POST DEL 2/8/2012 AGGIORNATO AL 8/3/2014 ULTIMO AGGIORNAMENTO DEL 26/07/2018
- Dal 1987, la Madonna appare ad Anguera (Brasile) al veggente Pedro Régis, dettandogli messaggi per tutta l'umanità.
- I messaggi vengono trasmessi 3 volte a settimana: ogni martedì e sabato, più un altro giorno variabile.
ULTIMO MESSAGGIO IN ITALIANO DAL SITO WEB UFFICIALE BRASILIANOGli articoli e le informazioni contenute nei siti Web "linkati" sono di proprietà degli autori dei siti medesimi. Pertanto tutti i diritti nonché la responsabilità di quanto riportato in questi siti sono riservati esclusivamente ai loro autori.Questo post presente sul blog: https://nostrasignoradianguera.blogspot.it/e Twitter: https://twitter.com/angueramessaggi è un interpretazione personale e non corrisponde necessariamente al vero significato dei messaggi, degli avvertimenti della Madonna al mondo e delle profezie annunciate da Nostra Signora ad Anguera.Si consiglia di visitare il sito web ufficiale brasiliano del veggente Pedro Regis:http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/ e la pagina dedicata al commento delle profezie: http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/cms/list/not%C3%ADcias(Gestore sito web: ANSA - Associacao Nossa Senhora de Anguera).
Nicaragua. Ortega celebra la rivoluzione e attacca la Chiesa: «Satanisti»
Nicaragua: Leonardo Boff (teologia liberazione) critica il governo Ortega. “Sta imitando le pratiche dell’antico dittatore”
24 LUGLIO 2018
7 marzo 2014 - ore 16:15
Ratzinger e la Teologia della liberazione: "Fu falsificazione della fede"
Le parole di Benedetto XVI apriranno il nuovo libro su Papa Wojtyla
01/10/2013
Quando Bergoglio sconfisse i teologi della liberazione
Un vescovo che fu testimone diretto dello scontro ne racconta lo svolgimento e la posta in gioco. Se poi Francesco fu eletto papa, lo si deve anche a ciò che accadde nel 2007 ad Aparecida
di Sandro Magister
di Sandro Magister
07/03/2014
«Wojtyla, uomo di Dio con il coraggio della Verità»
Fonte: http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/benedetto-xvi-ricorda-giovanni-paolo-2.aspx
[1]Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, [2]di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. [3]Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, [4]colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. [5]Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? [6]E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. [7]Il mistero dell'iniquità è gia in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. [8]Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, [9]la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, [10]e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. [11]E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna [12]e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.Tessalonicesi 2 - Cap. 2
Messaggio della Madonna di Anguera n. 115 – 17 dicembre
1988
Miei amati figli, questi sono i miei tempi. Questi sono i
tempi nei quali la vostra Madre Celeste vi chiede di essere fedeli al Vangelo
di mio Figlio. I tempi della dolorosa purificazione si stanno avvicinando. Molto presto l’apostasia diventerà visibile.
Solo coloro che sono uniti al Santo Padre saranno salvati dal naufragio. Vi supplico di predicare il Vangelo di mio Figlio con
coraggio e fedeltà. Al giorno d’oggi tantissimi non credono alle parole di mio
Figlio nel Santo Vangelo. La mia Chiesa è internamente divisa e in pericolo di perdere la vera
fede. Molti errori vengono diffusi al suo interno e i veri colpevoli sono i
pastori che non obbediscono al vicario di mio Figlio Gesù Cristo, Giovanni
Paolo II. Molti vescovi, sacerdoti e religiosi sono solo ed esclusivamente
preoccupati per i problemi sociali. Essi stanno dimenticando che Gesù è morto sulla croce e che è
risuscitato per ottenere per noi il grande dono della redenzione e per salvare
anime. Così la teologia
della liberazione si sta diffondendo sempre più, portando innumerevoli
figli sulla via della perdizione. La teologia della liberazione, con le sue
tattiche ingannevoli, lavora apertamente per distruggere il Vangelo di mio
Figlio. Tutti
voi sacerdoti dovreste combattere molto per la salvezza dell’umanità. Non
preoccupatevi eccessivamente per le cose materiali, affinché possiate imitare
mio Figlio Gesù. E voi religiosi dovreste pregare molto, senza cercare di
essere più di quello che siete. La vostra missione è di essere sempre in
preghiera davanti alla croce. Pregate per tutti i sacerdoti di tutto il mondo,
specialmente per il Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II. Figli amati, la mia Chiesa è nelle tenebre. Voi
siete la vera luce. La salvezza della mia Chiesa dipende da voi. Voi dovreste
formare un esercito potente per combattere l’errore, l’immoralità e la mancanza
di fede nella mia Chiesa. Conto sul vostro aiuto. Dipende tutto da voi. Incoraggio
voi tutti e vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen. Rimanete nella pace.
Italia
MESSAGGIO DELLA MADONNA DI ANGUERA N. 458 (2 novembre 1991)
Clicca sul titolo evidenziato in giallo per leggere il messaggio completo
Trasmesso ad Anguera al veggente Pedro Régis, questo messaggio è stato dato
come segno, da parte della Madonna, per tutti quelli che non credevano alle sue
apparizioni: il giorno precedente, infatti,
aveva preannunciato un segno affinché tutti credessero. Nel luogo delle apparizioni si erano radunate molte persone,
giornalisti compresi, aspettandosi un segno come quello del miracolo del sole a Fatima.
Si tratta del
messaggio più lungo trasmesso dalla Regina della Pace a Pedro Régis e,
probabilmente, si tratta anche del messaggio più lungo trasmesso a un veggente
nel corso della storia delle apparizioni
mariane. In questo messaggio la Vergine Maria ha sviluppato ordinatamente 18
temi, dettando al veggente il titolo di ogni tema. Il primo, l’introduzione, è
una spiegazione del perché lei si è presentata con il titolo di Regina della
Pace. A questo seguono gli altri temi fino ad arrivare all’ultimo, in cui ci
racconta alcuni fatti sconosciuti della vita di Gesù. Questo non è un messaggio
qualunque: si tratta di una delle prove che la Madre di Dio appare realmente al
veggente Pedro Régis. Infatti, chi era Pedro Régis nel 1991? Nato e cresciuto
in un ambiente rurale, con conoscenze di fede solo rudimentali, non avrebbe mai
potuto scrivere il messaggio seguente, così esteso, profondo ed esortativo.
Tale
messaggio è stato scritto interamente durante l’apparizione, alla presenza di
circa 8.000 persone, compresi alcuni canali televisivi: oltre ad esserci
migliaia di testimoni, quindi, esiste anche un video che documenta quanto
avvenne.
Ricordiamo
infine che, a quell’epoca, la Fazenda Malhada Nova non era provvista di luce
elettrica e che questa apparizione è avvenuta di sera, protraendosi fin dopo il
tramonto. Pedro Régis racconta che, prima di dettare il messaggio, la Vergine
Maria gli chiese di procurarsi più carta, perché i fogli che aveva erano
insufficienti. Gli fu dato il permesso di comunicare con alcuni dei presenti, a
cui chiese altra carta. Gli fu consegnato un plico. La Madonna gli chiese di
numerare le pagine: una volta arrivato a pagina 30, Pedro si fermò perplesso,
ma la Vergine Maria gli disse “Continua”. Perché perplesso? Perché, chi è a
conoscenza delle apparizioni di Anguera, sa che
la maggior parte dei messaggi, scritti frettolosamente e sotto forma di
scarabocchi, non oltrepassa le dieci pagine. Dopo aver enumerato 50 pagine,
Pedro si fermò di nuovo, ma la Madonna lo esortò a proseguire. La scena si
ripeté altre volte, finché, arrivato a pagina 130, la Madre di Dio disse
“Basta”, iniziando quindi a dettare il messaggio, fermandosi proprio alla fine
di pagina 130 con la frase “Rimanete nella pace”, che accomuna tutti i
messaggi.
È
interessante notare che, durante tutta l’apparizione, Pedro Régis è rimasto in
ginocchio per due ore e mezza, sempre nella stessa posizione. Al termine, si è
alzato e ha letto il messaggio ai presenti. La lettura pubblica del messaggio è
durata più di due ore e lo stesso Pedro ha dimostrato di ignorare molti dei
termini utilizzati.
1. Introduzione – Esortazione a confidare nella sua protezione materna.
2. Amatevi
gli uni gli altri – Ci offre l’antidoto contro l’odio, la violenza e
l’egoismo che ci impediscono di amare il prossimo.
3.
Meravigliose sono le tue opere, Signore – Ci presenta il Creatore
attraverso il creato, affermando che senza di lui la nostra vita è inutile.
4.
Eucarestia, mio Figlio è presente – Ci conferma la presenza reale di Cristo
nell’Eucarestia.
5. Andate
per il mondo e annunciate il Vangelo – Si rivolge specialmente ai vescovi e
ai sacerdoti, parlando dell’indifferentismo religioso e del matrimonio,
esortandoci a una vita che sia segno della presenza di Dio nel mondo.
6. Dov’è la verità? – Torna a dirci dove la Verità resta integra, parlandoci dell’avanzata delle sette e indicandoci le principali cause di tale avanzata, affinché sia combattuta.
7. Non
lasciatevi ingannare dalla falsa scienza – Il mondo è pieno di falsi
profeti, dai quali la Madonna ci esorta a stare lontani
8. Vi
chiedo fiducia – Le nostre difficoltà sono grandi e la Madonna lo sa bene,
esortandoci a fidarci di Gesù.
9. È
necessario credere – Tema dedicato alla fede.
10. La
vostra testimonianza sincera – Ci chiede di testimoniare le apparizioni e i suoi messaggi, sapendo che questi
conducono all’ideale evangelico.
11. Creati
a sua immagine e somiglianza – Ci ricorda che siamo stati creati a immagine
e somiglianza di Dio, ma il peccato ci ha sfigurati, portando l’umanità a ogni
sorta di male
12. La
gioia della vostra presenza – Ringrazia coloro che la ascoltano, offrendo
il rifugio sicuro del suo Cuore Immacolato, incoraggiandoli a proseguire nella
vita cristiana autentica.
13. Madre
e Regina della vostra nazione – Essendo Madre e Regina del Brasile, avvisa
i suoi abitanti dei molti pericoli che li circondano, parlando loro, ad
esempio, degli errati insegnamenti della teologia della liberazione.
14. Cristo
é la vostra speranza – La speranza è una virtù teologale, quindi solo Cristo
può essere la nostra speranza.
15. I
segni che vi offro – Ci spiega il perché delle sue apparizioni
nel mondo e qual è il loro scopo.
16. Tutti
voi siete uguali – Tema importantissimo trattato dalla Regina della Pace:
la questione del razzismo e della schiavitù.
17. Chiedo
la vostra consacrazione – In questo tema, la Regina della Pace ci chiede la
nostra consacrazione al suo Cuore Immacolato, insegnandoci le parole con le
quali consacrarci.
18. La mia obbedienza: la vostra felicità – Termina con questo bellissimo tema. La nostra vera felicità è possibile grazie al FIAT della Vergine Maria nell’Annunciazione e durante la sua vita. Ricorda fatti sconosciuti, con alcuni dettagli, della vita di suo Figlio Gesù, dall’infanzia fino alla morte sulla Croce.
18. La mia obbedienza: la vostra felicità – Termina con questo bellissimo tema. La nostra vera felicità è possibile grazie al FIAT della Vergine Maria nell’Annunciazione e durante la sua vita. Ricorda fatti sconosciuti, con alcuni dettagli, della vita di suo Figlio Gesù, dall’infanzia fino alla morte sulla Croce.
13. MADRE
E REGINA DELLA VOSTRA NAZIONE
Qui nella
vostra nazione, dove il mio avversario è
riuscito a condurre all’errore un grande numero di poveri figli, con il vostro
aiuto desidero realizzare grandi prodigi nel
silenzio e nel nascondimento. Il mio Cuore si spezza nel constatare che un
grande numero dei più sfavoriti sono trattati come animali senza valore. Vi
ricordo che anche loro, come voi, hanno valore agli occhi di Dio e che per me
sono tesori preziosi. Soffro per coloro che patiscono la miseria e la fame.
Soffro per coloro che sono spesso vittime dell’odio e della violenza. Sono
venuta per confortarvi e aiutarvi. Non sono venuta per condannarvi, ma per
mostrarvi la volontà del Signore. Vedete come soffrono i poveri. Sono molti
gli sfollati e i rifugiati, quelli che soffrono per la mancanza di amore e
speranza, quelli che hanno ceduto al male e si chiudono a tutta la luce
spirituale, quelli che hanno il cuore pieno di amarezza, vittime come sono
dell’ingiustizia e del predominio dei più forti.
L’egoismo prende il posto del coraggio morale e della solidarietà. Il proprio valore è quindi misurato in termini di avere e non di essere. Di conseguenza, si crea un’atmosfera di grandi e piccole ingiustizie e innumerevoli forme di violenza. Quello che è accettato come vera libertà, in realtà è solo una forma di schiavitù. La violenza che si perpetra in Brasile non offre alcuna soluzione per i veri problemi del vostro popolo. Non è questo il metodo scelto dal popolo di Dio. Non offre alcuna verità che possa attirare e convincere gli spiriti e i cuori del popolo sofferente. La sua unica espressione è la paura e la distruzione che produce. Il mondo, per gran parte contraddistinto dall’avidità dello sfruttamento e dal disprezzo dei più deboli, deve cambiare il suo comportamento e accogliere con spirito fraterno tutti coloro che soffrono, tanto nel corpo come nell’anima.
Oggi, gran parte dell’umanità è guidata dalla forza di coloro che si oppongono a Dio e così, giorno dopo giorno, un grande numero di anime precipitano all’inferno. Vi invito, pertanto, al grande ritorno a colui che è il vostro Padre misericordioso e vi attende a braccia aperte. Non lasciatevi ingannare dalle insidie del mio avversario. Ascoltate ciò che vi dice la vostra Madre Celeste, la Donna vestita di sole. Desidero abbracciare ogni brasiliano e condurlo su sentieri sicuri. Vi amo tutti, anche coloro che si allontanano da Dio e da me. Imploro mio Figlio per ciascuno di voi, per coloro che sono vittime dell’odio e della violenza. Soffro a causa di coloro che disprezzano i messaggi di pace e salvezza che mio Figlio vi propone. Non sono venuta dal cielo per salvarvi, ma per offrirvi la possibilità della salvezza. Gli appelli di conversione di mio Figlio non vengono accettati e, per questo, c’è il pericolo della perdizione eterna per molte anime.
L’egoismo prende il posto del coraggio morale e della solidarietà. Il proprio valore è quindi misurato in termini di avere e non di essere. Di conseguenza, si crea un’atmosfera di grandi e piccole ingiustizie e innumerevoli forme di violenza. Quello che è accettato come vera libertà, in realtà è solo una forma di schiavitù. La violenza che si perpetra in Brasile non offre alcuna soluzione per i veri problemi del vostro popolo. Non è questo il metodo scelto dal popolo di Dio. Non offre alcuna verità che possa attirare e convincere gli spiriti e i cuori del popolo sofferente. La sua unica espressione è la paura e la distruzione che produce. Il mondo, per gran parte contraddistinto dall’avidità dello sfruttamento e dal disprezzo dei più deboli, deve cambiare il suo comportamento e accogliere con spirito fraterno tutti coloro che soffrono, tanto nel corpo come nell’anima.
Oggi, gran parte dell’umanità è guidata dalla forza di coloro che si oppongono a Dio e così, giorno dopo giorno, un grande numero di anime precipitano all’inferno. Vi invito, pertanto, al grande ritorno a colui che è il vostro Padre misericordioso e vi attende a braccia aperte. Non lasciatevi ingannare dalle insidie del mio avversario. Ascoltate ciò che vi dice la vostra Madre Celeste, la Donna vestita di sole. Desidero abbracciare ogni brasiliano e condurlo su sentieri sicuri. Vi amo tutti, anche coloro che si allontanano da Dio e da me. Imploro mio Figlio per ciascuno di voi, per coloro che sono vittime dell’odio e della violenza. Soffro a causa di coloro che disprezzano i messaggi di pace e salvezza che mio Figlio vi propone. Non sono venuta dal cielo per salvarvi, ma per offrirvi la possibilità della salvezza. Gli appelli di conversione di mio Figlio non vengono accettati e, per questo, c’è il pericolo della perdizione eterna per molte anime.
Vi esorto anche, voi che mi ascoltate, a pregare il vostro Angelo Custode, perché anche lui ha il grande compito di proteggervi dalle insidie del mio avversario. Non scoraggiatevi perché avete, soprattutto, la protezione di Dio, vostro Padre. Satana è riuscito a diffondere i suoi errori ovunque. Addirittura all’interno della Chiesa è riuscito a ingannare molti, facendo loro abbracciare insegnamenti erronei come quelli della teologia della liberazione e negare ciò che predica il successore di Pietro e vicario di mio Figlio, Papa Giovanni Paolo II. Se l’umanità non tornerà a Dio sul cammino della conversione, non tarderà a cadere su di voi un grande castigo. È giunto il momento in cui dovete accogliere tutto ciò che vi ho trasmesso. Se accoglierete i miei appelli, starete dando inizio al grande trionfo del mio Cuore Immacolato. Ascoltatemi. Desidero stare al vostro fianco, accompagnando i vostri passi e intercedendo affinché possiate fare tutto ciò che mio Figlio vi dirà.
Camminate
verso un futuro sconosciuto, ma certamente pieno di potenzialità e ottimismo
per il Regno di Dio. Ricordate che tutti portate il peso delle vostre
responsabilità davanti alle sofferenze dei vostri fratelli. Riconoscete
umilmente i vostri peccati, origine prima di tutti i mali che affliggono il
mondo. Siate costruttori di pace e tornate al Dio della Salvezza. La pace tra
di voi è un compito arduo, al quale dovete collaborare generosamente. La pace
non può essere raggiunta sul sentiero dell’intransigenza né su quello
dell’egocentrismo. Al contrario, la si raggiungerà se si saranno formate la
fiducia, la comprensione e la solidarietà che vi rendono fratelli, voi uomini
che abitate in questo mondo, creati da Dio perché tutti possiate partecipare dei
suoi beni in modo equo. Se camminerete con Cristo, se lo prenderete come
compagno di viaggio a indicarvi il cammino, procederete verso il Paradiso, per
il quale unicamente siete stati creati.
La voce del Signore è la sua presenza in voi per mezzo del Battesimo. Ciascuno di voi deve discernere la chiamata che vi è rivolta. Per il sacerdote, tuttavia, è la Chiesa che ha l’incarico di confermare autenticamente la chiamata e di affidare una missione. Implorerò il Signore che vi aiuti a trovare la vostra strada nel seguirlo. Se vivrete conforme al desiderio del mio Cuore, la vostra fede sarà rafforzata e rivitalizzata e saranno esaltati i vostri sentimenti di adesione ai principi, ideali e insegnamenti della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica.
Abbiate fiducia nell’amore misericordioso del Signore. Non dubitate mai del perdono di Dio. Pentitevi con sincerità e aprite interiormente il vostro cuore al Signore, per riscoprire che ai suoi occhi avete molto valore. Per rispondere agli appelli di Dio, dovete avvicinarvi a Cristo, la fonte di acqua viva che vi fortifica e purifica. La mia presenza vi porta più speranza, amore e fede. Vi invito a scoprire in voi stessi le ricchezze del dono di Dio. Ascoltate, attraverso i miei messaggi, Cristo, il vostro Salvatore. Egli è il Buon Pastore che conosce le sue pecore e che ha dato la vita per salvarle dal male e dalla menzogna, per allontanarle dalle strade sbagliate e impedire loro di cadere nell’abisso. Vivete nella certezza dell’incontro definitivo con colui per il quale vivete, nel quale credete e sperate.
Teologia della liberazione
Da Wikipedia,
l'enciclopedia libera.
La Teologia della Liberazione (spesso abbreviata con TdL) è una riflessione teologica iniziata in America latina con la riunione del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) di Medellín (Colombia) del 1968, dopo il Concilio Vaticano II, che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano.
Tra i protagonisti che
iniziarono questa corrente di pensiero vi furono i sacerdoti Gustavo Gutiérrez (peruviano), Hélder Câmara e Leonardo Boff (brasiliani). Il termine venne
coniato dallo stesso Gutiérrez nel 1973 con la pubblicazione del
libro Teologia della
Liberazione (titolo originale spagnolo: Historia, Política y Salvación de
una Teología de Liberación).
I contenuti della Teologia
della liberazione si trovano in rapporto di contrasto con quelli della Santa Sede, la quale adottò misure
disciplinari contro alcuni dei suoi esponenti.
Origini e princìpi
ispiratori
Il contesto storico in cui
nacque e si affermò la Teologia della Liberazione è quello del diffondersi delle dittature militari e dei regimi repressivi, che determinarono lo
sviluppo dell'impegno di alcuni teologi nell'elaborare proposte sempre più
radicali per far fronte all'aggravarsi della crisi politica e sociale
latinoamericana. Durante la CELAM del 1968 i rappresentanti della
gerarchia ecclesiastica sudamericana presero posizione in favore delle
popolazioni più diseredate e delle loro lotte, pronunciandosi per una chiesa
popolare e socialmente attiva.
Iniziarono ad avere
notevole diffusione in tutti i paesi le comunità ecclesiali di base (CEB), nuclei ecumenici impegnati a vivere e diffondere una fede attivamente partecipativa
dei problemi della società: in Brasile ne nacquero circa 100.000, grazie anche al cardinale di San Paolo Paulo Evaristo Arns e al vescovo Camara; in Nicaragua numerosi cattolici, sacerdoti e laici, presero parte alla lotta
armata contro la dittatura di Somoza e
in seguito diversi sacerdoti, come Ernesto Cardenal e Miguel D'Escoto entrarono a far parte del
governo sandinista.
Durante la terza riunione
della CELAM del 1979 a Puebla (Messico), furono riaffermati e
sviluppati i princìpi di Medellín, ma si evidenziò l'emergere di una forte
opposizione da parte di settori conservatori della gerarchia ecclesiastica alle
tesi della Teologia della Liberazione, che andò rafforzandosi negli anni ottanta con il papato di Giovanni Paolo II in cui gli ideologi ed i
protagonisti della Teologia della Liberazione furono progressivamente
allontanati dai vertici della gerarchia, come avvenne per Leonardo Boff che subì diversi processi ecclesiastici per poi abbandonare, nel 1992, l'ordine francescano.
Gli antecedenti
Gli antecedenti di tale
teologia sono molteplici. Si rintracciano in Brasile, dove dal 1957 iniziò nella Chiesa cattolica un movimento di Comunità Ecclesiali di Base (CEB), preso in considerazione poi nel 1964 con il "Primer Plan
Pastoral Nacional 1965-1970". Sempre in Brasile, Paulo Freire, un insegnante di Recife, nel Nordeste, sviluppò un nuovo metodo di alfabetizzazione
mediante il processo di coscientizzazione del problema. I movimenti
studenteschi e dei lavoratori dell'Azione cattolica vi aderirono, insieme con
importanti intellettuali cattolici. Alcuni cristiani cominciarono a utilizzare
concetti marxisti nelle loro analisi sociali. Alcuni teologi, come Richard Shaull, missionario presbiteriano, pose la questione se la rivoluzione potesse avere un
significato teologico cominciando, insieme con altri giovani protestanti, a discutere questi temi
con sacerdoti domenicani e intellettuali cattolici.
Una ispirazione per il
movimento latinoamericano proveniva dalla situazione europea. In Francia, nel 1950, la pubblicazione del libro dell'abate Godin:Francia: terra di
missione? (France, pays de
mission?), sconvolge i pastori che si accorgono all'improvviso di guidare
una Nazione ormai lontana dalla fede. Il cardinale di Parigi Emmanuel Suhard fonda la Missione di Francia, permettendo ad alcuni preti di lavorare nelle fabbriche per
avvicinarsi al mondo operaio. Erano gli anni in cui la laica Madeleine Delbrêl viveva una straordinaria
esperienza fra gli operai di Ivry,
raccontata nel suo libro Città
marxista terra di missione. Provocazione a un'esistenza per Dio (originale francese del 1957:
"Ville marxiste terre de mission. Provocation du marxisme à une existence
pour Dieu") e nei testi riportati nell'antologia postuma Noi delle strade (originale francese: "Nous autres,
gens des rues - textes missionnaires"). Nasce quindi il movimento dei preti operai, che si estende nei
principali paesi dell'Europa occidentale. Tra i più noti, il domenicano Jacques Loew, che lavorò come scaricatore di porto a Marsiglia, e il sacerdote Michel
Favreau, che è morto in un incidente sul lavoro. In Italia, il primo e più noto
dei preti "con la tuta blu" è Sirio Politi, che pubblica il suo diario di vita in fabbrica, dal titolo
"Uno di loro".
L'esperienza dei preti
operai fu presto accusata di essere pericolosa per l'integrità della fede e della testimonianza
cristiana, i preti furono considerati troppo vicini al comunismo e denunciati in Vaticano per attività sovversiva. Nel 1954 Pio XII ordinò a tutti i preti operai di tornare alla loro precedente
opera pastorale o di entrare in comunità religiose che fossero presenti a
fianco dei lavoratori, ma all'esterno delle fabbriche. Molti furono coloro che
abbandonarono il ministero, in rottura con la decisioni del Vaticano; soltanto
dopo il Concilio Vaticano II, nel 1965, i preti operai furono riabilitati, e sono presenti, seppure in
maniera ridotta, fino ad oggi.
Un'altra ispirazione alla
Teologia della Liberazione latinoamericana fu la lotta per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti, condotta dal pastore battista Martin Luther King; più tardi, tale esperienza sarà all'origine della teologia della
liberazione nera (Black Theology), sviluppata, tra gli
altri, da James Cone.
Anche in Sudafrica si sviluppò una vigorosa teologia della liberazione nera nella lotta contro l'apartheid, in cui protagonista sarà,
negli anni più recenti, il vescovo anglicano Desmond Tutu. Nel resto del continente
tale teologia ha messo in discussione la conquista coloniale e lo schiavismo dei popoli locali, "pagani", operato dai popoli
europei, "cristiani", denunciando la conseguente miseria di cui
soffre tuttora la grande maggioranza dei paesi africani.
Sempre in ambito
protestante va ricordato il contributo dello svizzero Leonhard Ragaz: la sua teologia, basata sul concetto del regno di Dio e sempre associata all'impegno politico, anticipava i principi della
teologia della liberazione.
In Asia, la teologia minjung (in coreano, popolare) e la teologia
contadina, esposta dal filippino Charles Avila, sono state messe in relazione con la Teologia della Liberazione
latinoamericana.
Le tappe principali
dello sviluppo della Teologia della Liberazione
La tematica della
liberazione affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II, da molti riconosciuto come inizio della riscoperta di una Chiesa
popolare. In
esso, dall'esperienza dei vescovi e dei teologi che avevano promosso la
redazione della Gaudium et Spes, il cosiddetto "Schema
XIII", si dibatte sullapovertà della Chiesa e sulla sua solidarietà con le situazioni di
oppressione; esperienza che era propria delle Chiese del cosiddetto "Terzo
Mondo", allora in pieno fermento sociale e politico. Traccia di questo
dibattito si trova nel libro "I poveri, Gesù e la Chiesa" (originale francese: Les Pauvres,
Jésus et l'Église), che il prete Paul Gauthier pubblica nel 1963; in America Latina, il testo ha un grande impatto, e lo stesso
Gustavo Gutièrrez ne trova ispirazione per il suo "Teologia della
Liberazione".
Nell'agosto del 1975, si tiene il congresso teologico del Messico, cui partecipano più di
settecento specialisti, attorno al tema "Liberazione e cattività".
Nel1976, il francescano brasiliano Leonardo Boff pubblica, dopo quell'incontro, il libro "Teologia della
cattività e della liberazione" (originale
portoghese: Teologia do Cativeiro e da Libertação).
Insieme alla discussione
dei teologi, è l'intero episcopato ad assumersi il compito di essere al fianco
delle lotte di liberazione del popolo. Dopo la conferenza di Medellín (1968),
nel 1979, durante la III conferenza generale della CELAM, a Puebla, i vescovi definiscono il concetto di opzione preferenziale dei poveri.
La Santa Sede e la
Teologia della Liberazione
La reazione da parte della Santa Sede fu subito drastica: già in uno dei suoi primi viaggi apostolici in Messico, nel gennaio del 1979, papa Giovanni Paolo II dichiarò che la «concezione di Cristo come politico,
rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la
catechesi della Chiesa.».[1]
Lo stesso papa sollecitò dalla Congregazione per la dottrina
della fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger due studi sulla Teologia
della Liberazione: Libertatis
Nuntius (1984) e Libertatis
Conscientia (1986). In
entrambi, si considerava, in sostanza, che nonostante la vicinanza della Chiesa cattolica ai poveri, la tendenza della Teologia della Liberazione ad accettare
postulati marxisti e di altre ideologie politiche non era compatibile con la dottrina sociale della Chiesa cattolica, specialmente nell'assunto in cui quella teologia
sosteneva che la redenzione fosse ottenibile attraverso un compromesso con le
esigenze di riscatto sociale dei poveri.[2][3]
Tali giudizi fortemente
critici e la forte pressione dei settori conservatori della Chiesa, come l'Opus Dei, spinsero verso la
negazione di un appoggio della Santa Sede richiesto da monsignor Oscar Romero, anche se poi lo stesso papa Giovanni Paolo II, ha riconosciuto che la Teologia della Liberazione ha avuto un
ruolo «buono, utile e necessario» per la difesa dei poveri, in una
lettera rivolta alla Conferenza Episcopale Brasiliana. (senza fonte) Egli stesso assume, nel
suo magistero sociale, come nella Centesimus annus, la tematica della liberazione come compito della Chiesa del nostro
tempo.[4] (interpretazione restrittiva)
Inoltre, nel documento L'interpretazione della Bibbia
nella Chiesa, pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica nel 1993, l'approccio ermeneutico della TdL nella lettura delle Sacre Scritture (e, con esso, ogni
approccio "contestuale", come quello femminista, ad esempio), viene
riconosciuto importante per una comprensione più adeguata del Vangelo.[5]
La Teologia della
Liberazione oggi
La Teologia della
Liberazione ha subito ripreso, pur fuori dalla Chiesa, la centralità della
beatitudine dei poveri, proclamata nel Vangelo e nella tradizione ecclesiale, coniugandola con il processo di liberazione dalla
povertà tramite la trasformazione sociale e politica. In seguito, nella Teologia
della Liberazione sono stati gli stessi poveri a divenire protagonisti del
proprio affrancamento dall'oppressione, sia nella pratica (la "teologia
prima"), sia nella riflessione teorica (definita "teologia
seconda", cioè conseguente alla prassi). Alla riflessione, si aggiunge la
denuncia dell'economia di mercato e l'alienazione che il capitalismo causa a milioni di persone nel mondo.
Oggi, grazie soprattutto
al contributo di Leonardo Boff e dei suoi numerosi libri come: "Ecologia, mondialità,
mistica", o l'ultimo: "Spiritualità per un altro mondo
possibile" la Teologia della Liberazione ha sviluppato un filone nuovo,
scoprendo lo stretto legame cosmico e mistico di necessaria interdipendenza tra solidarietà
che gli esseri umani sono chiamati ad avere tra loro e quella che devono avere
con la natura,
nell'aut aut tra homo sapiens e homo demens. Ossia come riscoperta dell'ambiente e di una rinnovata cura ecologica, e ha sposato le tesi e l'azione
del movimento altermondialista (detto anche "no-global"), in cui alla
contestazione del neoliberismo si aggiunge la promozione della pace fondata sulla giustizia e la
richiesta di una partecipazione democratica efficace da parte dei movimenti di
base.
In ambito extraecclesiale
- a seguito degli scontri più forti tra la gerarchia della Chiesa e il
movimento della Teologia della Liberazione - si è giunti a sposare le tesi
della teologia radicale e politica, europea e statunitense, unendosi quindi
nella richiesta
di una reale partecipazione dei laici e delle donne alla vita e alla guida
della Chiesa, al decentramento del potere ecclesiale e all'inculturazione del
Vangelo nelle Chiese e nelle tradizioni locali, al macroecumenismo
(condivisione di riflessione e impegno allargata, cioè, alle grandi religioni
mondiali), al pluralismo nelle questioni riguardanti la salvezza, in cui il
ruolo di Gesù Cristo, pur non marginalizzato, non risulti più esclusivo delle altre
esperienze religiose umane.
Il 13 ottobre 2006 Benedetto XVI ha promulgato una Notificazione (pubblicata il 14 marzo 2007), che condanna come
"erronee e pericolose" alcune tesi espresse dal teologo della
liberazione Jon Sobrino, gesuita basco emigrato ad El Salvador, nei suoi due libri Jesucristo liberador. Lectura
histórico-teológica de Jesús de Nazaret, del 1991, e La fe en
Jesucristo. Ensayo desde las víctimas, del 1999, che hanno avuto grande diffusione in America Latina e non solo.
Una delle accuse principali è di aver eletto i poveri a "luogo teologico fondamentale" –
cioè a principale fonte di conoscenza –, al posto della "fede apostolica
trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni".[6]
Elementi centrali
della Teologia della Liberazione
Fra le tesi di questa
teologia vi sono:
1.
La liberazione è conseguenza della presa di coscienza della realtà
socioeconomica latinoamericana.
2.
La situazione attuale della maggioranza dei latinoamericani
contraddice il disegno divino e la povertà è un peccato sociale.
3.
La salvezza cristiana include una "liberazione integrale"
dell'uomo e
raggruppa per questo anche la liberazione economica, politica, sociale e
ideologica, come visibili segni della dignità umana.
4.
Non vi sono solo peccatori, ma anche persecutori che opprimono e vittime
del peccato che richiedono giustizia.
Fra gli impegni teorici e
operativi che conseguono dalle tesi vi sono:
1.
Costante riflessione dell'uomo su se stesso per renderlo creativo a
suo vantaggio e a quello della società in cui vive.
2.
Prendere coscienza della forte disuguaglianza sociale tra società
opulente e popoli votati alla miseria, ponendosi al fianco dei poveri, che sono le membra sofferenti
del corpo crocifisso di Cristo, senza avallare perciò tesi che si avvicinino ad
un cristianesimo classista e rivoluzionario. La rivoluzione del vangelo è
l'amore, non la lotta. La giustizia sociale è sorella della carità.
3.
Rivendicare la democrazia approfondendo la presa di coscienza delle popolazioni riguardo ai
loro veri nemici, per trasformare l'attuale sistema sociale ed economico.
4.
Eliminare la povertà, la mancanza di
opportunità e le ingiustizie sociali, garantendo l'accesso all'istruzione, alla sanità, ecc.
5.
Creare un uomo nuovo, come condizione indispensabile per assicurare il successo delle
trasformazioni sociali. L'uomo solidale e creativo deve essere il motore dell'attività umana in contrapposizione alla
mentalità capitalista della speculazione e della logica del profitto.
6.
Libera accettazione della dottrina evangelica, ossia procurare innanzi
tutto condizioni di vita dignitose e poi, se la persona lo vuole, perseguire
l'attività pastorale, diversamente da prima, in cui finché le missioni
cristiane sfamavano le persone, allora queste si dichiaravano cristiane.
Principali
rappresentanti della Teologia della Liberazione
Teologi
§ Marcella Althaus-Reid, argentina
§ Jean-Bertrand Aristide, haitiano
§ Hugo Assmann, brasiliano
§ Rafael Avila, colombiano
§ Marcelo Barros, brasiliano
§ Frei Betto (Carlos Alberto Libanio Christo), brasiliano
§ Alan Boesak, sudafricano
§ Clodovis Boff, brasiliano
§ Leonardo Boff, brasiliano
§ Jose Míguez Bonino, argentino
§ Ernesto Cardenal, nicaraguense
§ Giulio Girardi, italiano
§ José Severino Croatto, argentino
§ Ignacio Ellacuría, spagnolo (ucciso nel 1989 in El Salvador)
§ Gustavo Gutiérrez Merino, peruviano
§ Paul Gauthier, francese (morto nel 2002)
§ Erwin Kräutler, brasiliano
§ Alberto Methol Ferre, uruguaiano
§ José Porfirio Miranda, messicano
§ Jorge V. Pixley, nicaraguense
§ Pablo Richard, cileno
§ Juan Luis Segundo, uruguaiano
§ Richard Shaull, statunitense
§ Jon Sobrino, salvadoregno
§ Juan Jose Tamayo, spagnolo
§ Elsa Tamez, messicana
§ Camilo Torres Restrepo, colombiano (ucciso nel 1966)
§ Gerardo Valencia Cano, colombiano
Vescovi
§ Paulo Evaristo Arns O.F.M., cardinale, arcivescovo emerito di São Paulo,
brasiliano
§ Tomàs Balduino O.P., vescovo emerito di Goiàs,
brasiliano
§ Carlos Filipe Ximenes Belo S.D.B., Premio Nobel per la Pace 1996, vescovo emerito di Timor Est
§ Pedro Casaldáliga C.M.F., vescovo-prelato emerito di São Felix
do Araguaia, spagnolo
§ Hélder Pessoa Câmara, arcivescovo di Recife, brasiliano (morto nel 1999)
§ Antônio Batista Fragoso, vescovo emerito di Crateùs, Cearà (morto
nel 2006), brasiliano
§ Óscar Romero, arcivescovo di San Salvador, salvadoregno (ucciso nel 1980)
§ Samuel Ruiz Garcia, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas messicano (morto nel 2011)
§ Fernando Lugo, vescovo emerito di San Pedro Apóstol, attuale presidente del Paraguay
§ Leonidas Proaño, vescovo di Riobamba, morto
nel 1988, ecuadoriano
Preti
§ Héctor Gallego sacerdote di Santa Fe de Veraguas di
Panama,
colombiano (ucciso a Panama nel 1971)
Note
1.
^ Cfr.
Discorso di Giovanni Paolo II nella III Conferenza generale dell'episcopato
Latinoamericano, del 28 gennaio 1979
Bibliografia
§ Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione.
Prospettive, Queriniana,
Brescia 1972, 19925.
§ Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri,
Queriniana, Brescia 1981.
§ Gustavo Gutiérrez, Bere al proprio pozzo. L'itinerario
spirituale di un popolo, Queriniana, Brescia 1984, 19893.
§ Dussel, Enrique, Caminos de liberación
Latinoamericana, Buenos Aires 1972 (testo completo in spagnolo).
§ Dussel, Enrique, Teoría de la liberación y ética.
Caminos de liberación Latinoamericana II, Buenos Aires 1972 (testo completo in spagnolo).
§ Paolo Andreoli, Note per una teologia della
liberazione, Movimento laici per l'America Latina, Roma 1975.
§ Mario Cuminetti, La teologia della liberazione in
America Latina, Edizioni Borla, Bologna 1975.
§ Leonardo Boff, Teologia della cattività e della
liberazione, Queriniana, Brescia 1977.
§ Pablo E. Bonavia
Rodriguez, La prassi nella
teologia della liberazione, ASAL, Roma 1977.
§ Stefano Fontana, Il problema metafisico nella
teologia della liberazione, Tip. Antoniana, Padova 1977.
§ Segundo Galilea, La teologia della liberazione dopo
Puebla, Queriniana, Brescia 1979.
§ Federico Mandillo, Wojtyla in America latina. In sette
giorni un'enciclica. Diritti umani, ipoteca sociale sulla proprietà, teologia
della liberazione, terra ai contadini, Apes, Roma 1979.
§ Jose Ramos Regidor, Gesù e il risveglio degli oppressi.
La sfida della teologia della liberazione, A. Mondadori, Milano 1981.
§ Eugenio Bernardini, Comunicare la fede nell'America
oppressa. Storia e metodo della Teologia della Liberazione, Claudiana, Torino 1982.
§ Congregazione per la dottrina della fede, Libertatis nuntius. Istruzione su
alcuni aspetti della Teologia della liberazione, Tipografia poliglotta
vaticana, Città del Vaticano 1984 (Testo integrale).
§ Giuseppe Silvestre, Alle sorgenti della teologia della
liberazione, Graficalabra, Vibo Valentia 1984.
§ Sandro Spinelli, La grande sete. Teologia della
liberazione nella quotidianità, Bine, Cernusco sul Naviglio 1984.
§ Sacra Congregazione per la
dottrina della fede, Teologia
della liberazione, Istruzione Libertatis nuntius con i commenti di Pierre
Bigo et alii, presentazione del card. Joseph Ratzinger, Logos, Roma 1985.
§ Associazione medici
cattolici italiani, Umanizzazione
della medicina e teologia della liberazione, A.M.C.I., Catania 1985.
§ Ubaldo Gervasoni, Mille voci e una lacrima. Diario di
viaggio in Bolivia e Perù con documentazioni su: cocaina, guerriglia, teologia
della liberazione, Qualevita, Torre dei Nolfi 1985.
§ Giuseppe Montalbano, Critica alla dialettica marxiana ed
alla teologia della liberazione, Romano, Palermo 1985.
§ Leonardo Boff, Clodovis
Boff, Come fare teologia della
liberazione, Cittadella, Assisi 1986.
§ Rosino Gibellini, Il dibattito sulla teologia della
liberazione, Queriniana, Brescia 1986, 19902.
§ Convegno europeo delle
comunità di base, Teologie
della liberazione in dialogo. II Convegno europeo delle comunità di base. La
riflessione delle CdB a confronto con la teologia della liberazione e la
teologia europea, Tempi di fraternita, Torino 1986.
§ Leonardo Boff, Il sentiero dei semplici. Francesco
d'Assisi e la teologia della liberazione, Editori riuniti, Roma 1987.
§
Phillip Berryman, Liberation Theology. The Essential
Facts About the Revolutionary Movement in Latin America and Beyond,
Pantheon Books, New York 1987 (testo completo trad.
spagnola: Teología de la liberación, México, 1989).
§ Giulio Girardi, Jose Maria
Vigil, Il popolo prende la
parola. Il Nicaragua per la teologia della liberazione, Borla, Roma 1990.
§ Victor Codina, Cos'è la teologia della liberazione,
La piccola editrice, Celleno 1990.
§ Alfredo Vitiello, Marxismo e teologia della
liberazione. Sottosviluppo, sfruttamento, pauperismo e rivoluzione in America
Latina, M. D'Auria, Napoli 1990.
§ Clodovis Boff, La via della comunione dei beni. La
Regola di sant'Agostino commentata nella prospettiva della teologia della
liberazione, Cittadella, Assisi 1991.
§ Rene Marle, Introduzione alla teologia della
liberazione, Morcelliana, Brescia 1991.
§ Ignacio Ellacuria, Jon
Sobrino, Mysterium
liberationis. I concetti fondamentali della teologia della liberazione,
Borla, Roma 1992.
§ Leonardo Boff, La teologia, la Chiesa. I poveri.
Una proposta di liberazione, Einaudi, Torino 1992.
§ Giulio Girardi, Il tempio condanna il Vangelo. Il
conflitto sulla teologia della liberazione fra il Vaticano e la CLAR,
Cultura della pace, San Domenico, Fiesole 1993.
§ Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore. Letture
storico-teologica di Gesù di Nazaret, Cittadella, Assisi 1995.
§ Ernesto Gringiani, Utopia o fallimento della dottrina
sociale della Chiesa? Dalla "Rerum novarum" alla teologia della
liberazione. Contributo critico al pensiero sociale della Chiesa, Gianluigi
Arcari, Mantova 1996.
§ José Ramos Regidor, La teologia della liberazione,
Datanews, Roma 1996, 2004.
§ Giuseppe Silvestre, La teologia della liberazione.
Storia, problemi, conflitti prospettive e speranze, Progetto 2000, Cosenza
1996.
§ Lucia Ceci, Per una storia della teologia della
liberazione in America Latina, in «Rivista di Storia e Letteratura
religiosa», 1997, 2, pp. 105–143.
§ Rosario Giue, Osare la
speranza. La teologia della liberazione dell'America Latina al Sud d'Italia, La
Zisa, Palermo 1997.
§ Leonardo Boff, Clodovis
Boff, Jose Ramos Regidor, La
Chiesa dei poveri. Teologia della liberazione e diritti dell'uomo,
Datanews, Roma 1999.
§ Lucia Ceci, La teologia della liberazione in
America Latina. L'opera di Gustavo Gutierrez, F. Angeli, Milano 1999.
§ Lucia Ceci, Liberazione e teologia (1973-1992),
in Storia ed esperienza
religiosa, a cura di A. Botti, QuattroVenti, Urbino 2005.
§ Lucia Ceci, Chiesa e liberazione in America
Latina (1968-1972), in L'America
Latina fra Pio XII e Paolo VI, a cura di A. Melloni e S. Scatena, Il
Mulino, Bologna 2006;
§ Gabriele Tomei, Alla sinistra del Padre. Teologia e
sociologia della liberazione in America Latina, F. Angeli, Milano 2004.
§ Vittorio Falsina, Un nuovo ordine mondiale.
Insegnamento sociale della chiesa e teologia della liberazione, EMI,
Bologna 2006.
§ Silvia Scatena, La teologia della liberazione in
America Latina, Carocci, Roma 2008.
Voci correlate
Altri progetti [modifica]
§ Commons contiene file multimediali su Teologia della liberazione
Collegamenti esterni
§ Istruzione Libertatis Nuntius su alcuni aspetti della
teologia della liberazione Documento della
Congregazione per la Dottrina della Fede
§ Istruzione Libertatis Conscientia su la libertà cristiana e
la liberazione Documento della
Congregazione per la Dottrina della Fede
§ (EN) Liberation
Theology Resources Online -
articoli, organizzazioni, biografie e link
§ (ES) Servicios
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S. Congregazione per la
Dottrina della Fede,LIBERTATIS
NUNTIUS. Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della
Liberazione", del 6 agosto 1984
INTRODUZIONE
Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forza di
liberazione. Questa verità essenziale è stata oggetto, negli ultimi anni, di
riflessione da parte dei teologi, con rinnovata attenzione ricca in se stessa
di promesse.
La liberazione è innanzi tutto e
principalmente liberazione dalla schiavitù radicale del peccato. Il suo scopo
e il suo punto d’arrivo è la libertà dei figli di Dio, dono della grazia. Essa comporta, di logica conseguenza, la
liberazione dalle molteplici schiavitù di ordine culturale, economico,
sociale e politico, che in definitiva derivano tutte dal peccato, e
costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono agli uomini di vivere in
conformità alla loro dignità. Quindi per una riflessione teologica sulla
liberazione occorre, come condizione indispensabile, discernere chiaramente
ciò che è fondamentale da ciò che appartiene alle conseguenze.
In
realtà, di fronte all’urgenza dei problemi, alcuni sono tentati di porre
l’accento in maniera unilaterale sulla liberazione dalle schiavitù di ordine
terrestre e temporale, per cui sembrano far passare in secondo piano la
liberazione dal peccato, e così non attribuirle più, praticamente,
l’importanza primaria che invece ha. Ne consegue una presentazione confusa e
ambigua dei problemi. Altri, nell’intenzione di formarsi una conoscenza più
esatta delle cause delle schiavitù che vogliono eliminare, si servono senza
sufficiente precauzione critica, di strumenti di pensiero che è difficile,
per non dire impossibile, purificare da un’ispirazione ideologica
incompatibile con la fede cristiana e con le esigenze etiche che ne derivano.
Questa
Congregazione per la Dottrina della Fede non intende qui affrontare nella sua
completezza il vasto tema della libertà cristiana e della liberazione. Essa
si ripropone di farlo in un documento successivo che ne metterà in evidenza,
in maniera positiva, tutte le ricchezze sotto l’aspetto sia dottrinale che
pratico.
La
presente Istruzione ha uno scopo più preciso e limitato: essa intende
attirare l’attenzione dei pastori, dei teologi e di tutti i fedeli, sulle
deviazioni e sui rischi di deviazioni, pericolosi per la fede e per la vita
cristiana, insiti in certe forme della teologia della liberazione, che
ricorrono in maniera non sufficientemente critica a concetti mutuati da
diverse correnti del pensiero marxista.
Questo
richiamo non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di
tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito
evangelico alla "opzione preferenziale per i poveri". Essa non
dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un
atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e
pressanti problemi della miseria e dell’ingiustizia. Al contrario, essa è
dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate
finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri. Più che mai, è
necessario che numerosi cristiani, di fede illuminata e risoluti a vivere la
vita cristiana nella sua integralità, s'impegnino nella lotta per la
giustizia, la libertà e la dignità dell'uomo, per amore verso i loro fratelli
diseredati, oppressi o perseguitati. Più che mai la Chiesa intende condannare
gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si
riscontrino e chiunque ne siano gli autori, e lottare, con i mezzi che le
sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo,
specialmente nella persona dei poveri.
I.
Un’aspirazione
1.
La forte, quasi irresistibile aspirazione dei popoli a una liberazione costituisce
uno dei principali segni dei tempi che la Chiesa deve
scrutare e interpretare alla luce del Vangelo. (1) Questo fenomeno rilevante
del nostro tempo ha una dimensione universale, ma si manifesta sotto forme e
gradi diversi a seconda dei popoli. È soprattutto tra i popoli che
sperimentano il peso della miseria e in seno ai ceti diseredati che tale
aspirazione si esprime con forza.
2.
Tale aspirazione esprime la percezione autentica, per quanto oscura, della
dignità dell’uomo, creato "ad immagine e somiglianza di Dio" (Gn 1,
26-27), schernita e disprezzata da molteplici forme di oppressione culturali,
politiche, razziali, sociali ed economiche, spesso conglobate.
3.
Annunciando la loro vocazione di figli di Dio, il Vangelo ha suscitato nel
cuore degli uomini l’esigenza e la volontà positiva di una vita fraterna,
giusta e pacifica, nella quale ciascuno troverà il rispetto e le condizioni
del proprio sviluppo spirituale e materiale. Tale esigenza è indubbiamente
alla sorgente dell’aspirazione suddetta.
4.
Di conseguenza l’uomo non intende più subire passivamente il peso
schiacciante della miseria con le sue conseguenze di morte, di malattie e di
decadimento. Egli avverte questa miseria come un’intollerabile violazione
della propria dignità originaria. Diversi fattori, tra i quali occorre
annoverare il lievito evangelico, hanno contribuito al risveglio della
coscienza degli oppressi.
5.
Nessuno più ignora, neppure tra i ceti ancora analfabeti della popolazione,
che, grazie al prodigioso sviluppo della scienza e della tecnica, l’umanità
pur in costante crescita demografica sarebbe in grado di assicurare a ciascun
essere umano quel minimo di beni richiesti dalla sua dignità di persona.
6.
Lo scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri - si tratti di
disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri oppure di disuguaglianze tra
ceti sociali nell’ambito dello stesso territorio nazionale - non è più
tollerato. Da una parte si è conseguita un’abbondanza, mai vista finora, che
favorisce lo sperpero, dall’altra si vive ancora in uno stato di indigenza
contrassegnato dalla privazione dei beni di stretta necessità, cosicché non
si può più contare il numero delle vittime della denutrizione.
7.
La mancanza di equità e di senso di solidarietà negli scambi internazionali
torna a vantaggio dei paesi industrializzati; in tal modo la differenza tra
ricchi e poveri non cessa di acuirsi. Ne conseguono il sentimento di
frustrazione, nei popoli del terzo mondo, e l’accusa di sfruttamento e di
colonialismo economico mossa ai paesi industrializzati.
8.
Il ricordo dei misfatti di un certo colonialismo e delle sue conseguenze
genera spesso ferite e traumi.
9.
La Santa Sede, sulla linea del Concilio Vaticano II, come pure le Conferenze
Episcopali non hanno mai cessato di denunciare lo scandalo costituito dalla
gigantesca corsa agli armamenti che, a parte le minacce che ne derivano per
la pace, accaparra somme ingenti, di cui una sola parte sarebbe sufficiente
per rispondere alle necessità più urgenti delle popolazioni sprovviste del
necessario.
II.
Espressioni di questa aspirazione
1.
L’aspirazione alla giustizia e al riconoscimento effettivo della dignità di
ciascun essere umano richiede, come ogni aspirazione profonda, di essere
chiarita e guidata.
2.
In effetti, è necessario usare discernimento nei confronti delle espressioni,
teoriche e pratiche, di questa aspirazione. Sono molti, infatti, i movimenti
politici e sociali che si presentano come porta-parola autentici
dell’aspirazione dei poveri, e come abilitati, perfino mediante il ricorso ai
mezzi violenti, ad operare quei cambiamenti radicali che porranno fine
all’oppressione e alla miseria del popolo.
3.
Spesso l'aspirazione alla giustizia si trova influenzata da ideologie che ne
occultano e ne pervertono il significato, proponendo alla lotta dei popoli
per la loro liberazione dei fini che sono opposti alla vera finalità della
vita umana, ed esaltando vie di azione che, in quanto implicano il ricorso
sistematico alla violenza, sono contrarie ad un'etica rispettosa delle
persone.
4.
L'interpretazione dei segni dei tempi alla luce del Vangelo esige,
dunque, che si approfondisca il significato dell'aspirazione dei popoli alla
giustizia, ma anche che si esaminino, con discernimento critico, le
espressioni, teoriche e pratiche, che sono date a tale aspirazione.
III.
La liberazione: tema cristiano
1.
Considerata in se stessa, l’aspirazione alla liberazione non può non trovare
una vasta e fraterna eco nel cuore e nello spirito dei cristiani.
2.
Per questo, in consonanza con tale aspirazione è nato il movimento teologico
e pastorale conosciuto sotto il nome di "teologia della
liberazione", dapprima nei paesi dell’America Latina, contrassegnati
dall’eredità religiosa e culturale del cristianesimo, e poi in altre regioni
del terzo mondo, come pure in certi ambienti dei paesi industrializzati.
3.
L’espressione "teologia della liberazione" designa innanzi tutto
una preoccupazione privilegiata, generatrice di impegno per la giustizia,
rivolta ai poveri e alle vittime dell’oppressione. Partendo da questo
approccio, si possono distinguere parecchie maniere, spesso inconciliabili,
di concepire il significato cristiano della povertà e il tipo d’impegno per
la giustizia che esso comporta. Come ogni movimento di idee, le
"teologie della liberazione" presentano posizioni teologiche
diverse; le loro frontiere dottrinali non sono ben definite.
4.
L’aspirazione alla liberazione, come suggerisce il termine stesso,
si ricollega ad un tema fondamentale dell’Antico e del Nuovo Testamento. Così
pure, presa in se stessa, l’espressione "teologia della
liberazione" è un’espressione pienamente valida: essa designa una
riflessione teologica incentrata sul tema biblico della liberazione e della
libertà e sull’urgenza delle sue applicazioni pratiche. La confluenza
dell’aspirazione alla liberazione e delle teologie della liberazione non è
dunque fortuita. Il significato di questa confluenza non può essere
rettamente compreso se non alla luce della specificità del messaggio della
Rivelazione, interpretato autenticamente dal Magistero della Chiesa (2).
IV.
Fondamenti biblici
1.
Una teologia della liberazione correttamente intesa costituisce, quindi, un
invito ai teologi ad approfondire certi temi biblici essenziali, con la
sollecitudine richiesta dai gravi e urgenti problemi posti alla Chiesa
dall’aspirazione contemporanea alla liberazione e dai movimenti di
liberazione che ad essa fanno eco, più o meno fedelmente. Non è possibile
dimenticare le situazioni drammatiche, dalle quali sgorga l’appello lanciato
in questo senso ai teologi.
2.
L’esperienza radicale della libertà cristiana (3) costituisce qui il primo
punto di riferimento. Il Cristo, nostro Liberatore, ci ha liberati dal
peccato, e dalla schiavitù della legge e della carne, che è il contrassegno
della condizione dell’uomo peccatore. È dunque la nuova vita di grazia,
frutto della giustificazione, che ci costituisce liberi. Ciò significa che la
schiavitù più radicale è la schiavitù del peccato. Le altre forme di
schiavitù trovano dunque la loro ultima radice nella schiavitù del peccato.
Per questo la libertà nel senso cristiano più pieno, in quanto caratterizzata
dalla vita nello Spirito, non deve mai essere confusa con la licenza di
cedere ai desideri della carne. Essa è, infatti, vita nuova nella carità.
3.
Le "teologie della liberazione" fanno largo uso del racconto dell’Esodo.
Questo costituisce, in effetti, l’evento fondamentale nella formazione del
popolo eletto. Esso è la liberazione dalla dominazione straniera e dalla
schiavitù. Si dovrà sottolineare come il significato specifico dell’evento
gli deriva dalla sua finalità, poiché questa liberazione è ordinata alla
fondazione del popolo di Dio e al culto dell’Alleanza celebrato sul Monte
Sinai. (4) Per questo la liberazione dell’Esodo non può essere ridotta ad una
liberazione di natura principalmente ed esclusivamente politica. D’altronde è
significativo che il termine di liberazione sia talvolta
sostituito nella Scrittura con quello, molto vicino, diredenzione.
4.
L’episodio fondante dell’Esodo non sarà mai cancellato dalla memoria di
Israele. Ad esso ci si rifà quando, dopo la rovina di Gerusalemme e l’esilio
di Babilonia, si vive nella speranza di una nuova liberazione e, al di là di
essa, nell’attesa di una liberazione definitiva. In questa esperienza Dio è
riconosciuto come il Liberatore. Egli stringerà con il suo popolo una Nuova
Alleanza, caratterizzata dal dono del suo Spirito e dalla conversione dei
cuori. (5)
5.
Le angosce e le molteplici tristezze sperimentate dall’uomo fedele al Dio
dell’Alleanza costituiscono il tema di parecchi salmi: lamenti, invocazioni
di aiuto, azioni di grazia fanno menzione della salvezza religiosa e della
liberazione. In questo contesto, l’angoscia non è puramente e semplicemente
identificata con una condizione sociale di miseria o con quella di colui che
subisce l’oppressione politica. Essa comprende anche l’ostilità dei nemici,
l’ingiustizia, la morte, la colpa. I salmi ci rimandano ad un’esperienza
religiosa essenziale: solo da Dio ci si può aspettare la salvezza e l’aiuto.
Dio, e non l’uomo, ha il potere di cambiare le situazioni di angoscia. Perciò
i "poveri del Signore" vivono in una dipendenza totale e fiduciosa
nella provvidenza amorosa di Dio. (6) E d’altra parte, durante tutto il
cammino nel deserto, il Signore non ha cessato di provvedere alla liberazione
e alla purificazione spirituale del suo popolo.
6.
Nell’Antico Testamento, i profeti, dopo Amos, non cessano di richiamare, con
singolare vigore, le esigenze della giustizia e della solidarietà e di
esprimere un giudizio estremamente severo nei confronti dei ricchi che
opprimono il povero. Essi prendono le difese della vedova e dell’orfano.
Proferiscono minacce contro i potenti: l’accumularsi delle iniquità conduce
necessariamente a terribili castighi. La fedeltà all’Alleanza non è
concepibile senza la pratica della giustizia. La giustizia verso Dio e la
giustizia verso gli uomini sono inseparabili. Dio è il difensore e il liberatore
del povero.
7.
Tali esigenze si ritrovano anche nel Nuovo Testamento. Esse vi sono anzi
radicalizzate, come dimostra il discorso delle Beatitudini. La
conversione e il rinnovamento devono operarsi nell’intimo del cuore.
8.
Già annunziato nell’Antico Testamento, il comandamento dell’amore fraterno,
esteso a tutti gli uomini, costituisce così la norma suprema della vita
sociale. (7) Non vi sono discriminazioni o limiti che possano opporsi al
riconoscimento di ogni uomo come il prossimo. (8)
9.
La povertà per il Regno è magnificata. E nella figura del Povero, noi siamo
portati a riconoscere l’immagine e come la presenza misteriosa del Figlio di
Dio che si è fatto povero per amore nostro. (9) Questo è il fondamento delle
parole inestinguibili di Gesù sul Giudizio in Mt 25, 31-46.
Nostro Signore è solidale con ogni infelicità; ogni angoscia è segnata dalla
sua presenza.
10.
Allo stesso tempo, le esigenze della giustizia e della misericordia, già
enunciate nell’Antico Testamento, sono approfondite al punto da rivestire,
nel Nuovo Testamento, un nuovo significato. Coloro che soffrono o sono
perseguitati vengono identificati col Cristo. (10) La perfezione che Gesù
chiede ai suoi discepoli (Mt 5, 18) consiste nel dovere di essere
misericordiosi "come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6,
36).
11.
I ricchi sono severamente richiamati al loro dovere proprio alla luce della
vocazione cristiana all’amore fraterno e alla misericordia. (11) Di fronte ai
disordini della Chiesa di Corinto, S. Paolo sottolinea con forza il legame
esistente tra la partecipazione al sacramento dell’amore e la condivisione
con il fratello che si trova in necessità. (12)
12.
La Rivelazione del Nuovo Testamento ci insegna che il peccato è il male più
profondo, che lede l’uomo nell’intimo della sua personalità. La prima
liberazione, alla quale tutte le altre devono riferirsi, è quella dal
peccato.
13.
Indubbiamente è proprio per sottolineare il carattere radicale della
liberazione operata dal Cristo e offerta a tutti gli uomini - siano essi politicamente
liberi o schiavi - che il Nuovo Testamento non esige innanzi tutto, come
presupposto per l’accesso a questa libertà, un cambiamento di condizione
politica e sociale. Tuttavia, la Lettera a Filemone dimostra
che la nuova libertà, apportata dalla grazia di Cristo, deve avere
necessariamente delle ripercussioni sul piano sociale.
14.
Di conseguenza non si può restringere il campo del peccato, il cui primo
effetto è quello di introdurre il disordine nella relazione tra l’uomo e Dio,
al cosiddetto "peccato sociale". In realtà solo una retta dottrina
sul peccato permette d’insistere sulla gravità dei suoi effetti sociali.
15.
Neppure è possibile localizzare il male principalmente e unicamente nelle
cattive "strutture" economiche, sociali o politiche, come se tutti
gli altri mali trovassero in esse la loro causa, sicché la creazione di un
"uomo nuovo" dipenderebbe dall’instaurazione di diverse strutture
economiche e socio-politiche. Certamente esistono strutture ingiuste e
generatrici di ingiustizia, che occorre avere il coraggio di cambiare. Frutto
dell’azione dell’uomo, le strutture, buone o cattive, sono delle conseguenze
prima di essere delle cause. La radice del male risiede dunque nelle persone
libere e responsabili, che devono essere convertite dalla grazia di Gesù
Cristo, per vivere e agire come creature nuove, nell’amore del prossimo,
nella ricerca efficace della giustizia, nella padronanza di se stesse e
nell’esercizio delle virtù. (13)
Ponendo
come primo imperativo la rivoluzione radicale dei rapporti sociali e
criticando, per questo, la ricerca della perfezione personale, ci si mette
sulla via della negazione del significato della persona e della sua
trascendenza, e si distrugge l’etica e il suo fondamento che è il carattere
assoluto della distinzione tra il bene e il male. Per altro, poiché la carità
è il principio della perfezione autentica, questa non può essere concepita
senza l’apertura agli altri e senza lo spirito di servizio.
V.
La voce del Magistero
1.
A più riprese, per rispondere alla sfida lanciata alla nostra epoca
dall’oppressione e dalla fame, il Magistero della Chiesa, desideroso di
promuovere il risveglio delle coscienze cristiane al senso della giustizia,
della responsabilità sociale e della solidarietà verso i poveri e gli oppressi,
ha richiamato l’attualità e l’urgenza della dottrina e degli imperativi
contenuti nella Rivelazione.
2.
Limitiamoci qui a ricordare solo alcuni di questi interventi: gli atti
pontifici più recenti, quali la Mater et Magistra e la Pacem
in terris, la Populorum progressio e la Evangelii
nuntiandi. Ricordiamo inoltre la lettera al Cardinal Roy, Octogesima
adveniens.
3.
Il Concilio Vaticano II, a sua volta, ha affrontato le questioni della
giustizia e della libertà nella costituzione pastorale Gaudium et spes.
4.
Il Santo Padre ha insistito più volte su questi temi, soprattutto nelle
encicliche Redemptor hominis,Dives in misericordia e Laborem
exercens. I numerosi interventi nei quali è richiamata la dottrina
dei diritti dell’uomo toccano direttamente i problemi della
liberazione della persona umana in riferimento ai diversi tipi di oppressione
di cui essa è vittima. A questo proposito si deve menzionare specialmente il
Discorso pronunciato davanti alla 36ª Assemblea generale dell’ONU, il 2
ottobre 1979. (14) Il 28 gennaio dello stesso anno, Giovanni Paolo II,
aprendo la 3ª Conferenza del CELAM a Puebla, aveva ricordato che la verità
completa sull’uomo è la base della vera liberazione. (15) Questo testo
costituisce un documento di riferimento esplicito per la teologia della
liberazione.
5.
Per due volte, nel 1971 e nel 1974, il Sinodo dei Vescovi ha
affrontato dei temi che toccano direttamente la concezione cristiana della
liberazione: quello della giustizia nel mondo e quello del rapporto tra la
liberazione dalle oppressioni e la liberazione integrale o la salvezza
dell’uomo. I lavori dei Sinodi del 1971 e dei 1974 hanno consentito a Paolo
VI di precisare nell’esortazione apostolicaEvangelii nuntiandi i
legami tra l’evangelizzazione e la liberazione o promozione umana. (16)
6.
La preoccupazione della Chiesa per la liberazione e la promozione umana si è
espressa inoltre nella costituzione della Commissione Pontificia Iustitia
et Pax.
7.
Anche numerosi episcopati, in accordo con la Santa Sede, hanno richiamato l’urgenza
e le vie verso un’autentica liberazione umana. In questo contesto, è
opportuno fare una menzione speciale dei documenti delle Conferenze generali
dell’episcopato latino-americano a Medellin nel 1968 e a Puebla nel 1979.
Paolo VI era presente all’apertura di Medellin, Giovanni Paolo II a quella di
Puebla. Sia l’uno che l’altro vi hanno affrontato il tema della conversione e
della liberazione.
8.
Sulla linea di Paolo VI, che insisteva sulla specificità del messaggio
evangelico, (17) specificità che deriva dalla sua origine divina, Giovanni
Paolo II, nel discorso a Puebla ha ricordato quali sono i tre pilastri sui
quali deve poggiare ogni autentica teologia della liberazione: verità
su Gesù Cristo, verità sulla Chiesa, verità sull’uomo. (18)
VI.
Una nuova interpretazione del cristianesimo
1.
Non si può dimenticare la mole immensa di attività disinteressata svolta dai
cristiani, pastori, sacerdoti, religiosi o laici, i quali, spinti dall’amore
verso i fratelli che vivono in condizioni disumane, si sforzano di portare
aiuto e sollievo alle innumerevoli indigenze frutto della miseria. Alcuni di
essi si preoccupano di trovare dei mezzi efficaci che permettano di porre
fine al più presto ad una situazione intollerabile.
2.
Lo zelo e la compassione che devono abitare nel cuore di tutti i pastori
rischiano, tuttavia, di essere fuorviati e rivolti verso iniziative
altrettanto rovinose per l’uomo e la sua dignità, quanto la miseria che si
combatte, se non si è sufficientemente attenti di fronte a certe tentazioni.
3.
Infatti il sentimento angoscioso dell’urgenza dei problemi non deve far
perdere di vista ciò che è essenziale, né far dimenticare la risposta di Gesù
al Tentatore (Mt 4, 4): "Non di solo pane vive l’uomo, ma di
ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (cf. Dt8, 3). Così
alcuni, di fronte all’urgenza di condividere il pane, sono tentati di
dimenticare e rinviare al domani l’evangelizzazione: prima il pane, e poi la
Parola. È un errore fondamentale separare, anzi contrapporre le due cose.
D’altra parte, il senso cristiano suggerisce spontaneamente a molti di fare
l’una e l’altra. (19)
4.
Ad alcuni sembra addirittura che la lotta necessaria per la giustizia e la
libertà dell’uomo, intese nel loro senso economico e politico, costituisca
l’aspetto essenziale ed esclusivo della salvezza. Per essi il Vangelo si
riduce ad un vangelo puramente terrestre.
5.
Le diverse teologie della liberazione si diversificano
appunto, da una parte in base all’opzione preferenziale per i poveri riaffermata
con forza e senza ambiguità, dopo Medellin, alla Conferenza di Puebla (20) e
dall’altra parte in base alla tentazione di ridurre il Vangelo della salvezza
ad un vangelo terrestre.
6.
Ricordiamo tuttavia che l’opzione preferenziale definita a Puebla è
duplice: per i poveri e per i giovani. (21) È significativo che in generale
l’opzione per la gioventù sia completamente passata sotto silenzio.
7.
Abbiamo detto sopra (cf. IV, 3) che esiste un’autentica "teologia della
liberazione", quella che è radicata nella Parola di Dio, debitamente
interpretata.
8.
Ma da un punto di vista descrittivo conviene parlare di teologie della
liberazione, poiché l’espressione si applica a posizioni teologiche, e
talvolta perfino ideologiche, non solo diverse, ma spesso anche incompatibili
tra di loro.
9.
Nel presente documento si tratterà soltanto di quelle espressioni di questa
corrente di pensiero che, sotto il nome di "teologia della
liberazione", propongono un’interpretazione innovatrice del contenuto
della fede e dell’esistenza cristiana, che si discosta gravemente dalla fede
della Chiesa, anzi, ne costituisce la negazione pratica.
10.
Alla base della nuova interpretazione, che finisce per corrompere ciò che
aveva di autentico l’iniziale impegno per i poveri, sta l’assunzione non
critica di elementi dell’ideologia marxista e il ricorso alle tesi di
un’ermeneutica biblica viziata di razionalismo.
VII.
L’analisi marxista
1.
L’impazienza e la volontà di essere efficaci hanno condotto alcuni cristiani,
sfiduciati nei confronti di ogni altro metodo, a rivolgersi a quella che essi
chiamano "l’analisi marxista".
2.
Il loro ragionamento è il seguente: una situazione intollerabile ed esplosiva
esige un’azione efficace che non può più attendere. Ma tale
azione efficace presuppone un’analisi scientifica delle cause
strutturali della miseria. Ora il marxismo ha elaborato gli strumenti per una
simile analisi. Basta dunque applicarli alla situazione del terzo mondo, e
specialmente a quella dell’America Latina.
3.
Che la conoscenza scientifica della situazione e delle possibili vie di
trasformazione sociale sia il presupposto di un’azione capace di raggiungere
gli scopi prefissi, è evidente. Si ha qui un segno della serietà
dell’impegno.
4.
Ma il termine "scientifico" esercita un fascino quasi mitico, e non
tutto ciò che porta l’etichetta di scientifico è, per ciò stesso, realmente
scientifico. Per questo l’adozione di un metodo di approccio alla realtà deve
essere preceduto da un esame critico di natura epistemologica. Tale esame
critico previo manca in più di una "teologia della liberazione".
5.
Nelle scienze umane e sociali è necessario prima di tutto essere attenti alla
pluralità dei metodi e dei punti di vista, ciascuno dei quali mette in
evidenza solo un aspetto di una realtà che, per la sua complessità, sfugge ad
una spiegazione unitaria ed univoca.
6.
Nel caso della dottrina dei marxisti, qualunque sia il tipo che si voglia
assumere secondo l'opportunità, la critica previa si impone, tanto più che il
pensiero di Marx costituisce una concezione totalizzante del mondo nella
quale numerosi dati di osservazione e di analisi descrittiva sono integrati
in una struttura filosofico-ideologica, che predetermina il significato e
l’importanza relativa che si riconosce loro. Gli a priori ideologici
sono presupposti alla lettura della realtà sociale. Così la dissociazione
degli elementi eterogenei che compongono questo amalgama epistemologicamente
ibrido diventa impossibile, per cui mentre si crede di accettare solo ciò che
si presenta come un’analisi, si è trascinati ad accettare la stessa filosofia
o ideologia. Per questo non di rado sono proprio gli aspetti ideologici che
predominano negli elementi che numerosi "teologi della liberazione"
mutuano da autori marxisti.
7.
Il richiamo di Paolo VI resta pienamente attuale anche oggi: all’interno del
marxismo, quale è concretamente vissuto, si possono distinguere diversi
aspetti e diversi problemi che si pongono ai cristiani per la riflessione e
per l’azione. Tuttavia "sarebbe illusorio e pericoloso giungere a
dimenticare l’intimo legame che tali aspetti radicalmente unisce, accettare
gli elementi dell’analisi marxista senza riconoscere i loro rapporti con
l’ideologia, entrare nella prassi della lotta di classe e della sua
interpretazione marxista trascurando di avvertire il tipo di società
totalitaria e violenta alla quale questo processo conduce". (22)
8.
È vero che il pensiero marxista fin dai suoi inizi, ma in maniera più
accentuata in questi ultimi anni, si è diversificato per dare vita a varie
correnti che divergono considerevolmente le une dalle altre. Nella misura in
cui restano realmente marxiste, queste correnti continuano a ricollegarsi ad
un certo numero di tesi fondamentali incompatibili con la concezione
cristiana dell’uomo e della società.
In
questo contesto certe formule non sono neutre, ma conservano il significato
che hanno ricevuto nella dottrina marxista originale. Ciò vale anche per la
"lotta di classe". Questa espressione risente ancora
dell’interpretazione che le ha dato Marx, e pertanto non può essere considerata
come l’equivalente, di portata empirica, dell’espressione "acuto
conflitto sociale". Pertanto coloro che si servono di formule del
genere, con la pretesa di conservare soltanto alcuni elementi dell’analisi
marxista, che però sarebbe rifiutata nella sua globalità, quanto meno
ingenerano una grave ambiguità nell’animo dei loro lettori.
9.
Ricordiamo che l’ateismo e la negazione della persona umana, della sua
libertà e dei suoi diritti, sono centrali nella concezione marxista. Questa
contiene dunque degli errori che minacciano direttamente le verità di fede
sul destino eterno delle persone. Inoltre, voler integrare alla teologia
un’"analisi", i cui criteri di interpretazione dipendono da tale
concezione atea, significa rinchiudersi in contraddizioni rovinose. Per di
più, il disconoscimento della natura spirituale della persona porta a
subordinare totalmente quest’ultima alla collettività e a negare, così, i
principi di una vita sociale e politica conforme alla dignità umana.
10.
L’esame critico dei metodi di analisi mutuati da altre discipline si impone
in maniera del tutto particolare al teologo. È la luce della fede che
fornisce alla teologia i suoi principi. Perciò l’utilizzazione da parte del
teologo degli apporti della filosofia o delle scienze umane ha un valore
"strumentale" e deve essere oggetto di un discernimento critico di
natura teologica. In altre parole, il criterio ultimo e decisivo di verità
non può essere, in ultima analisi, che un criterio esso stesso teologico. È
alla luce della fede, e di ciò che essa ci insegna sulla verità dell’uomo e
sul significato ultimo del suo destino, che si deve giudicare della validità
o del grado di validità di ciò che le altre discipline propongono, spesso
d’altronde in maniera congetturale, come verità sull’uomo, sulla sua storia e
sul suo destino.
11.
L’applicazione degli schemi d’interpretazione mutuati dalla corrente di
pensiero marxista alla realtà economica, sociale e politica di oggi può
presentare a prima vista una certa verosimiglianza, in quanto la situazione
di certi paesi offre alcune analogie con quella descritta e interpretata da
Marx nella metà del secolo scorso. Sulla base di queste analogie si fanno
delle semplificazioni, che facendo astrazione dai fattori essenziali
specifici, di fatto impediscono un’analisi veramente rigorosa delle cause
della miseria, e ingenerano confusione.
12.
In certe regioni dell’America Latina l’accaparramento della maggior parte
delle ricchezze ad opera di una oligarchia di proprietari priva di coscienza
sociale, la quasi assenza o le carenze dello Stato di diritto, le dittature
militari sprezzanti dei diritti elementari dell’uomo, la corruzione di certi
dirigenti al potere, le pratiche selvagge di un certo capitale di origine
straniera, costituiscono altrettanti fattori che alimentano un violento
sentimento di rivolta in coloro che si considerano così le vittime impotenti
di un nuovo colonialismo di ordine tecnologico, finanziario, monetario o
economico. La presa di coscienza delle ingiustizie si accompagna ad un pathos che
spesso mutua dal marxismo il suo linguaggio, presentato abusivamente come se
fosse un linguaggio "scientifico".
13.
La prima condizione di un’analisi è la totale docilità nei confronti della
realtà da descrivere. Per questo l’uso delle ipotesi di lavoro adottate deve
essere accompagnato da una coscienza critica. Occorre sapere che queste
corrispondono ad un particolare punto di vista, il che comporta la
conseguenza inevitabile di sottolineare unilateralmente certi aspetti della
realtà, mentre se ne lasciano altri nell’ombra. Questo limite, che deriva
dalla natura stessa delle scienze sociali, è ignorato da coloro che, a mo’ di
ipotesi riconosciute come tali, ricorrono ad una concezione totalizzante
quale è il pensiero di Marx.
|
VIII.
Sovvertimento del senso della verità e violenza
1.
Questa concezione totalizzante impone anche la sua logica e trascina le
"teologie della liberazione" ad accettare un insieme di posizioni
incompatibili con la visione cristiana dell’uomo. In realtà, il nucleo
ideologico, mutuato dal marxismo, al quale ci si riferisce, esercita la
funzione di principio determinante. Questo ruolo gli è conferito
grazie alla qualificazione di scientifico, cioè di
necessariamente vero, che gli viene attribuito. In questo nucleo si possono
distinguere diverse componenti.
2.
Nella logica del pensiero marxista, "l’analisi" non è dissociabile
dalla prassi e dalla concezione della storia cui questa
prassi è legata. L’analisi è così uno strumento di critica e la critica
stessa non è che un momento della lotta rivoluzionaria, cioè della lotta di
classe del Proletariato investito della sua missione storica.
3.
Di conseguenza solo chi partecipa a questa lotta può operare un’analisi
corretta.
4.
La coscienza vera è dunque una coscienza di parte. Come si vede, è qui
chiamata in causa la stessa concezione della verità, la quale è
inoltre completamente sovvertita: la verità - si pretende - si trova solo
nella e mediante la prassi di parte.
5.
La prassi, e la verità che ne deriva, sono prassi e
verità partigiane, poiché la struttura fondamentale della storia è
contrassegnata dalla lotta delle classi. Di qui la necessità di
entrare nella lotta delle classi (che è il contrario dialettico del rapporto
di sfruttamento che si denuncia). La verità è verità di classe, e la verità
si trova soltanto nella lotta della classe rivoluzionaria.
6.
La legge fondamentale della storia, che è poi la legge della lotta delle
classi, implica che la società è fondata sulla violenza. Alla violenza che
costituisce il rapporto di dominio dei ricchi sui poveri dovrà rispondere la
contro-violenza rivoluzionaria con la quale questo rapporto sarà capovolto.
7.
La lotta delle classi è dunque presentata come una legge oggettiva,
necessaria. Entrando nel suo processo, dalla parte degli oppressi, si
"fa" la verità, si agisce "scientificamente". Di
conseguenza, la concezione della verità va di pari passo con l’affermazione
della necessità della violenza, e quindi con quella dell’amoralismo politico.
In questa prospettiva non ha più nessun senso il riferimento ad esigenze
etiche che impongono riforme strutturali e istituzionali radicali e
coraggiose.
8.
La legge fondamentale della lotta delle classi ha un carattere di globalità e
di universalità. Essa si riflette in tutti i campi dell’esistenza, religiosi,
etici, culturali e istituzionali. Rispetto a questa legge nessuno di questi
campi è autonomo. In ciascuno essa costituisce l’elemento determinante.
9.
Proprio per il ricorso a queste tesi di origine marxista viene messa
radicalmente in causa la natura stessa dell’etica. Infatti, nell’ottica della
lotta di classe viene implicitamente negato il carattere trascendente della
distinzione tra il bene e il male, principio della moralità.
IX.
Interpretazione "teologica" di questo nucleo
1.
Le posizioni, di cui qui si parla, si trovano talvolta chiaramente enunciate
in certi scritti dei "teologi della liberazione". Presso altri esse
derivano logicamente dalle loro premesse. Altrove esse sono presupposte in
certe pratiche liturgiche, come ad esempio nell’"Eucarestia"
trasformata in celebrazione del popolo in lotta, anche se coloro che
partecipano a tali pratiche non ne sono pienamente coscienti. Viene, dunque,
proposto un vero sistema, anche se taluni esitano a seguirne fino in fondo la
logica. Come tale, questo sistema è una perversione del messaggio cristiano
affidato da Dio alla sua Chiesa. Questo messaggio si trova perciò rimesso in
causa nella sua globalità dalle "teologie della liberazione".
2.
Ciò che è assunto come principio da queste "teologie della liberazione"
non è il fatto delle stratificazioni sociali con le
disuguaglianze e le ingiustizie che comporta, ma la teoria della
lotta di classe come legge strutturale fondamentale della storia. Se ne trae
la conclusione che la lotta di classe così intesa divide la Chiesa stessa e
che è necessario giudicare le realtà ecclesiali in funzione di essa. Si
pretende inoltre che l’affermazione secondo cui l’amore, nella sua
universalità, può vincere ciò che costituisce la principale legge strutturale
della società capitalista, significa nutrire, in mala fede, un’illusione
fallace.
3.
In questa concezione la lotta delle classi è il motore della storia. La
storia diventa così una nozione centrale. Si arriva ad affermare che Dio si
fa storia. E si aggiunge che vi è una sola storia, nella quale non si deve
più distinguere tra storia della salvezza e storia profana. Mantenere la
distinzione significherebbe cadere nel "dualismo". Simili
affermazioni riflettono un immanentismo storicista. In questo modo si tende a
identificare il Regno di Dio e il suo divenire con il movimento della
liberazione umana e a fare della storia stessa il soggetto del suo proprio
sviluppo come processo di auto-redenzione dell’uomo mediante la lotta di
classe. Questa identificazione è in opposizione alla fede della Chiesa
richiamata dal Concilio Vaticano II. (23)
4.
In questa linea alcuni giungono perfino ad identificare, al limite, Dio
stesso e la storia e a definire la fede come "fedeltà alla storia",
il che significa fedeltà impegnata in una prassi politica conforme alla
concezione del divenire dell’umanità inteso nel senso di un messianismo
puramente temporale.
5.
Di conseguenza, la fede, la speranza e la carità ricevono un nuovo contenuto:
esse sono "fedeltà alla storia", "fiducia nel futuro",
"opzione per i poveri". Ciò equivale ad una negazione della loro
realtà teologale.
6.
Da questa concezione deriva inevitabilmente una politicizzazione radicale
delle affermazioni della fede e dei giudizi teologici. Non si tratta più
soltanto di attirare l’attenzione sulle conseguenze e le incidenze politiche
delle verità di fede, che sarebbero rispettate nel loro valore trascendente.
Si tratta piuttosto di un subordinamento di ogni affermazione della fede o
della teologia ad un criterio politico, esso stesso dipendente dalla teoria
della lotta di classe, motore della storia.
7.
Di conseguenza, si presenta l’inserimento nella lotta di classe come
un’esigenza della carità stessa; si denuncia come un atteggiamento
rinunciatario e contrario all’amore dei poveri la volontà di amare fin da
questo momento ogni uomo, qualunque sia la sua appartenenza di classe, e di
andargli incontro per le vie non violente del dialogo e della persuasione.
Anche se non si afferma che deve essere oggetto di odio, si afferma tuttavia
che a causa della sua appartenenza oggettiva al mondo dei ricchi, egli è per
ciò stesso un nemico di classe che deve essere combattuto. Quindi,
l’universalità dell’amore del prossimo e la fraternità diventano un principio
escatologico, che vale soltanto per "l’uomo nuovo" che nascerà
dalla rivoluzione vittoriosa.
8.
Quanto alla Chiesa, si tende a considerarla una realtà interna alla storia,
che obbedisce anch’essa alle leggi ritenute determinanti per il divenire
storico nella sua immanenza. Tale riduzione svuota la realtà specifica della
Chiesa, dono della grazia di Dio e mistero di fede. Inoltre, si nega che
abbia un senso la partecipazione alla stessa mensa eucaristica di cristiani
che pure appartengono a classi opposte.
9.
Nel suo significato positivo la Chiesa dei poverisignifica la
preferenza, senza esclusivismi, data ai poveri intesi in tutte le forme della
miseria umana, perché essi sono preferiti da Dio. L’espressione significa
inoltre la presa di coscienza del nostro tempo delle esigenze della povertà
evangelica, sia da parte della Chiesa come comunione e come istituzione, sia
da parte dei suoi membri.
10.
Ma le "teologie della liberazione", che pure hanno il merito di
avere ridato importanza ai grandi testi dei profeti e del Vangelo sulla
difesa dei poveri, procedono ad un pericoloso amalgama tra il poverodella
Scrittura e il proletariato di Marx. In questo modo il
significato cristiano del povero è sovvertito e la lotta per
i diritti dei poveri si trasforma in lotta di classe nella prospettiva
ideologica della lotta delle classi. La Chiesa dei poveri significa
allora una Chiesa di classe, che ha preso coscienza della necessità della
lotta rivoluzionaria come tappa verso la liberazione e che celebra questa
liberazione nella sua liturgia.
11.
Un’analoga osservazione si deve fare a proposito dell’espressione Chiesa
del popolo. Dal punto di vista pastorale, si possono intendere con essa i
destinatari prioritari dell’evangelizzazione, coloro verso i quali, per la
loro condizione, si rivolge innanzi tutto l’amore pastorale della Chiesa. Ci
si può anche riferire alla Chiesa come "popolo di Dio", cioè come
popolo della Nuova Alleanza stipulata nel Cristo. (24)
12.
Ma le "teologie della liberazione", di cui stiamo parlando,
per Chiesa del popolo intendono una Chiesa di classe, la
Chiesa del popolo oppresso che occorre "coscientizzare" in vista
della lotta liberatrice organizzata. Per alcuni il popolo così inteso diventa
perfino oggetto della fede.
13.
Da una simile concezione della Chiesa del popolo si sviluppa una critica
delle stesse strutture della Chiesa. Non si tratta soltanto di una correzione
fraterna nei confronti dei pastori della Chiesa, il cui comportamento non
riflette lo spirito evangelico di servizio e si attiene a espressioni
anacronistiche di autorità che scandalizzano i poveri. È anche messa in causa
la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa, quale
l’ha voluta il Signore stesso. Nella gerarchia e nel Magistero si denunciano
i rappresentanti effettivi della classe dominante che è necessario
combattere. Dal punto di vista teologico, questa posizione sta a dire che il
popolo è la sorgente dei ministeri e che esso può, dunque, scegliersi i
propri ministri, in base alle necessità della sua storica missione
rivoluzionaria.
X.
Una nuova ermeneutica
1.
La concezione di parte della verità che si manifesta nella prassi rivoluzionaria
di classe rafforza questa posizione. I teologi che non condividono le tesi
della "teologia della liberazione", la gerarchia e soprattutto il
Magistero romano sono così screditati a priori, come appartenenti
alla classe degli oppressori. La loro teologia è una teologia di classe. Le
loro argomentazioni e i loro insegnamenti non devono perciò essere esaminati
in se stessi, poiché non fanno che riflettere degli interessi di classe.
Quindi la loro parola è dichiarata falsa per principio.
2.
Qui si manifesta il carattere globale e totalizzante della "teologia
della liberazione". Di conseguenza, essa deve essere criticata non per
questa o per quella delle sue affermazioni, ma a livello del punto di vista
di classe che essa adotta a priori e che funge in essa come
principio ermeneutico determinante.
3.
A causa di questo presupposto classista, risulta estremamente difficile, per
non dire impossibile, ottenere da certi "teologi della liberazione"
un vero dialogo, nel quale l’interlocutore sia ascoltato e i suoi argomenti
vengano discussi con obiettività e attenzione. Infatti questi teologi, più o
meno inconsciamente, partono dal presupposto che solo il punto di vista della
classe oppressa e rivoluzionaria, che sarebbe il loro, costituisce il punto di
vista della verità. Così i criteri teologici di verità si trovano
relativizzati e subordinati agli imperativi della lotta di classe. In questa
prospettiva, all’ortodossia come retta norma della fede si
sostituisce l’ortoprassicome criterio di verità. A questo proposito
non si dovrebbe confondere l’orientamento pratico, proprio anch’esso della
teologia tradizionale e allo stesso titolo dell’orientamento speculativo, con
il primato privilegiato riconosciuto ad un certo tipo di prassi.
In realtà, quest’ultima è la prassi rivoluzionaria che
diverrebbe così il criterio supremo della verità teologica. Una sana
metodologia teologica tiene senz’altro conto della prassi della
Chiesa e vi trova uno dei suoi fondamenti, ma perché essa deriva dalla fede e
ne è l’espressione vissuta.
4.
La dottrina sociale della Chiesa è respinta con disprezzo. Essa procede, si
dice, dall’illusione di un possibile compromesso, propria delle classi medie
che sono senza destino storico.
5.
La nuova ermeneutica, caratteristica delle "teologie della
liberazione", conduce ad una rilettura essenzialmente politica della
Scrittura. Per questo viene accordata un’importanza particolare all’evento
dell’Esodo, in quanto esso è liberazione dalla schiavitù politica. Si
propone inoltre una lettura politica del Magnificat. Lo sbaglio
non sta nel prestare attenzione ad una dimensione politica dei racconti
biblici; sta nel fare di questa dimensione la dimensione principale ed
esclusiva, che conduce ad una lettura riduttiva della Scrittura.
6.
Inoltre ci si pone nella prospettiva di un messianismo temporale, che è una
delle espressioni più radicali della secolarizzazione del Regno di Dio e del
suo assorbimento nell’immanenza della storia umana.
7.
Privilegiando in questa maniera la dimensione politica, si è portati a negare
la radicale novità del Nuovo Testamento e, prima di tutto, a
misconoscere la persona di Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo,
come pure il carattere specifico della liberazione che egli ci porta, che è
soprattutto liberazione dal peccato, sorgente di tutti i mali.
8.
Inoltre, mettendo da parte l’interpretazione autentica del Magistero,
respinta come interpretazione di classe, ci si allontana anche dalla
Tradizione. In questo modo ci si priva di un essenziale criterio teologico d’interpretazione
e, nel vuoto che ne deriva, si accolgono le tesi più radicali dell’esegesi
razionalista. Si riprende così, senza spirito critico, l’opposizione tra
il "Gesù della storia" e il "Gesù
della fede".
9.
Certamente viene conservata la lettera delle formule della fede, e in
particolare quella di Calcedonia, ma si attribuisce loro un nuovo
significato, che equivale ad una negazione della fede della Chiesa. Da una
parte si respinge la dottrina cristologica trasmessa dalla Tradizione, in
nome del criterio di classe; dall’altra però si pretende di raggiungere il
"Gesù della storia", partendo dall’esperienza rivoluzionaria della
lotta dei poveri per la loro liberazione.
10.
Si pretende inoltre di rivivere un’esperienza analoga a quella che sarebbe
stata di Gesù. L’esperienza dei poveri in lotta per la loro liberazione, che
sarebbe stata quella di Gesù, rivelerebbe quindi, e solo essa, la conoscenza
del vero Dio e del Regno.
11.
È evidente che in tal modo viene negata la fede nel Verbo incarnato, morto e risorto
per tutti gli uomini, e "costituito da Dio Signore e Cristo". (25)
Gli si sostituisce una "figura" di Gesù che è una specie di simbolo
che riassume in sé le esigenze della lotta degli oppressi.
12.
La morte di Cristo subisce così un’interpretazione esclusivamente politica. E
pertanto si nega il suo valore salvifico e tutta l’economia della redenzione.
13.
In conclusione la nuova interpretazione comprende l’insieme del mistero
cristiano.
14.
In generale, essa opera quella che si potrebbe chiamare una inversione di
simboli. Così, invece di vedere con S. Paolo nell’Esodo una figura del
battesimo, (26) si sarà portati, al limite, a farne un simbolo della
liberazione politica del popolo.
15.
Poiché lo stesso criterio ermeneutico è applicato alla vita ecclesiale e alla
costituzione gerarchica della Chiesa, i rapporti tra la gerarchia e la
"base" diventano rapporti di dominio che obbediscono alla legge
della lotta di classe. Viene semplicemente ignorata la sacramentalità che sta
alla base dei ministeri ecclesiali e che fa della Chiesa una realtà
spirituale irriducibile ad un’analisi puramente sociologica.
16.
L’inversione dei simboli si constata anche nel campo dei sacramenti.
Infatti l’Eucarestia non è più compresa nella sua verità di presenza
sacramentale del sacrificio di riconciliazione e come il dono del Corpo e del
Sangue di Cristo. Essa diventa celebrazione del popolo nella sua lotta. Di
conseguenza è negata radicalmente l’unità della Chiesa. L’unità, la
riconciliazione, la comunione nell’amore non sono più intesi come un dono che
riceviamo da Cristo. (27) L’unità sarà costruita dalla classe storica dei
poveri mediante la sua lotta. La lotta di classe è la via verso questa unità.
E così l’Eucarestia diventa Eucarestia di classe. Nello stesso tempo viene negata
la forza trionfante dell’amore di Dio che ci è donato.
XI.
Orientamenti
1.
Il richiamo contro le gravi deviazioni, di cui sono portatrici talune
"teologie della liberazione", non deve assolutamente essere
interpretato come un’approvazione, neppure indiretta, di coloro che
contribuiscono al mantenimento della miseria dei popoli, di coloro che ne
approfittano e di coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti.
La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore dell’uomo, ascolta
il grido che invoca giustizia (28) e vuole rispondervi con tutte le sue
forze.
2.
Pertanto è rivolto alla Chiesa un appello quanto mai impegnativo. Con audacia
e coraggio, con chiaroveggenza e prudenza, con zelo e forza d’animo, con un
amore verso i poveri che si spinge fino al sacrificio, i pastori, come del
resto già molti fanno, dovranno considerare come un compito prioritario la
risposta a questo appello.
3.
Tutti coloro che - sacerdoti, religiosi e laici -, udendo il grido che invoca
giustizia, vogliono lavorare per l’evangelizzazione e la promozione umana,
dovranno farlo in comunione con i loro Vescovi e con la Chiesa, ciascuno
secondo la propria specifica vocazione ecclesiale.
4.
Coscienti del carattere ecclesiale della loro vocazione, i teologi collaboreranno,
con lealtà e in spirito di dialogo, con il Magistero della Chiesa. Essi
sapranno riconoscere nel Magistero un dono di Cristo alla sua Chiesa (29) e
ne accoglieranno la parola e le direttive con rispetto filiale.
5.
Solo partendo dalla missione evangelizzatrice intesa nella sua integralità si
possono comprendere le esigenze di una promozione umana e di una liberazione
autentica. Questa liberazione ha come pilastri indispensabili la verità
su Gesù Cristo, il Salvatore, la verità sulla Chiesa, la verità sull’uomoe
sulla sua dignità. (30) La Chiesa, che vuole essere nel mondo intero la
Chiesa dei poveri, intende servire la nobile lotta per la verità e per la
giustizia, alla luce delle Beatitudini, e soprattutto della beatitudine dei
poveri di spirito. Essa si rivolge a ciascun uomo e, per questa ragione, a
tutti gli uomini. Essa è "la Chiesa universale. La Chiesa
dell’incarnazione. Non è la Chiesa di una classe o di una casta soltanto.
Essa parla in nome della verità stessa. Questa verità è realista". Essa
insegna a tener conto "di ogni realtà umana, di ogni ingiustizia, di
ogni tensione, di ogni lotta". (31)
6.
Una difesa efficace della giustizia deve appoggiarsi sulla verità dell’uomo,
creato ad immagine di Dio e chiamato alla grazia della filiazione divina. Il
riconoscimento del vero rapporto dell’uomo con Dio costituisce il fondamento
della giustizia, in quanto essa regola i rapporti tra gli uomini. Per questo
motivo la lotta per i diritti dell’uomo, che la Chiesa continuamente
richiama, costituisce l’autentica lotta per la giustizia.
7.
La verità dell’uomo esige che questa lotta sia condotta con mezzi conformi
alla dignità umana. Per questo deve essere condannato il ricorso sistematico
e deliberato alla violenza cieca, da qualsiasi parte venga. (32) Affidarsi ai
mezzi violenti nella speranza di instaurare una maggiore giustizia significa
essere vittime di un’illusione mortale. La violenza genera violenza e degrada
l’uomo. Essa ferisce la dignità dell’uomo nella persona delle vittime e
avvilisce questa stessa dignità in coloro che la praticano.
8.
L’urgenza di riforme radicali delle strutture che ingenerano la miseria e
costituiscono in se stesse delle forme di violenza non deve far perdere di
vista che la sorgente delle ingiustizie risiede nel cuore degli uomini.
Quindi soltanto facendo appello allecapacità etiche della persona
e alla continua necessità di conversione interiore si otterranno dei
cambiamenti sociali che saranno veramente al servizio dell’uomo. (33) Infatti
man mano che collaboreranno liberamente, di propria iniziativa e
solidarmente, per questi cambiamenti necessari, gli uomini, risvegliati al
senso della loro responsabilità, si realizzeranno sempre più come uomini.
Tale capovolgimento tra moralità e strutture è pregnante di una antropologia
materialista incompatibile con la verità sull’uomo.
9.
Quindi è un’illusione mortale anche credere che delle nuove strutture daranno
vita, per se stesse, ad un "uomo nuovo", nel senso della verità
dell’uomo. Il cristiano non può dimenticare che la sorgente di ogni vera
novità è lo Spirito Santo, che ci è stato dato, e che il signore della storia
è Dio.
10.
Così pure, il rovesciamento delle strutture generatrici d’ingiustizia
mediante la violenza rivoluzionaria non è ipso facto l’inizio
dell’instaurazione di un regime giusto. Tutti coloro che vogliono
sinceramente la vera liberazione dei loro fratelli devono riflettere su un
fatto di grande rilevanza del nostro tempo. Milioni di nostri contemporanei
aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono
privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del
potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione
del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con
la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in
condizioni di schiavitù indegne dell’uomo. Coloro che, forse per incoscienza,
si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono
servire.
11.
La lotta di classe come via verso una società senza classi è un mito che
blocca le riforme e aggrava la miseria e le ingiustizie. Coloro che si
lasciano affascinare da questo mito dovrebbero riflettere sulle amare
esperienze storiche alle quali esso ha condotto. Comprenderebbero allora che
non si tratta di abbandonare un modo efficace di lotta in favore dei poveri
per un ideale utopico. Si tratta, al contrario, di liberarsi di un miraggio
per appoggiarsi sul Vangelo e sulla sua forza di trasformazione.
12.
Una delle condizioni per il necessario ritorno alla retta teologia è la
rivalutazione dell’insegnamento sociale della Chiesa. Questo
insegnamento non è per niente chiuso, ma, al contrario, è aperto a tutti i
nuovi problemi che non mancano di porsi nel corso del tempo. In questa prospettiva,
è indispensabile oggi il contributo dei teologi e dei pensatori di tutte le
parti del mondo alla riflessione della Chiesa.
13.
Così pure, per la riflessione dottrinale e pastorale della Chiesa è
necessaria l’esperienza di coloro che lavorano direttamente
all’evangelizzazione e promozione dei poveri e degli oppressi. In questo
senso occorre dire che si prende coscienza di alcuni aspetti della verità a
partire dalla prassi, se per prassi si intendono una prassi
pastorale e una prassi sociale che restano di ispirazione evangelica.
14.
L’insegnamento della Chiesa in materia sociale fornisce i grandi orientamenti
etici. Ma perché possa guidare direttamente l’azione, esso esige delle
personalità competenti sia dal punto di vista scientifico e tecnico, che nel
campo delle scienze umane e della politica. I pastori dovranno essere attenti
alla formazione di tali personalità competenti, che vivano profondamente il
Vangelo. I laici, il cui compito specifico è di costruire la società, vi sono
coinvolti in maniera particolare.
15.
Le tesi delle "teologie della liberazione" sono largamente diffuse,
sotto forma ancora semplificata, in circoli di formazione o nei gruppi di
base, che mancano di preparazione catechetica e teologica. Per questo sono
accettate, senza la possibilità di un giudizio critico, da uomini e donne
generosi.
16.
Per questo i Pastori devono vigilare sulla qualità e sul contenuto della
catechesi e della formazione, che deve sempre presentare la
integralità del messaggio della salvezza e gli imperativi della vera
liberazione dell’uomo nel quadro di questo messaggio integrale.
17.
In questa presentazione integrale del mistero cristiano sarà opportuno
mettere l’accento sugli aspetti essenziali che le "teologie della
liberazione" tendono in particolar modo a misconoscere o a eliminare:
trascendenza e gratuità della liberazione in Gesù Cristo, vero Dio e vero
uomo, sovranità della sua grazia, vera natura dei mezzi di salvezza,
specialmente della Chiesa e dei sacramenti. Si dovranno richiamare il vero significato
dell’etica, per la quale non può essere relativizzata la distinzione tra il
bene e il male, il senso autentico del peccato, la necessità della
conversione e l’universalità della legge dell’amore fraterno. Si metterà in
guardia contro una politicizzazione dell’esistenza, che misconoscendo tanto
la specificità del Regno di Dio, quanto la trascendenza della persona,
finisce per sacralizzare la politica e per sfruttare la religiosità del
popolo in favore di iniziative rivoluzionarie.
18.
I difensori della "ortodossia" sono talvolta rimproverati di
passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle
intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono
tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei
pastori e dei responsabili la conversione spirituale, l’intensità dell’amore
di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso
evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della
fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una
vita teologale integrale, la risposta di un’efficace testimonianza di
servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e
dell’oppresso. Mediante la testimonianza della loro forza di amare, dinamica
e costruttiva, i cristiani getteranno così le basi di quella "civiltà
dell’amore", di cui ha parlato, dopo Paolo VI, la Conferenza di Puebla.
(34) Del resto sono numerosi coloro che - sacerdoti, religiosi o laici - si
consacrano in maniera veramente evangelica alla creazione di una società
giusta.
Conclusione
Le
parole di Paolo VI, nella Professione di
fede del popolo di Dio, esprimono con piena chiarezza la fede
della Chiesa, dalla quale non ci si può allontanare senza provocare, insieme
ai danni spirituali, nuove miserie e nuove schiavitù.
"Noi
confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo,
"non è di questo mondo", "la cui figura passa"; e che la
sua vera crescita non può essere confusa con il progresso della civiltà,
della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più
profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre
più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente
all’amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la
santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a
preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non
cessa di ricordare ai suoi figli che essi "non hanno quaggiù stabile
dimora", essa li spinge anche a contribuire - ciascuno secondo la
propria vocazione e i propri mezzi - al bene della loro città terrena, a
promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare
il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più
bisognosi. L’intensa sollecitudine della Chiesa, sposa di Cristo, per le
necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e
i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser
loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui,
unico loro salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la
Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca
l’ardore dell’attesa del suo Signore e del regno eterno". (35)
Il
Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza concessa al
sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa
nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la
pubblicazione.
Roma,
dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 6 agosto
1984, nella festa della Trasfigurazione del Signore
Ioseph Card. Ratzinger
Prefetto
Alberto Bovone
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia Segretario |
***
(1) Cf. Gaudium et
spes, n. 4.
(2)
Cf. Dei Verbum, n. 10.
(3)
Cf. Gal 5, 1 ss.
(4) Cf. Es 24.
(5) Cf. Ger 31,
31-34, Ez 36, 26 ss.
(6) Cf. Sof 3,
12 ss.
(7) Cf. Dt 10,
18-19.
(8) Cf. Lc 10,
25-37.
(9) Cf. 2 Cor 8,
9.
(10) Cf. Mt 25,
31-46; At 9, 4-5; Col 1, 24.
(11) Cf. Gc 5,
1 ss.
(12) Cf. 1 Cor 11,
17-34.
(13) Cf. Gc 2,
14-26.
(14) Cf. AAS 71 (1979)
1144-1160.
(15) Cf. AAS 71 (1979) 196.
(16)
Cf. Evangelii nuntiandi, nn. 25-33; AAS 68 (1976) 23-28.
(17)
Cf. Evangelii nuntiandi, n. 32; AAS 68 (1976) 27.
(18)
Cf. AAS 71 (1979) 188-196.
(19)
Cf. Gaudium et spes, n. 39; Pio XI,Quadragesimo anno; AAS
23 (1931) 207.
(20)
Cf. nn. 1134-1165 e nn. 1166-1205.
(21)
Cf. Doc. di Puebla, IV, 2.
(22)
Cf. Paolo VI, Octogesima adveniens, n. 34; AAS 63 (1971) 424-425.
(23) Cf. Lumen
gentium, nn. 9-17.
(24) Cf. Gaudium et
spes, n. 39.
(25) Cf. At 2,
36.
(26) Cf. 1 Cor 10,
1-2.
(27) Cf. Ef 2,
11-22.
(28)
Cf. Doc. di Puebla, I, III, n. 3.3.
(29)
Cf. Lc 10, 16.
(30)
Cf. Giovanni Paolo II, Discorso di apertura della Conferenza di
Puebla: AAS 71 (1979) 188-196; Doc. di Puebla, II, 1.
(31)
Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Favela "Vidigal" a Rio
de Janeiro, 2 luglio 1980: AAS 72 (1980) 852-858.
(32)
Cf. Doc. di Puebla, II, II, n. 5.4.
(33)
Cf. Doc. di Puebla, IV, 3, n. 3.3.
(34)
Cf. Doc. di Puebla, IV, 2, n. 2.3.
(35)
Paolo VI, Professione di
fede del popolo di Dio, 30 giugno 1968: AAS 60 (1968) 443-444
|
S.
Congregazione per la Dottrina della Fede,Istruzione LIBERTATIS CONSCIENTIA, su
libertà cristiana e liberazione, del 22 marzo 1986
Introduzione
Aspirazioni
alla liberazione
1.
La coscienza
della libertà e della dignità dell'uomo, congiunta con l'affermazione dei
diritti inalienabili della persona e dei popoli, è una delle caratteristiche
salienti del nostro tempo. Ora, la libertà esige determinate condizioni di
ordine economico, sociale, politico e culturale, che ne rendano possibile il
pieno esercizio. La viva percezione degli ostacoli, che le impediscono di
realizzarsi ed offendono la dignità umana, è all'origine delle potenti
aspirazioni alla liberazione che travagliano il nostro mondo.
La
Chiesa di Cristo fa sue tali aspirazioni, esercitando il proprio
discernimento alla luce del Vangelo, che per sua stessa natura è messaggio di
libertà e di liberazione. In effetti, quelle aspirazioni assumono a volte,
sul piano teorico e pratico, espressioni che non sempre sono conformi alla
verità dell'uomo, quale si manifesta alla luce della sua creazione e
redenzione. È questo il motivo per cui la Congregazione per la Dottrina della
Fede ha ritenuto necessario attirare l'attenzione su alcune "deviazioni
o rischi di deviazione, pericolosi per la fede e per la vita cristiana".
(1) Lungi dall'essere sorpassati, tali richiami appaiono ogni giorno più
opportuni e pertinenti.
Fine
dell'Istruzione
2.
L'Istruzione
"Libertatis Nuntius" su alcuni aspetti della teologia della
liberazione annunciava
l'intenzione della Congregazione di pubblicare un secondo documento, che
avrebbe messo in evidenza i principali elementi della dottrina cristiana
sulla libertà e sulla liberazione. La presente Istruzione risponde a tale
intenzione. Tra i due documenti esiste un rapporto organico: essi devono
essere letti l'uno alla luce dell'altro.
Su
questo tema, che si trova al centro stesso del messaggio evangelico, il
magistero della Chiesa si è pronunciato in numerose occasioni. (2) Il
presente documento si limita a indicarne i principali aspettiteorici e pratici.
Quanto alle applicazioni concernenti le diverse situazioni locali, spetta
alle Chiese particolari, in comunione tra loro e con la Sede di Pietro, di
provvedervi direttamente. (3)
Il
tema della libertà e della liberazione ha un'evidente portata ecumenica. In
effetti, esso appartiene al patrimonio tradizionale delle Chiese e comunità
ecclesiali. Perciò, questo documento può confortare la testimonianza e
l'azione di tutti i discepoli di Cristo, chiamati a rispondere alle grandi
sfide del nostro tempo.
La
verità che ci libera
3.
La parola di Gesù: "La verità vi farà liberi" (Gv 8,
32), deve illuminare e guidare in questo campo ogni riflessione teologica e
ogni decisione pastorale.
Questa
verità, che viene da Dio, ha il proprio centro in Gesù Cristo, Salvatore del
mondo. (4) Da lui, che è "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14,
6), la Chiesa riceve ciò che offre agli uomini. Dal mistero del Verbo
incarnato e redentore del mondo essa attinge la verità sul Padre e sul suo
amore per noi, come anche la verità sull'uomo e sulla sua libertà.
Mediante
la sua croce e la sua risurrezione, Cristo ha operato la nostra redenzione
che è liberazione nel senso più forte, in quanto ci ha liberati dal male più
radicale, cioè dal peccato e dal potere della morte. Quando la Chiesa,
ammaestrata dal suo Signore, fa salire la propria preghiera verso il Padre:
"Liberaci dal male", essa implora che il mistero della salvezza
agisca con potenza nella nostra esistenza quotidiana. Essa sa che la croce
redentrice è veramente la fonte della luce e della vita e il centro della
storia. La verità, che le arde in cuore, la spinge a proclamare la buona
novella e a distribuirne i frutti di vita mediante i sacramenti. Da Cristo
redentore prendono avvio il suo pensiero e la sua azione quando, davanti ai
drammi che dilaniano il mondo, essa riflette sul significato e sulle vie
della liberazione e della vera libertà.
La
verità, a cominciare dalla verità sulla redenzione, che sta al cuore del
mistero della fede, è così la radice e la regola della libertà, il fondamento
e la misura di ogni azione liberatrice.
La
verità, condizione di libertà
4.
L'apertura alla pienezza della verità s'impone alla coscienza morale
dell'uomo; egli deve cercarla ed esser pronto ad accoglierla, quando essa a
lui si presenta.
Secondo
l'ordine di Cristo Signore, (5) la verità evangelica deve essere presentata a
tutti gli uomini, e questi hanno diritto a che essa sia loro proposta. Il suo
annuncio, nella forza dello Spirito, comporta il pieno rispetto della libertà
di ciascuno e l'esclusione di qualsiasi forma di costrizione e di pressione.
(6)
Lo
Spirito Santo introduce la Chiesa e i discepoli di Cristo Gesù "alla
verità tutta intera" (Gv 16, 13). Egli dirige il corso dei
tempi e "rinnova la faccia della terra" (Sal 104, 30).
È lui che è presente nella maturazione d'una coscienza più rispettosa della
dignità della persona umana. (7) Lo Spirito Santo è all'origine del coraggio,
dell'audacia e dell'eroismo: "Dove c'è lo Spirito del Signore, c'è
libertà" (2 Cor 3, 17).
|
Capitolo primo
La
condizione della libertà nel mondo contemporaneo
I.
Conquiste e minacce del moderno processo di liberazione
L'eredità
del cristianesimo
5.
Rivelando all'uomo la sua qualità di persona libera, chiamata ad entrare in
comunione con Dio, il Vangelo di Gesù Cristo ha suscitato una presa di
coscienza delle profondità, fino allora insospettate, della libertà umana.
Così
la ricerca della libertà e l'aspirazione alla liberazione, che sono tra i
principali segni dei tempi nel mondo contemporaneo, hanno la loro prima
radice nell'eredità cristiana. Ciò resta vero anche là dove esse assumono
forme aberranti e giungono a opporsi alla visione cristiana dell'uomo e del
suo destino. Senza questo riferimento al Vangelo, la storia dei secoli
recenti in Occidente resta incomprensibile.
L'epoca
moderna
6.
Fin dall'alba dei tempi moderni, nel Rinascimento, il ritorno all'antichità
in filosofia e nelle scienze naturali doveva - così si pensava - permettere
all'uomo di conquistare la libertà di pensiero e di azione, grazie alla
conoscenza e al dominio delle leggi della natura.
D'altra
parte, Lutero, partendo dalla sua lettura di San Paolo, intendeva lottare per
la liberazione dal giogo della legge, rappresentato ai suoi occhi dalla
Chiesa del suo tempo.
Ma
è soprattutto nel secolo dell'Illuminismo e nella Rivoluzione francese che il
richiamo alla libertà risuonò in tutta la sua forza. Da allora, molti
guardano alla storia futura come ad un irresistibile processo di liberazione,
che deve condurre ad un'era in cui l'uomo, finalmente del tutto libero, potrà
godere la felicità fin da questa terra.
Verso
il dominio della natura
7.
Nella prospettiva d'una tale ideologia di progresso, l'uomo intendeva farsi
padrone della natura. La schiavitù, che aveva subìto fino a quel momento,
poggiava sull'ignoranza e sui pregiudizi. Strappando alla natura i suoi
segreti, l'uomo l'avrebbe sottomessa al proprio servizio. In tal modo, la
conquista della libertà costituiva lo scopo perseguito attraverso lo sviluppo
della scienza e della tecnica. Gli sforzi effettuati hanno portato a notevoli
successi. Se l'uomo non è al riparo dalle catastrofi naturali, numerose
minacce della natura sono state allontanate. Il nutrimento è garantito ad un
numero crescente di individui. Le possibilità di trasporto e di commercio
favoriscono lo scambio delle risorse alimentari, delle materie prime, della forza-lavoro,
delle capacità tecniche, di modo che per gli esseri umani può essere
ragionevolmente intravista un'esistenza dignitosa e sottratta alla miseria.
Conquiste
sociali e politiche
8.
Il moderno movimento di liberazione s'era proposto un traguardo politico e
sociale. Esso doveva porre fine al dominio dell'uomo sull'uomo e promuovere
l'uguaglianza e la fraternità di tutti gli uomini. Che anche a tale riguardo
siano stati raggiunti risultati positivi, è innegabile. La schiavitù e
l'asservimento legali sono stati aboliti. Il diritto per tutti alla cultura
ha fatto significativi progressi. In numerosi Paesi la legge riconosce la
parità tra l'uomo e la donna, la partecipazione di tutti i cittadini
all'esercizio del potere politico e gli stessi diritti per tutti. Il razzismo
è rifiutato, come contrario al diritto e alla giustizia. La formulazione dei
diritti dell'uomo significa una coscienza più viva della dignità di tutti gli
uomini. In confronto con i precedenti sistemi di dominio, le affermazioni
della libertà e dell'uguaglianza in numerose società sono innegabili.
Libertà
del pensiero e del volere
9.
Infine e soprattutto, il moderno movimento di liberazione doveva apportare
all'uomo la libertà interiore, sotto forma di libertà di pensiero e di
libertà del volere. Esso intendeva liberare l'uomo dalla superstizione e
dalle paure ancestrali, avvertite come altrettanti ostacoli al suo sviluppo.
Si proponeva di dargli il coraggio e l'audacia di servirsi della propria
ragione, senza che la paura lo trattenesse davanti alle frontiere
dell'ignoto. Così, specialmente nelle scienze storiche e nelle scienze umane,
s'è sviluppata una nuova coscienza dell'uomo, chiamata ad aiutarlo a
comprendersi meglio in ciò che concerne la propria formazione personale o le
condizioni fondamentali del costituirsi della comunità.
Ambiguità
del moderno processo di liberazione
10.
Tuttavia, sia che si tratti della conquista della natura, della vita sociale
e politica o del dominio dell'uomo su se stesso, sul piano individuale e
collettivo, ciascuno può constatare non soltanto che i progressi realizzati
sono lungi dal corrispondere alle ambizioni iniziali, ma anche che nuove
minacce, nuove schiavitù e nuovi terrori sono sorti proprio mentre si
sviluppava il moderno movimento di liberazione. C'è in questo il segno che
gravi ambiguità circa il senso stesso della libertà hanno, fin dal suo
inizio, intaccato tale movimento dall'interno.
L'uomo
minacciato dal suo dominio della natura
11.
È così che l'uomo, man mano che si liberava dalle minacce della natura, ha
cominciato a provare una paura crescente dinanzi a se stesso. La tecnica,
assoggettando sempre più la natura, rischia di distruggere i fondamenti del
nostro stesso avvenire, di modo che l'umanità di oggi diventa la nemica delle
generazioni future. Mentre si imbrigliano totalmente con una potenza cieca le
forze della natura, non si sta forse distruggendo la libertà degli uomini di
domani? Quali forze possono proteggere l'uomo dall'asservimento derivante
dalla sua stessa dominazione? Si rende necessaria una capacità tutta nuova di
libertà e di liberazione, che esige un processo di liberazione interamente
rinnovato.
Pericoli
della potenza tecnologica
12.
La forza liberatrice della conoscenza scientifica si oggettivizza nelle
grandi realizzazioni tecnologiche. Chi dispone delle tecnologie possiede il
potere sulla terra e sugli uomini. Di qui son nate forme, fino ad ora
sconosciute, di disuguaglianza tra i possessori del sapere e i semplici
fruitori della tecnica. Il nuovo potere tecnologico è legato al potere
economico e porta alla sua concentrazione. Così, all'interno dei popoli come
tra i popoli, si sono formati rapporti di dipendenza che, nel corso degli
ultimi vent'anni, sono stati occasione per una nuova rivendicazione di
liberazione. Come impedire che la potenza tecnologica divenga una potenza
oppressiva di gruppi umani o di interi popoli?
Individualismo
e collettivismo
13.
Nel campo delle conquiste sociali e politiche, una delle ambiguità
fondamentali dell'affermazione della libertà durante il periodo
dell'Illuminismo si rifà alla concezione del soggetto di tale libertà, come
individuo sufficiente a se stesso e avente come fine il soddisfacimento del
proprio interesse nel godimento dei beni terrestri. L'ideologia
individualista, ispirata da questa concezione dell'uomo, ha favorito la
diseguale ripartizione delle ricchezze agli inizi dell'era industriale, a tal
punto che i lavoratori si sono trovati esclusi dall'accesso ai beni
essenziali, che avevano contribuito a produrre ed ai quali avevano diritto.
Di qui sono nati potenti movimenti di liberazione dalla miseria, che la
società industriale aveva mantenuto.
Cristiani,
sia laici che pastori, non hanno mancato di lottare per un equo
riconoscimento dei legittimi diritti dei lavoratori. In favore di questa
causa il magistero della Chiesa a più riprese ha levato la sua voce.
Il
più delle volte, tuttavia, la giusta rivendicazione del movimento operaio ha
condotto a nuove forme di asservimento, perché s'ispirava a concezioni che,
ignorando la vocazione trascendente della persona umana, assegnavano all'uomo
un fine soltanto terreno. Tale rivendicazione in alcuni casi è stata
orientata verso progetti collettivistici, che dovevano generare ingiustizie
tanto gravi quanto quelle alle quali intendevano porre fine.
Nuove
forme di oppressione
14.
È così che la nostra epoca ha visto nascere i sistemi totalitari e forme di
tirannia, che non sarebbero stati possibili nell'epoca precedente al grande
sviluppo tecnologico. Da una parte, la perfezione tecnica è stata applicata
ai genocidi. D'altra parte, attraverso la pratica del terrorismo, che provoca
la morte di tante persone innocenti, alcune minoranze cercano di tenere in
scacco intere nazioni.
Oggi
il controllo può insinuarsi fino nell'interiorità degli individui; e le
stesse dipendenze, create dai sistemi di previdenza, possono costituire
potenziali minacce di oppressione. Una falsa liberazione dalle costrizioni
della società viene ricercata nel ricorso alla droga, che in tutto il mondo
porta molti giovani all'autodistruzione e getta famiglie intere nell'angoscia
e nel dolore.
Pericolo
di distruzione totale
15.
Il riconoscimento di un ordine giuridico, come garanzia dei rapporti
all'interno della grande famiglia dei popoli, s'indebolisce ogni giorno di
più. Quando la fiducia nel diritto non sembra offrire più una protezione
sufficiente, la sicurezza e la pace sono ricercate in una minaccia reciproca,
che diviene un pericolo per tutta l'umanità. Le forze che dovrebbero servire
allo sviluppo della libertà servono ad aumentare le minacce. Gli ordigni di
morte, che oggi tra loro si oppongono, sono capaci di distruggere ogni vita
umana sulla terra.
Nuovi
rapporti d'ineguaglianza
16.
Tra le nazioni dotate di potenza e le nazioni che ne sono prive si sono
instaurati nuovi rapporti di disuguaglianza e di oppressione. La ricerca del
proprio interesse sembra essere la regola delle relazioni internazionali,
senza che si prenda in considerazione il bene comune dell'umanità.
L'equilibrio
interno delle nazioni povere è rotto dall'importazione di armi, con la quale
si introduce un fattore di divisione, che porta al dominio di un gruppo su un
altro. Quali forze potrebbero eliminare il ricorso sistematico alle armi e
restituire al diritto la sua autorità?
Emancipazione
delle nazioni giovani
17.
È nel contesto della disuguaglianza nei rapporti di potenza che sono apparsi
i movimenti di emancipazione delle nazioni giovani, le quali in generale sono
anche nazioni povere, ancora sottomesse fino ad epoca recente alla dominazione
coloniale. Ma troppo spesso il popolo è defraudato dell'indipendenza,
duramente conquistata, da regimi o tirannie senza scrupoli, che irridono
impunemente ai diritti dell'uomo. Il popolo, ridotto in tal modo
all'impotenza, non fa che cambiare padrone.
Ciò
non toglie che uno dei fenomeni salienti del nostro tempo, a livello di
interi continenti, sia il risveglio della coscienza del popolo che, curvo
sotto il peso di una miseria secolare, aspira ad una vita nella dignità e
nella giustizia, ed è pronto a combattere per la propria libertà.
La
morale e Dio, ostacoli alla liberazione?
18.
Per quanto riguarda il movimento moderno di liberazione interiore dell'uomo,
si deve constatare che lo sforzo inteso a liberare il pensiero e la volontà
dai loro limiti si è spinto fino a ritenere che la moralità, come tale,
costituisca un limite irragionevole che l'uomo deve superare, se vuole
divenire veramente padrone di se stesso.
Di
più ancora, per molti Dio stesso sarebbe l'alienazione specifica dell'uomo.
Tra l'affermazione di Dio e la libertà umana esisterebbe una radicale
incompatibilità: proprio rifiutando la fede in Dio, l'uomo diverrebbe
veramente libero.
Interrogativi
angosciosi
19.
Sta qui la radice delle tragedie, che accompagnano la storia moderna della
libertà. Perché questa storia, nonostante le grandi conquiste, che rimangono
peraltro sempre fragili, registra frequenti ricadute nell'alienazione e vede
sorgere nuove schiavitù? Perché movimenti di liberazione, che hanno già
suscitato immense speranze, sfociano poi in regimi per i quali la libertà dei
cittadini, (8) a cominciare dalla prima di tali libertà che è la libertà
religiosa, (9) costituisce il nemico numero uno?
Quando
l'uomo vuole liberarsi dalla legge morale e divenire indipendente da Dio, lungi
dal conquistare la propria libertà, la distrugge. Sottraendosi al metro della
verità, egli diventa preda dell'arbitrio; tra gli uomini sono aboliti i
rapporti fraterni per far posto al terrore, all'odio e alla paura.
Contagiato
da errori mortali circa la condizione dell'uomo e della sua libertà, il
grande movimento moderno di liberazione resta ambiguo: esso è carico, ad un
tempo, di promesse di vera libertà e di minacce di mortali asservimenti.
II.
La Libertà nell’esperienza del popolo di Dio
Chiesa
e libertà
20.
Proprio perché cosciente di questa mortale ambiguità, la Chiesa, mediante il
suo magistero, ha levato la voce nel corso degli ultimi secoli, per mettere
in guardia contro deviazioni che rischiavano di stornare lo slancio
liberatore verso amari disinganni. Sul momento essa fu spesso incompresa. A
distanza di tempo, però, è possibile rendere giustizia al suo discernimento.
È
in nome della verità dell'uomo, creato ad immagine di Dio, che la Chiesa è
intervenuta. (10) Ciononostante, la si accusa di essere essa stessa un
ostacolo sulla via della liberazione. La sua costituzione gerarchica si
opporrebbe all'eguaglianza, e il suo magistero si opporrebbe alla libertà di
pensiero. Certo, ci sono stati errori di giudizio o gravi omissioni, di cui i
cristiani si sono resi responsabili nel corso dei secoli. (11) Ma tali
obiezioni misconoscono la vera natura delle cose. La diversità dei carismi
nel popolo di Dio, trattandosi di carismi di servizio, non si oppone
all'eguale dignità delle persone ed alla loro comune vocazione alla santità.
La
libertà di pensiero, come condizione di ricerca della verità in tutti i
settori del sapere umano, non significa che la ragione umana debba chiudersi
alla luce della Rivelazione, il cui deposito Cristo ha affidato alla sua
Chiesa. Aprendosi alla verità divina, la ragione creata sperimenta una
fioritura e un perfezionamento, che costituiscono una forma eminente della
libertà. D'altra parte, il Concilio Vaticano II ha riconosciuto pienamente la
legittima autonomia delle scienze, (12) come anche delle attività di ordine
politico. (13)
La
libertà dei piccoli e dei poveri
21.
Uno dei principali errori, che ha pesantemente gravato, fin dall'età
dell'Illuminismo, sul processo di liberazione, dipende dalla convinzione,
largamente condivisa, secondo cui i progressi realizzati nel campo delle
scienze, della tecnica e dell'economia, dovrebbero servire da fondamento alla
conquista della libertà. In tal modo si misconosceva la profonda dimensione
di questa libertà e delle sue esigenze.
Questa
dimensione profonda della libertà, la Chiesa l'ha sempre sperimentata,
attraverso la vita di una moltitudine di fedeli, in particolare tra i piccoli
ed i poveri. Nella loro fede costoro sanno di essere l'oggetto dell'amore
infinito di Dio. Ciascuno di loro può dire: "Vivo nella fede del Figlio
di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2,
20b). Questa è la loro dignità, che nessuno dei potenti può loro strappare;
questa è la gioia liberatrice, presente in loro. Essi sanno che anche a loro
è rivolta la parola di Gesù: "Non vi chiamo più servi, perché il servo
non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto
ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15,
15). Questa partecipazione alla conoscenza di Dio costituisce la loro
emancipazione di fronte alle pretese di dominio da parte dei detentori del
sapere: "Tutti avete la scienza... e non avete bisogno che alcuno vi
ammaestri" (1 Gv 20b. 27b). Essi così sono consapevoli di
partecipare alla conoscenza più alta, alla quale sia chiamata l'umanità. (14)
Essi si sanno amati da Dio, come tutti gli altri e più di tutti gli altri.
Essi vivono così nella libertà che scaturisce dalla verità e dall'amore.
Risorse
della religiosità popolare
22.
Lo stesso senso della fede del popolo di Dio, nella sua devozione piena di
speranza verso la croce di Gesù, percepisce la potenza contenuta nel mistero
di Cristo redentore. Lungi, dunque, dal disprezzare o dal volere sopprimere
le forme di religiosità popolare che questa devozione riveste, bisogna, al
contrario, coglierne ed approfondirne tutto il significato e tutte le
implicazioni. (15) C'è qui un elemento di fondamentale portata teologica e
pastorale: proprio i poveri, oggetto della predilezione divina, comprendono meglio
e come d'istinto che la liberazione più radicale, cioè la liberazione dal
peccato e dalla morte, è quella compiuta mediante la morte e la risurrezione
di Cristo.
Dimensione
soteriologica ed etica della liberazione
23.
La potenza di questa liberazione penetra e trasforma in profondità l'uomo e
la sua storia nella sua attualità presente, e anima il suo slancio
escatologico. Il senso primo e fondamentale della liberazione, che così si
manifesta, è il senso soteriologico: l'uomo è liberato dalla schiavitù
radicale del male e del peccato.
In
questa esperienza della salvezza l'uomo scopre il vero senso della sua
libertà, poiché la liberazione è restituzione della libertà. Essa è pure
educazione della libertà, cioè educazione al retto uso della libertà. Così
alla dimensione soteriologica della liberazione viene ad aggiungersi la sua
dimensione etica.
Una
nuova fase della storia della libertà
24.
In gradi diversi il senso della fede, che è all'origine di una esperienza
radicale della liberazione e della libertà, ha impregnato la cultura ed i
costumi dei popoli cristiani.
Oggi,
però, a motivo delle formidabili sfide alle quali l'umanità deve far fronte,
è divenuto necessario e urgente, in modo del tutto nuovo, che l'amore di Dio
e la libertà nella verità segnino con la loro impronta le relazioni tra gli
uomini e tra i popoli ed animino la vita delle culture.
Infatti
là dove mancano la verità e l'amore, il processo di liberazione sfocia nella
morte di una libertà che avrà perduto ogni suo sostegno.
Una
nuova fase della storia della libertà s'apre davanti a noi. Le capacità
liberatrici della scienza, della tecnica, del lavoro, dell'economia e
dell'azione politica daranno i loro frutti solo se troveranno la loro
ispirazione e la loro misura nella verità e nell'amore più forti della
sofferenza, rivelati agli uomini da Gesù Cristo.
Capitolo secondo
Vocazione
dell’uomo alla libertà e dramma del peccato
I.
Primi approcci alla libertà
Una
risposta spontanea
25.
La risposta spontanea alla domanda: "che cosa significa essere
libero?" è la seguente: libero è colui che può fare solo ciò che vuole
senza essere impedito da una costrizione esteriore e che gode, di
conseguenza, di una piena indipendenza. Il contrario della libertà sarebbe
così la dipendenza della nostra volontà da una volontà estranea.
Ma
l'uomo sa sempre ciò che vuole? Può tutto quello che vuole? Limitarsi al
proprio io e separarsi dalla volontà altrui è conforme alla natura dell'uomo?
Sovente la volontà di un momento non è la volontà reale, e nel medesimo uomo
possono coesistere voleri contraddittori. Ma, soprattutto, l'uomo si scontra
con i limiti della propria natura: vuole di più di quanto non possa. Così
l'ostacolo che si oppone al suo volere non viene sempre dal di fuori, ma dai
limiti del suo essere. Appunto per questo, pena la sua distruzione, l'uomo
deve imparare ad accordare la sua volontà con la sua natura.
Verità
e giustizia regole della libertà
26.
Inoltre, ogni uomo è orientato verso gli altri uomini ed ha bisogno della
loro convivenza. Solo imparando a accordare la sua volontà a quella degli
altri in vista di un vero bene, egli farà l'apprendistato della rettitudine
del volere. È, dunque, l'armonia con le esigenze della natura umana che rende
umana la volontà stessa. In effetti, questa richiede il criterio della verità
ed una giusta relazione con la volontà altrui. Verità e giustizia sono così
la misura della vera libertà. Quando si allontana da questo fondamento,
l'uomo, scambiando se stesso per Dio, cade nella menzogna e, anziché realizzarsi,
si distrugge.
Lungi
dal compiersi in una totale autarchia dell’io e nell'assenza di relazioni, la
libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla
verità e dalla giustizia, uniscono le persone. Ma perché tali legami siano
possibili, ciascuno deve essere personalmente vero.
La
libertà non è libertà di fare qualsiasi cosa: è libertà per il bene, nel
quale solo risiede la felicità. Il bene è, quindi, il suo scopo. Di
conseguenza, l'uomo diventa libero nella misura in cui accede alla conoscenza
del vero, e questa conoscenza - e non altre forze quali che siano - guida la
sua volontà. La liberazione in vista della conoscenza della verità, che sola
diriga la volontà, è condizione necessaria per una libertà degna di questo
nome.
II.
Libertà e liberazione
Una
libertà di creatura
27.
In altri termini, la libertà, che è padrona interiore dei propri atti e
autodeterminazione, comporta immediatamente una relazione con l'ordine etico.
Essa trova il suo vero senso nella scelta del bene morale e si manifesta,
quindi, come affrancamento dal male morale.
Con
la sua azione libera l'uomo deve tendere verso il bene supremo attraverso i
beni conformi alle esigenze della sua natura e alla sua vocazione divina.
Esercitando
la sua libertà, egli decide di se stesso e forma se stesso. In questo senso
l'uomo è causa di sé, ma è tale in quanto creatura e immagine di
Dio. Questa è la verità del suo essere che manifesta, per contrasto, quanto
di profondamente erroneo è nelle teorie, che credono di esaltare la libertà
dell'uomo o la sua "prassi storica", facendo di esse il principio
assoluto del suo essere e del suo divenire. Tali teorie sono espressioni
dell'ateismo o, per la logica loro propria, tendono all'ateismo. Nel medesimo
senso vanno l'indifferentismo e l'agnosticismo deliberato. È l'immagine di
Dio nell'uomo che fonda la libertà e la dignità della persona umana. (16)
La
chiamata del Creatore
28.
Creando l'uomo libero, Dio ha impresso in lui la sua immagine e la sua
somiglianza. (17) L'uomo avverte la chiamata del suo Creatore
nell'inclinazione e nell'aspirazione della sua natura verso il bene e, ancora
di più, nella Parola della Rivelazione, che in Cristo è stata pronunciata in
modo perfetto. Gli è stato così rivelato che Dio l'ha creato libero, perché
potesse mediante la grazia, entrare in amicizia con lui e partecipare alla
sua vita.
Una
libertà partecipata
29.
L'uomo non ha la sua origine nella propria azione individuale o collettiva,
ma nel dono di Dio che l'ha creato. Questa è la prima confessione della
nostra fede, che viene a confermare le intuizioni più alte del pensiero
umano.
La
libertà dell'uomo è una libertà partecipata, e la sua capacità di realizzarsi
non è in alcun modo soppressa dalla sua dipendenza nei confronti di Dio. È
esattamente la caratteristica dell'ateismo quella di credere a un'opposizione
irriducibile tra la causalità di una libertà divina e quella della libertà
dell'uomo, come se l'affermazione di Dio significasse la negazione dell'uomo,
o come se il di lui intervento nella storia rendesse vani i tentativi di
questo. In realtà, è da Dio ed in rapporto a Dio che la libertà umana prende
senso e consistenza.
La
scelta libera dell'uomo
30.
La storia dell'uomo si sviluppa sul fondamento della natura che egli ha
ricevuto da Dio, nel libero perseguimento dei fini verso cui lo orientano e
lo portano le inclinazioni di questa stessa natura e della grazia divina.
Ma
la libertà dell'uomo è limitata e debole. Il suo desiderio può rivolgersi a
un bene apparente: scegliendo un falso bene, egli vien meno alla vocazione
della sua libertà. L'uomo, col suo libero arbitrio, dispone di sé: egli può
fare ciò in un senso positivo o in un senso distruttivo.
Ubbidendo
alla legge divina, impressa nella sua coscienza e ricevuta come impulso dello
Spirito Santo, l'uomo esercita la vera padronanza di se stesso e realizza
così la sua vocazione regale di figlio di Dio. "Mediante il servizio di
Dio egli regna". (18) L'autentica libertà è "servizio della
giustizia", mentre invece la scelta della disubbidienza e del male è
"schiavitù del peccato". (19)
Liberazione
temporale e libertà
31.
Partendo da questa nozione di libertà, si precisa la portata della nozione di
liberazione temporale: si tratta dell'insieme dei processi, che mirano a
procurare e a garantire le condizioni richieste per l'esercizio di
un'autentica libertà umana.
Per
se stessa, dunque, la liberazione non produce la libertà dell'uomo. Il senso
comune, confermato dal senso cristiano, sa che la libertà, anche quando è
soggetta a condizionamenti, non è tuttavia distrutta. Anche uomini, che pur
subissero terribili costrizioni, potrebbero riuscire a manifestare la loro
libertà e a mettersi in cammino per la loro liberazione. Un processo di
liberazione portato a termine può solamente creare delle condizioni migliori
per l'esercizio effettivo della libertà. Proprio per questo una liberazione,
che non tenga conto della libertà personale di quelli che combattono per
essa, è in partenza condannata all'insuccesso.
III.
La libertà e la società umana
I diritti dell'uomo e
"le libertà"
32.
Dio non ha creato l'uomo come un "essere solitario", ma lo ha
voluto come un "essere sociale". (20) La vita sociale non è,
dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua
vocazione se non in relazione con gli altri. L'uomo appartiene a diverse
comunità: familiare, professionale, politica, ed è in seno ad esse che egli
deve esercitare la sua libertà responsabile. Un ordine sociale giusto offre
all'uomo un aiuto insostituibile per la realizzazione della sua libera
personalità. Al contrario, un ordine sociale ingiusto è una minaccia e un
ostacolo, che possono compromettere il suo destino.
Nella
sfera sociale, la libertà si esprime e si realizza nelle azioni, nelle
strutture e nelle istituzioni, grazie alle quali gli uomini comunicano tra
loro e organizzano la loro vita in comune. Il pieno sviluppo di una libera
personalità, che è per ciascuno un dovere ed un diritto, deve essere aiutato
e non già ostacolato dalla società.
C'è
qui un'esigenza di natura morale, che ha trovato la sua espressione nella
formulazione dei diritti dell'uomo. Alcuni di essi hanno per
oggetto ciò che si è convenuto di chiamare "le libertà", che sono
come altrettante modalità nel riconoscere a ciascun essere umano il suo destino
trascendente, come anche l'inviolabilità della sua coscienza. (21)
Dimensioni
sociali dell'uomo e gloria di Dio
33.
La dimensione sociale dell'essere umano riveste anche un altro significato:
solamente la pluralità e la ricca diversità degli uomini possono esprimere
qualcosa dell'infinita ricchezza di Dio.
Infine,
questa dimensione è destinata a trovare il suo compimento nel Corpo di
Cristo, che è la Chiesa. È per questo che la vita sociale, nella varietà
delle sue forme e nella misura in cui è conforme alla legge divina,
costituisce un riflesso della gloria di Dio nel mondo. (22)
IV.
Libertà dell’uomo e dominio della natura
Vocazione
dell'uomo a "dominare" la natura
34.
A motivo della sua dimensione corporale, l'uomo ha bisogno delle risorse del
mondo materiale per la sua realizzazione personale e sociale. In questa
vocazione a dominare la terra, mettendola al proprio servizio mediante il
lavoro, può essere riconosciuto un tratto dell'immagine di Dio. (23) Ma
l'intervento umano non è "creatore"; esso s'incontra con una natura
materiale, che ha come esso la sua origine in Dio Creatore e di cui l'uomo è
stato costituito il "nobile e saggio custode". (24)
L'uomo,
padrone delle sue attività
35.
Le trasformazioni tecniche ed economiche si ripercuotono sull'organizzazione
della vita sociale; esse non possono non incidere, in una certa misura, sulla
vita culturale e sulla stessa vita religiosa.
Tuttavia,
mediante la sua libertà, l'uomo resta padrone della propria attività. Le
grandi e rapide trasformazioni dell'epoca contemporanea gli pongono una sfida
drammatica: quella della padronanza e del controllo, mediante la sua ragione
e la sua libertà, delle forze che egli attiva per il servizio delle vere
finalità umane.
Scoperte
scientifiche e progresso morale
36.
È, dunque, proprio della libertà, ben orientata, di fare in modo che le
conquiste scientifiche e tecniche, la ricerca della loro efficacia, i
prodotti del lavoro e le strutture stesse dell'organizzazione economica e
sociale non siano sottomesse a dei progetti che le priverebbero delle loro
finalità umane e le rivolgerebbero contro l'uomo stesso.
L'attività
scientifica e l'attività tecnica implicano, ciascuna, delle esigenze
specifiche. Tuttavia, esse acquistano il loro significato e il loro valore
propriamente umano solo quando sono subordinate ai princìpi morali. Queste
esigenze devono essere rispettate; ma voler loro attribuire un'autonomia
assoluta e necessitante, non conforme alla natura delle cose, significa
immettersi in una via pericolosa per l'autentica libertà dell'uomo.
V.
Il peccato, fonte di divisione e di oppressione
Il
peccato, separazione da Dio
37.
Dio chiama l'uomo alla libertà. In ciascuno è viva la volontà di essere
libero. Eppure questa volontà sfocia quasi sempre nella schiavitù e
nell'oppressione. Ogni impegno per la liberazione e la libertà suppone,
dunque, che sia stato affrontato questo drammatico paradosso.
Il
peccato dell'uomo, cioè la sua rottura con Dio, è la ragione radicale delle
tragedie che segnano la storia della libertà. Per comprendere questo, molti
nostri contemporanei devono riscoprire, innanzitutto, il senso del peccato.
Nella
volontà di libertà dell'uomo si nasconde la tentazione di rinnegare la sua
propria natura. In quanto intende tutto volere e potere, dimenticando così di
essere limitato e creato, egli pretende di essere un dio. "Voi sarete
come Dio" (Gn 3, 5): questa parola del serpente esprime
l'essenza della tentazione dell'uomo, ed implica lo stravolgimento del vero
senso della sua libertà. Questa è la profonda natura del peccato: l'uomo si
stacca dalla verità, mettendo la sua volontà al di sopra di essa. Volendo
liberarsi di Dio ed essere lui stesso dio, egli si inganna e si distrugge.
Egli si aliena da se stesso.
In
questa volontà di essere dio e di tutto sottoporre al proprio beneplacito si
nasconde uno stravolgimento dell'idea stessa di Dio. Dio è amore e verità
nella pienezza del dono reciproco delle Persone divine. Sì, è vero: l'uomo è
chiamato a essere come Dio. Tuttavia, egli diventa simile a Dio non
nell'arbitrarietà del suo beneplacito, ma nella misura in cui riconosce che
la verità e l'amore sono allo stesso tempo principio e fine della sua
libertà.
Il
peccato, radice delle alienazioni umane
38.
Peccando, l'uomo mente a se stesso e si separa dalla sua verità. Cercando la
totale autonomia e l'autarchia, egli nega Dio e nega se stesso. L'alienazione
in rapporto alla verità del suo essere di creatura, amata da Dio, è la radice
di tutte le altre alienazioni.
Negando
o tentando di negare Dio, suo principio e suo fine, l'uomo altera
profondamente il suo ordine ed equilibrio interiore, quello della società e
anche quello della creazione visibile. (25)
È
in connessione col peccato che la Scrittura considera l'insieme delle
calamità che opprimono l'uomo nel suo essere individuale e sociale.
Essa
dimostra che tutto il corso della storia mantiene un legame misterioso con
l'agire dell'uomo, il quale, fin dall'origine, ha abusato della sua libertà,
ergendosi contro Dio e cercando di raggiungere i propri fini al di fuori di
lui. (26) Nel carattere affliggente del lavoro e della maternità, nel dominio
dell'uomo sulla donna e nella morte, la Genesi, indica le
conseguenze di quel peccato originale. Così, gli uomini privati della grazia
divina hanno ereditato una comune natura mortale, incapace di fissarsi nel
bene e inclinata alla concupiscenza. (27)
Idolatria
e disordine
39.
L'idolatria è la forma estrema del disordine generato dal peccato. Il
sostituire all'adorazione del Dio vivo il culto di una creatura altera le
relazioni tra gli uomini ed implica diverse specie di oppressione.
Il
misconoscimento colpevole di Dio scatena le passioni, che sono causa di
squilibrio e di conflitti nell'intimo dell'uomo. Di qui derivano
inevitabilmente i disordini che colpiscono la sfera familiare e sociale:
permissivismo sessuale, ingiustizia, omicidio. È in questo modo che
l'apostolo Paolo descrive il mondo pagano, portato dall'idolatria alle
peggiori aberrazioni, che rovinano l'individuo e la società. (28)
Già
prima di lui i Profeti e i Sapienti di Israele ravvisavano nelle disgrazie
del popolo un castigo del suo peccato di idolatria, e nel "cuore colmo
di malizia" (Qo 9, 3) (29) la fonte della radicale schiavitù
dell'uomo e delle oppressioni, che egli fa subire ai suoi simili.
Disprezzo
di Dio e conversione alla creatura
40.
La tradizione cristiana, presso i Padri ed i dottori della Chiesa, ha
esplicitato questa dottrina della Scrittura sul peccato. Per essa il peccato
è disprezzo di Dio (contemptus Dei), che comporta la volontà di
sfuggire al rapporto di dipendenza del servitore nei confronti del suo
Signore o, piuttosto, del figlio nei confronti del Padre. Peccando, l'uomo
intende liberarsi da Dio, ma, in realtà si rende schiavo. Infatti, rifiutando
Dio, infrange lo slancio della sua aspirazione all'infinito e della sua
vocazione a partecipare della vita divina. Per questo il suo cuore è in balìa
dell'inquietudine.
L'uomo
peccatore, che rifiuta di aderire a Dio, è portato necessariamente ad
attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura (conversio ad
creaturam) egli concentra su questa il suo desiderio insoddisfatto di
infinito. Se non che, i beni creati sono limitati, per cui il suo cuore
trascorre dall'uno all'altro, sempre in cerca di un'impossibile pace.
In
realtà, quando attribuisce alle creature un valore di infinità, l'uomo perde
il senso del suo essere creatura. Pretende di trovare il suo centro e la sua
unità in se stesso. L'amore disordinato di sé è l'altra faccia del disprezzo
di Dio. L'uomo intende allora appoggiarsi unicamente su di sé, vuole
realizzarsi da sé ed essere autosufficiente nella propria immanenza. (30)
L'ateismo,
falsa emancipazione della libertà
41.
Ciò diviene particolarmente evidente quando il peccatore pensa di non poter
affermare la propria libertà se non negando esplicitamente Dio. La dipendenza
della creatura nei confronti del Creatore, o quella della coscienza morale
nei confronti della legge divina, sarebbero per lui forme di intollerabile
schiavitù. L'ateismo è, dunque, ai suoi occhi la vera forma di emancipazione
e di liberazione dell'uomo, mentre la religione, o anche il riconoscimento di
una legge morale costituirebbero delle alienazioni. L'uomo vuole allora
decidere sovranamente del bene e del male, o anche dei valori e, con la
stessa dinamica, rigetta a un tempo l'idea di Dio e l'idea di peccato.
Attraverso l'audacia della trasgressione egli pretende di diventare adulto e
libero, e rivendica tale emancipazione non solamente per sé, ma per l'umanità
intera.
Peccato
e strutture d'ingiustizia
42.
Divenuto centro di sé stesso, l'uomo peccatore tende ad affermarsi e a
soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze,
poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente
spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli
contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che
peraltro pretende di denunciare.
|
Capitolo terzo
Liberazione
e libertà cristiana
Vangelo,
libertà e liberazione
43.
La storia umana, contrassegnata dall'esperienza del peccato, ci condurrebbe
alla disperazione, se Dio avesse abbandonato la sua creatura a se stessa. Ma
le promesse divine di liberazione e il loro vittorioso adempimento nella
morte e risurrezione di Cristo sono il fondamento della "beata
speranza", donde la comunità cristiana attinge la forza per agire
risolutamente ed efficacemente al servizio dell'amore, della giustizia e
della pace. Il Vangelo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione,
(31) che porta a compimento la speranza di Israele, fondata sulla parola dei
Profeti. Questa si appoggia sull'azione di Jahvé che, prima ancora di
intervenire come goèl, (32) liberatore, redentore, salvatore del
suo popolo, lo aveva scelto gratuitamente in Abramo. (33)
I.
La liberazione dell’Antico Testamento
L'Esodo
e gli interventi liberatori di Jahvé
44.
Nell'Antico Testamento l'azione liberatrice di Jahvé, che serve da modello e
da riferimento per tutte le altre, è l'esodo dall'Egitto, "casa di
schiavitù". Se Dio strappa il suo popolo da una dura schiavitù
economica, politica e culturale, è al fine di farne, con l'alleanza del
Sinai, "un regno di sacerdoti ed una nazione santa" (Es 19,
6). Dio vuol essere adorato da uomini liberi. Tutte le ulteriori liberazioni
del popolo di Israele tendono a ricondurlo a questa pienezza di libertà, che
non può trovare se non nella comunione col suo Dio.
L'avvenimento
più grande e fondamentale dell'esodo, dunque, ha un significato insieme
religioso e politico. Dio libera il suo popolo, gli dà una discendenza, una
terra, una legge, ma all'interno di un'alleanza ed in vista di un'alleanza.
Non si può, dunque, isolare per se stesso l'aspetto politico; è necessario
considerarlo alla luce del disegno di natura religiosa, nel quale è
integrato. (34)
La
legge di Dio
45.
Nel suo disegno salvifico Dio ha dato a Israele la sua legge. Essa conteneva,
insieme con i precetti morali universali del Decalogo, delle norme cultuali e
civili, che dovevano regolare la vita del popolo scelto da Dio per essere il
suo testimone fra le nazioni.
In
questo complesso di leggi, l'amore di Dio sopra ogni cosa (35) e del prossimo
come se stessi (36) costituisce già il centro. Ma la giustizia, che deve
regolare i rapporti tra gli uomini, e il diritto, che ne è l'espressione
giuridica, appartengono anch'essi alla trama più caratteristica della legge
biblica. I Codici e la predicazione dei Profeti, come anche i Salmi, si
riferiscono costantemente all'una e all'altro, frequentemente considerati
insieme. (37) È in questo contesto che si deve apprezzare la cura che la
legge biblica ha per i poveri, i bisognosi, la vedova e l'orfano: si deve
rendere a essi giustizia secondo l'ordinamento giuridico del popolo di Dio.
(38) Esistono già, dunque, l'ideale e l'abbozzo di una società centrata sul
culto del Signore e fondata sulla giustizia e sul diritto, animati
dall'amore.
L'insegnamento
dei Profeti
46.
I Profeti non cessano di ricordare a Israele le esigenze della legge
dell'alleanza. Essi denunciano nel cuore indurito dell'uomo la fonte delle
ripetute trasgressioni e annunciano un'alleanza nuova, nella quale Dio
cambierà i cuori imprimendovi la legge del suo Spirito. (39)
Annunciando
e preparando questa era nuova, i Profeti denunciano con forza l'ingiustizia
perpetrata contro i poveri; in loro favore essi si fanno i portavoce di Dio.
Jahvé è il "ricorso" supremo dei piccoli e degli oppressi, e il
Messia avrà come missione quella di prendere le loro difese. (40)
La
condizione del povero è una condizione di ingiustizia, contraria
all'alleanza. Per questo motivo la legge dell'alleanza lo protegge con dei
precetti, che riflettono il medesimo atteggiamento tenuto da Dio, quando
liberò Israele dalla schiavitù d'Egitto. (41) L'ingiustizia verso i piccoli e
i poveri è un grave peccato, che rompe la comunione con Jahvé.
I
"poveri di Jahvé"
47.
Partendo da tutte le forme di povertà, di ingiustizia subìta, di afflizione,
i "giusti" e i "poveri di Jahvé" fanno salire verso di
lui la loro supplica nei Salmi. (42) Essi soffrono nel loro cuore per la
schiavitù, cui il popolo "dalla dura cervice" si è ridotto a causa
dei suoi peccati. Essi sopportano la persecuzione, il martirio, la morte, ma
vivono nella speranza della liberazione. Al di sopra di tutto, pongono la
loro fiducia in Jahvé, al quale raccomandano la loro causa. (43)
I
"poveri di Jahvé" sanno che la comunione con lui (44) è il bene più
prezioso, in cui l'uomo trova la vera libertà. (45) Per essi il male più
tragico è la perdita di tale comunione. Per questo motivo la loro lotta
contro l'ingiustizia acquista il suo più profondo significato e la sua
efficacia nella volontà di essere liberati dalla schiavitù del peccato.
Alle
soglie del Nuovo Testamento
48.
Sulla soglia del Nuovo Testamento i "poveri di Jahvé" costituiscono
le primizie di un "popolo umile e povero", che vive nella speranza
della liberazione di Israele. (46)
Impersonando
questa speranza, Maria oltrepassa la soglia dell'Antico Testamento. Ella
annuncia con gioia l'avvento messianico e loda il Signore, che si prepara a
liberare il suo popolo. (47) Nel suo cantico di lode alla divina misericordia
l'umile Vergine, verso la quale si rivolge spontaneamente e con tanta fiducia
il popolo dei poveri, canta il mistero della salvezza e la sua forza di
trasformazione. Il senso della fede, così vivo nei piccoli, sa immediatamente
riconoscere tutta la ricchezza soteriologica e insieme etica delMagnificat.
(48)
II.
Significato cristologico dell’Antico Testamento
Alla
luce di Cristo
49.
L'esodo, l'alleanza, la legge, la voce dei Profeti e la Spiritualità dei
"poveri di Jahvé" raggiungono solamente nel Cristo il loro pieno
significato.
La
Chiesa legge l'Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto per noi.
Essa vede se stessa prefigurata nel popolo di Dio dell'antica alleanza,
incarnato nel corpo concreto di una particolare nazione, politicamente e
culturalmente costituita, che era inserita nella trama della storia come
testimone di Jahvé davanti alle nazioni, fino al compimento del tempo delle
preparazioni e delle figure. Nella pienezza dei tempi realizzatasi in Cristo,
i figli di Abramo sono chiamati ad entrare con tutte le nazioni nella Chiesa
di Cristo, per formare con esse un solo popolo di Dio, spirituale ed
universale. (49)
III.
La liberazione cristiana
La
buona novella annunciata ai poveri
50.
Gesù annuncia la buona novella del regno di Dio e chiama gli uomini alla
conversione. (50) I "poveri sono evangelizzati" (Mt 11,
5): riprendendo la parola del Profeta, (51) Gesù rivela la sua azione
messianica in favore di coloro che attendono la salvezza da Dio.
Più
ancora, il Figlio di Dio, che si fece povero per amor nostro, (52) vuol
essere riconosciuto nei poveri, in coloro che soffrono o sono perseguitati:
(53) "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). (54)
Il
mistero pasquale
51.
Ma è soprattutto con la forza del suo mistero pasquale che Cristo ci ha
liberati. (55) Con la sua obbedienza perfetta sulla croce e con la gloria
della risurrezione, l'Agnello di Dio ha tolto il peccato del mondo e ci ha
aperto la via della definitiva liberazione.
Col
nostro servizio e il nostro amore, ma anche con l'offerta delle nostre prove
e sofferenze, noi partecipiamo all'unico sacrificio redentore di Cristo,
completando in noi "quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore
del suo corpo, ch'è la Chiesa" (Col1, 24), nell'attesa della
risurrezione dei morti.
Grazia,
riconciliazione e libertà
52.
Il centro dell'esperienza cristiana della libertà sta nella giustificazione
per mezzo della grazia della fede e dei sacramenti della Chiesa. Questa
grazia ci libera dal peccato e ci introduce nella comunione con Dio. Per
mezzo della morte e della risurrezione di Cristo ci è offerto il perdono.
L'esperienza della nostra riconciliazione col Padre è frutto dello Spirito
Santo. Dio si rivela a noi come Padre di misericordia, davanti al quale ci
possiamo presentare con totale fiducia.
Riconciliati
con lui (56) e ricevendo quella pace di Cristo, che il mondo non può dare,
(57) siamo chiamati ad essere artefici di pace (58) in mezzo a tutti gli
uomini.
In
Cristo noi possiamo vincere il peccato, e la morte più non ci separa da Dio;
essa sarà finalmente distrutta al momento della nostra risurrezione, che è
simile a quella di Gesù. (59) Anche il "cosmo", di cui l'uomo è il
centro e il vertice, attende di essere "liberato dalla schiavitù della
corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8,
21). Fin da ora Satana è sconfitto; egli, che ha la potenza della morte, è
stato ridotto all'impotenza dalla morte di Cristo. (60) Ci sono già dati dei
segni, che anticipano la gloria futura.
Lotta
contro la schiavitù del peccato
53.
La libertà, portata da Cristo nello Spirito Santo, ci ha restituito la
capacità, di cui il peccato ci aveva privato, di amare Dio al di sopra di
tutto e di rimanere in comunione con lui.
Noi
siamo liberati dall'amore disordinato di noi stessi, che è la fonte del
disprezzo del prossimo e dei rapporti di dominio tra gli uomini.
Nondimeno,
fino al ritorno glorioso del Risorto, il mistero di iniquità è sempre
all'opera nel mondo. San Paolo ce ne fa avvertiti: "Cristo ci ha
liberati, perché restassimo liberi" (Gal 5, 1). È, dunque,
necessario perseverare e lottare per non ricadere sotto il giogo della
schiavitù. La nostra esistenza è un combattimento spirituale per una vita da
condurre secondo il Vangelo e con le armi di Dio. (61) Ma noi abbiamo
ricevuto la forza e la certezza della vittoria sul male, vittoria dell'amore
di Cristo, a cui nulla può resistere. (62)
Lo
Spirito e la legge
54.
San Paolo proclama il dono della nuova legge dello Spirito, in opposizione
alla legge della carne o della concupiscenza, che inclina l'uomo al male e lo
rende incapace a scegliere il bene. (63) Questa mancanza di armonia e questa
debolezza interiore non aboliscono la libertà e la responsabilità dell'uomo,
ma ne compromettono l'esercizio per il bene. È questo che fa dire
all'Apostolo: "Non faccio il bene che voglio, e compio il male che non
voglio" (Rm 7, 19). Giustamente, dunque, egli parla della
"schiavitù del peccato" e della "schiavitù della legge",
perché all'uomo peccatore appare opprimente la legge, che egli non può
interiorizzare.
Tuttavia,
san Paolo riconosce che la legge conserva il suo valore per l'uomo e per il
cristiano, perché "essa è santa, e santo e giusto e buono è il
comandamento" (Rm 7, 12). (64) Egli riafferma il Decalogo,
mettendolo in rapporto con la carità, che ne è la vera pienezza. (65)
Inoltre, egli sa bene che è necessario un ordine giuridico per lo sviluppo
della vita sociale. (66) La vera novità da lui proclamata è che Dio ci ha
donato suo Figlio "perché la giustizia della legge si adempisse in
noi" (Rm 8, 4).
Lo
stesso Signore Gesù ha enunciato i comandamenti della nuova legge nel
discorso della montagna; col suo sacrificio offerto sulla croce e la sua
gloriosa risurrezione ha vinto le potenze del peccato e ci ha ottenuto la
grazia dello Spirito Santo, che rende possibile la perfetta osservanza della
legge di Dio (67) e l'accesso al perdono, se ricadiamo nel peccato. Lo
Spirito, che abita nei nostri cuori, è la fonte della vera libertà.
Col
sacrificio di Cristo le prescrizioni cultuali dell'Antico Testamento sono
state abrogate. Quanto alle norme giuridiche della vita sociale e politica di
Israele, la Chiesa apostolica, quale regno di Dio inaugurato sulla terra, ha
avuto coscienza di non esser più tenuta a osservarle. Ciò ha fatto
comprendere alla comunità cristiana che le leggi e gli atti delle autorità
dei diversi popoli, benché legittimi e degni di obbedienza, (68) tuttavia non
avrebbero mai potuto, in quanto procedenti da esse, arrogarsi un carattere
sacro. Alla luce del Vangelo molte leggi e strutture appaiono portare il
segno del peccato, di cui prolungano l'oppressiva influenza nella società.
IV.
Il comandamento nuovo
L'amore,
dono dello Spirito
55.
L’amore di Dio, diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo, implica l’amore
del prossimo. Ricordando il primo comandamento, Gesù aggiunge subito: "E
il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da
questi due comandamenti dipende tutta la legge e i Profeti" (Mt22,
39-40). E san Paolo afferma che la carità è il pieno compimento della legge.
(69)
L'amore
del prossimo non conosce limiti, estendendosi ai nemici e ai persecutori. La
perfezione, immagine di quella del Padre, alla quale il discepolo deve
tendere, risiede nella misericordia. (70) La parabola del buon Samaritano
dimostra che l'amore compassionevole, che si pone al servizio del prossimo,
distrugge i pregiudizi, i quali mettono i gruppi etnici o sociali gli uni
contro gli altri. (71) Tutti i libri del Nuovo Testamento documentano la
inesauribile ricchezza di sentimenti, di cui è portatore l'amore cristiano
del prossimo. (72)
L'amore
del prossimo
56.
L'amore cristiano, gratuito e universale, deriva la sua natura dall'amore di
Cristo, che ha dato la sua vita per noi: "Come io vi ho amati, così
amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13, 34-35). (73) Questo
è il "comandamento nuovo" per i discepoli.
Alla
luce di questo comandamento san Giacomo richiama severamente i ricchi al loro
dovere, (74) mentre san Giovanni afferma che colui che, disponendo delle
ricchezze di questo mondo, chiude il suo cuore al fratello che è in
necessità, non può avere dimorante in sé l'amore di Dio. (75) L'amore del
fratello è la pietra di paragone dell'amore di Dio: "Chi non ama il
proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4,
20). San Paolo sottolinea con vigore il legame che esiste tra la
partecipazione al sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo e la
condivisione con il fratello, che si trova nel bisogno. (76)
Giustizia
e carità
57.
L'amore evangelico e la vocazione di figli di Dio, alla quale tutti gli
uomini sono chiamati, hanno come conseguenza l'esigenza diretta e imperativa
del rispetto di ciascun essere umano nei suoi diritti alla vita e alla
dignità. Non c'è divario tra l'amore del prossimo e la volontà di giustizia.
L'opporli significherebbe snaturare a un tempo l'amore e la giustizia. Più
ancora, il senso della misericordia completa quello della giustizia,
impedendole di rinchiudersi nel cerchio della vendetta.
Le
inique disuguaglianze e le oppressioni di ogni sorta, che colpiscono oggi
milioni di uomini e di donne, sono in aperta contraddizione col Vangelo di
Cristo e non possono lasciar tranquilla la coscienza di nessun cristiano.
Nella
sua docilità allo Spirito, la Chiesa avanza con fedeltà lungo le strade
dell'autentica liberazione. I suoi membri hanno coscienza delle proprie
manchevolezze e dei ritardi in questa ricerca. Ma una moltitudine di
cristiani, fin dal tempo degli Apostoli, ha impegnato le proprie forze e la
propria vita per la liberazione da ogni forma di oppressione e per la promozione
della dignità umana. L'esperienza dei Santi e l'esempio di tante opere al
servizio del prossimo costituiscono uno stimolo e una luce per quelle
iniziative liberatrici, che al giorno d'oggi si impongono.
V.
La Chiesa, popolo di Dio della nuova Alleanza
Verso
la pienezza della libertà
58.
Il popolo di Dio della nuova alleanza è la Chiesa di Cristo. La sua legge è
il comandamento dell'amore. Nel cuore dei suoi membri lo Spirito abita come
in un tempio. Essa è il germe e l'inizio del regno di Dio su questa terra,
regno che avrà il suo compimento alla fine dei tempi con la risurrezione dei
morti e il rinnovamento di tutta la creazione. (77)
Possedendo
così la caparra dello Spirito, (78) il popolo di Dio è condotto verso la
pienezza della libertà. La nuova Gerusalemme, che noi attendiamo con fervore,
è chiamata a giusto titolo città della libertà nel senso più alto del
termine. (79) Allora "Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci
sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima
sono passate" (Ap 21, 4). La speranza è l'attesa sicura
"di nuovi cieli e di una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la
giustizia" (2 Pt 3, 13).
L'incontro
finale con Cristo
59.
La trasfigurazione della Chiesa, giunta al termine del suo pellegrinaggio,
che Cristo risorto opererà, non elimina assolutamente il destino personale di
ciascuno, al termine della propria vita. Ogni uomo, trovato degno davanti al
tribunale di Cristo per aver ben usato con la grazia di Dio del suo libero
arbitrio, avrà la felicità. (80) Egli sarà reso simile a Dio, perché lo vedrà
come è. (81) Il dono divino della beatitudine eterna è l'esaltazione della
più alta libertà che si possa concepire.
Speranza
escatologica e impegno per la liberazione temporale
60.
Questa speranza non attenua l'impegno per il progresso della città terrena,
ma al contrario gli dà senso e forza. Certamente, bisogna distinguere con
cura tra progresso terrestre e crescita del regno, che non sono dello stesso
ordine. Tuttavia, questa distinzione non è una separazione; infatti, la
vocazione dell'uomo alla vita eterna non elimina, anzi conferma il suo
compito di mettere in atto le energie e i mezzi, che ha ricevuti dal Creatore
per sviluppare la sua vita temporale. (82)
Illuminata
dallo Spirito del Signore, la Chiesa di Cristo può discernere nei segni dei
tempi quelli che promettono la liberazione e quelli che sono ingannevoli e
illusori. Essa chiama l'uomo e le società a vincere le situazioni di peccato
e d'ingiustizia e a stabilire le condizioni di una vera libertà. Essa è
cosciente che tutti questi beni: dignità umana, unione fraterna, libertà, che
costituiscono il frutto di sforzi conformi alla volontà di Dio, noi li
ritroveremo "purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando
Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale", (83) che è un
regno di libertà.
La
vigile e operosa attesa della venuta del regno è pure quella di una giustizia
finalmente perfetta per i vivi e per i morti, per gli uomini di tutti i tempi
e di tutti i luoghi, che Gesù Cristo, costituito Giudice supremo, instaurerà.
(84) Una tale promessa, che supera tutte le possibilità umane, riguarda
direttamente la nostra vita in questo mondo. Infatti, una vera giustizia deve
estendersi a tutti, portare la risposta all'immenso cumulo di sofferenze che
gravano su tutte le generazioni. In realtà, senza la risurrezione dei morti e
il giudizio del Signore non c'è giustizia nel senso pieno di questo termine.
La promessa della risurrezione viene gratuitamente incontro al desiderio di
vera giustizia, che abita nel cuore umano.
Capitolo quarto
La
missione liberatrice della Chiesa
La
Chiesa e le inquietudini dell'uomo
61.
La Chiesa ha la ferma volontà di rispondere all'inquietudine dell'uomo
contemporaneo, oppresso da dure imposizioni e ansioso di libertà. La gestione
politica ed economica della società non rientra direttamente nella sua
missione. (85) Ma il Signore le ha affidato la parola di verità, capace di
illuminare le coscienze. L'amore divino, che è la sua vita, la stimola a
essere realmente solidale con ogni uomo che soffre. Se i suoi membri
rimangono fedeli a questa missione, lo Spirito Santo, sorgente di libertà,
dimorerà in essi, e così produrranno frutti di giustizia e di pace nel loro
ambiente familiare, professionale e sociale.
I.
Per la salvezza integrale del mondo
Le
beatitudini e la forza del Vangelo
62.
Il Vangelo è potenza di vita eterna, data già fin d'ora a coloro che lo
accolgono. (86) Ma, generando uomini nuovi, (87) questa forza penetra nella
comunità umana e nella sua storia, purificando e vivificando così le varie
attività. Con ciò essa è "radice di cultura". (88)
Le
beatitudini, proclamate da Gesù, esprimono la perfezione dell'amore
evangelico, ed esse non han cessato di esser vissute lungo tutta la storia
della Chiesa da numerosi battezzati e, in modo eminente, dai Santi.
A
cominciare dalla prima, riguardante i poveri, le beatitudini formano un
tutt'uno, che a sua volta non deve essere separato dall'insieme del discorso
della montagna. (89) In esso Gesù, che è il nuovo Mosè, commenta il Decalogo,
la legge dell'alleanza, dandogli il suo senso definitivo e completo. Lette e
interpretate nell'integrità del loro contesto, le beatitudini esprimono lo
spirito del regno di Dio che viene. Ma, alla luce del destino definitivo
della storia umana, in tal modo manifestato, appaiono nello stesso tempo, con
più chiara evidenza, i fondamenti della giustizia nell'ordine temporale.
Infatti,
insegnando la fiducia che si appoggia su Dio, la speranza della vita eterna,
l'amore della giustizia, la misericordia che giunge fino al perdono e alla
riconciliazione, la beatitudini permettono di stabilire l'ordine temporale in
funzione di un ordine trascendente, che senza togliere al primo il suo
specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura.
Alla
loro luce, l'impegno necessario nei compiti temporali a servizio del prossimo
e della comunità degli uomini è allo stesso tempo richiesto con urgenza e
mantenuto nella sua giusta prospettiva. Le beatitudini preservano dall'idolatria
dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta.
(90) Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo
perfetto, perché "passa la scena di questo mondo" (1 Cor 7,
31).
L'annunzio
della salvezza
63.
La missione essenziale della Chiesa, che continua quella di Cristo, è una
missione evangelizzatrice e salvifica. (91) Essa attinge il suo slancio dalla
carità divina. L'evangelizzazione è annuncio della salvezza, dono di Dio. Per
mezzo della Parola di Dio e dei sacramenti, l'uomo è liberato, prima di
tutto, dal potere del peccato e dal potere del Maligno, che l'opprimono, e è
introdotto nella comunione d'amore con Dio. Seguendo il suo Signore,
"venuto nel mondo per salvare i peccatori" (1 Tm 1,
15), la Chiesa vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Compiendo
questa missione, la Chiesa insegna la via che l'uomo deve percorrere in
questo mondo per entrare nel regno di Dio. Perciò, la sua dottrina si estende
a tutto l'ordine morale e, segnatamente, alla giustizia, che deve regolare le
relazioni umane. Ciò fa parte della predicazione del Vangelo.
Ma
l'amore, che spinge la Chiesa a comunicare a tutti la partecipazione gratuita
alla volontà divina, le fa anche perseguire, mediante l'efficace azione dei
suoi membri, il vero bene temporale degli uomini, sovvenire alle loro
necessità, provvedere alla loro cultura e promuovere una liberazione
integrale da tutto ciò che ostacola lo sviluppo delle persone. La Chiesa
vuole il bene dell'uomo in tutte le sue dimensioni, prima come membro della
città di Dio, e poi come membro della città terrestre.
Evangelizzazione
e promozione della giustizia
64.
Quando dunque si pronuncia circa la promozione della giustizia nelle società
umane, o quando impegna i fedeli del laicato a lavorarvi secondo la loro
propria vocazione, la Chiesa non esorbita dalla sua missione. Tuttavia, essa
si preoccupa che tale missione non sia assorbita dalle preoccupazioni
riguardanti l'ordine temporale, né sia ridotta solo a queste. Per tale motivo
essa ha grande cura di mantenere chiaramente e fermamente l'unità e insieme
la distinzione tra evangelizzazione e promozione umana: l'unità, perché essa
cerca il bene di tutto l'uomo; la distinzione, perché questi due compiti
rientrano a titoli diversi nella sua missione.
Vangelo
e realtà terrestri
65.
Pertanto, è perseguendo la propria finalità che la Chiesa diffonde la luce
del Vangelo sulle realtà terrene, in modo che la persona umana sia guarita
dalle sue miserie ed elevata alla sua dignità. È così promossa e rinforzata
la coesione della società secondo la giustizia e la pace. (92) Così la Chiesa
è fedele alla sua missione, quando denuncia le deviazioni, le schiavitù e le
oppressioni, di cui gli uomini sono vittime.
Essa
è fedele alla sua missione, quando si oppone ai tentativi di instaurare una
forma di vita sociale, da cui Dio è assente sia per una cosciente
opposizione, sia per una colpevole negligenza. (93)
Essa,
finalmente, è fedele alla sua missione, quando esprime il suo giudizio circa
i movimenti politici che vogliono lottare contro la miseria e l'oppressione
secondo teorie e metodi di azione che sono contrari al Vangelo e si oppongono
all'uomo stesso. (94)
Senza
dubbio, con la forza della grazia, la morale evangelica reca all'uomo nuove
prospettive e nuove esigenze. Ma essa non fa che perfezionare ed elevare una
dimensione morale, che appartiene già alla natura umana di cui la Chiesa si
preoccupa, sapendo che si tratta di un patrimonio comune a tutti gli uomini
in quanto tali.
II.
L'amore di preferenza per i poveri
Gesù
e la povertà
66.
Cristo Gesù, da ricco che era, si fece povero per arricchire noi per mezzo
della sua povertà. (95) In questo testo san Paolo parla del mistero
dell'Incarnazione del Figlio eterno, che ha voluto assumere una natura umana
mortale per salvare l'uomo dalla miseria, in cui il peccato l'aveva immerso.
Inoltre, nella condizione umana Cristo ha scelto una situazione di povertà e
di spogliamento (96) per dimostrare quale sia la vera ricchezza da ricercare:
quella della comunione di vita con Dio. Egli ha insegnato il distacco dalle
ricchezze terrene, affinché si desiderino quelle celesti. (97) Gli Apostoli,
che egli ha scelto, hanno dovuto anch'essi lasciare tutto e condividere il
suo spogliamento. (98)
Annunciato
dal Profeta come il Messia dei poveri, (99) appunto presso di loro, gli
umili, i "poveri di Jahvé" assetati della giustizia del Regno, egli
ha trovato i cuori disposti ad accoglierlo. Ma ha voluto anche essere vicino
a coloro che, pur ricchi dei beni di questo mondo, erano esclusi dalla
comunità come "pubblicani e peccatori", perché era venuto per
chiamarli alla conversione. (100)
È
proprio questa povertà, fatta di distacco, di fiducia in Dio, di sobrietà, di
disposizione alla condivisione, che Gesù ha dichiarato beata.
Gesù
e i poveri
67.
Ma Gesù non ha portato soltanto la grazia e la pace di Dio: egli ha pure
guarito tanti e tanti malati; ha avuto compassione della folla, che non aveva
nulla da mangiare e l'ha sfamata; insieme con i discepoli che lo seguivano,
ha praticato l'elemosina. (101) La beatitudine della povertà, che egli ha
proclamato, non può, dunque, significare in alcun modo che i cristiani si
possono disinteressare dei poveri sprovvisti di ciò che è necessario per la
vita umana in questo mondo. Frutto e conseguenza del peccato degli uomini e
della loro naturale fragilità, questa miseria è un male da cui bisogna
liberare, per quanto è possibile, gli esseri umani.
L'amore
di preferenza per i poveri
68.
Nelle sue molteplici forme - spogliamento materiale, ingiusta oppressione,
malattie fisiche e psichiche, e infine la morte - la miseria umana è il segno
evidente della naturale condizione di debolezza, in cui l'uomo si trova dopo
il primo peccato e del suo bisogno di salvezza. È per questo che essa ha attirato
la compassione di Cristo Salvatore, che ha voluto prenderla su di sé, (102) e
identificarsi con "i più piccoli tra i fratelli" (Mt 25,
40. 45). È pure per questo che gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un
amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini,
malgrado le infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi
a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere
di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili. (103) Essa
poi, con la sua dottrina sociale, che sollecita ad applicare, ha cercato di
promuovere riforme di struttura nella società, per procurare condizioni di
vita degne della persona umana.
Mediante
il distacco dalle ricchezze, che permette la condivisione e dà accesso al
regno, (104) i discepoli di Gesù testimoniano, nell'amore dei poveri e degli
infelici, l'amore stesso del Padre che si è manifestato nel Salvatore. Questo
amore viene da Dio e va a Dio. I discepoli di Cristo hanno sempre
riconosciuto nei doni posti sull'altare un dono offerto a Dio stesso.
Amando
i poveri, infine, la Chiesa rende testimonianza alla dignità dell'uomo. Essa
afferma chiaramente che questi vale più per ciò che è che non per ciò che
possiede. Essa attesta che tale dignità non può essere distrutta, quale che
sia la condizione di miseria, di disprezzo, di emarginazione, di impotenza, a
cui un essere umano è stato ridotto. Essa si dimostra solidale con coloro che
non contano in una società, da cui sono stati moralmente e, talvolta, anche
fisicamente emarginati. Essa li reintegra nella fraternità umana e nella
comunità dei figli di Dio. In particolare la Chiesa si china con affetto
materno sui bambini che, a causa della cattiveria umana, non vedranno mai la
luce, come pure sulle persone anziane sole e abbandonate.
L'opzione
preferenziale per i poveri, lungi dall'essere un segno di particolarismo o di
settarismo, manifesta l'universalità della natura e della missione della
Chiesa. Questa opzione non è esclusiva.
È
la ragione per cui la Chiesa non può esprimersi a sostegno di categorie
sociologiche e ideologiche riduttrici, che farebbero di tale preferenza una
scelta faziosa e di natura conflittuale.
Comunità
ecclesiali di base e altri gruppi di cristiani
69.
Le nuove comunità ecclesiali di base, o altri gruppi di cristiani, formati
per essere testimoni di questo amore evangelico, sono motivo di grande
speranza per la Chiesa. Se vivono veramente uniti con la Chiesa locale e con
la Chiesa universale, essi sono un'autentica espressione di comunione e un
mezzo per costruire una comunione ancor più profonda. (105) Saranno fedeli
alla loro missione nella misura in cui si preoccuperanno di educare i loro
membri all'integrità della fede cristiana, mediante l'ascolto della Parola di
Dio, la fedeltà all'insegnamento del magistero, all'ordine gerarchico della
Chiesa e alla vita sacramentale. A queste condizioni, la loro esperienza,
radicata nell'impegno per la liberazione integrale dell'uomo, diventa una
ricchezza per la Chiesa intera.
La
riflessione teologica
70.
In maniera analoga una riflessione teologica, sviluppata partendo da una
particolare esperienza, può costituire un contributo molto positivo, in
quanto consente di mettere in evidenza aspetti della Parola di Dio, la cui
intera ricchezza non era ancora stata pienamente percepita. Ma affinché tale
riflessione sia veramente una lettura della Scrittura, e non già la
proiezione sulla Parola di Dio di un significato che non vi è contenuto, il
teologo sarà attento a interpretare l'esperienza, da cui parte, alla luce
dell'esperienza della Chiesa stessa. Tale esperienza della Chiesa brilla con
singolare splendore e in tutta la sua purezza nella vita dei Santi. Spetta ai
Pastori della Chiesa, in comunione col Successore di Pietro, discernerne l'autenticità.
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Capitolo quinto
La
dottrina sociale della Chiesa: per una prassi cristiana della liberazione
La
prassi cristiana della liberazione
71.
La dimensione soteriologica della liberazione non può essere ridotta alla
dimensione etico-sociale, che ne è una conseguenza. Restituendo la vera
libertà all'uomo, la liberazione radicale operata da Cristo gli assegna un
compito: la prassi cristiana, che è la concreta applicazione del grande
comandamento dell'amore. È questo il principio supremo della morale sociale
cristiana, fondata sul Vangelo e su tutta la tradizione dai tempi apostolici
e dall'epoca dei Padri della Chiesa fino ai recenti interventi del magistero.
Le
grandi sfide del nostro tempo costituiscono un urgente appello a mettere in
pratica questa dottrina concernente l'azione.
I.
Natura della dottrina sociale della Chiesa
Messaggio
evangelico e vita sociale
72.
L’insegnamento sociale della Chiesa è nato dall’incontro del messaggio
evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo
dell’amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, (106) con i problemi
derivanti dalla vita della società. Esso si è costituito come dottrina,
valendosi delle risorse della sapienza e delle scienze umane; verte
sull'aspetto etico di questa vita e tiene in debito conto gli aspetti tecnici
dei problemi, ma sempre per giudicarli dal punto di vista morale.
Essenzialmente
orientato verso l'azione, questo insegnamento si sviluppa in funzione delle
circostanze mutevoli della storia. Appunto per questo, pur ispirato a
princìpi sempre validi, esso comporta anche dei giudizi contingenti. Lungi
dal costituire un sistema chiuso, esso resta costantemente aperto alle nuove
questioni che si presentano di continuo, ed esige il contributo di tutti i carismi,
esperienze e competenze.
Esperta
in umanità, la Chiesa attraverso la sua dottrina sociale offre un insieme
di princìpi di riflessione e di criteri di giudizio,
(107) e quindi didirettive di azione, (108) perché siano realizzati
quei profondi cambiamenti che le situazioni di miseria e di ingiustizia
esigono, e ciò sia fatto in un modo che contribuisca al vero bene degli
uomini.
Princìpi
fondamentali
73.
Il supremo comandamento dell'amore conduce al pieno riconoscimento della
dignità di ciascun uomo, creato a immagine di Dio. Da questa dignità derivano
diritti e doveri naturali. Alla luce dell'immagine di Dio, si manifesta in
tutta la sua profondità la libertà, prerogativa essenziale della persona
umana: sono le persone i soggetti attivi e responsabili della vita sociale.
(109)
Al fondamento,
che è la dignità dell'uomo, sono intimamente legati il principio di
solidarietà e ilprincipio di sussidiarietà.
In
virtù del primo, l'uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune
della società, a tutti i livelli. (110) Con ciò, la dottrina della Chiesa si
oppone a tutte le forme di individualismo sociale o politico.
In
virtù del secondo, né lo Stato, né alcuna società devono mai sostituirsi
all'iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità
intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo
spazio necessario alla loro libertà. (111) Con ciò, la dottrina sociale della
Chiesa si oppone a tutte le forme di collettivismo.
Criteri
di giudizio
74.
Questi princìpi sono di fondamento ai criteri per valutare le situazioni,
le strutture ed i sistemi sociali.
Così
la Chiesa non esita a denunciare le situazioni di vita, che
attentano alla dignità e alla libertà dell'uomo.
Questi
criteri consentono, altresì, di giudicare il valore delle strutture.
Queste sono l'insieme delle istituzioni e delle prassi che gli uomini trovano
già esistenti o creano, sul piano nazionale e internazionale, e che orientano
o organizzano la vita economica, sociale e politica. Di per sé necessarie,
esse tendono spesso a irrigidirsi e a cristallizzarsi in meccanismi
relativamente indipendenti dalla volontà umana, paralizzando in tal modo o
stravolgendo lo sviluppo sociale, e generando l'ingiustizia. Esse, tuttavia,
dipendono sempre dalla responsabilità dell'uomo, che le può modificare, e non
da un presunto determinismo storico.
Le
istituzioni e le leggi, quando sono conformi alla legge naturale e ordinate
al bene comune, sono la garanzia della libertà delle persone e della sua
promozione. Non si possono condannare tutti gli aspetti costrittivi della
legge, né la stabilità di uno Stato di diritto, degno di questo nome. Si può,
dunque, parlare di strutture segnate dal peccato, ma non si possono
condannare le strutture in quanto tali.
Detti
criteri di giudizio riguardano anche i sistemieconomici, sociali
e politici. La dottrina sociale della Chiesa non propone alcun sistema
particolare, ma, alla luce dei suoi princìpi fondamentali, consente di
vedere, anzitutto, in quale misura i sistemi esistenti sono conformi o meno
alle esigenze della dignità umana.
Primato
delle persone sulle strutture
75.
Certo, la Chiesa è consapevole della complessità dei problemi, a cui le
società devono far fronte, e delle difficoltà di trovarvi soluzioni adeguate.
Tuttavia, essa pensa che occorre, anzitutto, fare appello alle capacità
spirituali e morali della persona e all'esigenza permanente della conversione
interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano
veramente al servizio dell'uomo.
Il
primato dato alle strutture e all'organizzazione tecnica sulla persona e
sulle esigenze della sua dignità è espressione di un'antropologia
materialistica, ed è contrario all'edificazione di un giusto ordine sociale.
(112)
Tuttavia,
la priorità riconosciuta alla libertà e alla conversione del cuore non
elimina in alcun modo la necessità di un cambiamento delle strutture
ingiuste. È, dunque, pienamente legittimo che coloro i quali soffrono per
l'oppressione da parte dei detentori della ricchezza o del potere politico si
adoperino, con i mezzi moralmente leciti, per ottenere strutture e
istituzioni, in cui i loro diritti siano veramente rispettati.
Resta,
nondimeno, che le strutture messe in atto per il bene delle persone sono da
sole incapaci di procurarlo e di garantirlo. Ne è prova la corruzione, che
colpisce in certi Paesi i dirigenti e la burocrazia di Stato, e che distrugge
qualsiasi onesta vita sociale. La dirittura morale è condizione per una
società sana. Bisogna, dunque, operare a un tempo per la conversione dei
cuori e per il miglioramento delle strutture, perché il peccato, che è
all'origine delle situazioni ingiuste, è, in senso proprio e primario, un
atto volontario che ha la sua sorgente nella libertà della persona. È solo in
un senso derivato e secondario che esso si applica alle strutture, e che si
può parlare di "peccato sociale". (113)
D'altra
parte, nel processo di liberazione non si può prescindere dalla situazione
storica della nazione, né attentare all'identità culturale di un popolo. Di
conseguenza, non si possono accettare passivamente e, tanto meno, appoggiare
attivamente gruppi che, con la forza oppure con la manipolazione
dell'opinione pubblica, s'impadroniscono dell'apparato dello Stato e
impongono abusivamente alla collettività un'ideologia importata e in
contrasto con i veri valori culturali del popolo. (114) A questo proposito,
conviene ricordare la grave responsabilità morale e politica degli
intellettuali.
Direttive
d'azione
76.
I principi fondamentali e i criteri di giudizio ispirano le direttive
d'azione: poiché il bene comune della società umana è al servizio delle
persone, i mezzi d'azione devono essere conformi alla dignità dell'uomo e
favorire l'educazione della libertà. È qui un criterio sicuro di giudizio e
di azione: non c'è vera liberazione, se non sono rispettati fin dall'inizio i
diritti della libertà.
Nel
ricorso sistematico alla violenza presentata come la via obbligata della
liberazione, occorre denunciare un'illusione distruttrice, che apre la via a
nuove schiavitù. Con pari vigore si condannerà la violenza esercitata dai
possidenti contro i poveri, l'arbitrio della polizia, come pure ogni forma di
violenza elevata a sistema di governo. In questi settori, bisogna saper
prender lezione dalle tragiche esperienze che la storia del nostro secolo ha
registrato e tuttora registra. Non si può più ammettere la colpevole
passività dei pubblici poteri in certe democrazie, in cui la condizione
sociale di un gran numero di uomini e donne è lungi dal corrispondere a ciò
che esigono i diritti individuali e sociali, costituzionalmente garantiti.
Lotta
per la giustizia
77.
Allorché incoraggia la creazione e l'azione di associazioni, come i
sindacati, che lottano per la difesa dei diritti e dei legittimi interessi
dei lavoratori e per la giustizia sociale, la Chiesa non ammette per ciò
stesso la teoria che vede nella lotta di classe il dinamismo strutturale
della vita sociale. L'azione, che essa raccomanda, non è la lotta di una
classe contro un'altra per ottenere l'eliminazione dell'avversario; né
procede da una sottomissione aberrante a una presunta legge della storia. È
una lotta nobile e ragionevole, in vista della giustizia e della solidarietà
sociali. (115) Il cristiano preferirà sempre la via del dialogo e della
reciproca intesa.
Cristo
ci ha dato il comandamento dell'amore dei nemici. (116) Pertanto, la
liberazione nello spirito del Vangelo è incompatibile con l'odio dell'altro,
inteso sia individualmente che collettivamente, ivi compreso l'odio del
nemico.
Il
mito della rivoluzione
78.
Le situazioni di grave ingiustizia richiedono il coraggio di riforme in
profondità e la soppressione di privilegi ingiustificati. Ma coloro che
screditano la via delle riforme in favore del mito della rivoluzione, non
solo nutrono l'illusione che l'abolizione di una situazione iniqua basti di
per se stessa a creare una società più umana, ma favoriscono pure l'avvento
di regimi totalitari. (117) La lotta contro le ingiustizie non ha senso, se
non è condotta con l'intento di instaurare un nuovo ordine sociale e politico
in conformità con le esigenze della giustizia. È questa che deve già segnare
le tappe della sua instaurazione. Esiste una moralità dei mezzi. (118)
Un
estremo ricorso
79.
Questi princìpi devono essere rispettati in modo speciale nel caso estremo
del ricorso alla lotta armata, che il magistero ha indicato quale ultimo
rimedio per porre fine a una "tirannia evidente e prolungata, che
attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in
modo pericoloso al bene comune di un Paese". (119) Tuttavia
l'applicazione concreta di questo mezzo può essere prevista solo dopo una
valutazione molto rigorosa della situazione. Infatti, a causa del continuo
sviluppo delle tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli implicati
nel ricorso alla violenza, quella che oggi viene chiamata "resistenza
passiva" apre una strada più conforme ai princìpi morali e non meno
promettente di successo.
Non
si può mai ammettere, né da parte del potere costituito, né da parte di
gruppi di insorti, il ricorso a mezzi criminali come le rappresaglie
perpetrate ai danni delle popolazioni, la tortura, i metodi del terrorismo e
della provocazione calcolata per causare la morte di uomini nel corso di
manifestazioni popolari. Sono egualmente inammissibili le odiose campagne di
calunnie, capaci di distruggere psichicamente o moralmente una persona.
Il
ruolo dei laici
80.
Non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nella costruzione
politica e nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito rientra
nella vocazione dei laici, che agiscono di propria iniziativa con i loro
concittadini. (120) Essi devono compierlo con la consapevolezza che la
finalità della Chiesa è di estendere il regno di Cristo, affinché tutti gli
uomini siano salvi e per mezzo loro il mondo sia effettivamente ordinato a
Cristo. (121)
L'opera
della salvezza appare così indissolubilmente legata all'impegno di migliorare
e di elevare le condizioni della vita umana in questo mondo.
La
distinzione tra l'ordine soprannaturale della salvezza e l'ordine temporale
della vita umana deve essere vista all'interno dell'unico disegno di Dio che
è di ricapitolare tutte le cose in Cristo. È questa la ragione per la quale,
nell'uno e nell'altro settore, il laico, ad un tempo fedele e cittadino, deve
lasciarsi costantemente guidare dalla sua coscienza cristiana. (122)
L'azione
sociale, che può implicare una pluralità di vie concrete, sarà sempre
finalizzata al bene comune e conforme al messaggio evangelico ed
all'insegnamento della Chiesa. Bisognerà evitare che la differenza di opzioni
nuoccia al senso della collaborazione, conduca alla paralisi degli sforzi o
produca confusione nel popolo cristiano.
L'orientamento,
che ci viene dalla dottrina sociale della Chiesa, deve stimolare l'acquisizione
delle indispensabili competenze tecniche e scientifiche. Esso stimolerà anche
a perseguire la formazione morale del carattere e l'approfondimento della
vita spirituale. Fornendo princìpi e consigli di saggezza, questa dottrina
non dispensa dall'educazione alla prudenza politica richiesta per il governo
e la gestione delle realtà umane.
II.
Esigenze evangeliche di una profonda trasformazione
Necessità
di una trasformazione culturale
81.
Una sfida senza precedenti è lanciata oggi ai cristiani che operano per
realizzare questa "civiltà dell'amore", la quale compendia tutta
l'eredità etico-culturale del Vangelo. Questo compito richiede una nuova
riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo
dell'amore con l'ordine sociale considerato in tutta la sua complessità.
La
conclusione diretta di questa profonda riflessione è l'elaborazione e
l'attuazione di audaci programmi d'azione in vista della liberazione sociale
ed economica di milioni di uomini e donne, la cui condizione di oppressione
economica, sociale e politica è intollerabile.
Questa
azione deve cominciare con uno sforzo assai grande nel campo dell'educazione:
educazione alla civiltà del lavoro, educazione alla solidarietà, accesso di
tutti alla cultura.
Il
Vangelo del lavoro
82.
L'esistenza di Gesù a Nazareth, vero "Vangelo del lavoro", ci offre
l'esempio vivente e il principio della radicale trasformazione culturale che
è indispensabile per risolvere i gravi problemi che la nostra epoca deve
affrontare. Colui che, essendo Dio, divenne in tutto simile a noi, si dedicò
durante la maggior parte della sua vita terrena a un lavoro manuale. (123) La
cultura, che la nostra epoca attende, sarà caratterizzata dal pieno
riconoscimento della dignità del lavoro umano, che appare in tutta la sua
nobiltà e fecondità alla luce dei misteri della Creazione e della Redenzione.
(124) Riconosciuto come espressione della persona, il lavoro diventa fonte di
senso e sforzo creativo.
Una
vera civiltà del lavoro
83.
Così la soluzione della maggior parte dei gravi problemi della miseria si
trova nella promozione di una vera civiltà del lavoro. Il lavoro è, in
qualche modo, la chiave di tutta la questione sociale. (125)
È,
pertanto, nel campo del lavoro che deve essere intrapresa con priorità
un'azione liberatrice nella libertà. Poiché il rapporto tra la persona umana
e il lavoro è radicale e vitale, le forme e le modalità, secondo le quali
sarà regolato questo rapporto, eserciteranno un'influenza positiva in vista
della soluzione del complesso di problemi sociali e politici, che si pongono
a ciascun popolo. Giuste relazioni di lavoro potranno prefigurare un sistema
di comunità politica, atta a favorire lo sviluppo integrale di ogni persona
umana.
Se
il sistema dei rapporti di lavoro, posto in atto dai protagonisti diretti -
lavoratori e datori di lavoro - con l'indispensabile sostegno dei pubblici
poteri, riesce a dare origine a una civiltà del lavoro, si produrrà allora,
nel modo di vedere dei popoli e perfino nelle basi istituzionali e politiche,
una pacifica e profonda rivoluzione.
Bene
comune nazionale e internazionale
84.
Una tale cultura del lavoro dovrà supporre e mettere in atto un certo numero
di valori essenziali. Essa dovrà riconoscere che la persona del lavoratore è
principio, soggetto e fine dell'attività lavorativa. Essa dovrà affermare la
priorità del lavoro sul capitale e l'universale destinazione dei beni
materiali. Essa sarà animata dal senso di una solidarietà che non comporti
solo diritti da rivendicare, ma anche doveri da compiere. Essa implicherà la
partecipazione tendente a promuovere il bene comune nazionale e
internazionale, e non solamente a difendere interessi individuali o
corporativi. Essa adotterà il metodo del confronto pacifico e del dialogo
franco e vigoroso.
Allora
le autorità politiche diventeranno più capaci di agire nel rispetto delle
legittime libertà degli individui, delle famiglie, dei gruppi sussidiari,
creando così le condizioni richieste affinché l'uomo possa conseguire il suo
autentico e integrale bene, ivi compreso il suo fine spirituale. (126)
Il
valore del lavoro umano
85.
Una cultura che riconosce l'eminente dignità del lavoratore metterà in
evidenza la dimensione soggettiva del lavoro. (127) Il valore di ogni lavoro
umano non è, prima di tutto, in funzione del genere di lavoro compiuto, ma ha
il suo fondamento nel fatto che chi lo compie è una persona. (128) Si afferma
qui un criterio etico, le cui esigenze non dovrebbero sfuggire.
Così
ogni uomo ha diritto al lavoro, il quale deve essere riconosciuto
praticamente mediante un impegno effettivo al fine di risolvere il drammatico
problema della disoccupazione. Il fatto che questa mantenga in una condizione
di marginalità larghi strati della popolazione e, segnatamente, la gioventù,
è intollerabile. Per tale motivo, la creazione di posti di lavoro è un
compito sociale primario, che si impone agli individui e all'iniziativa
privata, ma in pari misura allo Stato. In linea di massima, qui come in altri
settori, lo Stato ha una funzione sussidiaria; ma spesso può esser chiamato a
intervenire direttamente, come nel caso di accordi internazionali tra diversi
Stati. Tali accordi devono rispettare il diritto degli emigrati e delle loro
famiglie. (129)
Promuovere
la partecipazione
86.
Il salario, che non può essere concepito come una semplice merce, deve
consentire al lavoratore e alla sua famiglia di avere accesso a un livello di
vita veramente umano nell'ordine materiale, sociale, culturale e spirituale.
È la dignità della persona che costituisce il criterio per giudicare il
lavoro, e non viceversa. Qualunque sia il tipo di lavoro, il lavoratore deve
poterlo vivere come espressione della sua personalità. Ne consegue l'esigenza
di una partecipazione che, ben al di là di una condivisione dei frutti del
lavoro, dovrebbe comportare un'autentica dimensione comunitaria a livello di
progetti, di iniziative e di responsabilità. (130)
Priorità
del lavoro sul capitale
87.
La priorità del lavoro sul capitale impone agli imprenditori il dovere di
giustizia di considerare il bene dei lavoratori prima dell'aumento dei loro
profitti. Essi hanno l'obbligo morale di non mantenere dei capitali
improduttivi e, negli investimenti, di mirare anzitutto al bene comune.
Questo esige che si persegua prioritariamente il consolidamento o la
creazione di nuovi posti di lavoro, nella produzione di beni veramente utili.
Il
diritto alla proprietà privata non è concepibile senza doveri rispetto al
bene comune, ed è subordinato al principio superiore dell'universale
destinazione dei beni. (131)
Riforme
in profondità
88.
Questa dottrina deve ispirare le riforme prima che sia troppo tardi.
L'accesso di tutti ai beni richiesti per una vita umana, personale e
familiare, degna di questo nome, è un'esigenza primaria della giustizia
sociale. Essa esige di essere applicata nel settore del lavoro industriale e
in maniera tutta particolare in quello del lavoro agricolo. (132) Infatti, i
contadini, soprattutto nel terzo mondo, costituiscono la parte preponderante
dei poveri. (133)
III.
Promozione della solidarietà
Una
nuova solidarietà
89.
La solidarietà è un'esigenza diretta della fraternità umana e soprannaturale.
I gravi problemi socio-economici, che oggi si pongono, non potranno essere
risolti se non creando nuovi fronti di solidarietà: solidarietà dei poveri
tra di loro, solidarietà con i poveri, alla quale son chiamati i ricchi,
solidarietà dei lavoratori e con i lavoratori. Le istituzioni e le
organizzazioni sociali, a diversi livelli, così pure lo Stato, devono
partecipare a un movimento generale di solidarietà. La Chiesa, quando vi fa
appello, sa che essa stessa è a ciò interessata in modo tutto particolare.
Destinazione
universale dei beni
90.
Il principio della destinazione universale dei beni, congiunto a quello della
fraternità umana e soprannaturale, detta precisi doveri ai Paesi più ricchi
nei confronti dei Paesi poveri. Questi doveri sono di solidarietà nell'aiuto
ai Paesi in via di sviluppo; di giustizia sociale, mediante la revisione in
termini corretti delle relazioni commerciali tra Nord e Sud e la promozione
di un mondo più umano per tutti, in cui ciascuno possa dare e ricevere, e in
cui il progresso degli uni non sarà più un ostacolo allo sviluppo degli
altri, né un pretesto per il loro assoggettamento. (134)
Aiuto
allo sviluppo
91.
La solidarietà internazionale è un'esigenza di ordine morale. Essa non
s'impone soltanto nei casi di estrema urgenza, ma anche per l'aiuto al vero
sviluppo. C'è qui un'opera comune da fare, che richiede uno sforzo concertato
e costante per trovare soluzioni tecniche concrete, ma anche per creare una
nuova mentalità negli uomini di questo tempo. La pace del mondo ne dipende in
larga misura. (135)
IV.
Compiti culturali ed educativi
Diritti
all'istruzione ed alla cultura
92.
Le disuguaglianze contrarie alla giustizia nel possesso e nell'uso dei beni
materiali sono accompagnate e aggravate dalle disuguaglianze altrettanto
ingiuste nell'accesso alla cultura. Ogni uomo ha diritto alla cultura, che è
la forma specifica di un'esistenza veramente umana, alla quale egli accede
con lo sviluppo delle sue facoltà di conoscenza, delle virtù morali, delle
sue capacità di relazione con i propri simili, delle sue attitudini a
produrre opere utili e belle. Da ciò deriva l'esigenza della promozione e
della diffusione dell'educazione, alla quale ognuno ha un diritto
inalienabile. Prima condizione di ciò è l'eliminazione dell'analfabetismo.
(136)
Rispetto
della libertà culturale
93.
Il diritto di ogni uomo alla cultura è assicurato solo se è rispettata la libertà
culturale. Troppo spesso la cultura degenera in ideologia, e l'educazione è
trasformata in strumento al servizio del potere politico o economico. Non è
nelle competenze dell'autorità pubblica determinare la cultura. La sua
funzione è di promuovere e di proteggere la vita culturale di tutti, ivi
compresa quella delle minoranze. (137)
Il
compito educativo della famiglia
94.
Il compito educativo appartiene fondamentalmente e prioritariamente alla
famiglia. La funzione dello Stato è sussidiaria: il suo ruolo consiste nel
garantire, proteggere, promuovere e supplire. Quando lo Stato rivendica a sé
il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia. È
ai genitori che spetta il diritto di scegliere la scuola, a cui mandare i
propri figli, e di creare e sostenere dei centri educativi in sintonia con le
loro proprie convinzioni. Lo Stato non può, senza commettere un'ingiustizia,
accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un
servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate
economicamente. (138)
"Le
libertà" e la partecipazione
95.
L'educazione, che dà accesso alla cultura, è anche educazione all'esercizio
responsabile della libertà. Per questo non c'è autentico sviluppo, se non in
un sistema sociale e politico che rispetti le libertà e le favorisca mediante
la partecipazione di tutti. Una tale partecipazione può assumere forme
diverse; essa è necessaria per garantire un giusto pluralismo nelle
istituzioni e nelle iniziative sociali. Essa assicura, specialmente con la
reale separazione tra i poteri dello Stato, l'esercizio dei diritti
dell'uomo, proteggendoli egualmente contro possibili abusi da parte dei
pubblici poteri. Da questa partecipazione alla vita sociale e politica,
nessuno può essere escluso in ragione del sesso, della razza, del colore,
della condizione sociale, della lingua o della religione. (139) Il mantenere
il popolo ai margini della vita culturale, sociale e politica, costituisce in
molte nazioni una delle ingiustizie più clamorose del nostro tempo.
Quando
le autorità politiche regolano l'esercizio delle libertà, non dovrebbero
prendere pretesto dalle esigenze dell'ordine pubblico e della sicurezza per
limitare sistematicamente queste libertà. Né il presunto principio della
"sicurezza nazionale", né una visione restrittivamente economica,
né una concezione totalitaria della vita sociale, dovrebbero prevalere sul
valore della libertà e dei suoi diritti. (140)
La
sfida all'inculturazione
96.
La fede è ispiratrice di criteri di giudizio, di valori determinanti, di
linee di pensiero e di modelli di vita, validi per la stessa comunità degli
uomini. (141) Per questo, la Chiesa, attenta alle angosce della nostra epoca,
indica le vie di una cultura, nella quale il lavoro sia riconosciuto secondo
la sua piena dimensione umana ed in cui ogni essere umano trovi la possibilità
di realizzarsi come persona. Ciò essa fa in virtù della sua apertura
missionaria per la salvezza integrale del mondo, nel rispetto dell'identità
di ciascun popolo e nazione.
La
Chiesa, comunione che congiunge diversità e unità, con la sua presenza nel
mondo intero, prende da ogni cultura quanto vi trova di positivo.
L'inculturazione,
tuttavia, non è un semplice adattamento esteriore; essa è un'intima
trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel
cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle diverse culture umane.
(142) La separazione tra il Vangelo e la cultura è un dramma, di cui i
problemi richiamati sono la dolorosa dimostrazione. S'impone, dunque, uno
sforzo generoso per l'evangelizzazione delle culture. Queste ultime saranno
rigenerate dal loro incontro col Vangelo. Ma tale incontro presuppone che il
Vangelo sia realmente annunciato. (143) Illuminata dal Concilio Vaticano II,
la Chiesa vi si vuole consacrare con tutte le sue energie, per provocare un
immenso slancio di liberazione.
Conclusione
Il
canto del Magnificat
97. Beata
colei che ha creduto (Lc 1, 45). Al saluto di
Elisabetta, la Madre di Dio risponde lasciando effondere il suo cuore nel
canto del Magnificat. Ella ci insegna che è mediante la fede e nella
fede che, sul suo esempio, il popolo di Dio diventa capace di esprimere in
parole e di tradurre nella sua vita il mistero del disegno della salvezza e
le sue dimensioni liberatrici sul piano dell'esistenza individuale e sociale.
In realtà, solo alla luce della fede si percepisce come la storia della
salvezza sia la storia della liberazione dal male nella sua espressione più
radicale e l'introduzione dell'umanità nella vera libertà dei figli di Dio.
Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio
della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della
libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. È a lei che la Chiesa,
di cui ella è madre e modello, deve guardare per comprendere il senso della
propria missione nella sua pienezza.
È
veramente da rilevare che il senso della fede dei poveri, come porta ad
un'acuta percezione del mistero della croce redentrice, così porta a un amore
e a una fiducia indefettibile nella Madre del Figlio di Dio, venerata in numerosi
santuari.
Il
"sensus fidei" del popolo di Dio
98.
I pastori e quanti - sacerdoti e laici, religiosi e religiose - lavorano
spesso in condizioni molto difficili per l'evangelizzazione e la promozione
umana, devono essere pieni di speranza al pensiero che tante risorse
straordinarie di santità sono contenute nella fede viva del popolo di Dio.
Bisogna fare in modo che queste ricchezze del sensus fidei possano
pienamente sbocciare e dare frutti abbondanti. Aiutare con una meditazione
approfondita del disegno della salvezza, così come questo si sviluppa
riguardo alla Vergine del Magnificat, la fede del popolo dei
poveri a esprimersi con chiarezza e a tradursi nella vita: è questo un nobile
compito ecclesiale, che attende il teologo. Così una teologia della libertà e
della liberazione, come eco fedele delMagnificat di Maria
conservato nella memoria della Chiesa, costituisce un'esigenza del nostro
tempo. Ma sarebbe una grave perversione appropriarsi delle energie della
religiosità popolare per dirottarle verso un progetto di liberazione
puramente terrena, che si rivelerebbe ben presto come una illusione e una
causa di nuove schiavitù. Coloro che così cedono alle ideologie del mondo e
alla presunta necessità della violenza non sono più fedeli alla speranza, al
suo ardimento e al suo coraggio, come li esalta quell'inno al Dio della
misericordia che la Vergine c'insegna.
Le
dimensioni di un'autentica liberazione
99.
Il senso della fede percepisce tutta la profondità della liberazione operata
dal Redentore. Egli ci ha liberato dal male più radicale, dal peccato e dal
potere della morte, per restituire la libertà a se stessa e per mostrarle il
suo cammino. Questo cammino è tracciato dal comandamento supremo, ch'è il
comandamento dell'amore.
La
liberazione, nel suo significato primario che è soteriologico, si prolunga
così in un compito liberatore, in un'esigenza etica. Si colloca qui la
dottrina sociale della Chiesa, che illumina la prassi cristiana sul piano
della società.
Il
cristiano è chiamato ad agire secondo la verità (144) e a lavorare così per
l'instaurazione di quella "civiltà dell'amore", di cui parlava
Paolo VI. (145) Il presente Documento, senza pretendere di essere completo,
ha indicato alcune direzioni, lungo le quali è urgente intraprendere delle riforme
profonde. Il compito prioritario, che condiziona la riuscita di tutti gli
altri, è di ordine educativo. L'amore che guida l'impegno deve fin d'ora far
nascere nuove solidarietà. A questi compiti, che si impongono in tutta
urgenza alla coscienza cristiana, sono chiamati tutti gli uomini di buona
volontà.
È
la realtà del mistero della salvezza che opera nell'oggi della storia per
condurre l'umanità redenta verso la perfezione del Regno, il quale dà il loro
vero significato ai necessari sforzi di liberazione d'ordine economico,
sociale e politico e impedisce loro di naufragare in nuove forme di
schiavitù.
Un
compito davanti a noi
100.
È vero che, di fronte alla vastità e complessità del compito, il quale può
esigere il dono di sé fino all'eroismo, molti sono tentati dallo
scoraggiamento, dallo scetticismo o dall'avventura disperata. Una formidabile
sfida è lanciata alla speranza, teologale e umana. La Vergine generosa
del Magnificat, che avvolge la Chiesa e l'umanità con la sua
preghiera, è il saldo sostegno della speranza. In lei davvero noi
contempliamo la vittoria dell'amore divino che nessun ostacolo può trattenere
e scopriamo a quale sublime libertà Dio eleva gli umili. Lungo il cammino, da
lei tracciato, deve progredire con grande slancio la fede che opera per mezzo
della carità. (146)
Il
Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al
sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa
nella riunione ordinaria di questa Congregazione e ne ha ordinato la
pubblicazione.
Roma,
dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 22 marzo, nella
festa dell'Annunciazione del Signore.
Joseph Card.
Ratzinger
Prefetto
Alberto Bovone
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia Segretario |
***
(1)
Congregazione per la Dottrina della Fede,Istruzione su alcuni aspetti
della "Teologia della liberazione" (Libertatis Nuntius), Introduzione:
AAS 76 (1984), 876-877.
(2)
Cf. la Costituzione pastorale Gaudium et Spes e la
Dichiarazione Dignitatis Humanae del Concilio Ecumenico
Vaticano II; le Encicliche Mater et Magistra, Pacem in Terris,
Populorum Progressio, Redemptor Hominis e Laborem
Exercens; le Esortazioni Apostoliche Evangelii
Nuntiandi eReconciliatio et Paenitentia; la
Lettera ApostolicaOctogesima Adveniens. Giovanni Paolo II
ha trattato questo tema nel suo Discorso inaugurale della 3ª
Conferenza dell'Episcopato latino-americano a Puebla: AAS 71
(1979), 187-205. Vi è ritornato in numerose altre occasioni. Il tema è stato
ugualmente trattato al Sinodo dei Vescovi nel 1971 e nel 1974. Le Conferenze
dell'Episcopato latino-americano ne hanno fatto oggetto diretto delle loro
riflessioni. Esso ha attirato anche l'attenzione di altri Episcopati, come
l'Episcopato Francese: Libération des hommes et salut en Jésus-Christ,
1975.
(3)
Paolo VI, Lettera Apostolica Octogesima Adveniens, nn. 1-4: AAS
63 (1971); 401-404.
(4) Cf. Gv 4,
42; 1 Gv 4, 14.
(5) Cf. Mt 28,
18-20; Mc 16, 15.
(6) Cf. Dich. Dignitatis
Humanae, n. 10.
(7)
Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, nn. 78-80: AAS
68 (1976), 70-75; Dich. Dignitatis Humanae, n. 3; Giovanni Paolo
II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 12: AAS 71 (1979), 278-281.
(8)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 905-906.
(9)
Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 17: AAS 71
(1979), 296-297,Dichiarazione del 10 marzo 1984 al 5° Colloquio
dei Giuristi: L'Osservatore Romano, 11 marzo 1984, 8.
(10)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 5: AAS 76 (1984), 904;
Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla: AAS 71 (1979),
189-196.
(11) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 36.
(12) Cf. Ibid.
(13) Cf. Loc. cit.,
n. 41.
(14)
Cf. Mt 11, 25; Lc 10, 21.
(15)
Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 48: AAS 68
(1976), 37-38.
(16)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, VII, 9; VIII, 1-9: AAS 76 (1984),
892, 894-895.
(17)
Cf. Gen 1, 26.
(18)
Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 21: AAS 71
(1979), 316.
(19) Cf. Rm 6,
6; 7, 23.
(20)
Cf. Gn 2, 18. 23: "Non è bene che l'uomo sia
solo"... "Questa volta essa / è carne della mia carne / e osso
delle mie ossa": a queste parole della Scrittura che direttamente si
riferiscono al rapporto tra uomo e donna, si può riconoscere una portata più
universale. Cf. Lv 19, 18.
(21)
Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in Terris 5-15: AAS 55
(1963), 259-265; Giovanni Paolo II, Lettera al Sig. K. Waldheim,
Segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione del 30° anniversario
della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo": AAS 71
(1979), 122; Discorso Pontificio all'O.N.U., n. 9: AAS 71 (1979),
1149.
(22)
Cf. S. Agostino, Ad Macedonium, II, 7-17 (PL33,
669-673; CSEL 44, 437-447).
(23)
Cf. Gn 1, 27-28.
(24)
Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 15: AAS 71
(1979), 286.
(25) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 13, comma I.
(26)
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia,
n. 13: AAS 77 (1985), 208-211.
(27)
Cf. Gn 3, 16-19; Rm 5, 12; 7, 14-24; Paolo
VI,Sollemnis Professio Fidei, 30 Giugno 1968, n. 16: AAS 60 (1968) 439
ss.
(28)
Cf. Rm 1, 18-32.
(29)
Cf. Ger 5, 23; 7, 24; 17, 9; 18, 12.
(30)
Cf. S. Agostino, De Civitate Dei, XIV, 28 (PL 41,
435; CSEL, 40/2, 56-57; CCL 14/2, 451-452).
(31)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, Introduzione: AAS 76 (1984), 876.
(32)
Cf. Is 41, 14; Ger 50, 34.
"Goèl": questa parola implica l'idea di un legame di parentela tra
colui che libera e colui che è liberato; cf. Lv 25, 25,
47-49; Rt3, 12; 4, 1. "Padah" significa
"acquistare per sé". Cf.Es 3, 13; Dt 9,
26; 15, 15, Sal 130, 7-8.
(33)
Cf. Gn 12, 1-3.
(34)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 3: AAS 76 (1984), 882.
(35) Cf. Dt 6,
5.
(36) Cf. Lv 19,
18.
(37) Cf. Dt 1,
16-17; 16, 18-20; Ger 22, 3-15; 23, 5;Sal 33, 5;
72, 1; 99, 4.
(38) Cf. Es 22,
20-23; Dt 24, 10-22.
(39) Cf. Ger 31,
31-34; Ez 36, 25-27.
(40) Cf. Is 11,
1-5; Sal 72, 4. 12-14; Istruz.Libertatis Nuntius, IV,
6: AAS 76 (1984), 883.
(41) Cf. Es 23,
9; Dt 24, 17-22.
(42) Cf. Sal 25;
31; 35; 55; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 5: AAS 76 (1984),
883.
(43) Cf. Ger 11,
20; 20, 12.
(44) Cf. Sal 73,
26-28.
(45) Cf. Sal 16;
62; 84.
(46) Cf. Sof 3,
12-20; Istruz. Libertatis
Nuntius,
IV, 5: AAS 76 (1984), 883.
(47)
Cf. Lc 1, 46-55.
(48)
Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Marialis
Cultus, n. 37: AAS 66 (1974), 148-149.
(49) Cf. At 2,
39; Rm 10, 12; 15, 7-12; Ef 2, 14-18.
(50) Cf. Mc 1,
15.
(51) Cf. Is 61,
9.
(52) Cf. 2 Cor 8,
9.
(53) Cf. Mt 25,
31-46; At 9, 4-5.
(54)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 9: AAS 76 (1984), 884.
(55)
Cf. Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla, 1, 5: AAS
71 (1979), 191.
(56) Cf. Rm 5,
10; 2 Cor 5, 18-20.
(57) Cf. Gv 14,
27.
(58) Cf. Mt 5,
9; Rm 12, 18; Eb 12, 14.
(59) Cf. 1 Cor 15,
26.
(60) Cf. Gv 12,
31; Eb 2, 14-15.
(61) Cf. Ef 6,
11-17.
(62) Cf. Rm 8,
37-39.
(63) Cf. Rm 8,
2.
(64) Cf. 1 Tm 1,
8.
(65) Cf. Rm 13,
8-10.
(66) Cf. Rm 13,
1-7.
(67) Cf. Rm 8,
2-4.
(68) Cf. Rm 13,
1.
(69) Cf. Rm 13,
8-10; Gal 5, 13-14.
(70) Cf. Mt 5,
43-48; Lc 6, 27-38.
(71) Cf. Lc 10,
25-37.
(72)
Cf. per esempio: 1 Ts 2, 7-12; Fil 2,
1-4; Gal 2, 12-20; 1 Cor 13, 4-7; 2
Gv 12; 3 Gv 14; Gv 11, 1-5.
35-36; Mc 6, 34; Mt 9, 36; 18, 21 ss.
(73)
Cf. Gv 15, 12-13; 1 Gv 3, 16.
(74)
Cf. Gc 5, 1-4.
(75)
Cf. 1 Gv 3, 17.
(76)
Cf. 1 Cor 11, 17-34; Istruz. Libertatis Nuntius,
IV, 11: AAS 76 (1984), 884. San Paolo stesso organizzò una colletta in favore
dei "poveri tra i santi di Gerusalemme" (Rm 15, 26).
(77) Cf. Rm 8,
11-21.
(78) Cf. 2 Cor 1,
22.
(79) Cf. Gal 4,
26.
(80) Cf. 1 Cor 13,
12; 2 Cor 5, 10.
(81) Cf. 1 Gv 3,
2.
(82) Cf. Costit. past. Gaudium
et spes, n. 39, comma 2.
(83) Cf. Ibid.,
n. 39, comma 3.
(84) Cf. Mt 24,
29-44. 46; At 10, 42; 2 Cor 5, 10.
(85) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 42, comma 2.
(86)
Cf. Gv 17, 3.
(87)
Cf. Rm 6, 4; 2 Cor 5, 17; Col 3,
9-11.
(88)
Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, nn. 18. 20: AAS
68 (1986), 17. 19.
(89) Cf. Mt 5,
3.
(90) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 37.
(91) Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium, n. 17; Decr.Ad
Gentes, n. 1; Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 14: AAS 68 (1976), 13.
(92) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 40, comma 3.
(93)
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia,
n. 14: AAS 77 (1985), 211-212.
(94)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 901.
(95)
Cf. 2 Cor 8, 9.
(96)
Cf. Lc 2, 7; 9, 58.
(97)
Cf. Mt 6, 19-20. 24-34; 19,
21.
(98) Cf. Lc 5,
11. 28; Mt 19, 27.
(99) Cf. Is 11,
4; 61, 1; Lc 4, 18.
(100) Cf. Mc 2,
13-17; Lc 19, 1-10.
(101) Cf. Mt 8,
16; 14, 13-21; Gv 13, 2-9.
(102)
Cf. Mt 8, 17.
(103)
Cf. Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, nn. 12, 46: AAS 59
(1976), 262-263; 280; Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato
Latino-americano a Puebla, n. 476.
(104)
Cf. At 2, 44-45.
(105)
Cf. Secondo Sinodo Straordinario, Relatio Finalis, II C, 6: L'Osservatore
Romano, 10 dicembre 1985, 7; Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii
Nuntiandi, n. 58: AAS 68 (1976), 46-49; Giovanni Paolo II, Mensagem às
comunidades de base, consegnato a Manaus, 10 luglio 1980.
(106)
Cf. Mt 22, 37-40; Rm 13, 8-10.
(107)
Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 4: AAS 63
(1971), 403-404; Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla,
III, 7: AAS 71 (1979), 203.
(108)
Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, n.
235: AAS 53 (1961), 461.
(109) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, 25.
(110)
Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, nn. 132-133: AAS
53 (1961), 437.
(111)
Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, nn. 79-80: AAS 23 (1931),
203; Giovanni XXIII, Encicl.Mater et Magistra, n. 138: AAS 53 (1961),
439; Encicl. Pacem in Terris, n. 74: AAS 55 (1963), 294-295.
(112)
Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n.
18: AAS 68 (1976), 17-18; Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 9: AAS
76 (1984), 901.
(113)
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost.Reconciliatio et
Paenitentia, n. 16: AAS 77 (1985), 213-217.
(114)
Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n.
25: AAS 63 (1971), 419-420.
(115)
Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 20: AAS 73
(1981), 629-632; Istruz.Libertatis Nuntius, VII, 8; VIII, 5-9; XI,
11-14: AAS 76 (1984), 891-892; 894-895; 901-902.
(116)
Cf. Mt 5, 44; Lc 6, 27-28. 35.
(117)
Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 905-906.
(118)
Cf. Giovanni Paolo II, Omelia a Drogheda, 30 Settembre 1979: AAS 71
(1979), 1076-1085.Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato
Latino-americano a Puebla, nn. 533-534.
(119)
Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, n. 31: AAS 59
(1967), 272-273; cf. Pio XI, Ep. Encicl. Nos
es muy conocida: AAS 29 (1937), 208-209.
(120) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 76, comma 3; Decr. Apostolicam Actuositatem, n.
7.
(121) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 20.
(122) Cf. Loc. cit.,
n. 5.
(123)
Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 6: AAS 73
(1981), 589-592.
(124) Cf. Loc. cit.,
cap. V: ibid.,
637-647.
(125)
Cf. Loc. cit., n. 3: ibid., 583-584; Discorso
a Loreto del 10 Maggio 1985: AAS 77 (1985), 967-969.
(126)
Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n.
46: AAS 63 (1971), 633-635.
(127)
Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 6: AAS 73
(1981), 589-592.
(128) Cf. Ibid.
(129)
Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Familiaris Consortio, n. 46:
AAS 74 (1982), 137-139; Encicl.Laborem Exercens, n. 23: AAS 73 (1981),
635-637; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 2:L'Osservatore
Romano, 25 novembre 1983.
(130)
Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 68; Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem
Exercens, n. 15: AAS 73 (1981), 616-618; Discorso del 3
Luglio 1980;L'Osservatore Romano, 5 Luglio 1980, 1-2.
(131)
Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 69; Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem
Exercens, nn. 12. 14: AAS 73 (1981), 605-608. 612-616.
(132)
Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, n. 72: AAS 23 (1931), 200;
Giovanni Paolo II, Encicl.Laborem Exercens, n. 19: AAS 73
(1981), 625-629.
(133) Documento
della 2ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Medellin,
Giustizia I, 9;Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato
Latino-americano a Puebla, nn. 31. 35. 1245.
(134)
Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, n.
163: AAS 53 (1961), 443; Paolo VI, Encicl.Populorum Progressio,
n. 51: AAS 59 (1967), 282; Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo
Diplomaticodell'11 Gennaio 1986: L'Osservatore Romano, 12
gennaio 1986, 4-5.
(135)
Cf. Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, n. 55: AAS 59 (1967),
284.
(136)
Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 60; Giovanni Paolo
II, Discorso all'Unesco del 2 Giugno 1980, n. 8: AAS 72
(1980), 739-740.
(137) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 59.
(138) Cf. Dichiar. Gravissimum
Educationis, nn. 3. 6; Pio XI, Encicl. Divini Illius
Magistri, nn. 29. 38. 66: AAS 22 (1930), 59. 63. 68; Santa
Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 5: L'Osservatore
Romano,25 novembre 1983.
(139) Cf. Costit. past. Gaudium
et Spes, n. 29; Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in
Terris, nn. 73-74. 79: AAS 55 (1963), 294-296.
(140) Cf. Dichiar. Dignitatis
Humanae, n. 7; Costit. past. Gaudium et Spes, n. 75; Documento
della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn.
311-314; 317-318; 548.
(141)
Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi,n. 19: AAS 68
(1976), 18.
(142)
Cf. Secondo Sinodo Straordinario, Relatio finalis, II, D,
4: L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, 7.
(143)
Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 20: AAS 68
(1976), 18-19.
(144)
Cf Gv 3, 21.
(145)
Cf. Paolo VI, Udienza generale del 31 dicembre 1975: L'Osservatore
Romano, 1 gennaio 1976, 1. Giovanni Paolo II ha ribadito questa idea nelDiscorso
al "Meeting per l'amicizia dei popoli" del 29 agosto
1982: L'Osservatore Romano, 30-31 agosto 1982. I Vescovi
Latino-americani l'hanno ugualmente richiamata nel Messaggio ai
popoli dell'America Latina, n. 8, e nel Documento di
Puebla, nn. 1188. 1192.
(146)
Cf. Gal 5, 6.
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