. In pratica, durante lo sprofondamento delle rocce madri nei bacini sedimentari, si genera gas batterico nella prima fase di seppellimento a basse temperature (<50°C) e successivamente, per progressivo aumento della temperatura, olio e gas umidi ed infine, nella fase finale dell'alterazione termica della materia organica, solo gas secco. Le moderne conoscenze sull'origine del petrolio hanno avuto importanti risvolti pratici sull'esplorazione petrolifera che è stata indirizzata, in modo più selettivo, verso le aree in cui si sono verificate le condizioni più favorevoli alla formazione e all'accumulo del petrolio.

I suoi derivati, ottenuti dall'industria petrolchimica, oltre che coprire buona parte del sistema energetico servono per innumerevoli e svariati prodotti di uso comune, per tali produzioni oggi si impiega circa il 7% del petrolio estratto.
Stima delle riserve naturali totali di petrolio
Le riserve petrolifere globali in miliardi di barili* (scala in alto)secondo le stime della BP Statistical Review of World Energy.La scala verticale in cifre indica la durata in anni delle riserve di ciascun paese produttore.

Secondo la ExxonMobil, la maggiore compagnia petrolifera, i giacimenti petroliferi sono sufficienti, ai ritmi attuali, per la fornitura di petrolio fino al 2050.

Secondo la BP Amoco, la seconda compagnia petrolifera, i giacimenti accertati sono, sempre ai ritmi di consumo attuali, sufficienti fino al 2044.



* Un barile di petrolio equivale a circa 159 litri, un TEP (TOE) equivale a 7,33 barili   
In questa immagine è evidente come la stragrande maggioranza delle riserve di petrolio sia concentrata in una minima parte del pianeta, i 2/3 delle riserve sono concentrate nell'area dei paesi del golfo persico.

Dati indicati in miliardi di barili   



Quanto dureranno le riserve di petrolio?

Le correnti di pensiero sono due: gli ottimisti e i pessimisti. Tra i primi vi è una task force scientifica dell'U.S. Geological Survey che dopo uno studio durato cinque anni ha concluso che il mondo ha riserve sufficienti per circa 80 anni ai ritmi di consumo attuali, circa due mila e trecento miliardi di barili, ( 313 miliardi di tonnellate) anche se gran parte di esse devono essere ancora scoperte. Tra i secondi, invece, ci sono i geologi del King Hubbert Center della Colorado School of Mines che ritengono che la produzione dell'oro nero toccherà il suo picco in questo decennio con 85 milioni di barili al giorno per poi scendere drammaticamente a 35 milioni nel 2020. Una previsione che molti altri esperti ritengono errata. Un consulente governativo americano, Daniel Yergin, ha dichiarato al Los Angeles Times «ormai da oltre un secolo ci sono predizioni catastrofiche sull'esaurimento delle riserve petrolifere, ma in realtà l'unica cosa sicura è che il petrolio è una risorsa finita. Non sappiamo, però, quanto ce ne sia ancora nelle viscere del pianeta».

Secondo Thomas S. Ahlbrandt della Geological Survey sono stati consumati circa 710 miliardi di barili di petrolio. «Le analisi», dice Ahlbrandt, «dimostrano che ce ne sono ancora 891 miliardi sicuri più altri 688 probabili. Senza contare che ulteriori ricerche potranno portare a scoprire altri 731 miliardi di barili». Altri però sottolineano alcuni segnali negativi. Innanzitutto le riserve dei paesi arabi sarebbero state sovrastimate. Poi molti giacimenti sarebbero troppo costosi da sfruttare perché situati in zone proibitive. Colin J. Campbell, un esperto che vive in Irlanda, ritiene ad esempio che le nuove scoperte daranno un massimo di 100 miliardi di barili sufficienti solo per tre o quattro anni. Infine, altri sottolineano che se le multinazionali stanno iniziando prospezioni in aree come i bacini oceanici, l'Artico e l'Antartico, qualche motivo ci sarà: cioè le famose riserve delle zone temperate non esisterebbero affatto.

In un articolo che relaziona i più recenti studi sistematici ad opera dei maggiori e qualificati esperti in ambito energetico-economico si traggono le seguenti conclusioni:

In conclusione, ci sono validi motivi per ritenere prossima la fase in cui l’offerta di petrolio non sarà più in grado di sostenere la domanda. Raggiunta tale condizione, i paesi con sistema energetico centrato sugli idrocarburi ai quali non sarà consentito un accesso diretto al greggio dovranno affrontare sofferenze economiche strutturali. Pertanto, è prevedibile che gli Stati oggi al vertice del sistema economico-finanziario fondato sul petrolio siano disposti a esercitare tutte le opzioni, compresa quella militare, per garantirsi una via privilegiata d’approvvigionamento energetico. In questo panorama, non è casuale che il governo USA, il paese dal consumo pro capite di petrolio più elevato in assoluto, consideri il controllo della sicurezza degli approvvigionamenti di greggio come la priorità strategica d’interesse nazionale.


"Picco di Hubbert" relativo alla produzione di petrolio negli USA


Il "picco di produzione" rappresenta il punto cruciale di questo tipo di analisi. Il concetto di "fine del petrolio" a livello mondiale è evidentemente mal definito e impossibile da definire. E' probabile che si potrà estrarre petrolio per molto tempo prima che si arrivi all' "ultima goccia", ma a quel momento il petrolio avrà cessato da un pezzo di avere ogni importanza come fonte di energia. Invece, arrivare al picco mondiale di produzione significa raggiungere quel punto di "transizione petrolifera" in cui la risorsa petrolio cessa di essere abbondante (come e stata finora) e diventa scarsa, con conseguente aumento dei prezzi e tutte le difficoltà politiche e economiche del caso.

Da www.aspoitalia.net, sezione italiana dell'associazione ASPO (association for the study of peak oil)

Di certo si possono fare alcune considerazioni: è vero che negli anni '70 dava per imminente l'esaurimento dei giacimenti petroliferi collocando l'esaurimento dei giacimenti per il primo decennio del nuovo secolo ed invece nel 2003 la domanda è ancora inferiore all'offerta di petrolio, rimane il fatto che il petrolio è una fonte esauribile e calcolare quando finirà è un'esercizio fondalmentalmente sbagliato nel concetto: Anche se per assurdo fosse sufficiente per soddisfare la domanda a costi contenuti per altri 100 o 200 anni non giustifica il fatto che si possa farlo con leggerezza considerando che in meno di 200-300 anni avremmo esaurito una preziosa risorsa che non sarà più riproducibile e che è importantissima per la produzione di innumerevoli prodotti di uso comune e/o particolare.

Non è escluso ed anzi probabile che in futuro ci si renda conto che il petrolio è una materia prima ottimale per altri prodotti, non ottenibili da altre materie prime, nel frattempo avremmo sprecato ed esaurito tale risorsa bruciandola per ottenere energia quando era possibile sfruttare le fonti rinnovabili e risparmiare e conservare una fonte esauribile, in ogni caso sembra sensato e ragionevole conservare una riserva di energia sempre disponibile per casi imprevedibili nel futuro dell'umanità.


Articoli sull'attuale mercato del petrolio


Petrolio, la crisi più grave dagli anni 70


Intervista a Alberto Clò: "Sono 5 anni che i prezzi restano alti: non
è un fatto congiunturale ma strutturale. E la colpa non è dei paesi
Opec ma della mancanza di investimenti da parte delle imprese
energetiche"

ADRIANO BONAFEDE


«Se, per ipotesi, definiamo con l'espressione "crisi petrolifera" una
crescita dei prezzi sui mercati internazionali per almeno 4
trimestri, ebbene quella in atto si configura come la più severa
crisi dopo quelle degli anni 70: anche se, a moneta costante, i
valori sono oggi meno della metà di quelli di allora. Dal giugno 2003
ai primi di giugno 2004 i prezzi hanno registrato un aumento di 15
dollari al barile (+60%): dai minimi di 25 dollari che seguirono la
fine del conflitto iracheno, a 40 e più». L´analisi di Alberto Clò,
docente universitario ed esperto di energia oltre che ex ministro
dell´Industria nel governo Dini del `95, è preoccupata. Clò ha
scritto un lungo articolo per la rivista "Energia" (n.2/2004) che
uscirà nei prossimi giorni e che anticipa in questa intervista ad
Affari & Finanza.
Il prezzo del petrolio, tra saliscendi vari, permane su alti livelli
da molto tempo. Da cosa dipende?
«L´attuale crisi si colloca lungo una tendenza rialzista che perdura
ormai da cinque anni. Nei 60 mesi che vanno dalla seconda metà del
1999 a oggi, 43 mesi registrano prezzi superiori ai 25 dollari, 12 ai
30. Il prezzo medio dell´intero periodo è di 27 dollari: 10,5, ovvero
il 64 per cento in più dei 16,5 osservati nella lunghissima fase che
va dal 1986 al 1999. Dunque la prima conclusione è che siamo di
fronte a un trend rialzista che ha ragioni strutturali e non
congiunturali».
Di solito si dà la colpa ai paesi Opec, che ridurrebbero la loro
produzione per favorire gli aumenti di prezzo. È così?
«Niente di più falso. In tutto il periodo considerato la domanda di
petrolio ha trovato sempre piena copertura dal lato dell´offerta. Nel
primo semestre 2004, l´offerta sui mercato internazionali è risultata
addirittura superiore alla domanda per 1,5 milioni di barili al
giorno. Il più che pieno equilibrio domanda offerta è stato
assicurato dai paesi Opec che hanno spinto i livelli estrattivi al
95% delle potenzialità».
Perché allora il prezzo del petrolio rimane così alto?
«Per due ragioni strutturali. Una dal lato della domanda: il
mutamento della "geografia" mondiale della domanda. L´altra
dell´offerta: la saturazione della capacità produttiva non solo di
petrolio ma di tutte le fonti fossili».
Com´è cambiata la geografia della domanda?
«È cambiata con l´irruzione della Cina sui mercati internazionali di
tutte le materie prime. La Cina ha più che raddoppiato i consumi di
petrolio negli anni 90, con un tasso di crescita simile a quello
delle economie occidentali nel secondo dopoguerra. Esportatore netto
di petrolio sino al 1994, la Cina importa oggi un terzo dei suoi
fabbisogni interni. Ogni barile in più consumato è un barile in più
importato. La Cina ha concorso per la metà alla crescita della
domanda mondiale nel 2003 e ancora nel 2004, così da costituirne il
principale fattore propulsivo».
Questo spiega anche perché i prezzi del petrolio siano rimasti alti o
siano cresciuti anche nel periodo in cui in Europa c´è stata la
recessione?
«Sì, certo».
Dal lato dell´offerta lei parla di saturazione. Com´è possibile?
«Il basso eccesso di capacità produttive si registra in tutte le
filiere energetiche, dal petrolio al gas naturale al carbone (i cui
prezzi sono cresciuti più di quelli del petrolio) e, insieme, nelle
singole fasi produttive. Per il petrolio: nell´estrazione, nella
raffinazione, nel trasporto cisterniero, ove c´è il rischio che nei
prossimi mesi non vi sia naviglio sufficiente a consegnare le
esportazioni incrementali dell´Arabia Saudita».
Ma è impossibile estrarre più petrolio, carbone o gas?
«No, certo. Le risorse minerarie non mancano. Il problema è che non
si sono fatti sufficienti investimenti per sfruttarle. C´è un vuoto
d´investimenti rispetto a quelli necessari a corrispondere al forte
incremento di domanda. Secondo i calcoli dell´IEA di Parigi, gli
investimenti nella sola estrazione avrebbero dovuto ammontare ad
almeno 70 miliardi di dollari l´anno. Livello oggi ampiamente
disatteso».
Suona strano quel che dice, professore. C´è un surplus di domanda e
le imprese non fanno investimenti? Perché?
«Fondamentalmente per tre ragioni. La prima è il progressivo
prevalere nella filosofia e nelle strategie aziendali di molte
imprese energetiche di logiche decisionali più finanziarie che
industriali. Logiche di corto respiro rispetto a quelle che hanno
guidato il capitalismo energetico sin dalle sue origini. La seconda è
la grande ondata di fusioni e acquisizioni che dalla seconda metà
degli anni 90 ha rivoluzionato la geografia industriale del petrolio
assorbendo ingenti risorse finanziarie senza accrescere d´un solo
barile le riserve e tantomeno la loro capacità estrattiva. La terza è
che l´industria petrolifera ed energetica in generale va incontrando
crescenti ostacoli alla realizzazione degli investimenti soprattutto
nei paesi occidentali, che più ne dovrebbero essere interessati,
dietro il pretesto di draconiane politiche ambientali. Il fatto è che
la questione energetica continua ad essere colpevolmente sottostimata
ed oggi ne paghiamo i costi».
Ccosa rischiano ora i paesi occidentali?
«L´Oil market report di giugno dell´IEA quantifica in 2,33 milioni di
barili al giorno la capacità produttiva in eccesso disponibile a metà
2004 nei paesi Opec rispetto ad una domanda mondiale prevista in
crescita nell´anno di 2,3 milioni di barili: il più alto aumento
degli ultimi 24 anni. Per corrispondervi è indispensabile che tutte
le produzioni incrementali in Russia, Brasile, Angola si realizzino
compiutamente. E insieme è necessario poter contare sulla capacità in
eccesso saudita o irachena! Stiamo letteralmente raschiando il fondo
del barile! Una pur minima interruzione di quelle forniture creerebbe
una reale situazione di scarsità fisica sinora mai verificatasi con
inevitabile impatto sui prezzi. Ci vorrà tempo per uscire da queste
secche. Ma l´imperativo categorico è approntare nuova capacità
produttiva di petrolio e di altre fonti e creare le condizioni
politiche, da parte dei governi, perché ciò avvenga. Siano condannati
alla pace!».


Il percorso del petrolio

Parte dai giacimenti di tutto il mondo che costa 20 centesimi al litro, un quarto del prezzo in Italia di una bottiglia di acqua minerale. Arriva nei serbatoi delle nostre auto a 1,171 euro. Il viaggio della benzina verde dai giacimenti di greggio fino alle pompe di benzina del Belpaese è uno dei percorsi più accidentati e costosi dell'industria globale. Con le grandi compagnie petrolifere a presidiare tutta la prima parte del tragitto - dal trasporto, attraverso la raffinazione fino ai distributori - intercettandone i margini. E il fisco a dare il colpo finale al portafoglio dei consumatori.

In questo complesso tragitto, alla fine, il costo della materia prima vera e propria è marginale: su 100 euro pagati per la benzina al distributore in Italia il greggio ne costa solo 17,75. Degli altri 82,25 euro, circa 65 (tra accise e Iva) vanno allo Stato, 3,3 al gestore, 6,8 a chi gestisce il trasporto e il deposito dalla raffineria al distributore, 3,15 alle compagnie (che spesso finiscono però per incassare anche tutti i proventi del trasporto) e 4 a chi controlla le grandi petroliere che curano i collegamenti con i giacimenti.
La partenza dell'Odissea finanziaria del nostro litro di benzina verde è, a prezzo modico e sotto forma di greggio, al giacimento. Qui un barile (pari a 159 litri) costa oggi attorno ai 44 dollari. Pari, vista la resa della materia prima, a circa 20 centesimi di euro per un litro di verde. Appena salutati i pozzi, iniziano le spese. Le prime sono per il trasporto in raffineria. A volte per oleodotto, spesso, come accade per l'Italia, con una "crociera" via nave. Costo medio circa 7 dollari a tonnellata, che sommati alle spese di assicurazioni e agli "optional" di questa tappa (aumentati da quando - dopo la Exxon Valdez - sono stati imposti vincoli rigidi di sicurezza alle flotte) portano già a 0,26 euro il costo del nostro litro.
In raffineria inizia il trattamento, spesso seguito dalla stessa società (le varie Shell, Exxon o Eni) che hanno già organizzato il trasferimento. Ci sono impianti estremamente sofisticati che riescono a trasformare i 159 litri di greggio del barile in quantità ancora superiori di benzina di qualità (la benzina pesa meno). Altri che rendono meno e producono materiali di minor pregio come gli olii combustibili. In media però, i costi della trasformazione portano circa a 0,31 euro il costo del nostro aspirante carburante.
Abbandonata la raffineria (in Italia sono dislocate per lo più sulle due isole maggiori) la benzina riprende il suo viaggio. Prima, di solito, con le bettoline per raggiungere le coste della penisola. Dove si concede un periodo di riposo in deposito visto che esistono degli obblighi di "scorta" per costituire le riserve del Paese, pari a 90 giorni di consumi. Una pausa che costa, seguita da una nuova tappa, spesso in autobotte, dal deposito fino alla rete che cura la distribuzione finale alle pompe sulle strade italiane.
Questo segmento del viaggio, tra spese per il nolo delle navi, oneri di scorta e di tenuta e costi per l'autotrasporto fa lievitare ancora il prezzo del nostro litro. Anche perché proprio nel passaggio tra raffineria e pompa, dicono gli esperti, si scava la maggior differenza tra i nostri prezzi e quelli del resto d'Europa, visto che da noi il mondo della distribuzione è ancora molto frammentato: sulle strade nazionali ci sono oltre 22mila distributori contro gli 11mila, ad esempio, della Gran Bretagna, con un erogato che è la metà della media continentale. Sta di fatto che nel momento in cui viene versato nei serbatoi della stazione di servizio, il prezzo del litro di verde è già arrivato a 0,38 euro circa.
Il tratto più corto del suo viaggio, dalle cisterne del distributore ai serbatoi delle auto, è anche il più costoso. Un pedaggio lo preleva il gestore del distributore, alzando a 0,42 euro il prezzo del litro. Tutto il resto (circa 75 centesimi) va in tasca al fisco italiano che ogni anno, grazie al prelievo sui carburanti, incassa attorno ai 30 miliardi di euro. L'Odissea è finita. Il litro, dal pozzo all'auto, è rimasto un litro. Il suo valore, strada facendo, si è moltiplicato per 5,6 volte. A incassare sono in tanti. Ma alla fine a pagare è solo il padrone dell'auto. Che oltretutto, con i rialzi del petrolio degli ultimi giorni, rischia di aggiungere 4-500 euro l'anno alla sua "bolletta" per il pieno di benzina.

Da "la repubblica"


LA "FINE" DEL PETROLIO (E DELLA CIVILTÀ)

Mario Menichella

Fonte: http://www.lultimopapa.it/picco_del_petrolio.htm

Autore Mario Menichella, astrofisico e saggista

Su gentile autorizzazione dell’ autore  riproduciamo una parte dell’ articolo  per la lettura integrale link diretto: http://www.lultimopapa.it/picco_del_petrolio.htm
 


Occupandomi da oltre 15 anni di problemi globali e avendo scritto anche un voluminoso libro sull'argomento del futuro e della fine della nostra civiltà tecnologica, MONDI FUTURI. Viaggio tra i possibili scenari (di cui trovate online sia l'indice con prefazionesia il testo completo), conosco bene, purtroppo, tutto ciò di cui parlerò in forma divulgativa in questo articolo esauriente e aggiornato.
 

Introduzione

Nel libro in questione, si evidenzia come esistano solo due tipi di catastrofi che hanno, allo stesso tempo, la possibilità di "spazzare via" quasi all'improvviso la maggior parte del genere umano e che hanno una probabilità non trascurabile di verificarsi in qualsiasi momento: si tratta di una pandemia altamente letale dovuta a un virus naturale o modificato in laboratorio dall'uomo, oppure una guerra termonucleare globale (Menichella, 2005). Ci sono tantissime cose interessanti e non note al largo pubblico da dire riguardo questi due tipi di eventi -- oppure su altre serie minacce per la nostra società, sul superamento di "soglie critiche" a livello planetario, sulla fine della civiltà e della nostra specie, etc. -- ma non lo farò perché ne ho già parlato diffusamente nel mio libro e perché ciò mi porterebbe ora fuori tema.
Il problema che invece illustrerò nel seguente articolo è quello senza alcun dubbiopiù urgente e grave (come risulta ben chiaro a chi si occupa dell'argomento) che la nostra civiltà tecnologica e globalizzata si trova -- e si troverà sempre più velocemente e drammaticamente -- ad affrontare per tentare di rimandare la sua fine (o la scomparsa di gran parte dell'umanità): parliamo del "picco del petrolio", che è una cosa un po' diversa dalla fine del petrolio, ma che in pratica si può considerare quasi equivalente. Infatti, è la sempre maggiore difficoltà a comprare il petrolio dato il suo prezzo medio sempre più alto che causa di fatto la sua crescente "indisponibilità" (con tutte le sue gravissime conseguenze che analizzeremo), più che il minor petrolio esistente in sé. E se il rialzo del prezzo medio del petrolio negli ultimi anni fino al 2005 è dovuto più a un eccesso di domanda (e quindi di salute del sistema), dal 2005 è dovuto invece a un principio di shock dell'offerta, in quanto siamo appunto al "picco del petrolio", cui segue il declino.


Figura 1.Il ritmo di crescita esponenziale registrato nell'ultimo decennio dal prezzo del petrolio con l'avvicinarsi al cosiddetto "picco di Hubbert", cioè il picco della produzione mondiale di petrolio, che in realtà più che un picco appuntito è un plateau leggermente decrescente iniziato nel 2008, cui seguirà nei prossimi anni un declino più marcato nella produzione mondiale. (fonte: ASPO Newsletter, marzo 2009)


La verità sul picco del petrolio

Ma cos'è il cosiddetto e famigerato picco del petrolio? Semplice, premesso che il petrolio è una risorsa naturale di fatto non rinnovabile sui tempi scala umani, la quantità di petrolio "prodotto" (cioè estratto, raffinato e immesso sul mercato) NON è rappresentata, nel tempo, da una curva sempre crescente o quasi -- quale invece è la curva dei consumi di una società liberal-capitalistica come la nostra, basata sull'espansione economica quasi-continua, pena la recessione o anche peggio -- bensì da una curva con una forma vagamente simmetrica e "a campana", che come una montagna ha un picco -- detto "picco del petrolio" o anche "picco di Hubbert" -- all'incirca a metà, cioè quando sostanzialmente una metà del petrolio estraibile è stato estratto. Come vedremo, una volta superato il picco di Hubbert iniziano per la nostra società dei problemi insormontabili, perché il petrolio che può essere estratto e immesso sul mercato diminuisce sempre più rapidamente, mentre la domanda da consumi tende a crescere.

Figura 2.Il "picco del petrolio", o "picco di Hubbert", è in pratica il picco più alto, collocato intorno al 2008, che vediamo in questo grafico che rappresenta la produzione mondiale cumulativa di petrolio+gas naturale (il petrolio si distingue in convenzionale e in "non convenzionale", la cui estrazione è molto più difficile e costosa: pesante, da giacimenti marini profondi o polari, etc.). (fonte: ASPO Newsletter, marzo 2009)

Secondo le maggiori autorità mondiali (e, soprattutto, fonti del tutto indipendenti) in questo campo -- ovvero il geologo petrolifero Colin Campbell, Kjell Aleklett e altri esperti dell'ASPO (Association for the Study of Peak Oil and Gas) -- oggi noi saremmo sopra il picco del petrolio: anzi, secondo i dati e vari "segnali", lo avremmo appena superato, e ciò sarebbe avvenuto nel 2008. Infatti si vede bene che si è superato il picco solo un certo tempo dopo che si è oltrepassato, quando la situazione ha assunto già un carattere catastrofico o quasi: lo si può notare, infatti, dal solito grafico del petrolio prodotto, sotto forma di un netto massimo (o, come sta avvenendo in questo caso, di un massimo non troppo pronunciato seguito da un pianerottolo più o meno regolare) seguito da un chiaro inizio di declino. Ad ogni modo, il fatto che ora siamo sopra il picco o nelle sue immediate vicinanze, è fuori discussione: oltre il 95% dei modelli (elaborati da gruppi di esperti diversi) prevede il picco tra il 2008 e il 2010. 
Il concetto di picco del petrolio, infatti, si applica pure alla produzione di petrolio dei singoli Paesi o dei singoli pozzi. Ebbene, dei 65 Paesi del mondo maggiori produttori di petrolio, la maggior parte hanno già superato il picco di Hubbert (ad es., la Russia lo ha superato nel 2007) e dunque la loro produzione è in declino, mentre per gli altri è solo questione di tempo. In pratica, il grosso della produzione mondiale deriva da pochi giacimenti giganti scoperti molto tempo fa, e tre dei quattro giacimenti giganti più grandi del mondo (Daqing in Cina, Cantarell in Messico, Burgan in Kuwait) sono già in declino, mentre il quarto (Ghawar, in Arabia Saudita) sembra prossimo a oltrepassare il picco. Essi sono oggi i soli giacimenti petroliferi in grado di produrre 1 milione di barili di petrolio al giorno, ma fino a quindici anni fa erano 15. Quando anche gli ultimi Paesi supereranno il picco del petrolio, inizierà purtroppo un marcato declino della produzione mondiale, e con esso il veloce cammino verso una probabile catastrofe.

Tabella 1.Le migliori stime disponibili dicono che il picco di Hubbert a livello mondiale per il petrolio (+ gas naturale) è stato raggiunto nel 2008, e che il declino della produzione sarà alquanto rapido.(fonte: ASPO Newsletter, marzo 2009)

Non ci sono "paracadute", perché le scoperte di nuovi giacimenti nel mondo hanno raggiunto un massimo negli anni Sessanta e sono nettamente in calo da decenni, nonostante i notevoli miglioramenti delle tecnologie per la prospezione petrolifera. Anche il forte aumento dei prezzi negli anni Settanta conseguente alla grave crisi petrolifera del '73 (di natura geopolitica) non è stato sufficiente a invertire la tendenza. Ormai si stanno già largamente sfruttando anche i grandi giacimenti di petrolio "pesante", quelli marini profondi e restano da scoprire solo le "briciole", o poco più. L'80% del petrolio che consumiamo è stato scoperto prima del 1973. Oggi, per sei barili di petrolio consumati viene scopertoun solo nuovo barile, e l'esplosione della domanda da parte di Paesi super-energivori come la Cina peggiorerà tale rapporto. Perfino scoperte inattese -- che comunque appaiono improbabili -- posporrebbero i problemi di qualche mese, ma ben poco cambierebbe nel quadro generale.



Figura 3.La curva delle scoperte di nuovi giacimenti petroliferi ha un massimo negli anni Sessanta. Oggi le nuove scoperte sono largamente inferiori ai nostri consumi e alla domanda da consumi futura. (fonte: Association for the Peak of Oil and Gas)

Si potrebbe a questo punto ingenuamente pensare che "basti" aumentare la produzione, cioè la capacità di estrazione e raffinazione. Il punto-chiave, tuttavia, è che la produzione di petrolio da un dato giacimento diviene progressivamente più difficoltosa (e costosa) via via che si estraggono percentuali maggiori della riserva recuperabile: in altre parole, è relativamente facile estrarre la prima metà del petrolio di un pozzo, cioè quello a sinistra del picco di Hubbert, ma non si può dire lo stesso per la seconda metà. Pertanto, il picco del petrolio si verifica quando si raggiunge la massima capacità di produzione possibile a causa di tali difficoltà; dopodiché, l'incremento degli investimenti in ricerca di nuovi giacimenti e nello sviluppo di nuove infrastrutture estrattive permesso dai prezzi del petrolio più elevati NON si traduce più in un incremento della produzione, ma riesce al massimo a stabilizzare per un po', prima dell'inevitabile declino, il livello di produzione raggiunto al picco di Hubbert.


Perché andiamo verso una catastrofe

La nostra civiltà tecnologica è fondata sul petrolio, che direttamente o indirettamente entra in tutti i settori dell'economia: ad esempio, l'agricoltura moderna dipende dal petrolio sia come combustibile per i macchinari agricoli che per la produzione di fertilizzanti e pesticidi. Quasi non c'è prodotto della nostra vita quotidiana -- plastica, giocattoli, borse, computer -- o servizio, che non sia collegato a un qualche derivato del petrolio. Ma soprattutto, i prodotti raffinati del petrolio (benzina, gasolio, kerosene, etc.) rappresentano in pratica l'unica forma di carburante usata oggi (e l'unica utilizzabile su vasta scala per almeno altri 10-20 anni) per il trasporto sia deibeni (con camion, aerei, navi) siadeilavoratori (con automobili, autobus, treni). Infine -- ma non meno importante -- una gran parte dell'energia elettrica usata nel mondo è ricavata bruciando combustibili ottenuti dalla raffinazione del petrolio, oppure altri combustibili fossili il cui prezzo e la cui durata sono legati a quelli del petrolio.

La catastrofe è dovuta al fatto che tutto avverrà in tempi molto rapidi, impedendo ogni reale adattamento alla mutata situazione e frustrando, di fatto, ogni tardivo tentativo di mitigazione delle conseguenze. Infatti, una volta ben superato il picco del petrolio a livello mondiale, avremo una chiara e crescente divergenza tra la curva di produzione del petrolio da una parte (che vedrà un declino sempre più accentuato) e la curva della domanda dall'altra, che in un sistema liberal-capitalistico come il nostro fondato totalmente sull'economia del petrolio cresce (e "deve" crescere), pena il rischio di collasso dell'economia stessa e della civiltà. Tale divergenza, a causa dell'andamento di queste due curve -- una decrescente (o stazionaria) e l'altra crescente (grosso modo al ritmo del 2% l'anno) dominata dalla domanda di petrolio di Cina e Asia -- tenderà, da un certo punto in poi, a diventare insostenibile (nel 2030 la domanda cinese di energiasarà del 50% più alta, e ogni anno la Cina inizia a usare decine di milioni di nuove automobili).




Figura 4.La divergenza rapidamente crescente tra la curva della domanda del petrolio e la curva della produzione del petrolio (+gas) -- che fino al picco di Hubbert crescono di pari passo -- a un certo punto dà luogo a una situazione potenzialmente catastrofica. 


Ciò si rifletterà inevitabilmente sul prezzo del petrolio, che tenderà a crescere con un ritmo esponenziale, in quanto in alcuni suoi utilizzi  esso risulta di fatto insostituibile, tanto più in un arco di tempo inferiore a 10 o più anni (a seconda dei suoi singoli impieghi), per cui verrà acquistato anche a prezzi assai più alti. Già oggi la curva del prezzo del petrolio, che su scale temporali brevi e medie fluttua molto a causa di fattori geopolitici, speculativi, etc., nascondendo il trend sistematico di fondo, invece su una scala temporale più lunga (anni) è ben descritta da una curva di tipo esponenziale (Urso, 2006), andamento dovuto negli ultimi anni (peraltro con modesta inflazione, che dunque non incide granché) proprio all'avvicinarsi del picco di Hubbert. La semplice estrapolazione nel futuro di tale curva -- che tenderà tanto più a crescere a ritmo esponenziale una volta ben superato il picco di Hubbert -- mostra come la tendenza sia di arrivare in poche decine di mesi a prezzi stellari, chiara "anticamera" di una catastrofe.



Figura 5.La curva esponenziale che ben interpola i dati sul prezzo del petrolio dal 1999 al 2006 può essere estrapolata nel futuro dando preziose (e, soprattutto, inquietanti) informazioni sulla rapidità di crescita del prezzo del petrolio nel futuro. Questo grafico fa intuire molto bene come la nostra civiltà tecnologica vada verso un vicino "crash".
(fonte: elaborazione dell'autore su formula interpolante di A. Urso, 2006)

Non si tratta, purtroppo, di fantascienza. La "forbice" tra domanda e offerta mondiale di petrolio sta realmente per iniziare ad allargarsi. Da una parte, la domanda di petrolio cresce tendenzialmente del 2% l'anno, spinta soprattutto dalla domanda di Cina e India. Dall'altra parte, l'offerta di petrolio nel mondo non aumenta da circa due anni, e anzi è in leggera diminuzione perché probabilmente si è già raggiunta la massima capacità di produzione possibile (cioè il picco di Hubbert): perfino il Medio Oriente non è in grado di garantire non solo l'aumento della produzione, ma neppure il mantenimento dei livelli attuali. Si prevede che nei prossimi anni -- verosimilmente già dopo il 2010 -- l'offerta di petrolio diminuirà a un ritmo grosso modo dell'ordine del 4% annuo (tipico dei pozzi all'inizio del loro declino). Tanto che perfino la sempre "super-ottimistica" -- e, per ragioni su cui non mi dilungo, di solito poco attendibile -- International Energy Agency (IEA) è stata di recente costretta ad ammettere la gravità della situazione e ad ipotizzare un collasso dell'offerta entro il 2015. 

In realtà, il declino della produzione del petrolio sarà assai più rapido di quanto usualmente previsto perché pochi considerano il fatto che, specie dopo il picco di Hubbert, per estrarre il petrolio -- dunque, a parità di risorsa estratta -- occorre sempre più energia, per cui il petrolio netto disponibile sarà ben inferiore a quello prodotto, dal momento che: petrolio netto = petrolio estratto - petrolio impiegato per l'estrazione. Se negli Stati Uniti (dove il picco del petrolio c'è stato nel 1970 e dunque ciò ci dà informazioni su quanto succederà presto a livello mondiale) nel 1930 ci voleva un barile di petrolio per estrarne 100, cioè il rapporto era di 100:1, negli anni Settanta era già calato a 30:1 e nel 2000 a 11:1. In pratica, ciò equivale a descrivere il picco del petrolio con l'asimmetrica "curva di Hubbert netta" al posto della solita (simmetrica e semplicistica) curva di Hubbert. Ciò fa anche capire come NON sia tanto importante quanto petrolio rimane all'umanità, bensì quanta energia netta possiamo ancora ricavarne per unità investita (il cosiddetto EROI, Energy Return on Investment).



Figura 6.La cosiddetta "curva di Hubbert netta", che ci mostra come il declino del petrolio davvero disponibile per la società, cioè "netto", sia in realtà molto più rapido di quanto previsto dalla tradizionale curva di Hubbert "lorda". (fonte: The Oil Drum)

Cosa succederà più nel dettaglio

Tutto ciò porta inevitabilmente ad almeno un "super-picco" del prezzo del petrolio (il primo si è verificato nella prima metà del 2008), che, non essendo evidentemente sostenibile se non per brevissimo tempo, provoca una recessione (non a caso la più grande crisi finanziaria degli ultimi 80 anni ha raggiunto un punto minimo a fine 2008) che taglia la domanda e riduce per un po' la pressione sul prezzo. A questo primo ciclo possono seguire più cicli di apparente ripresa economica (e/o relativa speculazione finanziaria) fino al raggiungimento di nuovi picchi del prezzo del petrolio poi seguiti da nuovi crolli, e così via. Un plausibile scenario per i prossimi mesi/anni prevederebbe, quindi, un circolo vizioso fatto di Shock da prezzo del petrolio - Recessione - Collasso del prezzo del petrolio - Ripresa economica - Shock da prezzo del petrolio. Diminuendo a ogni nuovo picco del prezzo la capacità produttiva di petrolio e la "soglia di dolore" della società, si innesca inoltre una spirale ribassista di estrema pericolosità.

Negli anni Ottanta, la cosiddetta spare capacity -- cioè la riserva di produzione di petrolio inutilizzata disponibile per far fronte a "imprevisti" (ad es. piattaforme off-shore danneggiate da uragani, guerre locali che coinvolgono Paesi produttori, dannegggiamento di oleodotti da parte di terroristi, etc) -- era del 15%: cioè, l'offerta di oro nero era del 15% superiore alla domanda. Nel 2008, invece, la spare capacity era già scesa al 3% a causa dell'aumento della domanda a fronte di un'offerta di petrolio praticamente ferma su un valore costante. Ma più la spare capacity si avvicina a 0 e più la domanda è vicina all'offerta, e quindi più elevate sono le fluttuazioni di prezzo del petrolio sovrapposte al trend di fondo: a provocarle, è sufficiente un imprevisto tipo quelli citati prima. Quando poi, a un certo punto, la "forbice" tra domanda e offerta (mostrata in Fig. 2) si apre perché la domanda diviene costantemente superiore all'offerta -- cioè la spare capacity diventa "negativa" -- cominciano i guai seri.

Per continuare a leggere l’ articolo – link diretto: http://www.lultimopapa.it/picco_del_petrolio.htm


Siti Internet
I migliori siti di riferimento per la maggior parte dei temi trattati in questa pagina:
- Association for the Study of Peak Oil and Gas, ASPO International. È l'associazione che fornisce i dati più attendibili riguardo il petrolio ancora disponibile e fa previsioni con sofisticati modelli. In particolare, sono utili le sue newsletter (v. link qui sotto).
-
ASPO Newsletter, a cura di C. Campbell et al., Ireland, 2001-Today. Le ultime annate danno un'idea del problema propedeutica e complementare a "The Oil Drum". Ottime.
- The Oil Drum, Discussions about Energy and Our Future. Il sito più utile riguardo l'aspetto-chiave del problema picco del petrolio: la connessione tra energia ed economia. Abbiamo selezionato gli articoli migliori nella nostra bibliografia. Imprescindibile.
- Trading Economics, Indicatori economici e grafici che permettono di farsi un'idea della situazione economica di qualsiasi Paese del mondo, Italia compresa. Utilissimo.
- Wall Street Italia, News, dati e analisi dal mondo finanziario. Permette di vivere "dal di dentro" la situazione della finanza, che nell'immediato fa "scommesse" sul futuro, ma che con un paio di trimestri di ritardo tende a riflettere lo stato dell'economia reale.
-
Charting The Economy, Grafici "freschi" relativi alla situazione economica degli Stati Uniti, che mostrano l'andamento di molti indicatori-chiave relativi a disoccupazione, debito, risparmio personale, utilizzo industriale, etc. Consiglio di guardare le più recenti 3 pagine di post anziché direttamente le categorie nel menù a destra. Interessante.
-
Energy Bullettindel Post Carbon Institute. Argomenti vari correlati al picco del petrolio.
-
The Oil Depletion Analysis Centre, ODAC. Promuove la divulgazione del problema.
- Housing Bubble Charts.Dati e grafici relativi all'esplosione della "bolla" immobiliare USA.

Nessun commento:

Posta un commento

CRITERI DI MODERAZIONE UTILIZZATI PER I COMMENTI PUBBLICATI SUL BLOG NOSTRA SIGNORA DI ANGUERA. https://nostrasignoradianguera.blogspot.it/2016/09/moderazione-commenti-sul-blog-nostra.html

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.