lunedì 10 novembre 2014

CHIESA - APOSTASIA – TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE - Messaggio profetico della Madonna di Anguera n. 115 del 17 dicembre 1988 “Molti vescovi, sacerdoti e religiosi sono solo ed esclusivamente preoccupati per i problemi sociali. Essi stanno dimenticando che Gesù è morto sulla croce e che è risuscitato per ottenere per noi il grande dono della redenzione e per salvare anime. Così la teologia della liberazione si sta diffondendo sempre più, portando innumerevoli figli sulla via della perdizione. La teologia della liberazione, con le sue tattiche ingannevoli, lavora apertamente per distruggere il Vangelo di mio Figlio.” Messaggio profetico della Madonna di Anguera 458 del 2 novembre 1991 “Satana è riuscito a diffondere i suoi errori ovunque. Addirittura all’interno della Chiesa è riuscito a ingannare molti, facendo loro abbracciare insegnamenti erronei come quelli della teologia della liberazione e negare ciò che predica il successore di Pietro e vicario di mio Figlio, Papa Giovanni Paolo II. Se l’umanità non tornerà a Dio sul cammino della conversione, non tarderà a cadere su di voi un grande castigo. È giunto il momento in cui dovete accogliere tutto ciò che vi ho trasmesso. Se accoglierete i miei appelli, starete dando inizio al grande trionfo del mio Cuore Immacolato.” S. Congregazione per la Dottrina della Fede,LIBERTATIS NUNTIUS. Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della Liberazione", del 6 agosto 1984 “La liberazione è innanzi tutto e principalmente liberazione dalla schiavitù radicale del peccato. Il suo scopo e il suo punto d’arrivo è la libertà dei figli di Dio, dono della grazia. Essa comporta, di logica conseguenza, la liberazione dalle molteplici schiavitù di ordine culturale, economico, sociale e politico, che in definitiva derivano tutte dal peccato, e costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono agli uomini di vivere in conformità alla loro dignità. Quindi per una riflessione teologica sulla liberazione occorre, come condizione indispensabile, discernere chiaramente ciò che è fondamentale da ciò che appartiene alle conseguenze.” S. Congregazione per la Dottrina della Fede,Istruzione LIBERTATIS CONSCIENTIA, su libertà cristiana e liberazione, del 22 marzo 1986 “Aspirazioni alla liberazione 1. La coscienza della libertà e della dignità dell'uomo, congiunta con l'affermazione dei diritti inalienabili della persona e dei popoli, è una delle caratteristiche salienti del nostro tempo. Ora, la libertà esige determinate condizioni di ordine economico, sociale, politico e culturale, che ne rendano possibile il pieno esercizio. La viva percezione degli ostacoli, che le impediscono di realizzarsi ed offendono la dignità umana, è all'origine delle potenti aspirazioni alla liberazione che travagliano il nostro mondo.La Chiesa di Cristo fa sue tali aspirazioni, esercitando il proprio discernimento alla luce del Vangelo, che per sua stessa natura è messaggio di libertà e di liberazione. In effetti, quelle aspirazioni assumono a volte, sul piano teorico e pratico, espressioni che non sempre sono conformi alla verità dell'uomo, quale si manifesta alla luce della sua creazione e redenzione. È questo il motivo per cui la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario attirare l'attenzione su alcune "deviazioni o rischi di deviazione, pericolosi per la fede e per la vita cristiana". (1) Lungi dall'essere sorpassati, tali richiami appaiono ogni giorno più opportuni e pertinenti.”


POST DEL 2/8/2012 AGGIORNATO AL 8/3/2014 ULTIMO AGGIORNAMENTO DEL 26/07/2018


Nicaragua. Ortega celebra la rivoluzione e attacca la Chiesa: «Satanisti»


Nicaragua: Leonardo Boff (teologia liberazione) critica il governo Ortega. “Sta imitando le pratiche dell’antico dittatore”

24 LUGLIO 2018

Ratzinger e la Teologia della liberazione: "Fu falsificazione della fede"

Le parole di Benedetto XVI apriranno il nuovo libro su Papa Wojtyla

01/10/2013

Quando Bergoglio sconfisse i teologi della liberazione


Un vescovo che fu testimone diretto dello scontro ne racconta lo svolgimento e la posta in gioco. Se poi Francesco fu eletto papa, lo si deve anche a ciò che accadde nel 2007 ad Aparecida

di Sandro Magister



[1]Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, [2]di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente. [3]Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, [4]colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. [5]Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? [6]E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. [7]Il mistero dell'iniquità è gia in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. [8]Solo allora sarà rivelato l'empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, [9]la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, [10]e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. [11]E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna [12]e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.Tessalonicesi 2 - Cap. 2

Messaggio della Madonna di  Anguera n. 115 – 17 dicembre 1988
Miei amati figli, questi sono i miei tempi. Questi sono i tempi nei quali la vostra Madre Celeste vi chiede di essere fedeli al Vangelo di mio Figlio. I tempi della dolorosa purificazione si stanno avvicinando. Molto presto l’apostasia diventerà visibile. Solo coloro che sono uniti al Santo Padre saranno salvati dal naufragio. Vi supplico di predicare il Vangelo di mio Figlio con coraggio e fedeltà. Al giorno d’oggi tantissimi non credono alle parole di mio Figlio nel Santo Vangelo. La mia Chiesa è internamente divisa e in pericolo di perdere la vera fede. Molti errori vengono diffusi al suo interno e i veri colpevoli sono i pastori che non obbediscono al vicario di mio Figlio Gesù Cristo, Giovanni Paolo II. Molti vescovi, sacerdoti e religiosi sono solo ed esclusivamente preoccupati per i problemi sociali. Essi stanno dimenticando che Gesù è morto sulla croce e che è risuscitato per ottenere per noi il grande dono della redenzione e per salvare anime. Così la teologia della liberazione si sta diffondendo sempre più, portando innumerevoli figli sulla via della perdizione. La teologia della liberazione, con le sue tattiche ingannevoli, lavora apertamente per distruggere il Vangelo di mio Figlio. Tutti voi sacerdoti dovreste combattere molto per la salvezza dell’umanità. Non preoccupatevi eccessivamente per le cose materiali, affinché possiate imitare mio Figlio Gesù. E voi religiosi dovreste pregare molto, senza cercare di essere più di quello che siete. La vostra missione è di essere sempre in preghiera davanti alla croce. Pregate per tutti i sacerdoti di tutto il mondo, specialmente per il Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II. Figli amati, la mia Chiesa è nelle tenebre. Voi siete la vera luce. La salvezza della mia Chiesa dipende da voi. Voi dovreste formare un esercito potente per combattere l’errore, l’immoralità e la mancanza di fede nella mia Chiesa. Conto sul vostro aiuto. Dipende tutto da voi. Incoraggio voi tutti e vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Italia

 MESSAGGIO DELLA MADONNA DI ANGUERA N. 458 (2 novembre 1991)
Clicca sul titolo evidenziato in giallo per leggere il messaggio completo  
Trasmesso ad Anguera al veggente Pedro Régis, questo messaggio è stato dato come segno, da parte della Madonna, per tutti quelli che non credevano alle sue apparizioni: il giorno precedente, infatti, aveva preannunciato un segno affinché tutti credessero. Nel luogo delle apparizioni si erano radunate molte persone, giornalisti compresi, aspettandosi un segno come quello del miracolo del sole a Fatima.
Si tratta del messaggio più lungo trasmesso dalla Regina della Pace a Pedro Régis e, probabilmente, si tratta anche del messaggio più lungo trasmesso a un veggente nel corso della storia delle apparizioni mariane. In questo messaggio la Vergine Maria ha sviluppato ordinatamente 18 temi, dettando al veggente il titolo di ogni tema. Il primo, l’introduzione, è una spiegazione del perché lei si è presentata con il titolo di Regina della Pace. A questo seguono gli altri temi fino ad arrivare all’ultimo, in cui ci racconta alcuni fatti sconosciuti della vita di Gesù. Questo non è un messaggio qualunque: si tratta di una delle prove che la Madre di Dio appare realmente al veggente Pedro Régis. Infatti, chi era Pedro Régis nel 1991? Nato e cresciuto in un ambiente rurale, con conoscenze di fede solo rudimentali, non avrebbe mai potuto scrivere il messaggio seguente, così esteso, profondo ed esortativo.
Tale messaggio è stato scritto interamente durante l’apparizione, alla presenza di circa 8.000 persone, compresi alcuni canali televisivi: oltre ad esserci migliaia di testimoni, quindi, esiste anche un video che documenta quanto avvenne.
Ricordiamo infine che, a quell’epoca, la Fazenda Malhada Nova non era provvista di luce elettrica e che questa apparizione è avvenuta di sera, protraendosi fin dopo il tramonto. Pedro Régis racconta che, prima di dettare il messaggio, la Vergine Maria gli chiese di procurarsi più carta, perché i fogli che aveva erano insufficienti. Gli fu dato il permesso di comunicare con alcuni dei presenti, a cui chiese altra carta. Gli fu consegnato un plico. La Madonna gli chiese di numerare le pagine: una volta arrivato a pagina 30, Pedro si fermò perplesso, ma la Vergine Maria gli disse “Continua”. Perché perplesso? Perché, chi è a conoscenza delle apparizioni di Anguera, sa che la maggior parte dei messaggi, scritti frettolosamente e sotto forma di scarabocchi, non oltrepassa le dieci pagine. Dopo aver enumerato 50 pagine, Pedro si fermò di nuovo, ma la Madonna lo esortò a proseguire. La scena si ripeté altre volte, finché, arrivato a pagina 130, la Madre di Dio disse “Basta”, iniziando quindi a dettare il messaggio, fermandosi proprio alla fine di pagina 130 con la frase “Rimanete nella pace”, che accomuna tutti i messaggi.
È interessante notare che, durante tutta l’apparizione, Pedro Régis è rimasto in ginocchio per due ore e mezza, sempre nella stessa posizione. Al termine, si è alzato e ha letto il messaggio ai presenti. La lettura pubblica del messaggio è durata più di due ore e lo stesso Pedro ha dimostrato di ignorare molti dei termini utilizzati.

1. Introduzione – Esortazione a confidare nella sua protezione materna.
2. Amatevi gli uni gli altri – Ci offre l’antidoto contro l’odio, la violenza e l’egoismo che ci impediscono di amare il prossimo.
3. Meravigliose sono le tue opere, Signore – Ci presenta il Creatore attraverso il creato, affermando che senza di lui la nostra vita è inutile.
4. Eucarestia, mio Figlio è presente – Ci conferma la presenza reale di Cristo nell’Eucarestia.
5. Andate per il mondo e annunciate il Vangelo – Si rivolge specialmente ai vescovi e ai sacerdoti, parlando dell’indifferentismo religioso e del matrimonio, esortandoci a una vita che sia segno della presenza di Dio nel mondo.

6. Dov’è la verità? – Torna a dirci dove la Verità resta integra, parlandoci dell’avanzata delle sette e indicandoci le principali cause di tale avanzata, affinché sia combattuta.
7. Non lasciatevi ingannare dalla falsa scienza – Il mondo è pieno di falsi profeti, dai quali la Madonna ci esorta a stare lontani
8. Vi chiedo fiducia – Le nostre difficoltà sono grandi e la Madonna lo sa bene, esortandoci a fidarci di Gesù.
9. È necessario credere – Tema dedicato alla fede.
10. La vostra testimonianza sincera – Ci chiede di testimoniare le apparizioni e i suoi messaggi, sapendo che questi conducono all’ideale evangelico.
11. Creati a sua immagine e somiglianza – Ci ricorda che siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, ma il peccato ci ha sfigurati, portando l’umanità a ogni sorta di male
12. La gioia della vostra presenza – Ringrazia coloro che la ascoltano, offrendo il rifugio sicuro del suo Cuore Immacolato, incoraggiandoli a proseguire nella vita cristiana autentica.
13. Madre e Regina della vostra nazione – Essendo Madre e Regina del Brasile, avvisa i suoi abitanti dei molti pericoli che li circondano, parlando loro, ad esempio, degli errati insegnamenti della teologia della liberazione.
14. Cristo é la vostra speranza – La speranza è una virtù teologale, quindi solo Cristo può essere la nostra speranza.
15. I segni che vi offro – Ci spiega il perché delle sue apparizioni nel mondo e qual è il loro scopo.
16. Tutti voi siete uguali – Tema importantissimo trattato dalla Regina della Pace: la questione del razzismo e della schiavitù.
17. Chiedo la vostra consacrazione – In questo tema, la Regina della Pace ci chiede la nostra consacrazione al suo Cuore Immacolato, insegnandoci le parole con le quali consacrarci.
18. La mia obbedienza: la vostra felicità – Termina con questo bellissimo tema. La nostra vera felicità è possibile grazie al FIAT della Vergine Maria nell’Annunciazione e durante la sua vita. Ricorda fatti sconosciuti, con alcuni dettagli, della vita di suo Figlio Gesù, dall’infanzia fino alla morte sulla Croce.

13. MADRE E REGINA DELLA VOSTRA NAZIONE
Qui nella vostra nazione, dove il mio avversario è riuscito a condurre all’errore un grande numero di poveri figli, con il vostro aiuto desidero realizzare grandi prodigi nel silenzio e nel nascondimento. Il mio Cuore si spezza nel constatare che un grande numero dei più sfavoriti sono trattati come animali senza valore. Vi ricordo che anche loro, come voi, hanno valore agli occhi di Dio e che per me sono tesori preziosi. Soffro per coloro che patiscono la miseria e la fame. Soffro per coloro che sono spesso vittime dell’odio e della violenza. Sono venuta per confortarvi e aiutarvi. Non sono venuta per condannarvi, ma per mostrarvi la volontà del Signore. Vedete come soffrono i poveri. Sono molti gli sfollati e i rifugiati, quelli che soffrono per la mancanza di amore e speranza, quelli che hanno ceduto al male e si chiudono a tutta la luce spirituale, quelli che hanno il cuore pieno di amarezza, vittime come sono dell’ingiustizia e del predominio dei più forti.

L’egoismo prende il posto del coraggio morale e della solidarietà. Il proprio valore è quindi misurato in termini di avere e non di essere. Di conseguenza, si crea un’atmosfera di grandi e piccole ingiustizie e innumerevoli forme di violenza. Quello che è accettato come vera libertà, in realtà è solo una forma di schiavitù. La violenza che si perpetra in Brasile non offre alcuna soluzione per i veri problemi del vostro popolo. Non è questo il metodo scelto dal popolo di Dio. Non offre alcuna verità che possa attirare e convincere gli spiriti e i cuori del popolo sofferente. La sua unica espressione è la paura e la distruzione che produce. Il mondo, per gran parte contraddistinto dall’avidità dello sfruttamento e dal disprezzo dei più deboli, deve cambiare il suo comportamento e accogliere con spirito fraterno tutti coloro che soffrono, tanto nel corpo come nell’anima.

Oggi, gran parte dell’umanità è guidata dalla forza di coloro che si oppongono a Dio e così, giorno dopo giorno, un grande numero di anime precipitano all’inferno. Vi invito, pertanto, al grande ritorno a colui che è il vostro Padre misericordioso e vi attende a braccia aperte. Non lasciatevi ingannare dalle insidie del mio avversario. Ascoltate ciò che vi dice la vostra Madre Celeste, la Donna vestita di sole. Desidero abbracciare ogni brasiliano e condurlo su sentieri sicuri. Vi amo tutti, anche coloro che si allontanano da Dio e da me. Imploro mio Figlio per ciascuno di voi, per coloro che sono vittime dell’odio e della violenza. Soffro a causa di coloro che disprezzano i messaggi di pace e salvezza che mio Figlio vi propone. Non sono venuta dal cielo per salvarvi, ma per offrirvi la possibilità della salvezza. Gli appelli di conversione di mio Figlio non vengono accettati e, per questo, c’è il pericolo della perdizione eterna per molte anime.

Vi esorto anche, voi che mi ascoltate, a pregare il vostro Angelo Custode, perché anche lui ha il grande compito di proteggervi dalle insidie del mio avversario. Non scoraggiatevi perché avete, soprattutto, la protezione di Dio, vostro Padre. Satana è riuscito a diffondere i suoi errori ovunque. Addirittura all’interno della Chiesa è riuscito a ingannare molti, facendo loro abbracciare insegnamenti erronei come quelli della teologia della liberazione e negare ciò che predica il successore di Pietro e vicario di mio Figlio, Papa Giovanni Paolo II. Se l’umanità non tornerà a Dio sul cammino della conversione, non tarderà a cadere su di voi un grande castigo. È giunto il momento in cui dovete accogliere tutto ciò che vi ho trasmesso. Se accoglierete i miei appelli, starete dando inizio al grande trionfo del mio Cuore Immacolato. Ascoltatemi. Desidero stare al vostro fianco, accompagnando i vostri passi e intercedendo affinché possiate fare tutto ciò che mio Figlio vi dirà.
Camminate verso un futuro sconosciuto, ma certamente pieno di potenzialità e ottimismo per il Regno di Dio. Ricordate che tutti portate il peso delle vostre responsabilità davanti alle sofferenze dei vostri fratelli. Riconoscete umilmente i vostri peccati, origine prima di tutti i mali che affliggono il mondo. Siate costruttori di pace e tornate al Dio della Salvezza. La pace tra di voi è un compito arduo, al quale dovete collaborare generosamente. La pace non può essere raggiunta sul sentiero dell’intransigenza né su quello dell’egocentrismo. Al contrario, la si raggiungerà se si saranno formate la fiducia, la comprensione e la solidarietà che vi rendono fratelli, voi uomini che abitate in questo mondo, creati da Dio perché tutti possiate partecipare dei suoi beni in modo equo. Se camminerete con Cristo, se lo prenderete come compagno di viaggio a indicarvi il cammino, procederete verso il Paradiso, per il quale unicamente siete stati creati.

La voce del Signore è la sua presenza in voi per mezzo del Battesimo. Ciascuno di voi deve discernere la chiamata che vi è rivolta. Per il sacerdote, tuttavia, è la Chiesa che ha l’incarico di confermare autenticamente la chiamata e di affidare una missione. Implorerò il Signore che vi aiuti a trovare la vostra strada nel seguirlo. Se vivrete conforme al desiderio del mio Cuore, la vostra fede sarà rafforzata e rivitalizzata e saranno esaltati i vostri sentimenti di adesione ai principi, ideali e insegnamenti della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica.

Abbiate fiducia nell’amore misericordioso del Signore. Non dubitate mai del perdono di Dio. Pentitevi con sincerità e aprite interiormente il vostro cuore al Signore, per riscoprire che ai suoi occhi avete molto valore. Per rispondere agli appelli di Dio, dovete avvicinarvi a Cristo, la fonte di acqua viva che vi fortifica e purifica. La mia presenza vi porta più speranza, amore e fede. Vi invito a scoprire in voi stessi le ricchezze del dono di Dio. Ascoltate, attraverso i miei messaggi, Cristo, il vostro Salvatore. Egli è il Buon Pastore che conosce le sue pecore e che ha dato la vita per salvarle dal male e dalla menzogna, per allontanarle dalle strade sbagliate e impedire loro di cadere nell’abisso. Vivete nella certezza dell’incontro definitivo con colui per il quale vivete, nel quale credete e sperate.
Teologia della liberazione
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La Teologia della Liberazione (spesso abbreviata con TdL) è una riflessione teologica iniziata in America latina con la riunione del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) di Medellín (Colombia) del 1968, dopo il Concilio Vaticano II, che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano.
Tra i protagonisti che iniziarono questa corrente di pensiero vi furono i sacerdoti Gustavo Gutiérrez (peruviano), Hélder Câmara e Leonardo Boff (brasiliani). Il termine venne coniato dallo stesso Gutiérrez nel 1973 con la pubblicazione del libro Teologia della Liberazione (titolo originale spagnolo: Historia, Política y Salvación de una Teología de Liberación).
I contenuti della Teologia della liberazione si trovano in rapporto di contrasto con quelli della Santa Sede, la quale adottò misure disciplinari contro alcuni dei suoi esponenti.

Origini e princìpi ispiratori 

Il contesto storico in cui nacque e si affermò la Teologia della Liberazione è quello del diffondersi delle dittature militari e dei regimi repressivi, che determinarono lo sviluppo dell'impegno di alcuni teologi nell'elaborare proposte sempre più radicali per far fronte all'aggravarsi della crisi politica e sociale latinoamericana. Durante la CELAM del 1968 i rappresentanti della gerarchia ecclesiastica sudamericana presero posizione in favore delle popolazioni più diseredate e delle loro lotte, pronunciandosi per una chiesa popolare e socialmente attiva.
Iniziarono ad avere notevole diffusione in tutti i paesi le comunità ecclesiali di base (CEB), nuclei ecumenici impegnati a vivere e diffondere una fede attivamente partecipativa dei problemi della società: in Brasile ne nacquero circa 100.000, grazie anche al cardinale di San Paolo Paulo Evaristo Arns e al vescovo Camara; in Nicaragua numerosi cattolici, sacerdoti e laici, presero parte alla lotta armata contro la dittatura di Somoza e in seguito diversi sacerdoti, come Ernesto Cardenal e Miguel D'Escoto entrarono a far parte del governo sandinista.
Durante la terza riunione della CELAM del 1979 a Puebla (Messico), furono riaffermati e sviluppati i princìpi di Medellín, ma si evidenziò l'emergere di una forte opposizione da parte di settori conservatori della gerarchia ecclesiastica alle tesi della Teologia della Liberazione, che andò rafforzandosi negli anni ottanta con il papato di Giovanni Paolo II in cui gli ideologi ed i protagonisti della Teologia della Liberazione furono progressivamente allontanati dai vertici della gerarchia, come avvenne per Leonardo Boff che subì diversi processi ecclesiastici per poi abbandonare, nel 1992, l'ordine francescano.

Gli antecedenti 

Gli antecedenti di tale teologia sono molteplici. Si rintracciano in Brasile, dove dal 1957 iniziò nella Chiesa cattolica un movimento di Comunità Ecclesiali di Base (CEB), preso in considerazione poi nel 1964 con il "Primer Plan Pastoral Nacional 1965-1970". Sempre in Brasile, Paulo Freire, un insegnante di Recife, nel Nordeste, sviluppò un nuovo metodo di alfabetizzazione mediante il processo di coscientizzazione del problema. I movimenti studenteschi e dei lavoratori dell'Azione cattolica vi aderirono, insieme con importanti intellettuali cattolici. Alcuni cristiani cominciarono a utilizzare concetti marxisti nelle loro analisi sociali. Alcuni teologi, come Richard Shaull, missionario presbiteriano, pose la questione se la rivoluzione potesse avere un significato teologico cominciando, insieme con altri giovani protestanti, a discutere questi temi con sacerdoti domenicani e intellettuali cattolici.
Una ispirazione per il movimento latinoamericano proveniva dalla situazione europea. In Francia, nel 1950, la pubblicazione del libro dell'abate Godin:Francia: terra di missione? (France, pays de mission?), sconvolge i pastori che si accorgono all'improvviso di guidare una Nazione ormai lontana dalla fede. Il cardinale di Parigi Emmanuel Suhard fonda la Missione di Francia, permettendo ad alcuni preti di lavorare nelle fabbriche per avvicinarsi al mondo operaio. Erano gli anni in cui la laica Madeleine Delbrêl viveva una straordinaria esperienza fra gli operai di Ivry, raccontata nel suo libro Città marxista terra di missione. Provocazione a un'esistenza per Dio (originale francese del 1957: "Ville marxiste terre de mission. Provocation du marxisme à une existence pour Dieu") e nei testi riportati nell'antologia postuma Noi delle strade (originale francese: "Nous autres, gens des rues - textes missionnaires"). Nasce quindi il movimento dei preti operai, che si estende nei principali paesi dell'Europa occidentale. Tra i più noti, il domenicano Jacques Loew, che lavorò come scaricatore di porto a Marsiglia, e il sacerdote Michel Favreau, che è morto in un incidente sul lavoro. In Italia, il primo e più noto dei preti "con la tuta blu" è Sirio Politi, che pubblica il suo diario di vita in fabbrica, dal titolo "Uno di loro".
L'esperienza dei preti operai fu presto accusata di essere pericolosa per l'integrità della fede e della testimonianza cristiana, i preti furono considerati troppo vicini al comunismo e denunciati in Vaticano per attività sovversiva. Nel 1954 Pio XII ordinò a tutti i preti operai di tornare alla loro precedente opera pastorale o di entrare in comunità religiose che fossero presenti a fianco dei lavoratori, ma all'esterno delle fabbriche. Molti furono coloro che abbandonarono il ministero, in rottura con la decisioni del Vaticano; soltanto dopo il Concilio Vaticano II, nel 1965, i preti operai furono riabilitati, e sono presenti, seppure in maniera ridotta, fino ad oggi.
Un'altra ispirazione alla Teologia della Liberazione latinoamericana fu la lotta per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti, condotta dal pastore battista Martin Luther King; più tardi, tale esperienza sarà all'origine della teologia della liberazione nera (Black Theology), sviluppata, tra gli altri, da James Cone.
Anche in Sudafrica si sviluppò una vigorosa teologia della liberazione nera nella lotta contro l'apartheid, in cui protagonista sarà, negli anni più recenti, il vescovo anglicano Desmond Tutu. Nel resto del continente tale teologia ha messo in discussione la conquista coloniale e lo schiavismo dei popoli locali, "pagani", operato dai popoli europei, "cristiani", denunciando la conseguente miseria di cui soffre tuttora la grande maggioranza dei paesi africani.
Sempre in ambito protestante va ricordato il contributo dello svizzero Leonhard Ragaz: la sua teologia, basata sul concetto del regno di Dio e sempre associata all'impegno politico, anticipava i principi della teologia della liberazione.
In Asia, la teologia minjung (in coreano, popolare) e la teologia contadina, esposta dal filippino Charles Avila, sono state messe in relazione con la Teologia della Liberazione latinoamericana.

Le tappe principali dello sviluppo della Teologia della Liberazione 

La tematica della liberazione affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II, da molti riconosciuto come inizio della riscoperta di una Chiesa popolare. In esso, dall'esperienza dei vescovi e dei teologi che avevano promosso la redazione della Gaudium et Spes, il cosiddetto "Schema XIII", si dibatte sullapovertà della Chiesa e sulla sua solidarietà con le situazioni di oppressione; esperienza che era propria delle Chiese del cosiddetto "Terzo Mondo", allora in pieno fermento sociale e politico. Traccia di questo dibattito si trova nel libro "I poveri, Gesù e la Chiesa" (originale francese: Les Pauvres, Jésus et l'Église), che il prete Paul Gauthier pubblica nel 1963; in America Latina, il testo ha un grande impatto, e lo stesso Gustavo Gutièrrez ne trova ispirazione per il suo "Teologia della Liberazione".
Nell'agosto del 1975, si tiene il congresso teologico del Messico, cui partecipano più di settecento specialisti, attorno al tema "Liberazione e cattività". Nel1976, il francescano brasiliano Leonardo Boff pubblica, dopo quell'incontro, il libro "Teologia della cattività e della liberazione" (originale portoghese: Teologia do Cativeiro e da Libertação).
Insieme alla discussione dei teologi, è l'intero episcopato ad assumersi il compito di essere al fianco delle lotte di liberazione del popolo. Dopo la conferenza di Medellín (1968), nel 1979, durante la III conferenza generale della CELAM, a Puebla, i vescovi definiscono il concetto di opzione preferenziale dei poveri.

La Santa Sede e la Teologia della Liberazione 

La reazione da parte della Santa Sede fu subito drastica: già in uno dei suoi primi viaggi apostolici in Messico, nel gennaio del 1979, papa Giovanni Paolo II dichiarò che la «concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della Chiesa.».[1]
Lo stesso papa sollecitò dalla Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger due studi sulla Teologia della Liberazione: Libertatis Nuntius (1984) e Libertatis Conscientia (1986). In entrambi, si considerava, in sostanza, che nonostante la vicinanza della Chiesa cattolica ai poveri, la tendenza della Teologia della Liberazione ad accettare postulati marxisti e di altre ideologie politiche non era compatibile con la dottrina sociale della Chiesa cattolica, specialmente nell'assunto in cui quella teologia sosteneva che la redenzione fosse ottenibile attraverso un compromesso con le esigenze di riscatto sociale dei poveri.[2][3]
Tali giudizi fortemente critici e la forte pressione dei settori conservatori della Chiesa, come l'Opus Dei, spinsero verso la negazione di un appoggio della Santa Sede richiesto da monsignor Oscar Romero, anche se poi lo stesso papa Giovanni Paolo II, ha riconosciuto che la Teologia della Liberazione ha avuto un ruolo «buono, utile e necessario» per la difesa dei poveri, in una lettera rivolta alla Conferenza Episcopale Brasiliana. (senza fonte) Egli stesso assume, nel suo magistero sociale, come nella Centesimus annus, la tematica della liberazione come compito della Chiesa del nostro tempo.[4]    (interpretazione restrittiva)
Inoltre, nel documento L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica nel 1993, l'approccio ermeneutico della TdL nella lettura delle Sacre Scritture (e, con esso, ogni approccio "contestuale", come quello femminista, ad esempio), viene riconosciuto importante per una comprensione più adeguata del Vangelo.[5]

La Teologia della Liberazione oggi 

La Teologia della Liberazione ha subito ripreso, pur fuori dalla Chiesa, la centralità della beatitudine dei poveri, proclamata nel Vangelo e nella tradizione ecclesiale, coniugandola con il processo di liberazione dalla povertà tramite la trasformazione sociale e politica. In seguito, nella Teologia della Liberazione sono stati gli stessi poveri a divenire protagonisti del proprio affrancamento dall'oppressione, sia nella pratica (la "teologia prima"), sia nella riflessione teorica (definita "teologia seconda", cioè conseguente alla prassi). Alla riflessione, si aggiunge la denuncia dell'economia di mercato e l'alienazione che il capitalismo causa a milioni di persone nel mondo.
Oggi, grazie soprattutto al contributo di Leonardo Boff e dei suoi numerosi libri come: "Ecologia, mondialità, mistica", o l'ultimo: "Spiritualità per un altro mondo possibile" la Teologia della Liberazione ha sviluppato un filone nuovo, scoprendo lo stretto legame cosmico e mistico di necessaria interdipendenza tra solidarietà che gli esseri umani sono chiamati ad avere tra loro e quella che devono avere con la natura, nell'aut aut tra homo sapiens e homo demens. Ossia come riscoperta dell'ambiente e di una rinnovata cura ecologica, e ha sposato le tesi e l'azione del movimento altermondialista (detto anche "no-global"), in cui alla contestazione del neoliberismo si aggiunge la promozione della pace fondata sulla giustizia e la richiesta di una partecipazione democratica efficace da parte dei movimenti di base.
In ambito extraecclesiale - a seguito degli scontri più forti tra la gerarchia della Chiesa e il movimento della Teologia della Liberazione - si è giunti a sposare le tesi della teologia radicale e politica, europea e statunitense, unendosi quindi nella richiesta di una reale partecipazione dei laici e delle donne alla vita e alla guida della Chiesa, al decentramento del potere ecclesiale e all'inculturazione del Vangelo nelle Chiese e nelle tradizioni locali, al macroecumenismo (condivisione di riflessione e impegno allargata, cioè, alle grandi religioni mondiali), al pluralismo nelle questioni riguardanti la salvezza, in cui il ruolo di Gesù Cristo, pur non marginalizzato, non risulti più esclusivo delle altre esperienze religiose umane.
Il 13 ottobre 2006 Benedetto XVI ha promulgato una Notificazione (pubblicata il 14 marzo 2007), che condanna come "erronee e pericolose" alcune tesi espresse dal teologo della liberazione Jon Sobrino, gesuita basco emigrato ad El Salvador, nei suoi due libri Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, del 1991, e La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas, del 1999, che hanno avuto grande diffusione in America Latina e non solo. Una delle accuse principali è di aver eletto i poveri a "luogo teologico fondamentale" – cioè a principale fonte di conoscenza –, al posto della "fede apostolica trasmessa attraverso la Chiesa a tutte le generazioni".[6]

Elementi centrali della Teologia della Liberazione

Fra le tesi di questa teologia vi sono:
1.   La liberazione è conseguenza della presa di coscienza della realtà socioeconomica latinoamericana.
2.   La situazione attuale della maggioranza dei latinoamericani contraddice il disegno divino e la povertà è un peccato sociale.
3.   La salvezza cristiana include una "liberazione integrale" dell'uomo e raggruppa per questo anche la liberazione economica, politica, sociale e ideologica, come visibili segni della dignità umana.
4.   Non vi sono solo peccatori, ma anche persecutori che opprimono e vittime del peccato che richiedono giustizia.
Fra gli impegni teorici e operativi che conseguono dalle tesi vi sono:
1.   Costante riflessione dell'uomo su se stesso per renderlo creativo a suo vantaggio e a quello della società in cui vive.
2.   Prendere coscienza della forte disuguaglianza sociale tra società opulente e popoli votati alla miseria, ponendosi al fianco dei poveri, che sono le membra sofferenti del corpo crocifisso di Cristo, senza avallare perciò tesi che si avvicinino ad un cristianesimo classista e rivoluzionario. La rivoluzione del vangelo è l'amore, non la lotta. La giustizia sociale è sorella della carità.
3.   Rivendicare la democrazia approfondendo la presa di coscienza delle popolazioni riguardo ai loro veri nemici, per trasformare l'attuale sistema sociale ed economico.
4.   Eliminare la povertà, la mancanza di opportunità e le ingiustizie sociali, garantendo l'accesso all'istruzione, alla sanità, ecc.
5.   Creare un uomo nuovo, come condizione indispensabile per assicurare il successo delle trasformazioni sociali. L'uomo solidale e creativo deve essere il motore dell'attività umana in contrapposizione alla mentalità capitalista della speculazione e della logica del profitto.
6.   Libera accettazione della dottrina evangelica, ossia procurare innanzi tutto condizioni di vita dignitose e poi, se la persona lo vuole, perseguire l'attività pastorale, diversamente da prima, in cui finché le missioni cristiane sfamavano le persone, allora queste si dichiaravano cristiane.

Principali rappresentanti della Teologia della Liberazione 

Teologi 

§  Marcella Althaus-Reid, argentina
§  Jean-Bertrand Aristide, haitiano
§  Hugo Assmann, brasiliano
§  Rafael Avila, colombiano
§  Marcelo Barros, brasiliano
§  Frei Betto (Carlos Alberto Libanio Christo), brasiliano
§  Alan Boesak, sudafricano
§  Clodovis Boff, brasiliano
§  Leonardo Boff, brasiliano
§  Jose Míguez Bonino, argentino
§  Ernesto Cardenal, nicaraguense
§  Giulio Girardi, italiano
§  José Severino Croatto, argentino
§  Ignacio Ellacuría, spagnolo (ucciso nel 1989 in El Salvador)
§  Gustavo Gutiérrez Merino, peruviano
§  Paul Gauthier, francese (morto nel 2002)
§  Erwin Kräutler, brasiliano
§  Alberto Methol Ferre, uruguaiano
§  José Porfirio Miranda, messicano
§  Jorge V. Pixley, nicaraguense
§  Pablo Richard, cileno
§  Juan Luis Segundo, uruguaiano
§  Richard Shaull, statunitense
§  Jon Sobrino, salvadoregno
§  Juan Jose Tamayo, spagnolo
§  Elsa Tamez, messicana
§  Camilo Torres Restrepo, colombiano (ucciso nel 1966)
§  Gerardo Valencia Cano, colombiano

Vescovi 

§  Paulo Evaristo Arns O.F.M., cardinale, arcivescovo emerito di São Paulo, brasiliano
§  Tomàs Balduino O.P., vescovo emerito di Goiàs, brasiliano
§  Pedro Casaldáliga C.M.F., vescovo-prelato emerito di São Felix do Araguaia, spagnolo
§  Hélder Pessoa Câmara, arcivescovo di Recife, brasiliano (morto nel 1999)
§  Antônio Batista Fragoso, vescovo emerito di Crateùs, Cearà (morto nel 2006), brasiliano
§  Óscar Romero, arcivescovo di San Salvador, salvadoregno (ucciso nel 1980)
§  Samuel Ruiz Garcia, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas messicano (morto nel 2011)
§  Fernando Lugo, vescovo emerito di San Pedro Apóstol, attuale presidente del Paraguay
§  Leonidas Proaño, vescovo di Riobamba, morto nel 1988, ecuadoriano

Preti 

§  Héctor Gallego sacerdote di Santa Fe de Veraguas di Panama, colombiano (ucciso a Panama nel 1971)

Note 

Bibliografia 

§  Gustavo Gutiérrez, Teologia della liberazione. Prospettive, Queriniana, Brescia 1972, 19925.
§  Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, Queriniana, Brescia 1981.
§  Gustavo Gutiérrez, Bere al proprio pozzo. L'itinerario spirituale di un popolo, Queriniana, Brescia 1984, 19893.
§  Dussel, Enrique, Caminos de liberación Latinoamericana, Buenos Aires 1972 (testo completo in spagnolo).
§  Dussel, Enrique, Teoría de la liberación y ética. Caminos de liberación Latinoamericana II, Buenos Aires 1972 (testo completo in spagnolo).
§  Paolo Andreoli, Note per una teologia della liberazione, Movimento laici per l'America Latina, Roma 1975.
§  Mario Cuminetti, La teologia della liberazione in America Latina, Edizioni Borla, Bologna 1975.
§  Leonardo Boff, Teologia della cattività e della liberazione, Queriniana, Brescia 1977.
§  Pablo E. Bonavia Rodriguez, La prassi nella teologia della liberazione, ASAL, Roma 1977.
§  Stefano Fontana, Il problema metafisico nella teologia della liberazione, Tip. Antoniana, Padova 1977.
§  Segundo Galilea, La teologia della liberazione dopo Puebla, Queriniana, Brescia 1979.
§  Federico Mandillo, Wojtyla in America latina. In sette giorni un'enciclica. Diritti umani, ipoteca sociale sulla proprietà, teologia della liberazione, terra ai contadini, Apes, Roma 1979.
§  Jose Ramos Regidor, Gesù e il risveglio degli oppressi. La sfida della teologia della liberazione, A. Mondadori, Milano 1981.
§  Eugenio Bernardini, Comunicare la fede nell'America oppressa. Storia e metodo della Teologia della Liberazione, Claudiana, Torino 1982.
§  Congregazione per la dottrina della fede, Libertatis nuntius. Istruzione su alcuni aspetti della Teologia della liberazione, Tipografia poliglotta vaticana, Città del Vaticano 1984 (Testo integrale).
§  Giuseppe Silvestre, Alle sorgenti della teologia della liberazione, Graficalabra, Vibo Valentia 1984.
§  Sandro Spinelli, La grande sete. Teologia della liberazione nella quotidianità, Bine, Cernusco sul Naviglio 1984.
§  Sacra Congregazione per la dottrina della fede, Teologia della liberazione, Istruzione Libertatis nuntius con i commenti di Pierre Bigo et alii, presentazione del card. Joseph Ratzinger, Logos, Roma 1985.
§  Associazione medici cattolici italiani, Umanizzazione della medicina e teologia della liberazione, A.M.C.I., Catania 1985.
§  Ubaldo Gervasoni, Mille voci e una lacrima. Diario di viaggio in Bolivia e Perù con documentazioni su: cocaina, guerriglia, teologia della liberazione, Qualevita, Torre dei Nolfi 1985.
§  Giuseppe Montalbano, Critica alla dialettica marxiana ed alla teologia della liberazione, Romano, Palermo 1985.
§  Leonardo Boff, Clodovis Boff, Come fare teologia della liberazione, Cittadella, Assisi 1986.
§  Rosino Gibellini, Il dibattito sulla teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1986, 19902.
§  Convegno europeo delle comunità di base, Teologie della liberazione in dialogo. II Convegno europeo delle comunità di base. La riflessione delle CdB a confronto con la teologia della liberazione e la teologia europea, Tempi di fraternita, Torino 1986.
§  Leonardo Boff, Il sentiero dei semplici. Francesco d'Assisi e la teologia della liberazione, Editori riuniti, Roma 1987.
§  Phillip Berryman, Liberation Theology. The Essential Facts About the Revolutionary Movement in Latin America and Beyond, Pantheon Books, New York 1987 (testo completo trad. spagnola: Teología de la liberación, México, 1989).
§  Giulio Girardi, Jose Maria Vigil, Il popolo prende la parola. Il Nicaragua per la teologia della liberazione, Borla, Roma 1990.
§  Victor Codina, Cos'è la teologia della liberazione, La piccola editrice, Celleno 1990.
§  Alfredo Vitiello, Marxismo e teologia della liberazione. Sottosviluppo, sfruttamento, pauperismo e rivoluzione in America Latina, M. D'Auria, Napoli 1990.
§  Clodovis Boff, La via della comunione dei beni. La Regola di sant'Agostino commentata nella prospettiva della teologia della liberazione, Cittadella, Assisi 1991.
§  Rene Marle, Introduzione alla teologia della liberazione, Morcelliana, Brescia 1991.
§  Ignacio Ellacuria, Jon Sobrino, Mysterium liberationis. I concetti fondamentali della teologia della liberazione, Borla, Roma 1992.
§  Leonardo Boff, La teologia, la Chiesa. I poveri. Una proposta di liberazione, Einaudi, Torino 1992.
§  Giulio Girardi, Il tempio condanna il Vangelo. Il conflitto sulla teologia della liberazione fra il Vaticano e la CLAR, Cultura della pace, San Domenico, Fiesole 1993.
§  Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore. Letture storico-teologica di Gesù di Nazaret, Cittadella, Assisi 1995.
§  Ernesto Gringiani, Utopia o fallimento della dottrina sociale della Chiesa? Dalla "Rerum novarum" alla teologia della liberazione. Contributo critico al pensiero sociale della Chiesa, Gianluigi Arcari, Mantova 1996.
§  José Ramos Regidor, La teologia della liberazione, Datanews, Roma 1996, 2004.
§  Giuseppe Silvestre, La teologia della liberazione. Storia, problemi, conflitti prospettive e speranze, Progetto 2000, Cosenza 1996.
§  Lucia Ceci, Per una storia della teologia della liberazione in America Latina, in «Rivista di Storia e Letteratura religiosa», 1997, 2, pp. 105–143.
§  Rosario Giue, Osare la speranza. La teologia della liberazione dell'America Latina al Sud d'Italia, La Zisa, Palermo 1997.
§  Leonardo Boff, Clodovis Boff, Jose Ramos Regidor, La Chiesa dei poveri. Teologia della liberazione e diritti dell'uomo, Datanews, Roma 1999.
§  Lucia Ceci, La teologia della liberazione in America Latina. L'opera di Gustavo Gutierrez, F. Angeli, Milano 1999.
§  Lucia Ceci, Liberazione e teologia (1973-1992), in Storia ed esperienza religiosa, a cura di A. Botti, QuattroVenti, Urbino 2005.
§  Lucia Ceci, Chiesa e liberazione in America Latina (1968-1972), in L'America Latina fra Pio XII e Paolo VI, a cura di A. Melloni e S. Scatena, Il Mulino, Bologna 2006;
§  Gabriele Tomei, Alla sinistra del Padre. Teologia e sociologia della liberazione in America Latina, F. Angeli, Milano 2004.
§  Vittorio Falsina, Un nuovo ordine mondiale. Insegnamento sociale della chiesa e teologia della liberazione, EMI, Bologna 2006.
§  Silvia Scatena, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma 2008.

Voci correlate 

Altri progetti [modifica]

§  Descrizione: Collabora a Commons Commons contiene file multimediali su Teologia della liberazione

Collegamenti esterni 

§  Istruzione Libertatis Nuntius su alcuni aspetti della teologia della liberazione Documento della Congregazione per la Dottrina della Fede
§  Istruzione Libertatis Conscientia su la libertà cristiana e la liberazione Documento della Congregazione per la Dottrina della Fede
§  (EN) Liberation Theology Resources Online - articoli, organizzazioni, biografie e link
Descrizione: Cattolicesimo Portale Cattolicesimo: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Cattolicesimo

S. Congregazione per la Dottrina della Fede,LIBERTATIS NUNTIUS. Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della Liberazione", del 6 agosto 1984
INTRODUZIONE
Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione. Questa verità essenziale è stata oggetto, negli ultimi anni, di riflessione da parte dei teologi, con rinnovata attenzione ricca in se stessa di promesse.
La liberazione è innanzi tutto e principalmente liberazione dalla schiavitù radicale del peccato. Il suo scopo e il suo punto d’arrivo è la libertà dei figli di Dio, dono della grazia. Essa comporta, di logica conseguenza, la liberazione dalle molteplici schiavitù di ordine culturale, economico, sociale e politico, che in definitiva derivano tutte dal peccato, e costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono agli uomini di vivere in conformità alla loro dignità. Quindi per una riflessione teologica sulla liberazione occorre, come condizione indispensabile, discernere chiaramente ciò che è fondamentale da ciò che appartiene alle conseguenze.
In realtà, di fronte all’urgenza dei problemi, alcuni sono tentati di porre l’accento in maniera unilaterale sulla liberazione dalle schiavitù di ordine terrestre e temporale, per cui sembrano far passare in secondo piano la liberazione dal peccato, e così non attribuirle più, praticamente, l’importanza primaria che invece ha. Ne consegue una presentazione confusa e ambigua dei problemi. Altri, nell’intenzione di formarsi una conoscenza più esatta delle cause delle schiavitù che vogliono eliminare, si servono senza sufficiente precauzione critica, di strumenti di pensiero che è difficile, per non dire impossibile, purificare da un’ispirazione ideologica incompatibile con la fede cristiana e con le esigenze etiche che ne derivano.
Questa Congregazione per la Dottrina della Fede non intende qui affrontare nella sua completezza il vasto tema della libertà cristiana e della liberazione. Essa si ripropone di farlo in un documento successivo che ne metterà in evidenza, in maniera positiva, tutte le ricchezze sotto l’aspetto sia dottrinale che pratico.
La presente Istruzione ha uno scopo più preciso e limitato: essa intende attirare l’attenzione dei pastori, dei teologi e di tutti i fedeli, sulle deviazioni e sui rischi di deviazioni, pericolosi per la fede e per la vita cristiana, insiti in certe forme della teologia della liberazione, che ricorrono in maniera non sufficientemente critica a concetti mutuati da diverse correnti del pensiero marxista.
Questo richiamo non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito evangelico alla "opzione preferenziale per i poveri". Essa non dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dell’ingiustizia. Al contrario, essa è dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri. Più che mai, è necessario che numerosi cristiani, di fede illuminata e risoluti a vivere la vita cristiana nella sua integralità, s'impegnino nella lotta per la giustizia, la libertà e la dignità dell'uomo, per amore verso i loro fratelli diseredati, oppressi o perseguitati. Più che mai la Chiesa intende condannare gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si riscontrino e chiunque ne siano gli autori, e lottare, con i mezzi che le sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo, specialmente nella persona dei poveri.

I. Un’aspirazione
1. La forte, quasi irresistibile aspirazione dei popoli a una liberazione costituisce uno dei principali segni dei tempi che la Chiesa deve scrutare e interpretare alla luce del Vangelo. (1) Questo fenomeno rilevante del nostro tempo ha una dimensione universale, ma si manifesta sotto forme e gradi diversi a seconda dei popoli. È soprattutto tra i popoli che sperimentano il peso della miseria e in seno ai ceti diseredati che tale aspirazione si esprime con forza.
2. Tale aspirazione esprime la percezione autentica, per quanto oscura, della dignità dell’uomo, creato "ad immagine e somiglianza di Dio" (Gn 1, 26-27), schernita e disprezzata da molteplici forme di oppressione culturali, politiche, razziali, sociali ed economiche, spesso conglobate.
3. Annunciando la loro vocazione di figli di Dio, il Vangelo ha suscitato nel cuore degli uomini l’esigenza e la volontà positiva di una vita fraterna, giusta e pacifica, nella quale ciascuno troverà il rispetto e le condizioni del proprio sviluppo spirituale e materiale. Tale esigenza è indubbiamente alla sorgente dell’aspirazione suddetta.
4. Di conseguenza l’uomo non intende più subire passivamente il peso schiacciante della miseria con le sue conseguenze di morte, di malattie e di decadimento. Egli avverte questa miseria come un’intollerabile violazione della propria dignità originaria. Diversi fattori, tra i quali occorre annoverare il lievito evangelico, hanno contribuito al risveglio della coscienza degli oppressi.
5. Nessuno più ignora, neppure tra i ceti ancora analfabeti della popolazione, che, grazie al prodigioso sviluppo della scienza e della tecnica, l’umanità pur in costante crescita demografica sarebbe in grado di assicurare a ciascun essere umano quel minimo di beni richiesti dalla sua dignità di persona.
6. Lo scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri - si tratti di disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri oppure di disuguaglianze tra ceti sociali nell’ambito dello stesso territorio nazionale - non è più tollerato. Da una parte si è conseguita un’abbondanza, mai vista finora, che favorisce lo sperpero, dall’altra si vive ancora in uno stato di indigenza contrassegnato dalla privazione dei beni di stretta necessità, cosicché non si può più contare il numero delle vittime della denutrizione.
7. La mancanza di equità e di senso di solidarietà negli scambi internazionali torna a vantaggio dei paesi industrializzati; in tal modo la differenza tra ricchi e poveri non cessa di acuirsi. Ne conseguono il sentimento di frustrazione, nei popoli del terzo mondo, e l’accusa di sfruttamento e di colonialismo economico mossa ai paesi industrializzati.
8. Il ricordo dei misfatti di un certo colonialismo e delle sue conseguenze genera spesso ferite e traumi.
9. La Santa Sede, sulla linea del Concilio Vaticano II, come pure le Conferenze Episcopali non hanno mai cessato di denunciare lo scandalo costituito dalla gigantesca corsa agli armamenti che, a parte le minacce che ne derivano per la pace, accaparra somme ingenti, di cui una sola parte sarebbe sufficiente per rispondere alle necessità più urgenti delle popolazioni sprovviste del necessario.

II. Espressioni di questa aspirazione
1. L’aspirazione alla giustizia e al riconoscimento effettivo della dignità di ciascun essere umano richiede, come ogni aspirazione profonda, di essere chiarita e guidata.
2. In effetti, è necessario usare discernimento nei confronti delle espressioni, teoriche e pratiche, di questa aspirazione. Sono molti, infatti, i movimenti politici e sociali che si presentano come porta-parola autentici dell’aspirazione dei poveri, e come abilitati, perfino mediante il ricorso ai mezzi violenti, ad operare quei cambiamenti radicali che porranno fine all’oppressione e alla miseria del popolo.
3. Spesso l'aspirazione alla giustizia si trova influenzata da ideologie che ne occultano e ne pervertono il significato, proponendo alla lotta dei popoli per la loro liberazione dei fini che sono opposti alla vera finalità della vita umana, ed esaltando vie di azione che, in quanto implicano il ricorso sistematico alla violenza, sono contrarie ad un'etica rispettosa delle persone.
4. L'interpretazione dei segni dei tempi alla luce del Vangelo esige, dunque, che si approfondisca il significato dell'aspirazione dei popoli alla giustizia, ma anche che si esaminino, con discernimento critico, le espressioni, teoriche e pratiche, che sono date a tale aspirazione.

III. La liberazione: tema cristiano
1. Considerata in se stessa, l’aspirazione alla liberazione non può non trovare una vasta e fraterna eco nel cuore e nello spirito dei cristiani.
2. Per questo, in consonanza con tale aspirazione è nato il movimento teologico e pastorale conosciuto sotto il nome di "teologia della liberazione", dapprima nei paesi dell’America Latina, contrassegnati dall’eredità religiosa e culturale del cristianesimo, e poi in altre regioni del terzo mondo, come pure in certi ambienti dei paesi industrializzati.
3. L’espressione "teologia della liberazione" designa innanzi tutto una preoccupazione privilegiata, generatrice di impegno per la giustizia, rivolta ai poveri e alle vittime dell’oppressione. Partendo da questo approccio, si possono distinguere parecchie maniere, spesso inconciliabili, di concepire il significato cristiano della povertà e il tipo d’impegno per la giustizia che esso comporta. Come ogni movimento di idee, le "teologie della liberazione" presentano posizioni teologiche diverse; le loro frontiere dottrinali non sono ben definite.
4. L’aspirazione alla liberazione, come suggerisce il termine stesso, si ricollega ad un tema fondamentale dell’Antico e del Nuovo Testamento. Così pure, presa in se stessa, l’espressione "teologia della liberazione" è un’espressione pienamente valida: essa designa una riflessione teologica incentrata sul tema biblico della liberazione e della libertà e sull’urgenza delle sue applicazioni pratiche. La confluenza dell’aspirazione alla liberazione e delle teologie della liberazione non è dunque fortuita. Il significato di questa confluenza non può essere rettamente compreso se non alla luce della specificità del messaggio della Rivelazione, interpretato autenticamente dal Magistero della Chiesa (2).

IV. Fondamenti biblici
1. Una teologia della liberazione correttamente intesa costituisce, quindi, un invito ai teologi ad approfondire certi temi biblici essenziali, con la sollecitudine richiesta dai gravi e urgenti problemi posti alla Chiesa dall’aspirazione contemporanea alla liberazione e dai movimenti di liberazione che ad essa fanno eco, più o meno fedelmente. Non è possibile dimenticare le situazioni drammatiche, dalle quali sgorga l’appello lanciato in questo senso ai teologi.
2. L’esperienza radicale della libertà cristiana (3) costituisce qui il primo punto di riferimento. Il Cristo, nostro Liberatore, ci ha liberati dal peccato, e dalla schiavitù della legge e della carne, che è il contrassegno della condizione dell’uomo peccatore. È dunque la nuova vita di grazia, frutto della giustificazione, che ci costituisce liberi. Ciò significa che la schiavitù più radicale è la schiavitù del peccato. Le altre forme di schiavitù trovano dunque la loro ultima radice nella schiavitù del peccato. Per questo la libertà nel senso cristiano più pieno, in quanto caratterizzata dalla vita nello Spirito, non deve mai essere confusa con la licenza di cedere ai desideri della carne. Essa è, infatti, vita nuova nella carità.
3. Le "teologie della liberazione" fanno largo uso del racconto dell’Esodo. Questo costituisce, in effetti, l’evento fondamentale nella formazione del popolo eletto. Esso è la liberazione dalla dominazione straniera e dalla schiavitù. Si dovrà sottolineare come il significato specifico dell’evento gli deriva dalla sua finalità, poiché questa liberazione è ordinata alla fondazione del popolo di Dio e al culto dell’Alleanza celebrato sul Monte Sinai. (4) Per questo la liberazione dell’Esodo non può essere ridotta ad una liberazione di natura principalmente ed esclusivamente politica. D’altronde è significativo che il termine di liberazione sia talvolta sostituito nella Scrittura con quello, molto vicino, diredenzione.
4. L’episodio fondante dell’Esodo non sarà mai cancellato dalla memoria di Israele. Ad esso ci si rifà quando, dopo la rovina di Gerusalemme e l’esilio di Babilonia, si vive nella speranza di una nuova liberazione e, al di là di essa, nell’attesa di una liberazione definitiva. In questa esperienza Dio è riconosciuto come il Liberatore. Egli stringerà con il suo popolo una Nuova Alleanza, caratterizzata dal dono del suo Spirito e dalla conversione dei cuori. (5)
5. Le angosce e le molteplici tristezze sperimentate dall’uomo fedele al Dio dell’Alleanza costituiscono il tema di parecchi salmi: lamenti, invocazioni di aiuto, azioni di grazia fanno menzione della salvezza religiosa e della liberazione. In questo contesto, l’angoscia non è puramente e semplicemente identificata con una condizione sociale di miseria o con quella di colui che subisce l’oppressione politica. Essa comprende anche l’ostilità dei nemici, l’ingiustizia, la morte, la colpa. I salmi ci rimandano ad un’esperienza religiosa essenziale: solo da Dio ci si può aspettare la salvezza e l’aiuto. Dio, e non l’uomo, ha il potere di cambiare le situazioni di angoscia. Perciò i "poveri del Signore" vivono in una dipendenza totale e fiduciosa nella provvidenza amorosa di Dio. (6) E d’altra parte, durante tutto il cammino nel deserto, il Signore non ha cessato di provvedere alla liberazione e alla purificazione spirituale del suo popolo.
6. Nell’Antico Testamento, i profeti, dopo Amos, non cessano di richiamare, con singolare vigore, le esigenze della giustizia e della solidarietà e di esprimere un giudizio estremamente severo nei confronti dei ricchi che opprimono il povero. Essi prendono le difese della vedova e dell’orfano. Proferiscono minacce contro i potenti: l’accumularsi delle iniquità conduce necessariamente a terribili castighi. La fedeltà all’Alleanza non è concepibile senza la pratica della giustizia. La giustizia verso Dio e la giustizia verso gli uomini sono inseparabili. Dio è il difensore e il liberatore del povero.
7. Tali esigenze si ritrovano anche nel Nuovo Testamento. Esse vi sono anzi radicalizzate, come dimostra il discorso delle Beatitudini. La conversione e il rinnovamento devono operarsi nell’intimo del cuore.
8. Già annunziato nell’Antico Testamento, il comandamento dell’amore fraterno, esteso a tutti gli uomini, costituisce così la norma suprema della vita sociale. (7) Non vi sono discriminazioni o limiti che possano opporsi al riconoscimento di ogni uomo come il prossimo. (8)
9. La povertà per il Regno è magnificata. E nella figura del Povero, noi siamo portati a riconoscere l’immagine e come la presenza misteriosa del Figlio di Dio che si è fatto povero per amore nostro. (9) Questo è il fondamento delle parole inestinguibili di Gesù sul Giudizio in Mt 25, 31-46. Nostro Signore è solidale con ogni infelicità; ogni angoscia è segnata dalla sua presenza.
10. Allo stesso tempo, le esigenze della giustizia e della misericordia, già enunciate nell’Antico Testamento, sono approfondite al punto da rivestire, nel Nuovo Testamento, un nuovo significato. Coloro che soffrono o sono perseguitati vengono identificati col Cristo. (10) La perfezione che Gesù chiede ai suoi discepoli (Mt 5, 18) consiste nel dovere di essere misericordiosi "come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6, 36).
11. I ricchi sono severamente richiamati al loro dovere proprio alla luce della vocazione cristiana all’amore fraterno e alla misericordia. (11) Di fronte ai disordini della Chiesa di Corinto, S. Paolo sottolinea con forza il legame esistente tra la partecipazione al sacramento dell’amore e la condivisione con il fratello che si trova in necessità. (12)
12. La Rivelazione del Nuovo Testamento ci insegna che il peccato è il male più profondo, che lede l’uomo nell’intimo della sua personalità. La prima liberazione, alla quale tutte le altre devono riferirsi, è quella dal peccato.
13. Indubbiamente è proprio per sottolineare il carattere radicale della liberazione operata dal Cristo e offerta a tutti gli uomini - siano essi politicamente liberi o schiavi - che il Nuovo Testamento non esige innanzi tutto, come presupposto per l’accesso a questa libertà, un cambiamento di condizione politica e sociale. Tuttavia, la Lettera a Filemone dimostra che la nuova libertà, apportata dalla grazia di Cristo, deve avere necessariamente delle ripercussioni sul piano sociale.
14. Di conseguenza non si può restringere il campo del peccato, il cui primo effetto è quello di introdurre il disordine nella relazione tra l’uomo e Dio, al cosiddetto "peccato sociale". In realtà solo una retta dottrina sul peccato permette d’insistere sulla gravità dei suoi effetti sociali.
15. Neppure è possibile localizzare il male principalmente e unicamente nelle cattive "strutture" economiche, sociali o politiche, come se tutti gli altri mali trovassero in esse la loro causa, sicché la creazione di un "uomo nuovo" dipenderebbe dall’instaurazione di diverse strutture economiche e socio-politiche. Certamente esistono strutture ingiuste e generatrici di ingiustizia, che occorre avere il coraggio di cambiare. Frutto dell’azione dell’uomo, le strutture, buone o cattive, sono delle conseguenze prima di essere delle cause. La radice del male risiede dunque nelle persone libere e responsabili, che devono essere convertite dalla grazia di Gesù Cristo, per vivere e agire come creature nuove, nell’amore del prossimo, nella ricerca efficace della giustizia, nella padronanza di se stesse e nell’esercizio delle virtù. (13)
Ponendo come primo imperativo la rivoluzione radicale dei rapporti sociali e criticando, per questo, la ricerca della perfezione personale, ci si mette sulla via della negazione del significato della persona e della sua trascendenza, e si distrugge l’etica e il suo fondamento che è il carattere assoluto della distinzione tra il bene e il male. Per altro, poiché la carità è il principio della perfezione autentica, questa non può essere concepita senza l’apertura agli altri e senza lo spirito di servizio.

V. La voce del Magistero
1. A più riprese, per rispondere alla sfida lanciata alla nostra epoca dall’oppressione e dalla fame, il Magistero della Chiesa, desideroso di promuovere il risveglio delle coscienze cristiane al senso della giustizia, della responsabilità sociale e della solidarietà verso i poveri e gli oppressi, ha richiamato l’attualità e l’urgenza della dottrina e degli imperativi contenuti nella Rivelazione.
2. Limitiamoci qui a ricordare solo alcuni di questi interventi: gli atti pontifici più recenti, quali la Mater et Magistra e la Pacem in terris, la Populorum progressio e la Evangelii nuntiandi. Ricordiamo inoltre la lettera al Cardinal Roy, Octogesima adveniens.
3. Il Concilio Vaticano II, a sua volta, ha affrontato le questioni della giustizia e della libertà nella costituzione pastorale Gaudium et spes.
4. Il Santo Padre ha insistito più volte su questi temi, soprattutto nelle encicliche Redemptor hominis,Dives in misericordia e Laborem exercens. I numerosi interventi nei quali è richiamata la dottrina dei diritti dell’uomo toccano direttamente i problemi della liberazione della persona umana in riferimento ai diversi tipi di oppressione di cui essa è vittima. A questo proposito si deve menzionare specialmente il Discorso pronunciato davanti alla 36ª Assemblea generale dell’ONU, il 2 ottobre 1979. (14) Il 28 gennaio dello stesso anno, Giovanni Paolo II, aprendo la 3ª Conferenza del CELAM a Puebla, aveva ricordato che la verità completa sull’uomo è la base della vera liberazione. (15) Questo testo costituisce un documento di riferimento esplicito per la teologia della liberazione.
5. Per due volte, nel 1971 e nel 1974, il Sinodo dei Vescovi ha affrontato dei temi che toccano direttamente la concezione cristiana della liberazione: quello della giustizia nel mondo e quello del rapporto tra la liberazione dalle oppressioni e la liberazione integrale o la salvezza dell’uomo. I lavori dei Sinodi del 1971 e dei 1974 hanno consentito a Paolo VI di precisare nell’esortazione apostolicaEvangelii nuntiandi i legami tra l’evangelizzazione e la liberazione o promozione umana. (16)
6. La preoccupazione della Chiesa per la liberazione e la promozione umana si è espressa inoltre nella costituzione della Commissione Pontificia Iustitia et Pax.
7. Anche numerosi episcopati, in accordo con la Santa Sede, hanno richiamato l’urgenza e le vie verso un’autentica liberazione umana. In questo contesto, è opportuno fare una menzione speciale dei documenti delle Conferenze generali dell’episcopato latino-americano a Medellin nel 1968 e a Puebla nel 1979. Paolo VI era presente all’apertura di Medellin, Giovanni Paolo II a quella di Puebla. Sia l’uno che l’altro vi hanno affrontato il tema della conversione e della liberazione.
8. Sulla linea di Paolo VI, che insisteva sulla specificità del messaggio evangelico, (17) specificità che deriva dalla sua origine divina, Giovanni Paolo II, nel discorso a Puebla ha ricordato quali sono i tre pilastri sui quali deve poggiare ogni autentica teologia della liberazione: verità su Gesù Cristo, verità sulla Chiesa, verità sull’uomo. (18)

VI. Una nuova interpretazione del cristianesimo
1. Non si può dimenticare la mole immensa di attività disinteressata svolta dai cristiani, pastori, sacerdoti, religiosi o laici, i quali, spinti dall’amore verso i fratelli che vivono in condizioni disumane, si sforzano di portare aiuto e sollievo alle innumerevoli indigenze frutto della miseria. Alcuni di essi si preoccupano di trovare dei mezzi efficaci che permettano di porre fine al più presto ad una situazione intollerabile.
2. Lo zelo e la compassione che devono abitare nel cuore di tutti i pastori rischiano, tuttavia, di essere fuorviati e rivolti verso iniziative altrettanto rovinose per l’uomo e la sua dignità, quanto la miseria che si combatte, se non si è sufficientemente attenti di fronte a certe tentazioni.
3. Infatti il sentimento angoscioso dell’urgenza dei problemi non deve far perdere di vista ciò che è essenziale, né far dimenticare la risposta di Gesù al Tentatore (Mt 4, 4): "Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (cf. Dt8, 3). Così alcuni, di fronte all’urgenza di condividere il pane, sono tentati di dimenticare e rinviare al domani l’evangelizzazione: prima il pane, e poi la Parola. È un errore fondamentale separare, anzi contrapporre le due cose. D’altra parte, il senso cristiano suggerisce spontaneamente a molti di fare l’una e l’altra. (19)
4. Ad alcuni sembra addirittura che la lotta necessaria per la giustizia e la libertà dell’uomo, intese nel loro senso economico e politico, costituisca l’aspetto essenziale ed esclusivo della salvezza. Per essi il Vangelo si riduce ad un vangelo puramente terrestre.
5. Le diverse teologie della liberazione si diversificano appunto, da una parte in base all’opzione preferenziale per i poveri riaffermata con forza e senza ambiguità, dopo Medellin, alla Conferenza di Puebla (20) e dall’altra parte in base alla tentazione di ridurre il Vangelo della salvezza ad un vangelo terrestre.
6. Ricordiamo tuttavia che l’opzione preferenziale definita a Puebla è duplice: per i poveri e per i giovani. (21) È significativo che in generale l’opzione per la gioventù sia completamente passata sotto silenzio.
7. Abbiamo detto sopra (cf. IV, 3) che esiste un’autentica "teologia della liberazione", quella che è radicata nella Parola di Dio, debitamente interpretata.
8. Ma da un punto di vista descrittivo conviene parlare di teologie della liberazione, poiché l’espressione si applica a posizioni teologiche, e talvolta perfino ideologiche, non solo diverse, ma spesso anche incompatibili tra di loro.
9. Nel presente documento si tratterà soltanto di quelle espressioni di questa corrente di pensiero che, sotto il nome di "teologia della liberazione", propongono un’interpretazione innovatrice del contenuto della fede e dell’esistenza cristiana, che si discosta gravemente dalla fede della Chiesa, anzi, ne costituisce la negazione pratica.
10. Alla base della nuova interpretazione, che finisce per corrompere ciò che aveva di autentico l’iniziale impegno per i poveri, sta l’assunzione non critica di elementi dell’ideologia marxista e il ricorso alle tesi di un’ermeneutica biblica viziata di razionalismo.

VII. L’analisi marxista
1. L’impazienza e la volontà di essere efficaci hanno condotto alcuni cristiani, sfiduciati nei confronti di ogni altro metodo, a rivolgersi a quella che essi chiamano "l’analisi marxista".
2. Il loro ragionamento è il seguente: una situazione intollerabile ed esplosiva esige un’azione efficace che non può più attendere. Ma tale azione efficace presuppone un’analisi scientifica delle cause strutturali della miseria. Ora il marxismo ha elaborato gli strumenti per una simile analisi. Basta dunque applicarli alla situazione del terzo mondo, e specialmente a quella dell’America Latina.
3. Che la conoscenza scientifica della situazione e delle possibili vie di trasformazione sociale sia il presupposto di un’azione capace di raggiungere gli scopi prefissi, è evidente. Si ha qui un segno della serietà dell’impegno.
4. Ma il termine "scientifico" esercita un fascino quasi mitico, e non tutto ciò che porta l’etichetta di scientifico è, per ciò stesso, realmente scientifico. Per questo l’adozione di un metodo di approccio alla realtà deve essere preceduto da un esame critico di natura epistemologica. Tale esame critico previo manca in più di una "teologia della liberazione".
5. Nelle scienze umane e sociali è necessario prima di tutto essere attenti alla pluralità dei metodi e dei punti di vista, ciascuno dei quali mette in evidenza solo un aspetto di una realtà che, per la sua complessità, sfugge ad una spiegazione unitaria ed univoca.
6. Nel caso della dottrina dei marxisti, qualunque sia il tipo che si voglia assumere secondo l'opportunità, la critica previa si impone, tanto più che il pensiero di Marx costituisce una concezione totalizzante del mondo nella quale numerosi dati di osservazione e di analisi descrittiva sono integrati in una struttura filosofico-ideologica, che predetermina il significato e l’importanza relativa che si riconosce loro. Gli a priori ideologici sono presupposti alla lettura della realtà sociale. Così la dissociazione degli elementi eterogenei che compongono questo amalgama epistemologicamente ibrido diventa impossibile, per cui mentre si crede di accettare solo ciò che si presenta come un’analisi, si è trascinati ad accettare la stessa filosofia o ideologia. Per questo non di rado sono proprio gli aspetti ideologici che predominano negli elementi che numerosi "teologi della liberazione" mutuano da autori marxisti.
7. Il richiamo di Paolo VI resta pienamente attuale anche oggi: all’interno del marxismo, quale è concretamente vissuto, si possono distinguere diversi aspetti e diversi problemi che si pongono ai cristiani per la riflessione e per l’azione. Tuttavia "sarebbe illusorio e pericoloso giungere a dimenticare l’intimo legame che tali aspetti radicalmente unisce, accettare gli elementi dell’analisi marxista senza riconoscere i loro rapporti con l’ideologia, entrare nella prassi della lotta di classe e della sua interpretazione marxista trascurando di avvertire il tipo di società totalitaria e violenta alla quale questo processo conduce". (22)
8. È vero che il pensiero marxista fin dai suoi inizi, ma in maniera più accentuata in questi ultimi anni, si è diversificato per dare vita a varie correnti che divergono considerevolmente le une dalle altre. Nella misura in cui restano realmente marxiste, queste correnti continuano a ricollegarsi ad un certo numero di tesi fondamentali incompatibili con la concezione cristiana dell’uomo e della società.
In questo contesto certe formule non sono neutre, ma conservano il significato che hanno ricevuto nella dottrina marxista originale. Ciò vale anche per la "lotta di classe". Questa espressione risente ancora dell’interpretazione che le ha dato Marx, e pertanto non può essere considerata come l’equivalente, di portata empirica, dell’espressione "acuto conflitto sociale". Pertanto coloro che si servono di formule del genere, con la pretesa di conservare soltanto alcuni elementi dell’analisi marxista, che però sarebbe rifiutata nella sua globalità, quanto meno ingenerano una grave ambiguità nell’animo dei loro lettori.
9. Ricordiamo che l’ateismo e la negazione della persona umana, della sua libertà e dei suoi diritti, sono centrali nella concezione marxista. Questa contiene dunque degli errori che minacciano direttamente le verità di fede sul destino eterno delle persone. Inoltre, voler integrare alla teologia un’"analisi", i cui criteri di interpretazione dipendono da tale concezione atea, significa rinchiudersi in contraddizioni rovinose. Per di più, il disconoscimento della natura spirituale della persona porta a subordinare totalmente quest’ultima alla collettività e a negare, così, i principi di una vita sociale e politica conforme alla dignità umana.
10. L’esame critico dei metodi di analisi mutuati da altre discipline si impone in maniera del tutto particolare al teologo. È la luce della fede che fornisce alla teologia i suoi principi. Perciò l’utilizzazione da parte del teologo degli apporti della filosofia o delle scienze umane ha un valore "strumentale" e deve essere oggetto di un discernimento critico di natura teologica. In altre parole, il criterio ultimo e decisivo di verità non può essere, in ultima analisi, che un criterio esso stesso teologico. È alla luce della fede, e di ciò che essa ci insegna sulla verità dell’uomo e sul significato ultimo del suo destino, che si deve giudicare della validità o del grado di validità di ciò che le altre discipline propongono, spesso d’altronde in maniera congetturale, come verità sull’uomo, sulla sua storia e sul suo destino.
11. L’applicazione degli schemi d’interpretazione mutuati dalla corrente di pensiero marxista alla realtà economica, sociale e politica di oggi può presentare a prima vista una certa verosimiglianza, in quanto la situazione di certi paesi offre alcune analogie con quella descritta e interpretata da Marx nella metà del secolo scorso. Sulla base di queste analogie si fanno delle semplificazioni, che facendo astrazione dai fattori essenziali specifici, di fatto impediscono un’analisi veramente rigorosa delle cause della miseria, e ingenerano confusione.
12. In certe regioni dell’America Latina l’accaparramento della maggior parte delle ricchezze ad opera di una oligarchia di proprietari priva di coscienza sociale, la quasi assenza o le carenze dello Stato di diritto, le dittature militari sprezzanti dei diritti elementari dell’uomo, la corruzione di certi dirigenti al potere, le pratiche selvagge di un certo capitale di origine straniera, costituiscono altrettanti fattori che alimentano un violento sentimento di rivolta in coloro che si considerano così le vittime impotenti di un nuovo colonialismo di ordine tecnologico, finanziario, monetario o economico. La presa di coscienza delle ingiustizie si accompagna ad un pathos che spesso mutua dal marxismo il suo linguaggio, presentato abusivamente come se fosse un linguaggio "scientifico".
13. La prima condizione di un’analisi è la totale docilità nei confronti della realtà da descrivere. Per questo l’uso delle ipotesi di lavoro adottate deve essere accompagnato da una coscienza critica. Occorre sapere che queste corrispondono ad un particolare punto di vista, il che comporta la conseguenza inevitabile di sottolineare unilateralmente certi aspetti della realtà, mentre se ne lasciano altri nell’ombra. Questo limite, che deriva dalla natura stessa delle scienze sociali, è ignorato da coloro che, a mo’ di ipotesi riconosciute come tali, ricorrono ad una concezione totalizzante quale è il pensiero di Marx.

VIII. Sovvertimento del senso della verità e violenza
1. Questa concezione totalizzante impone anche la sua logica e trascina le "teologie della liberazione" ad accettare un insieme di posizioni incompatibili con la visione cristiana dell’uomo. In realtà, il nucleo ideologico, mutuato dal marxismo, al quale ci si riferisce, esercita la funzione di principio determinante. Questo ruolo gli è conferito grazie alla qualificazione di scientifico, cioè di necessariamente vero, che gli viene attribuito. In questo nucleo si possono distinguere diverse componenti.
2. Nella logica del pensiero marxista, "l’analisi" non è dissociabile dalla prassi e dalla concezione della storia cui questa prassi è legata. L’analisi è così uno strumento di critica e la critica stessa non è che un momento della lotta rivoluzionaria, cioè della lotta di classe del Proletariato investito della sua missione storica.
3. Di conseguenza solo chi partecipa a questa lotta può operare un’analisi corretta.
4. La coscienza vera è dunque una coscienza di parte. Come si vede, è qui chiamata in causa la stessa concezione della verità, la quale è inoltre completamente sovvertita: la verità - si pretende - si trova solo nella e mediante la prassi di parte.
5. La prassi, e la verità che ne deriva, sono prassi e verità partigiane, poiché la struttura fondamentale della storia è contrassegnata dalla lotta delle classi. Di qui la necessità di entrare nella lotta delle classi (che è il contrario dialettico del rapporto di sfruttamento che si denuncia). La verità è verità di classe, e la verità si trova soltanto nella lotta della classe rivoluzionaria.
6. La legge fondamentale della storia, che è poi la legge della lotta delle classi, implica che la società è fondata sulla violenza. Alla violenza che costituisce il rapporto di dominio dei ricchi sui poveri dovrà rispondere la contro-violenza rivoluzionaria con la quale questo rapporto sarà capovolto.
7. La lotta delle classi è dunque presentata come una legge oggettiva, necessaria. Entrando nel suo processo, dalla parte degli oppressi, si "fa" la verità, si agisce "scientificamente". Di conseguenza, la concezione della verità va di pari passo con l’affermazione della necessità della violenza, e quindi con quella dell’amoralismo politico. In questa prospettiva non ha più nessun senso il riferimento ad esigenze etiche che impongono riforme strutturali e istituzionali radicali e coraggiose.
8. La legge fondamentale della lotta delle classi ha un carattere di globalità e di universalità. Essa si riflette in tutti i campi dell’esistenza, religiosi, etici, culturali e istituzionali. Rispetto a questa legge nessuno di questi campi è autonomo. In ciascuno essa costituisce l’elemento determinante.
9. Proprio per il ricorso a queste tesi di origine marxista viene messa radicalmente in causa la natura stessa dell’etica. Infatti, nell’ottica della lotta di classe viene implicitamente negato il carattere trascendente della distinzione tra il bene e il male, principio della moralità.

IX. Interpretazione "teologica" di questo nucleo
1. Le posizioni, di cui qui si parla, si trovano talvolta chiaramente enunciate in certi scritti dei "teologi della liberazione". Presso altri esse derivano logicamente dalle loro premesse. Altrove esse sono presupposte in certe pratiche liturgiche, come ad esempio nell’"Eucarestia" trasformata in celebrazione del popolo in lotta, anche se coloro che partecipano a tali pratiche non ne sono pienamente coscienti. Viene, dunque, proposto un vero sistema, anche se taluni esitano a seguirne fino in fondo la logica. Come tale, questo sistema è una perversione del messaggio cristiano affidato da Dio alla sua Chiesa. Questo messaggio si trova perciò rimesso in causa nella sua globalità dalle "teologie della liberazione".
2. Ciò che è assunto come principio da queste "teologie della liberazione" non è il fatto delle stratificazioni sociali con le disuguaglianze e le ingiustizie che comporta, ma la teoria della lotta di classe come legge strutturale fondamentale della storia. Se ne trae la conclusione che la lotta di classe così intesa divide la Chiesa stessa e che è necessario giudicare le realtà ecclesiali in funzione di essa. Si pretende inoltre che l’affermazione secondo cui l’amore, nella sua universalità, può vincere ciò che costituisce la principale legge strutturale della società capitalista, significa nutrire, in mala fede, un’illusione fallace.
3. In questa concezione la lotta delle classi è il motore della storia. La storia diventa così una nozione centrale. Si arriva ad affermare che Dio si fa storia. E si aggiunge che vi è una sola storia, nella quale non si deve più distinguere tra storia della salvezza e storia profana. Mantenere la distinzione significherebbe cadere nel "dualismo". Simili affermazioni riflettono un immanentismo storicista. In questo modo si tende a identificare il Regno di Dio e il suo divenire con il movimento della liberazione umana e a fare della storia stessa il soggetto del suo proprio sviluppo come processo di auto-redenzione dell’uomo mediante la lotta di classe. Questa identificazione è in opposizione alla fede della Chiesa richiamata dal Concilio Vaticano II. (23)
4. In questa linea alcuni giungono perfino ad identificare, al limite, Dio stesso e la storia e a definire la fede come "fedeltà alla storia", il che significa fedeltà impegnata in una prassi politica conforme alla concezione del divenire dell’umanità inteso nel senso di un messianismo puramente temporale.
5. Di conseguenza, la fede, la speranza e la carità ricevono un nuovo contenuto: esse sono "fedeltà alla storia", "fiducia nel futuro", "opzione per i poveri". Ciò equivale ad una negazione della loro realtà teologale.
6. Da questa concezione deriva inevitabilmente una politicizzazione radicale delle affermazioni della fede e dei giudizi teologici. Non si tratta più soltanto di attirare l’attenzione sulle conseguenze e le incidenze politiche delle verità di fede, che sarebbero rispettate nel loro valore trascendente. Si tratta piuttosto di un subordinamento di ogni affermazione della fede o della teologia ad un criterio politico, esso stesso dipendente dalla teoria della lotta di classe, motore della storia.
7. Di conseguenza, si presenta l’inserimento nella lotta di classe come un’esigenza della carità stessa; si denuncia come un atteggiamento rinunciatario e contrario all’amore dei poveri la volontà di amare fin da questo momento ogni uomo, qualunque sia la sua appartenenza di classe, e di andargli incontro per le vie non violente del dialogo e della persuasione. Anche se non si afferma che deve essere oggetto di odio, si afferma tuttavia che a causa della sua appartenenza oggettiva al mondo dei ricchi, egli è per ciò stesso un nemico di classe che deve essere combattuto. Quindi, l’universalità dell’amore del prossimo e la fraternità diventano un principio escatologico, che vale soltanto per "l’uomo nuovo" che nascerà dalla rivoluzione vittoriosa.
8. Quanto alla Chiesa, si tende a considerarla una realtà interna alla storia, che obbedisce anch’essa alle leggi ritenute determinanti per il divenire storico nella sua immanenza. Tale riduzione svuota la realtà specifica della Chiesa, dono della grazia di Dio e mistero di fede. Inoltre, si nega che abbia un senso la partecipazione alla stessa mensa eucaristica di cristiani che pure appartengono a classi opposte.
9. Nel suo significato positivo la Chiesa dei poverisignifica la preferenza, senza esclusivismi, data ai poveri intesi in tutte le forme della miseria umana, perché essi sono preferiti da Dio. L’espressione significa inoltre la presa di coscienza del nostro tempo delle esigenze della povertà evangelica, sia da parte della Chiesa come comunione e come istituzione, sia da parte dei suoi membri.
10. Ma le "teologie della liberazione", che pure hanno il merito di avere ridato importanza ai grandi testi dei profeti e del Vangelo sulla difesa dei poveri, procedono ad un pericoloso amalgama tra il poverodella Scrittura e il proletariato di Marx. In questo modo il significato cristiano del povero è sovvertito e la lotta per i diritti dei poveri si trasforma in lotta di classe nella prospettiva ideologica della lotta delle classi. La Chiesa dei poveri significa allora una Chiesa di classe, che ha preso coscienza della necessità della lotta rivoluzionaria come tappa verso la liberazione e che celebra questa liberazione nella sua liturgia.
11. Un’analoga osservazione si deve fare a proposito dell’espressione Chiesa del popolo. Dal punto di vista pastorale, si possono intendere con essa i destinatari prioritari dell’evangelizzazione, coloro verso i quali, per la loro condizione, si rivolge innanzi tutto l’amore pastorale della Chiesa. Ci si può anche riferire alla Chiesa come "popolo di Dio", cioè come popolo della Nuova Alleanza stipulata nel Cristo. (24)
12. Ma le "teologie della liberazione", di cui stiamo parlando, per Chiesa del popolo intendono una Chiesa di classe, la Chiesa del popolo oppresso che occorre "coscientizzare" in vista della lotta liberatrice organizzata. Per alcuni il popolo così inteso diventa perfino oggetto della fede.
13. Da una simile concezione della Chiesa del popolo si sviluppa una critica delle stesse strutture della Chiesa. Non si tratta soltanto di una correzione fraterna nei confronti dei pastori della Chiesa, il cui comportamento non riflette lo spirito evangelico di servizio e si attiene a espressioni anacronistiche di autorità che scandalizzano i poveri. È anche messa in causa la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa, quale l’ha voluta il Signore stesso. Nella gerarchia e nel Magistero si denunciano i rappresentanti effettivi della classe dominante che è necessario combattere. Dal punto di vista teologico, questa posizione sta a dire che il popolo è la sorgente dei ministeri e che esso può, dunque, scegliersi i propri ministri, in base alle necessità della sua storica missione rivoluzionaria.

X. Una nuova ermeneutica
1. La concezione di parte della verità che si manifesta nella prassi rivoluzionaria di classe rafforza questa posizione. I teologi che non condividono le tesi della "teologia della liberazione", la gerarchia e soprattutto il Magistero romano sono così screditati a priori, come appartenenti alla classe degli oppressori. La loro teologia è una teologia di classe. Le loro argomentazioni e i loro insegnamenti non devono perciò essere esaminati in se stessi, poiché non fanno che riflettere degli interessi di classe. Quindi la loro parola è dichiarata falsa per principio.
2. Qui si manifesta il carattere globale e totalizzante della "teologia della liberazione". Di conseguenza, essa deve essere criticata non per questa o per quella delle sue affermazioni, ma a livello del punto di vista di classe che essa adotta a priori e che funge in essa come principio ermeneutico determinante.
3. A causa di questo presupposto classista, risulta estremamente difficile, per non dire impossibile, ottenere da certi "teologi della liberazione" un vero dialogo, nel quale l’interlocutore sia ascoltato e i suoi argomenti vengano discussi con obiettività e attenzione. Infatti questi teologi, più o meno inconsciamente, partono dal presupposto che solo il punto di vista della classe oppressa e rivoluzionaria, che sarebbe il loro, costituisce il punto di vista della verità. Così i criteri teologici di verità si trovano relativizzati e subordinati agli imperativi della lotta di classe. In questa prospettiva, all’ortodossia come retta norma della fede si sostituisce l’ortoprassicome criterio di verità. A questo proposito non si dovrebbe confondere l’orientamento pratico, proprio anch’esso della teologia tradizionale e allo stesso titolo dell’orientamento speculativo, con il primato privilegiato riconosciuto ad un certo tipo di prassi. In realtà, quest’ultima è la prassi rivoluzionaria che diverrebbe così il criterio supremo della verità teologica. Una sana metodologia teologica tiene senz’altro conto della prassi della Chiesa e vi trova uno dei suoi fondamenti, ma perché essa deriva dalla fede e ne è l’espressione vissuta.
4. La dottrina sociale della Chiesa è respinta con disprezzo. Essa procede, si dice, dall’illusione di un possibile compromesso, propria delle classi medie che sono senza destino storico.
5. La nuova ermeneutica, caratteristica delle "teologie della liberazione", conduce ad una rilettura essenzialmente politica della Scrittura. Per questo viene accordata un’importanza particolare all’evento dell’Esodo, in quanto esso è liberazione dalla schiavitù politica. Si propone inoltre una lettura politica del Magnificat. Lo sbaglio non sta nel prestare attenzione ad una dimensione politica dei racconti biblici; sta nel fare di questa dimensione la dimensione principale ed esclusiva, che conduce ad una lettura riduttiva della Scrittura.
6. Inoltre ci si pone nella prospettiva di un messianismo temporale, che è una delle espressioni più radicali della secolarizzazione del Regno di Dio e del suo assorbimento nell’immanenza della storia umana.
7. Privilegiando in questa maniera la dimensione politica, si è portati a negare la radicale novità del Nuovo Testamento e, prima di tutto, a misconoscere la persona di Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, come pure il carattere specifico della liberazione che egli ci porta, che è soprattutto liberazione dal peccato, sorgente di tutti i mali.
8. Inoltre, mettendo da parte l’interpretazione autentica del Magistero, respinta come interpretazione di classe, ci si allontana anche dalla Tradizione. In questo modo ci si priva di un essenziale criterio teologico d’interpretazione e, nel vuoto che ne deriva, si accolgono le tesi più radicali dell’esegesi razionalista. Si riprende così, senza spirito critico, l’opposizione tra il "Gesù della storia" e il "Gesù della fede".
9. Certamente viene conservata la lettera delle formule della fede, e in particolare quella di Calcedonia, ma si attribuisce loro un nuovo significato, che equivale ad una negazione della fede della Chiesa. Da una parte si respinge la dottrina cristologica trasmessa dalla Tradizione, in nome del criterio di classe; dall’altra però si pretende di raggiungere il "Gesù della storia", partendo dall’esperienza rivoluzionaria della lotta dei poveri per la loro liberazione.
10. Si pretende inoltre di rivivere un’esperienza analoga a quella che sarebbe stata di Gesù. L’esperienza dei poveri in lotta per la loro liberazione, che sarebbe stata quella di Gesù, rivelerebbe quindi, e solo essa, la conoscenza del vero Dio e del Regno.
11. È evidente che in tal modo viene negata la fede nel Verbo incarnato, morto e risorto per tutti gli uomini, e "costituito da Dio Signore e Cristo". (25) Gli si sostituisce una "figura" di Gesù che è una specie di simbolo che riassume in sé le esigenze della lotta degli oppressi.
12. La morte di Cristo subisce così un’interpretazione esclusivamente politica. E pertanto si nega il suo valore salvifico e tutta l’economia della redenzione.
13. In conclusione la nuova interpretazione comprende l’insieme del mistero cristiano.
14. In generale, essa opera quella che si potrebbe chiamare una inversione di simboli. Così, invece di vedere con S. Paolo nell’Esodo una figura del battesimo, (26) si sarà portati, al limite, a farne un simbolo della liberazione politica del popolo.
15. Poiché lo stesso criterio ermeneutico è applicato alla vita ecclesiale e alla costituzione gerarchica della Chiesa, i rapporti tra la gerarchia e la "base" diventano rapporti di dominio che obbediscono alla legge della lotta di classe. Viene semplicemente ignorata la sacramentalità che sta alla base dei ministeri ecclesiali e che fa della Chiesa una realtà spirituale irriducibile ad un’analisi puramente sociologica.
16. L’inversione dei simboli si constata anche nel campo dei sacramenti. Infatti l’Eucarestia non è più compresa nella sua verità di presenza sacramentale del sacrificio di riconciliazione e come il dono del Corpo e del Sangue di Cristo. Essa diventa celebrazione del popolo nella sua lotta. Di conseguenza è negata radicalmente l’unità della Chiesa. L’unità, la riconciliazione, la comunione nell’amore non sono più intesi come un dono che riceviamo da Cristo. (27) L’unità sarà costruita dalla classe storica dei poveri mediante la sua lotta. La lotta di classe è la via verso questa unità. E così l’Eucarestia diventa Eucarestia di classe. Nello stesso tempo viene negata la forza trionfante dell’amore di Dio che ci è donato.

XI. Orientamenti
1. Il richiamo contro le gravi deviazioni, di cui sono portatrici talune "teologie della liberazione", non deve assolutamente essere interpretato come un’approvazione, neppure indiretta, di coloro che contribuiscono al mantenimento della miseria dei popoli, di coloro che ne approfittano e di coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti. La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dall’amore dell’uomo, ascolta il grido che invoca giustizia (28) e vuole rispondervi con tutte le sue forze.
2. Pertanto è rivolto alla Chiesa un appello quanto mai impegnativo. Con audacia e coraggio, con chiaroveggenza e prudenza, con zelo e forza d’animo, con un amore verso i poveri che si spinge fino al sacrificio, i pastori, come del resto già molti fanno, dovranno considerare come un compito prioritario la risposta a questo appello.
3. Tutti coloro che - sacerdoti, religiosi e laici -, udendo il grido che invoca giustizia, vogliono lavorare per l’evangelizzazione e la promozione umana, dovranno farlo in comunione con i loro Vescovi e con la Chiesa, ciascuno secondo la propria specifica vocazione ecclesiale.
4. Coscienti del carattere ecclesiale della loro vocazione, i teologi collaboreranno, con lealtà e in spirito di dialogo, con il Magistero della Chiesa. Essi sapranno riconoscere nel Magistero un dono di Cristo alla sua Chiesa (29) e ne accoglieranno la parola e le direttive con rispetto filiale.
5. Solo partendo dalla missione evangelizzatrice intesa nella sua integralità si possono comprendere le esigenze di una promozione umana e di una liberazione autentica. Questa liberazione ha come pilastri indispensabili la verità su Gesù Cristo, il Salvatore, la verità sulla Chiesa, la verità sull’uomoe sulla sua dignità. (30) La Chiesa, che vuole essere nel mondo intero la Chiesa dei poveri, intende servire la nobile lotta per la verità e per la giustizia, alla luce delle Beatitudini, e soprattutto della beatitudine dei poveri di spirito. Essa si rivolge a ciascun uomo e, per questa ragione, a tutti gli uomini. Essa è "la Chiesa universale. La Chiesa dell’incarnazione. Non è la Chiesa di una classe o di una casta soltanto. Essa parla in nome della verità stessa. Questa verità è realista". Essa insegna a tener conto "di ogni realtà umana, di ogni ingiustizia, di ogni tensione, di ogni lotta". (31)
6. Una difesa efficace della giustizia deve appoggiarsi sulla verità dell’uomo, creato ad immagine di Dio e chiamato alla grazia della filiazione divina. Il riconoscimento del vero rapporto dell’uomo con Dio costituisce il fondamento della giustizia, in quanto essa regola i rapporti tra gli uomini. Per questo motivo la lotta per i diritti dell’uomo, che la Chiesa continuamente richiama, costituisce l’autentica lotta per la giustizia.
7. La verità dell’uomo esige che questa lotta sia condotta con mezzi conformi alla dignità umana. Per questo deve essere condannato il ricorso sistematico e deliberato alla violenza cieca, da qualsiasi parte venga. (32) Affidarsi ai mezzi violenti nella speranza di instaurare una maggiore giustizia significa essere vittime di un’illusione mortale. La violenza genera violenza e degrada l’uomo. Essa ferisce la dignità dell’uomo nella persona delle vittime e avvilisce questa stessa dignità in coloro che la praticano.
8. L’urgenza di riforme radicali delle strutture che ingenerano la miseria e costituiscono in se stesse delle forme di violenza non deve far perdere di vista che la sorgente delle ingiustizie risiede nel cuore degli uomini. Quindi soltanto facendo appello allecapacità etiche della persona e alla continua necessità di conversione interiore si otterranno dei cambiamenti sociali che saranno veramente al servizio dell’uomo. (33) Infatti man mano che collaboreranno liberamente, di propria iniziativa e solidarmente, per questi cambiamenti necessari, gli uomini, risvegliati al senso della loro responsabilità, si realizzeranno sempre più come uomini. Tale capovolgimento tra moralità e strutture è pregnante di una antropologia materialista incompatibile con la verità sull’uomo.
9. Quindi è un’illusione mortale anche credere che delle nuove strutture daranno vita, per se stesse, ad un "uomo nuovo", nel senso della verità dell’uomo. Il cristiano non può dimenticare che la sorgente di ogni vera novità è lo Spirito Santo, che ci è stato dato, e che il signore della storia è Dio.
10. Così pure, il rovesciamento delle strutture generatrici d’ingiustizia mediante la violenza rivoluzionaria non è ipso facto l’inizio dell’instaurazione di un regime giusto. Tutti coloro che vogliono sinceramente la vera liberazione dei loro fratelli devono riflettere su un fatto di grande rilevanza del nostro tempo. Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell’uomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire.
11. La lotta di classe come via verso una società senza classi è un mito che blocca le riforme e aggrava la miseria e le ingiustizie. Coloro che si lasciano affascinare da questo mito dovrebbero riflettere sulle amare esperienze storiche alle quali esso ha condotto. Comprenderebbero allora che non si tratta di abbandonare un modo efficace di lotta in favore dei poveri per un ideale utopico. Si tratta, al contrario, di liberarsi di un miraggio per appoggiarsi sul Vangelo e sulla sua forza di trasformazione.
12. Una delle condizioni per il necessario ritorno alla retta teologia è la rivalutazione dell’insegnamento sociale della Chiesa. Questo insegnamento non è per niente chiuso, ma, al contrario, è aperto a tutti i nuovi problemi che non mancano di porsi nel corso del tempo. In questa prospettiva, è indispensabile oggi il contributo dei teologi e dei pensatori di tutte le parti del mondo alla riflessione della Chiesa.
13. Così pure, per la riflessione dottrinale e pastorale della Chiesa è necessaria l’esperienza di coloro che lavorano direttamente all’evangelizzazione e promozione dei poveri e degli oppressi. In questo senso occorre dire che si prende coscienza di alcuni aspetti della verità a partire dalla prassi, se per prassi si intendono una prassi pastorale e una prassi sociale che restano di ispirazione evangelica.
14. L’insegnamento della Chiesa in materia sociale fornisce i grandi orientamenti etici. Ma perché possa guidare direttamente l’azione, esso esige delle personalità competenti sia dal punto di vista scientifico e tecnico, che nel campo delle scienze umane e della politica. I pastori dovranno essere attenti alla formazione di tali personalità competenti, che vivano profondamente il Vangelo. I laici, il cui compito specifico è di costruire la società, vi sono coinvolti in maniera particolare.
15. Le tesi delle "teologie della liberazione" sono largamente diffuse, sotto forma ancora semplificata, in circoli di formazione o nei gruppi di base, che mancano di preparazione catechetica e teologica. Per questo sono accettate, senza la possibilità di un giudizio critico, da uomini e donne generosi.
16. Per questo i Pastori devono vigilare sulla qualità e sul contenuto della catechesi e della formazione, che deve sempre presentare la integralità del messaggio della salvezza e gli imperativi della vera liberazione dell’uomo nel quadro di questo messaggio integrale.
17. In questa presentazione integrale del mistero cristiano sarà opportuno mettere l’accento sugli aspetti essenziali che le "teologie della liberazione" tendono in particolar modo a misconoscere o a eliminare: trascendenza e gratuità della liberazione in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, sovranità della sua grazia, vera natura dei mezzi di salvezza, specialmente della Chiesa e dei sacramenti. Si dovranno richiamare il vero significato dell’etica, per la quale non può essere relativizzata la distinzione tra il bene e il male, il senso autentico del peccato, la necessità della conversione e l’universalità della legge dell’amore fraterno. Si metterà in guardia contro una politicizzazione dell’esistenza, che misconoscendo tanto la specificità del Regno di Dio, quanto la trascendenza della persona, finisce per sacralizzare la politica e per sfruttare la religiosità del popolo in favore di iniziative rivoluzionarie.
18. I difensori della "ortodossia" sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili la conversione spirituale, l’intensità dell’amore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di un’efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell’oppresso. Mediante la testimonianza della loro forza di amare, dinamica e costruttiva, i cristiani getteranno così le basi di quella "civiltà dell’amore", di cui ha parlato, dopo Paolo VI, la Conferenza di Puebla. (34) Del resto sono numerosi coloro che - sacerdoti, religiosi o laici - si consacrano in maniera veramente evangelica alla creazione di una società giusta.

Conclusione
Le parole di Paolo VI, nella Professione di fede del popolo di Dio, esprimono con piena chiarezza la fede della Chiesa, dalla quale non ci si può allontanare senza provocare, insieme ai danni spirituali, nuove miserie e nuove schiavitù.
"Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, "non è di questo mondo", "la cui figura passa"; e che la sua vera crescita non può essere confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all’amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi "non hanno quaggiù stabile dimora", essa li spinge anche a contribuire - ciascuno secondo la propria vocazione e i propri mezzi - al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L’intensa sollecitudine della Chiesa, sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l’ardore dell’attesa del suo Signore e del regno eterno". (35)

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 6 agosto 1984, nella festa della Trasfigurazione del Signore
Ioseph Card. Ratzinger
Prefetto
Alberto Bovone
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
Segretario

***
(1) Cf. Gaudium et spes, n. 4.
(2) Cf. Dei Verbum, n. 10.
(3) Cf. Gal 5, 1 ss.
(4) Cf. Es 24.
(5) Cf. Ger 31, 31-34, Ez 36, 26 ss.
(6) Cf. Sof 3, 12 ss.
(7) Cf. Dt 10, 18-19.
(8) Cf. Lc 10, 25-37.
(9) Cf. 2 Cor 8, 9.
(10) Cf. Mt 25, 31-46; At 9, 4-5; Col 1, 24.
(11) Cf. Gc 5, 1 ss.
(12) Cf. 1 Cor 11, 17-34.
(13) Cf. Gc 2, 14-26.
(14) Cf. AAS 71 (1979) 1144-1160.
(15) Cf. AAS 71 (1979) 196.
(16) Cf. Evangelii nuntiandi, nn. 25-33; AAS 68 (1976) 23-28.
(17) Cf. Evangelii nuntiandi, n. 32; AAS 68 (1976) 27.
(18) Cf. AAS 71 (1979) 188-196.
(19) Cf. Gaudium et spes, n. 39; Pio XI,Quadragesimo anno; AAS 23 (1931) 207.
(20) Cf. nn. 1134-1165 e nn. 1166-1205.
(21) Cf. Doc. di Puebla, IV, 2.
(22) Cf. Paolo VI, Octogesima adveniens, n. 34; AAS 63 (1971) 424-425.
(23) Cf. Lumen gentium, nn. 9-17.
(24) Cf. Gaudium et spes, n. 39.
(25) Cf. At 2, 36.
(26) Cf. 1 Cor 10, 1-2.
(27) Cf. Ef 2, 11-22.
(28) Cf. Doc. di Puebla, I, III, n. 3.3.
(29) Cf. Lc 10, 16.
(30) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso di apertura della Conferenza di Puebla: AAS 71 (1979) 188-196; Doc. di Puebla, II, 1.
(31) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Favela "Vidigal" a Rio de Janeiro, 2 luglio 1980: AAS 72 (1980) 852-858.
(32) Cf. Doc. di Puebla, II, II, n. 5.4.
(33) Cf. Doc. di Puebla, IV, 3, n. 3.3.
(34) Cf. Doc. di Puebla, IV, 2, n. 2.3.
(35) Paolo VI, Professione di fede del popolo di Dio, 30 giugno 1968: AAS 60 (1968) 443-444
 S. Congregazione per la Dottrina della Fede,Istruzione LIBERTATIS CONSCIENTIA, su libertà cristiana e liberazione, del 22 marzo 1986
Introduzione

Aspirazioni alla liberazione
1. La coscienza della libertà e della dignità dell'uomo, congiunta con l'affermazione dei diritti inalienabili della persona e dei popoli, è una delle caratteristiche salienti del nostro tempo. Ora, la libertà esige determinate condizioni di ordine economico, sociale, politico e culturale, che ne rendano possibile il pieno esercizio. La viva percezione degli ostacoli, che le impediscono di realizzarsi ed offendono la dignità umana, è all'origine delle potenti aspirazioni alla liberazione che travagliano il nostro mondo.
La Chiesa di Cristo fa sue tali aspirazioni, esercitando il proprio discernimento alla luce del Vangelo, che per sua stessa natura è messaggio di libertà e di liberazione. In effetti, quelle aspirazioni assumono a volte, sul piano teorico e pratico, espressioni che non sempre sono conformi alla verità dell'uomo, quale si manifesta alla luce della sua creazione e redenzione. È questo il motivo per cui la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario attirare l'attenzione su alcune "deviazioni o rischi di deviazione, pericolosi per la fede e per la vita cristiana". (1) Lungi dall'essere sorpassati, tali richiami appaiono ogni giorno più opportuni e pertinenti.

Fine dell'Istruzione
2. L'Istruzione "Libertatis Nuntius" su alcuni aspetti della teologia della liberazione annunciava l'intenzione della Congregazione di pubblicare un secondo documento, che avrebbe messo in evidenza i principali elementi della dottrina cristiana sulla libertà e sulla liberazione. La presente Istruzione risponde a tale intenzione. Tra i due documenti esiste un rapporto organico: essi devono essere letti l'uno alla luce dell'altro.
Su questo tema, che si trova al centro stesso del messaggio evangelico, il magistero della Chiesa si è pronunciato in numerose occasioni. (2) Il presente documento si limita a indicarne i principali aspettiteorici e pratici. Quanto alle applicazioni concernenti le diverse situazioni locali, spetta alle Chiese particolari, in comunione tra loro e con la Sede di Pietro, di provvedervi direttamente. (3)
Il tema della libertà e della liberazione ha un'evidente portata ecumenica. In effetti, esso appartiene al patrimonio tradizionale delle Chiese e comunità ecclesiali. Perciò, questo documento può confortare la testimonianza e l'azione di tutti i discepoli di Cristo, chiamati a rispondere alle grandi sfide del nostro tempo.

La verità che ci libera
3. La parola di Gesù: "La verità vi farà liberi" (Gv 8, 32), deve illuminare e guidare in questo campo ogni riflessione teologica e ogni decisione pastorale.
Questa verità, che viene da Dio, ha il proprio centro in Gesù Cristo, Salvatore del mondo. (4) Da lui, che è "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14, 6), la Chiesa riceve ciò che offre agli uomini. Dal mistero del Verbo incarnato e redentore del mondo essa attinge la verità sul Padre e sul suo amore per noi, come anche la verità sull'uomo e sulla sua libertà.
Mediante la sua croce e la sua risurrezione, Cristo ha operato la nostra redenzione che è liberazione nel senso più forte, in quanto ci ha liberati dal male più radicale, cioè dal peccato e dal potere della morte. Quando la Chiesa, ammaestrata dal suo Signore, fa salire la propria preghiera verso il Padre: "Liberaci dal male", essa implora che il mistero della salvezza agisca con potenza nella nostra esistenza quotidiana. Essa sa che la croce redentrice è veramente la fonte della luce e della vita e il centro della storia. La verità, che le arde in cuore, la spinge a proclamare la buona novella e a distribuirne i frutti di vita mediante i sacramenti. Da Cristo redentore prendono avvio il suo pensiero e la sua azione quando, davanti ai drammi che dilaniano il mondo, essa riflette sul significato e sulle vie della liberazione e della vera libertà.
La verità, a cominciare dalla verità sulla redenzione, che sta al cuore del mistero della fede, è così la radice e la regola della libertà, il fondamento e la misura di ogni azione liberatrice.

La verità, condizione di libertà
4. L'apertura alla pienezza della verità s'impone alla coscienza morale dell'uomo; egli deve cercarla ed esser pronto ad accoglierla, quando essa a lui si presenta.
Secondo l'ordine di Cristo Signore, (5) la verità evangelica deve essere presentata a tutti gli uomini, e questi hanno diritto a che essa sia loro proposta. Il suo annuncio, nella forza dello Spirito, comporta il pieno rispetto della libertà di ciascuno e l'esclusione di qualsiasi forma di costrizione e di pressione. (6)
Lo Spirito Santo introduce la Chiesa e i discepoli di Cristo Gesù "alla verità tutta intera" (Gv 16, 13). Egli dirige il corso dei tempi e "rinnova la faccia della terra" (Sal 104, 30). È lui che è presente nella maturazione d'una coscienza più rispettosa della dignità della persona umana. (7) Lo Spirito Santo è all'origine del coraggio, dell'audacia e dell'eroismo: "Dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà" (2 Cor 3, 17).

Capitolo primo
La condizione della libertà nel mondo contemporaneo

I. Conquiste e minacce del moderno processo di liberazione
L'eredità del cristianesimo
5. Rivelando all'uomo la sua qualità di persona libera, chiamata ad entrare in comunione con Dio, il Vangelo di Gesù Cristo ha suscitato una presa di coscienza delle profondità, fino allora insospettate, della libertà umana.
Così la ricerca della libertà e l'aspirazione alla liberazione, che sono tra i principali segni dei tempi nel mondo contemporaneo, hanno la loro prima radice nell'eredità cristiana. Ciò resta vero anche là dove esse assumono forme aberranti e giungono a opporsi alla visione cristiana dell'uomo e del suo destino. Senza questo riferimento al Vangelo, la storia dei secoli recenti in Occidente resta incomprensibile.

L'epoca moderna
6. Fin dall'alba dei tempi moderni, nel Rinascimento, il ritorno all'antichità in filosofia e nelle scienze naturali doveva - così si pensava - permettere all'uomo di conquistare la libertà di pensiero e di azione, grazie alla conoscenza e al dominio delle leggi della natura.
D'altra parte, Lutero, partendo dalla sua lettura di San Paolo, intendeva lottare per la liberazione dal giogo della legge, rappresentato ai suoi occhi dalla Chiesa del suo tempo.
Ma è soprattutto nel secolo dell'Illuminismo e nella Rivoluzione francese che il richiamo alla libertà risuonò in tutta la sua forza. Da allora, molti guardano alla storia futura come ad un irresistibile processo di liberazione, che deve condurre ad un'era in cui l'uomo, finalmente del tutto libero, potrà godere la felicità fin da questa terra.

Verso il dominio della natura
7. Nella prospettiva d'una tale ideologia di progresso, l'uomo intendeva farsi padrone della natura. La schiavitù, che aveva subìto fino a quel momento, poggiava sull'ignoranza e sui pregiudizi. Strappando alla natura i suoi segreti, l'uomo l'avrebbe sottomessa al proprio servizio. In tal modo, la conquista della libertà costituiva lo scopo perseguito attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnica. Gli sforzi effettuati hanno portato a notevoli successi. Se l'uomo non è al riparo dalle catastrofi naturali, numerose minacce della natura sono state allontanate. Il nutrimento è garantito ad un numero crescente di individui. Le possibilità di trasporto e di commercio favoriscono lo scambio delle risorse alimentari, delle materie prime, della forza-lavoro, delle capacità tecniche, di modo che per gli esseri umani può essere ragionevolmente intravista un'esistenza dignitosa e sottratta alla miseria.

Conquiste sociali e politiche
8. Il moderno movimento di liberazione s'era proposto un traguardo politico e sociale. Esso doveva porre fine al dominio dell'uomo sull'uomo e promuovere l'uguaglianza e la fraternità di tutti gli uomini. Che anche a tale riguardo siano stati raggiunti risultati positivi, è innegabile. La schiavitù e l'asservimento legali sono stati aboliti. Il diritto per tutti alla cultura ha fatto significativi progressi. In numerosi Paesi la legge riconosce la parità tra l'uomo e la donna, la partecipazione di tutti i cittadini all'esercizio del potere politico e gli stessi diritti per tutti. Il razzismo è rifiutato, come contrario al diritto e alla giustizia. La formulazione dei diritti dell'uomo significa una coscienza più viva della dignità di tutti gli uomini. In confronto con i precedenti sistemi di dominio, le affermazioni della libertà e dell'uguaglianza in numerose società sono innegabili.

Libertà del pensiero e del volere
9. Infine e soprattutto, il moderno movimento di liberazione doveva apportare all'uomo la libertà interiore, sotto forma di libertà di pensiero e di libertà del volere. Esso intendeva liberare l'uomo dalla superstizione e dalle paure ancestrali, avvertite come altrettanti ostacoli al suo sviluppo. Si proponeva di dargli il coraggio e l'audacia di servirsi della propria ragione, senza che la paura lo trattenesse davanti alle frontiere dell'ignoto. Così, specialmente nelle scienze storiche e nelle scienze umane, s'è sviluppata una nuova coscienza dell'uomo, chiamata ad aiutarlo a comprendersi meglio in ciò che concerne la propria formazione personale o le condizioni fondamentali del costituirsi della comunità.

Ambiguità del moderno processo di liberazione
10. Tuttavia, sia che si tratti della conquista della natura, della vita sociale e politica o del dominio dell'uomo su se stesso, sul piano individuale e collettivo, ciascuno può constatare non soltanto che i progressi realizzati sono lungi dal corrispondere alle ambizioni iniziali, ma anche che nuove minacce, nuove schiavitù e nuovi terrori sono sorti proprio mentre si sviluppava il moderno movimento di liberazione. C'è in questo il segno che gravi ambiguità circa il senso stesso della libertà hanno, fin dal suo inizio, intaccato tale movimento dall'interno.

L'uomo minacciato dal suo dominio della natura
11. È così che l'uomo, man mano che si liberava dalle minacce della natura, ha cominciato a provare una paura crescente dinanzi a se stesso. La tecnica, assoggettando sempre più la natura, rischia di distruggere i fondamenti del nostro stesso avvenire, di modo che l'umanità di oggi diventa la nemica delle generazioni future. Mentre si imbrigliano totalmente con una potenza cieca le forze della natura, non si sta forse distruggendo la libertà degli uomini di domani? Quali forze possono proteggere l'uomo dall'asservimento derivante dalla sua stessa dominazione? Si rende necessaria una capacità tutta nuova di libertà e di liberazione, che esige un processo di liberazione interamente rinnovato.

Pericoli della potenza tecnologica
12. La forza liberatrice della conoscenza scientifica si oggettivizza nelle grandi realizzazioni tecnologiche. Chi dispone delle tecnologie possiede il potere sulla terra e sugli uomini. Di qui son nate forme, fino ad ora sconosciute, di disuguaglianza tra i possessori del sapere e i semplici fruitori della tecnica. Il nuovo potere tecnologico è legato al potere economico e porta alla sua concentrazione. Così, all'interno dei popoli come tra i popoli, si sono formati rapporti di dipendenza che, nel corso degli ultimi vent'anni, sono stati occasione per una nuova rivendicazione di liberazione. Come impedire che la potenza tecnologica divenga una potenza oppressiva di gruppi umani o di interi popoli?

Individualismo e collettivismo
13. Nel campo delle conquiste sociali e politiche, una delle ambiguità fondamentali dell'affermazione della libertà durante il periodo dell'Illuminismo si rifà alla concezione del soggetto di tale libertà, come individuo sufficiente a se stesso e avente come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri. L'ideologia individualista, ispirata da questa concezione dell'uomo, ha favorito la diseguale ripartizione delle ricchezze agli inizi dell'era industriale, a tal punto che i lavoratori si sono trovati esclusi dall'accesso ai beni essenziali, che avevano contribuito a produrre ed ai quali avevano diritto. Di qui sono nati potenti movimenti di liberazione dalla miseria, che la società industriale aveva mantenuto.
Cristiani, sia laici che pastori, non hanno mancato di lottare per un equo riconoscimento dei legittimi diritti dei lavoratori. In favore di questa causa il magistero della Chiesa a più riprese ha levato la sua voce.
Il più delle volte, tuttavia, la giusta rivendicazione del movimento operaio ha condotto a nuove forme di asservimento, perché s'ispirava a concezioni che, ignorando la vocazione trascendente della persona umana, assegnavano all'uomo un fine soltanto terreno. Tale rivendicazione in alcuni casi è stata orientata verso progetti collettivistici, che dovevano generare ingiustizie tanto gravi quanto quelle alle quali intendevano porre fine.

Nuove forme di oppressione
14. È così che la nostra epoca ha visto nascere i sistemi totalitari e forme di tirannia, che non sarebbero stati possibili nell'epoca precedente al grande sviluppo tecnologico. Da una parte, la perfezione tecnica è stata applicata ai genocidi. D'altra parte, attraverso la pratica del terrorismo, che provoca la morte di tante persone innocenti, alcune minoranze cercano di tenere in scacco intere nazioni.
Oggi il controllo può insinuarsi fino nell'interiorità degli individui; e le stesse dipendenze, create dai sistemi di previdenza, possono costituire potenziali minacce di oppressione. Una falsa liberazione dalle costrizioni della società viene ricercata nel ricorso alla droga, che in tutto il mondo porta molti giovani all'autodistruzione e getta famiglie intere nell'angoscia e nel dolore.

Pericolo di distruzione totale
15. Il riconoscimento di un ordine giuridico, come garanzia dei rapporti all'interno della grande famiglia dei popoli, s'indebolisce ogni giorno di più. Quando la fiducia nel diritto non sembra offrire più una protezione sufficiente, la sicurezza e la pace sono ricercate in una minaccia reciproca, che diviene un pericolo per tutta l'umanità. Le forze che dovrebbero servire allo sviluppo della libertà servono ad aumentare le minacce. Gli ordigni di morte, che oggi tra loro si oppongono, sono capaci di distruggere ogni vita umana sulla terra.

Nuovi rapporti d'ineguaglianza
16. Tra le nazioni dotate di potenza e le nazioni che ne sono prive si sono instaurati nuovi rapporti di disuguaglianza e di oppressione. La ricerca del proprio interesse sembra essere la regola delle relazioni internazionali, senza che si prenda in considerazione il bene comune dell'umanità.
L'equilibrio interno delle nazioni povere è rotto dall'importazione di armi, con la quale si introduce un fattore di divisione, che porta al dominio di un gruppo su un altro. Quali forze potrebbero eliminare il ricorso sistematico alle armi e restituire al diritto la sua autorità?

Emancipazione delle nazioni giovani
17. È nel contesto della disuguaglianza nei rapporti di potenza che sono apparsi i movimenti di emancipazione delle nazioni giovani, le quali in generale sono anche nazioni povere, ancora sottomesse fino ad epoca recente alla dominazione coloniale. Ma troppo spesso il popolo è defraudato dell'indipendenza, duramente conquistata, da regimi o tirannie senza scrupoli, che irridono impunemente ai diritti dell'uomo. Il popolo, ridotto in tal modo all'impotenza, non fa che cambiare padrone.
Ciò non toglie che uno dei fenomeni salienti del nostro tempo, a livello di interi continenti, sia il risveglio della coscienza del popolo che, curvo sotto il peso di una miseria secolare, aspira ad una vita nella dignità e nella giustizia, ed è pronto a combattere per la propria libertà.

La morale e Dio, ostacoli alla liberazione?
18. Per quanto riguarda il movimento moderno di liberazione interiore dell'uomo, si deve constatare che lo sforzo inteso a liberare il pensiero e la volontà dai loro limiti si è spinto fino a ritenere che la moralità, come tale, costituisca un limite irragionevole che l'uomo deve superare, se vuole divenire veramente padrone di se stesso.
Di più ancora, per molti Dio stesso sarebbe l'alienazione specifica dell'uomo. Tra l'affermazione di Dio e la libertà umana esisterebbe una radicale incompatibilità: proprio rifiutando la fede in Dio, l'uomo diverrebbe veramente libero.

Interrogativi angosciosi
19. Sta qui la radice delle tragedie, che accompagnano la storia moderna della libertà. Perché questa storia, nonostante le grandi conquiste, che rimangono peraltro sempre fragili, registra frequenti ricadute nell'alienazione e vede sorgere nuove schiavitù? Perché movimenti di liberazione, che hanno già suscitato immense speranze, sfociano poi in regimi per i quali la libertà dei cittadini, (8) a cominciare dalla prima di tali libertà che è la libertà religiosa, (9) costituisce il nemico numero uno?
Quando l'uomo vuole liberarsi dalla legge morale e divenire indipendente da Dio, lungi dal conquistare la propria libertà, la distrugge. Sottraendosi al metro della verità, egli diventa preda dell'arbitrio; tra gli uomini sono aboliti i rapporti fraterni per far posto al terrore, all'odio e alla paura.
Contagiato da errori mortali circa la condizione dell'uomo e della sua libertà, il grande movimento moderno di liberazione resta ambiguo: esso è carico, ad un tempo, di promesse di vera libertà e di minacce di mortali asservimenti.

II. La Libertà nell’esperienza del popolo di Dio

Chiesa e libertà
20. Proprio perché cosciente di questa mortale ambiguità, la Chiesa, mediante il suo magistero, ha levato la voce nel corso degli ultimi secoli, per mettere in guardia contro deviazioni che rischiavano di stornare lo slancio liberatore verso amari disinganni. Sul momento essa fu spesso incompresa. A distanza di tempo, però, è possibile rendere giustizia al suo discernimento.
È in nome della verità dell'uomo, creato ad immagine di Dio, che la Chiesa è intervenuta. (10) Ciononostante, la si accusa di essere essa stessa un ostacolo sulla via della liberazione. La sua costituzione gerarchica si opporrebbe all'eguaglianza, e il suo magistero si opporrebbe alla libertà di pensiero. Certo, ci sono stati errori di giudizio o gravi omissioni, di cui i cristiani si sono resi responsabili nel corso dei secoli. (11) Ma tali obiezioni misconoscono la vera natura delle cose. La diversità dei carismi nel popolo di Dio, trattandosi di carismi di servizio, non si oppone all'eguale dignità delle persone ed alla loro comune vocazione alla santità.
La libertà di pensiero, come condizione di ricerca della verità in tutti i settori del sapere umano, non significa che la ragione umana debba chiudersi alla luce della Rivelazione, il cui deposito Cristo ha affidato alla sua Chiesa. Aprendosi alla verità divina, la ragione creata sperimenta una fioritura e un perfezionamento, che costituiscono una forma eminente della libertà. D'altra parte, il Concilio Vaticano II ha riconosciuto pienamente la legittima autonomia delle scienze, (12) come anche delle attività di ordine politico. (13)

La libertà dei piccoli e dei poveri
21. Uno dei principali errori, che ha pesantemente gravato, fin dall'età dell'Illuminismo, sul processo di liberazione, dipende dalla convinzione, largamente condivisa, secondo cui i progressi realizzati nel campo delle scienze, della tecnica e dell'economia, dovrebbero servire da fondamento alla conquista della libertà. In tal modo si misconosceva la profonda dimensione di questa libertà e delle sue esigenze.
Questa dimensione profonda della libertà, la Chiesa l'ha sempre sperimentata, attraverso la vita di una moltitudine di fedeli, in particolare tra i piccoli ed i poveri. Nella loro fede costoro sanno di essere l'oggetto dell'amore infinito di Dio. Ciascuno di loro può dire: "Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2, 20b). Questa è la loro dignità, che nessuno dei potenti può loro strappare; questa è la gioia liberatrice, presente in loro. Essi sanno che anche a loro è rivolta la parola di Gesù: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15). Questa partecipazione alla conoscenza di Dio costituisce la loro emancipazione di fronte alle pretese di dominio da parte dei detentori del sapere: "Tutti avete la scienza... e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri" (1 Gv 20b. 27b). Essi così sono consapevoli di partecipare alla conoscenza più alta, alla quale sia chiamata l'umanità. (14) Essi si sanno amati da Dio, come tutti gli altri e più di tutti gli altri. Essi vivono così nella libertà che scaturisce dalla verità e dall'amore.

Risorse della religiosità popolare
22. Lo stesso senso della fede del popolo di Dio, nella sua devozione piena di speranza verso la croce di Gesù, percepisce la potenza contenuta nel mistero di Cristo redentore. Lungi, dunque, dal disprezzare o dal volere sopprimere le forme di religiosità popolare che questa devozione riveste, bisogna, al contrario, coglierne ed approfondirne tutto il significato e tutte le implicazioni. (15) C'è qui un elemento di fondamentale portata teologica e pastorale: proprio i poveri, oggetto della predilezione divina, comprendono meglio e come d'istinto che la liberazione più radicale, cioè la liberazione dal peccato e dalla morte, è quella compiuta mediante la morte e la risurrezione di Cristo.

Dimensione soteriologica ed etica della liberazione
23. La potenza di questa liberazione penetra e trasforma in profondità l'uomo e la sua storia nella sua attualità presente, e anima il suo slancio escatologico. Il senso primo e fondamentale della liberazione, che così si manifesta, è il senso soteriologico: l'uomo è liberato dalla schiavitù radicale del male e del peccato.
In questa esperienza della salvezza l'uomo scopre il vero senso della sua libertà, poiché la liberazione è restituzione della libertà. Essa è pure educazione della libertà, cioè educazione al retto uso della libertà. Così alla dimensione soteriologica della liberazione viene ad aggiungersi la sua dimensione etica.

Una nuova fase della storia della libertà
24. In gradi diversi il senso della fede, che è all'origine di una esperienza radicale della liberazione e della libertà, ha impregnato la cultura ed i costumi dei popoli cristiani.
Oggi, però, a motivo delle formidabili sfide alle quali l'umanità deve far fronte, è divenuto necessario e urgente, in modo del tutto nuovo, che l'amore di Dio e la libertà nella verità segnino con la loro impronta le relazioni tra gli uomini e tra i popoli ed animino la vita delle culture.
Infatti là dove mancano la verità e l'amore, il processo di liberazione sfocia nella morte di una libertà che avrà perduto ogni suo sostegno.
Una nuova fase della storia della libertà s'apre davanti a noi. Le capacità liberatrici della scienza, della tecnica, del lavoro, dell'economia e dell'azione politica daranno i loro frutti solo se troveranno la loro ispirazione e la loro misura nella verità e nell'amore più forti della sofferenza, rivelati agli uomini da Gesù Cristo.

Capitolo secondo
Vocazione dell’uomo alla libertà e dramma del peccato

I. Primi approcci alla libertà

Una risposta spontanea
25. La risposta spontanea alla domanda: "che cosa significa essere libero?" è la seguente: libero è colui che può fare solo ciò che vuole senza essere impedito da una costrizione esteriore e che gode, di conseguenza, di una piena indipendenza. Il contrario della libertà sarebbe così la dipendenza della nostra volontà da una volontà estranea.
Ma l'uomo sa sempre ciò che vuole? Può tutto quello che vuole? Limitarsi al proprio io e separarsi dalla volontà altrui è conforme alla natura dell'uomo? Sovente la volontà di un momento non è la volontà reale, e nel medesimo uomo possono coesistere voleri contraddittori. Ma, soprattutto, l'uomo si scontra con i limiti della propria natura: vuole di più di quanto non possa. Così l'ostacolo che si oppone al suo volere non viene sempre dal di fuori, ma dai limiti del suo essere. Appunto per questo, pena la sua distruzione, l'uomo deve imparare ad accordare la sua volontà con la sua natura.

Verità e giustizia regole della libertà
26. Inoltre, ogni uomo è orientato verso gli altri uomini ed ha bisogno della loro convivenza. Solo imparando a accordare la sua volontà a quella degli altri in vista di un vero bene, egli farà l'apprendistato della rettitudine del volere. È, dunque, l'armonia con le esigenze della natura umana che rende umana la volontà stessa. In effetti, questa richiede il criterio della verità ed una giusta relazione con la volontà altrui. Verità e giustizia sono così la misura della vera libertà. Quando si allontana da questo fondamento, l'uomo, scambiando se stesso per Dio, cade nella menzogna e, anziché realizzarsi, si distrugge.
Lungi dal compiersi in una totale autarchia dell’io e nell'assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone. Ma perché tali legami siano possibili, ciascuno deve essere personalmente vero.
La libertà non è libertà di fare qualsiasi cosa: è libertà per il bene, nel quale solo risiede la felicità. Il bene è, quindi, il suo scopo. Di conseguenza, l'uomo diventa libero nella misura in cui accede alla conoscenza del vero, e questa conoscenza - e non altre forze quali che siano - guida la sua volontà. La liberazione in vista della conoscenza della verità, che sola diriga la volontà, è condizione necessaria per una libertà degna di questo nome.

II. Libertà e liberazione

Una libertà di creatura
27. In altri termini, la libertà, che è padrona interiore dei propri atti e autodeterminazione, comporta immediatamente una relazione con l'ordine etico. Essa trova il suo vero senso nella scelta del bene morale e si manifesta, quindi, come affrancamento dal male morale.
Con la sua azione libera l'uomo deve tendere verso il bene supremo attraverso i beni conformi alle esigenze della sua natura e alla sua vocazione divina.
Esercitando la sua libertà, egli decide di se stesso e forma se stesso. In questo senso l'uomo è causa di sé, ma è tale in quanto creatura e immagine di Dio. Questa è la verità del suo essere che manifesta, per contrasto, quanto di profondamente erroneo è nelle teorie, che credono di esaltare la libertà dell'uomo o la sua "prassi storica", facendo di esse il principio assoluto del suo essere e del suo divenire. Tali teorie sono espressioni dell'ateismo o, per la logica loro propria, tendono all'ateismo. Nel medesimo senso vanno l'indifferentismo e l'agnosticismo deliberato. È l'immagine di Dio nell'uomo che fonda la libertà e la dignità della persona umana. (16)

La chiamata del Creatore
28. Creando l'uomo libero, Dio ha impresso in lui la sua immagine e la sua somiglianza. (17) L'uomo avverte la chiamata del suo Creatore nell'inclinazione e nell'aspirazione della sua natura verso il bene e, ancora di più, nella Parola della Rivelazione, che in Cristo è stata pronunciata in modo perfetto. Gli è stato così rivelato che Dio l'ha creato libero, perché potesse mediante la grazia, entrare in amicizia con lui e partecipare alla sua vita.

Una libertà partecipata
29. L'uomo non ha la sua origine nella propria azione individuale o collettiva, ma nel dono di Dio che l'ha creato. Questa è la prima confessione della nostra fede, che viene a confermare le intuizioni più alte del pensiero umano.
La libertà dell'uomo è una libertà partecipata, e la sua capacità di realizzarsi non è in alcun modo soppressa dalla sua dipendenza nei confronti di Dio. È esattamente la caratteristica dell'ateismo quella di credere a un'opposizione irriducibile tra la causalità di una libertà divina e quella della libertà dell'uomo, come se l'affermazione di Dio significasse la negazione dell'uomo, o come se il di lui intervento nella storia rendesse vani i tentativi di questo. In realtà, è da Dio ed in rapporto a Dio che la libertà umana prende senso e consistenza.

La scelta libera dell'uomo
30. La storia dell'uomo si sviluppa sul fondamento della natura che egli ha ricevuto da Dio, nel libero perseguimento dei fini verso cui lo orientano e lo portano le inclinazioni di questa stessa natura e della grazia divina.
Ma la libertà dell'uomo è limitata e debole. Il suo desiderio può rivolgersi a un bene apparente: scegliendo un falso bene, egli vien meno alla vocazione della sua libertà. L'uomo, col suo libero arbitrio, dispone di sé: egli può fare ciò in un senso positivo o in un senso distruttivo.
Ubbidendo alla legge divina, impressa nella sua coscienza e ricevuta come impulso dello Spirito Santo, l'uomo esercita la vera padronanza di se stesso e realizza così la sua vocazione regale di figlio di Dio. "Mediante il servizio di Dio egli regna". (18) L'autentica libertà è "servizio della giustizia", mentre invece la scelta della disubbidienza e del male è "schiavitù del peccato". (19)

Liberazione temporale e libertà
31. Partendo da questa nozione di libertà, si precisa la portata della nozione di liberazione temporale: si tratta dell'insieme dei processi, che mirano a procurare e a garantire le condizioni richieste per l'esercizio di un'autentica libertà umana.
Per se stessa, dunque, la liberazione non produce la libertà dell'uomo. Il senso comune, confermato dal senso cristiano, sa che la libertà, anche quando è soggetta a condizionamenti, non è tuttavia distrutta. Anche uomini, che pur subissero terribili costrizioni, potrebbero riuscire a manifestare la loro libertà e a mettersi in cammino per la loro liberazione. Un processo di liberazione portato a termine può solamente creare delle condizioni migliori per l'esercizio effettivo della libertà. Proprio per questo una liberazione, che non tenga conto della libertà personale di quelli che combattono per essa, è in partenza condannata all'insuccesso.

III. La libertà e la società umana

diritti dell'uomo e "le libertà"
32. Dio non ha creato l'uomo come un "essere solitario", ma lo ha voluto come un "essere sociale". (20) La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri. L'uomo appartiene a diverse comunità: familiare, professionale, politica, ed è in seno ad esse che egli deve esercitare la sua libertà responsabile. Un ordine sociale giusto offre all'uomo un aiuto insostituibile per la realizzazione della sua libera personalità. Al contrario, un ordine sociale ingiusto è una minaccia e un ostacolo, che possono compromettere il suo destino.
Nella sfera sociale, la libertà si esprime e si realizza nelle azioni, nelle strutture e nelle istituzioni, grazie alle quali gli uomini comunicano tra loro e organizzano la loro vita in comune. Il pieno sviluppo di una libera personalità, che è per ciascuno un dovere ed un diritto, deve essere aiutato e non già ostacolato dalla società.
C'è qui un'esigenza di natura morale, che ha trovato la sua espressione nella formulazione dei diritti dell'uomo. Alcuni di essi hanno per oggetto ciò che si è convenuto di chiamare "le libertà", che sono come altrettante modalità nel riconoscere a ciascun essere umano il suo destino trascendente, come anche l'inviolabilità della sua coscienza. (21)

Dimensioni sociali dell'uomo e gloria di Dio
33. La dimensione sociale dell'essere umano riveste anche un altro significato: solamente la pluralità e la ricca diversità degli uomini possono esprimere qualcosa dell'infinita ricchezza di Dio.
Infine, questa dimensione è destinata a trovare il suo compimento nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa. È per questo che la vita sociale, nella varietà delle sue forme e nella misura in cui è conforme alla legge divina, costituisce un riflesso della gloria di Dio nel mondo. (22)

IV. Libertà dell’uomo e dominio della natura

Vocazione dell'uomo a "dominare" la natura
34. A motivo della sua dimensione corporale, l'uomo ha bisogno delle risorse del mondo materiale per la sua realizzazione personale e sociale. In questa vocazione a dominare la terra, mettendola al proprio servizio mediante il lavoro, può essere riconosciuto un tratto dell'immagine di Dio. (23) Ma l'intervento umano non è "creatore"; esso s'incontra con una natura materiale, che ha come esso la sua origine in Dio Creatore e di cui l'uomo è stato costituito il "nobile e saggio custode". (24)

L'uomo, padrone delle sue attività
35. Le trasformazioni tecniche ed economiche si ripercuotono sull'organizzazione della vita sociale; esse non possono non incidere, in una certa misura, sulla vita culturale e sulla stessa vita religiosa.
Tuttavia, mediante la sua libertà, l'uomo resta padrone della propria attività. Le grandi e rapide trasformazioni dell'epoca contemporanea gli pongono una sfida drammatica: quella della padronanza e del controllo, mediante la sua ragione e la sua libertà, delle forze che egli attiva per il servizio delle vere finalità umane.

Scoperte scientifiche e progresso morale
36. È, dunque, proprio della libertà, ben orientata, di fare in modo che le conquiste scientifiche e tecniche, la ricerca della loro efficacia, i prodotti del lavoro e le strutture stesse dell'organizzazione economica e sociale non siano sottomesse a dei progetti che le priverebbero delle loro finalità umane e le rivolgerebbero contro l'uomo stesso.
L'attività scientifica e l'attività tecnica implicano, ciascuna, delle esigenze specifiche. Tuttavia, esse acquistano il loro significato e il loro valore propriamente umano solo quando sono subordinate ai princìpi morali. Queste esigenze devono essere rispettate; ma voler loro attribuire un'autonomia assoluta e necessitante, non conforme alla natura delle cose, significa immettersi in una via pericolosa per l'autentica libertà dell'uomo.

V. Il peccato, fonte di divisione e di oppressione

Il peccato, separazione da Dio
37. Dio chiama l'uomo alla libertà. In ciascuno è viva la volontà di essere libero. Eppure questa volontà sfocia quasi sempre nella schiavitù e nell'oppressione. Ogni impegno per la liberazione e la libertà suppone, dunque, che sia stato affrontato questo drammatico paradosso.
Il peccato dell'uomo, cioè la sua rottura con Dio, è la ragione radicale delle tragedie che segnano la storia della libertà. Per comprendere questo, molti nostri contemporanei devono riscoprire, innanzitutto, il senso del peccato.
Nella volontà di libertà dell'uomo si nasconde la tentazione di rinnegare la sua propria natura. In quanto intende tutto volere e potere, dimenticando così di essere limitato e creato, egli pretende di essere un dio. "Voi sarete come Dio" (Gn 3, 5): questa parola del serpente esprime l'essenza della tentazione dell'uomo, ed implica lo stravolgimento del vero senso della sua libertà. Questa è la profonda natura del peccato: l'uomo si stacca dalla verità, mettendo la sua volontà al di sopra di essa. Volendo liberarsi di Dio ed essere lui stesso dio, egli si inganna e si distrugge. Egli si aliena da se stesso.
In questa volontà di essere dio e di tutto sottoporre al proprio beneplacito si nasconde uno stravolgimento dell'idea stessa di Dio. Dio è amore e verità nella pienezza del dono reciproco delle Persone divine. Sì, è vero: l'uomo è chiamato a essere come Dio. Tuttavia, egli diventa simile a Dio non nell'arbitrarietà del suo beneplacito, ma nella misura in cui riconosce che la verità e l'amore sono allo stesso tempo principio e fine della sua libertà.

Il peccato, radice delle alienazioni umane
38. Peccando, l'uomo mente a se stesso e si separa dalla sua verità. Cercando la totale autonomia e l'autarchia, egli nega Dio e nega se stesso. L'alienazione in rapporto alla verità del suo essere di creatura, amata da Dio, è la radice di tutte le altre alienazioni.
Negando o tentando di negare Dio, suo principio e suo fine, l'uomo altera profondamente il suo ordine ed equilibrio interiore, quello della società e anche quello della creazione visibile. (25)
È in connessione col peccato che la Scrittura considera l'insieme delle calamità che opprimono l'uomo nel suo essere individuale e sociale.
Essa dimostra che tutto il corso della storia mantiene un legame misterioso con l'agire dell'uomo, il quale, fin dall'origine, ha abusato della sua libertà, ergendosi contro Dio e cercando di raggiungere i propri fini al di fuori di lui. (26) Nel carattere affliggente del lavoro e della maternità, nel dominio dell'uomo sulla donna e nella morte, la Genesi, indica le conseguenze di quel peccato originale. Così, gli uomini privati della grazia divina hanno ereditato una comune natura mortale, incapace di fissarsi nel bene e inclinata alla concupiscenza. (27)

Idolatria e disordine
39. L'idolatria è la forma estrema del disordine generato dal peccato. Il sostituire all'adorazione del Dio vivo il culto di una creatura altera le relazioni tra gli uomini ed implica diverse specie di oppressione.
Il misconoscimento colpevole di Dio scatena le passioni, che sono causa di squilibrio e di conflitti nell'intimo dell'uomo. Di qui derivano inevitabilmente i disordini che colpiscono la sfera familiare e sociale: permissivismo sessuale, ingiustizia, omicidio. È in questo modo che l'apostolo Paolo descrive il mondo pagano, portato dall'idolatria alle peggiori aberrazioni, che rovinano l'individuo e la società. (28)
Già prima di lui i Profeti e i Sapienti di Israele ravvisavano nelle disgrazie del popolo un castigo del suo peccato di idolatria, e nel "cuore colmo di malizia" (Qo 9, 3) (29) la fonte della radicale schiavitù dell'uomo e delle oppressioni, che egli fa subire ai suoi simili.

Disprezzo di Dio e conversione alla creatura
40. La tradizione cristiana, presso i Padri ed i dottori della Chiesa, ha esplicitato questa dottrina della Scrittura sul peccato. Per essa il peccato è disprezzo di Dio (contemptus Dei), che comporta la volontà di sfuggire al rapporto di dipendenza del servitore nei confronti del suo Signore o, piuttosto, del figlio nei confronti del Padre. Peccando, l'uomo intende liberarsi da Dio, ma, in realtà si rende schiavo. Infatti, rifiutando Dio, infrange lo slancio della sua aspirazione all'infinito e della sua vocazione a partecipare della vita divina. Per questo il suo cuore è in balìa dell'inquietudine.
L'uomo peccatore, che rifiuta di aderire a Dio, è portato necessariamente ad attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura (conversio ad creaturam) egli concentra su questa il suo desiderio insoddisfatto di infinito. Se non che, i beni creati sono limitati, per cui il suo cuore trascorre dall'uno all'altro, sempre in cerca di un'impossibile pace.
In realtà, quando attribuisce alle creature un valore di infinità, l'uomo perde il senso del suo essere creatura. Pretende di trovare il suo centro e la sua unità in se stesso. L'amore disordinato di sé è l'altra faccia del disprezzo di Dio. L'uomo intende allora appoggiarsi unicamente su di sé, vuole realizzarsi da sé ed essere autosufficiente nella propria immanenza. (30)

L'ateismo, falsa emancipazione della libertà
41. Ciò diviene particolarmente evidente quando il peccatore pensa di non poter affermare la propria libertà se non negando esplicitamente Dio. La dipendenza della creatura nei confronti del Creatore, o quella della coscienza morale nei confronti della legge divina, sarebbero per lui forme di intollerabile schiavitù. L'ateismo è, dunque, ai suoi occhi la vera forma di emancipazione e di liberazione dell'uomo, mentre la religione, o anche il riconoscimento di una legge morale costituirebbero delle alienazioni. L'uomo vuole allora decidere sovranamente del bene e del male, o anche dei valori e, con la stessa dinamica, rigetta a un tempo l'idea di Dio e l'idea di peccato. Attraverso l'audacia della trasgressione egli pretende di diventare adulto e libero, e rivendica tale emancipazione non solamente per sé, ma per l'umanità intera.

Peccato e strutture d'ingiustizia
42. Divenuto centro di sé stesso, l'uomo peccatore tende ad affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare.

Capitolo terzo
Liberazione e libertà cristiana

Vangelo, libertà e liberazione
43. La storia umana, contrassegnata dall'esperienza del peccato, ci condurrebbe alla disperazione, se Dio avesse abbandonato la sua creatura a se stessa. Ma le promesse divine di liberazione e il loro vittorioso adempimento nella morte e risurrezione di Cristo sono il fondamento della "beata speranza", donde la comunità cristiana attinge la forza per agire risolutamente ed efficacemente al servizio dell'amore, della giustizia e della pace. Il Vangelo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione, (31) che porta a compimento la speranza di Israele, fondata sulla parola dei Profeti. Questa si appoggia sull'azione di Jahvé che, prima ancora di intervenire come goèl, (32) liberatore, redentore, salvatore del suo popolo, lo aveva scelto gratuitamente in Abramo. (33)

I. La liberazione dell’Antico Testamento

L'Esodo e gli interventi liberatori di Jahvé
44. Nell'Antico Testamento l'azione liberatrice di Jahvé, che serve da modello e da riferimento per tutte le altre, è l'esodo dall'Egitto, "casa di schiavitù". Se Dio strappa il suo popolo da una dura schiavitù economica, politica e culturale, è al fine di farne, con l'alleanza del Sinai, "un regno di sacerdoti ed una nazione santa" (Es 19, 6). Dio vuol essere adorato da uomini liberi. Tutte le ulteriori liberazioni del popolo di Israele tendono a ricondurlo a questa pienezza di libertà, che non può trovare se non nella comunione col suo Dio.
L'avvenimento più grande e fondamentale dell'esodo, dunque, ha un significato insieme religioso e politico. Dio libera il suo popolo, gli dà una discendenza, una terra, una legge, ma all'interno di un'alleanza ed in vista di un'alleanza. Non si può, dunque, isolare per se stesso l'aspetto politico; è necessario considerarlo alla luce del disegno di natura religiosa, nel quale è integrato. (34)

La legge di Dio
45. Nel suo disegno salvifico Dio ha dato a Israele la sua legge. Essa conteneva, insieme con i precetti morali universali del Decalogo, delle norme cultuali e civili, che dovevano regolare la vita del popolo scelto da Dio per essere il suo testimone fra le nazioni.
In questo complesso di leggi, l'amore di Dio sopra ogni cosa (35) e del prossimo come se stessi (36) costituisce già il centro. Ma la giustizia, che deve regolare i rapporti tra gli uomini, e il diritto, che ne è l'espressione giuridica, appartengono anch'essi alla trama più caratteristica della legge biblica. I Codici e la predicazione dei Profeti, come anche i Salmi, si riferiscono costantemente all'una e all'altro, frequentemente considerati insieme. (37) È in questo contesto che si deve apprezzare la cura che la legge biblica ha per i poveri, i bisognosi, la vedova e l'orfano: si deve rendere a essi giustizia secondo l'ordinamento giuridico del popolo di Dio. (38) Esistono già, dunque, l'ideale e l'abbozzo di una società centrata sul culto del Signore e fondata sulla giustizia e sul diritto, animati dall'amore.

L'insegnamento dei Profeti
46. I Profeti non cessano di ricordare a Israele le esigenze della legge dell'alleanza. Essi denunciano nel cuore indurito dell'uomo la fonte delle ripetute trasgressioni e annunciano un'alleanza nuova, nella quale Dio cambierà i cuori imprimendovi la legge del suo Spirito. (39)
Annunciando e preparando questa era nuova, i Profeti denunciano con forza l'ingiustizia perpetrata contro i poveri; in loro favore essi si fanno i portavoce di Dio. Jahvé è il "ricorso" supremo dei piccoli e degli oppressi, e il Messia avrà come missione quella di prendere le loro difese. (40)
La condizione del povero è una condizione di ingiustizia, contraria all'alleanza. Per questo motivo la legge dell'alleanza lo protegge con dei precetti, che riflettono il medesimo atteggiamento tenuto da Dio, quando liberò Israele dalla schiavitù d'Egitto. (41) L'ingiustizia verso i piccoli e i poveri è un grave peccato, che rompe la comunione con Jahvé.

I "poveri di Jahvé"
47. Partendo da tutte le forme di povertà, di ingiustizia subìta, di afflizione, i "giusti" e i "poveri di Jahvé" fanno salire verso di lui la loro supplica nei Salmi. (42) Essi soffrono nel loro cuore per la schiavitù, cui il popolo "dalla dura cervice" si è ridotto a causa dei suoi peccati. Essi sopportano la persecuzione, il martirio, la morte, ma vivono nella speranza della liberazione. Al di sopra di tutto, pongono la loro fiducia in Jahvé, al quale raccomandano la loro causa. (43)
I "poveri di Jahvé" sanno che la comunione con lui (44) è il bene più prezioso, in cui l'uomo trova la vera libertà. (45) Per essi il male più tragico è la perdita di tale comunione. Per questo motivo la loro lotta contro l'ingiustizia acquista il suo più profondo significato e la sua efficacia nella volontà di essere liberati dalla schiavitù del peccato.

Alle soglie del Nuovo Testamento
48. Sulla soglia del Nuovo Testamento i "poveri di Jahvé" costituiscono le primizie di un "popolo umile e povero", che vive nella speranza della liberazione di Israele. (46)
Impersonando questa speranza, Maria oltrepassa la soglia dell'Antico Testamento. Ella annuncia con gioia l'avvento messianico e loda il Signore, che si prepara a liberare il suo popolo. (47) Nel suo cantico di lode alla divina misericordia l'umile Vergine, verso la quale si rivolge spontaneamente e con tanta fiducia il popolo dei poveri, canta il mistero della salvezza e la sua forza di trasformazione. Il senso della fede, così vivo nei piccoli, sa immediatamente riconoscere tutta la ricchezza soteriologica e insieme etica delMagnificat. (48)

II. Significato cristologico dell’Antico Testamento

Alla luce di Cristo
49. L'esodo, l'alleanza, la legge, la voce dei Profeti e la Spiritualità dei "poveri di Jahvé" raggiungono solamente nel Cristo il loro pieno significato.
La Chiesa legge l'Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto per noi. Essa vede se stessa prefigurata nel popolo di Dio dell'antica alleanza, incarnato nel corpo concreto di una particolare nazione, politicamente e culturalmente costituita, che era inserita nella trama della storia come testimone di Jahvé davanti alle nazioni, fino al compimento del tempo delle preparazioni e delle figure. Nella pienezza dei tempi realizzatasi in Cristo, i figli di Abramo sono chiamati ad entrare con tutte le nazioni nella Chiesa di Cristo, per formare con esse un solo popolo di Dio, spirituale ed universale. (49)

III. La liberazione cristiana

La buona novella annunciata ai poveri
50. Gesù annuncia la buona novella del regno di Dio e chiama gli uomini alla conversione. (50) I "poveri sono evangelizzati" (Mt 11, 5): riprendendo la parola del Profeta, (51) Gesù rivela la sua azione messianica in favore di coloro che attendono la salvezza da Dio.
Più ancora, il Figlio di Dio, che si fece povero per amor nostro, (52) vuol essere riconosciuto nei poveri, in coloro che soffrono o sono perseguitati: (53) "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). (54)

Il mistero pasquale
51. Ma è soprattutto con la forza del suo mistero pasquale che Cristo ci ha liberati. (55) Con la sua obbedienza perfetta sulla croce e con la gloria della risurrezione, l'Agnello di Dio ha tolto il peccato del mondo e ci ha aperto la via della definitiva liberazione.
Col nostro servizio e il nostro amore, ma anche con l'offerta delle nostre prove e sofferenze, noi partecipiamo all'unico sacrificio redentore di Cristo, completando in noi "quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo, ch'è la Chiesa" (Col1, 24), nell'attesa della risurrezione dei morti.

Grazia, riconciliazione e libertà
52. Il centro dell'esperienza cristiana della libertà sta nella giustificazione per mezzo della grazia della fede e dei sacramenti della Chiesa. Questa grazia ci libera dal peccato e ci introduce nella comunione con Dio. Per mezzo della morte e della risurrezione di Cristo ci è offerto il perdono. L'esperienza della nostra riconciliazione col Padre è frutto dello Spirito Santo. Dio si rivela a noi come Padre di misericordia, davanti al quale ci possiamo presentare con totale fiducia.
Riconciliati con lui (56) e ricevendo quella pace di Cristo, che il mondo non può dare, (57) siamo chiamati ad essere artefici di pace (58) in mezzo a tutti gli uomini.
In Cristo noi possiamo vincere il peccato, e la morte più non ci separa da Dio; essa sarà finalmente distrutta al momento della nostra risurrezione, che è simile a quella di Gesù. (59) Anche il "cosmo", di cui l'uomo è il centro e il vertice, attende di essere "liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 21). Fin da ora Satana è sconfitto; egli, che ha la potenza della morte, è stato ridotto all'impotenza dalla morte di Cristo. (60) Ci sono già dati dei segni, che anticipano la gloria futura.

Lotta contro la schiavitù del peccato
53. La libertà, portata da Cristo nello Spirito Santo, ci ha restituito la capacità, di cui il peccato ci aveva privato, di amare Dio al di sopra di tutto e di rimanere in comunione con lui.
Noi siamo liberati dall'amore disordinato di noi stessi, che è la fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti di dominio tra gli uomini.
Nondimeno, fino al ritorno glorioso del Risorto, il mistero di iniquità è sempre all'opera nel mondo. San Paolo ce ne fa avvertiti: "Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi" (Gal 5, 1). È, dunque, necessario perseverare e lottare per non ricadere sotto il giogo della schiavitù. La nostra esistenza è un combattimento spirituale per una vita da condurre secondo il Vangelo e con le armi di Dio. (61) Ma noi abbiamo ricevuto la forza e la certezza della vittoria sul male, vittoria dell'amore di Cristo, a cui nulla può resistere. (62)

Lo Spirito e la legge
54. San Paolo proclama il dono della nuova legge dello Spirito, in opposizione alla legge della carne o della concupiscenza, che inclina l'uomo al male e lo rende incapace a scegliere il bene. (63) Questa mancanza di armonia e questa debolezza interiore non aboliscono la libertà e la responsabilità dell'uomo, ma ne compromettono l'esercizio per il bene. È questo che fa dire all'Apostolo: "Non faccio il bene che voglio, e compio il male che non voglio" (Rm 7, 19). Giustamente, dunque, egli parla della "schiavitù del peccato" e della "schiavitù della legge", perché all'uomo peccatore appare opprimente la legge, che egli non può interiorizzare.
Tuttavia, san Paolo riconosce che la legge conserva il suo valore per l'uomo e per il cristiano, perché "essa è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento" (Rm 7, 12). (64) Egli riafferma il Decalogo, mettendolo in rapporto con la carità, che ne è la vera pienezza. (65) Inoltre, egli sa bene che è necessario un ordine giuridico per lo sviluppo della vita sociale. (66) La vera novità da lui proclamata è che Dio ci ha donato suo Figlio "perché la giustizia della legge si adempisse in noi" (Rm 8, 4).
Lo stesso Signore Gesù ha enunciato i comandamenti della nuova legge nel discorso della montagna; col suo sacrificio offerto sulla croce e la sua gloriosa risurrezione ha vinto le potenze del peccato e ci ha ottenuto la grazia dello Spirito Santo, che rende possibile la perfetta osservanza della legge di Dio (67) e l'accesso al perdono, se ricadiamo nel peccato. Lo Spirito, che abita nei nostri cuori, è la fonte della vera libertà.
Col sacrificio di Cristo le prescrizioni cultuali dell'Antico Testamento sono state abrogate. Quanto alle norme giuridiche della vita sociale e politica di Israele, la Chiesa apostolica, quale regno di Dio inaugurato sulla terra, ha avuto coscienza di non esser più tenuta a osservarle. Ciò ha fatto comprendere alla comunità cristiana che le leggi e gli atti delle autorità dei diversi popoli, benché legittimi e degni di obbedienza, (68) tuttavia non avrebbero mai potuto, in quanto procedenti da esse, arrogarsi un carattere sacro. Alla luce del Vangelo molte leggi e strutture appaiono portare il segno del peccato, di cui prolungano l'oppressiva influenza nella società.

IV. Il comandamento nuovo

L'amore, dono dello Spirito
55. L’amore di Dio, diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo, implica l’amore del prossimo. Ricordando il primo comandamento, Gesù aggiunge subito: "E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i Profeti" (Mt22, 39-40). E san Paolo afferma che la carità è il pieno compimento della legge. (69)
L'amore del prossimo non conosce limiti, estendendosi ai nemici e ai persecutori. La perfezione, immagine di quella del Padre, alla quale il discepolo deve tendere, risiede nella misericordia. (70) La parabola del buon Samaritano dimostra che l'amore compassionevole, che si pone al servizio del prossimo, distrugge i pregiudizi, i quali mettono i gruppi etnici o sociali gli uni contro gli altri. (71) Tutti i libri del Nuovo Testamento documentano la inesauribile ricchezza di sentimenti, di cui è portatore l'amore cristiano del prossimo. (72)

L'amore del prossimo
56. L'amore cristiano, gratuito e universale, deriva la sua natura dall'amore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi: "Come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13, 34-35). (73) Questo è il "comandamento nuovo" per i discepoli.
Alla luce di questo comandamento san Giacomo richiama severamente i ricchi al loro dovere, (74) mentre san Giovanni afferma che colui che, disponendo delle ricchezze di questo mondo, chiude il suo cuore al fratello che è in necessità, non può avere dimorante in sé l'amore di Dio. (75) L'amore del fratello è la pietra di paragone dell'amore di Dio: "Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4, 20). San Paolo sottolinea con vigore il legame che esiste tra la partecipazione al sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo e la condivisione con il fratello, che si trova nel bisogno. (76)

Giustizia e carità
57. L'amore evangelico e la vocazione di figli di Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati, hanno come conseguenza l'esigenza diretta e imperativa del rispetto di ciascun essere umano nei suoi diritti alla vita e alla dignità. Non c'è divario tra l'amore del prossimo e la volontà di giustizia. L'opporli significherebbe snaturare a un tempo l'amore e la giustizia. Più ancora, il senso della misericordia completa quello della giustizia, impedendole di rinchiudersi nel cerchio della vendetta.
Le inique disuguaglianze e le oppressioni di ogni sorta, che colpiscono oggi milioni di uomini e di donne, sono in aperta contraddizione col Vangelo di Cristo e non possono lasciar tranquilla la coscienza di nessun cristiano.
Nella sua docilità allo Spirito, la Chiesa avanza con fedeltà lungo le strade dell'autentica liberazione. I suoi membri hanno coscienza delle proprie manchevolezze e dei ritardi in questa ricerca. Ma una moltitudine di cristiani, fin dal tempo degli Apostoli, ha impegnato le proprie forze e la propria vita per la liberazione da ogni forma di oppressione e per la promozione della dignità umana. L'esperienza dei Santi e l'esempio di tante opere al servizio del prossimo costituiscono uno stimolo e una luce per quelle iniziative liberatrici, che al giorno d'oggi si impongono.

V. La Chiesa, popolo di Dio della nuova Alleanza

Verso la pienezza della libertà
58. Il popolo di Dio della nuova alleanza è la Chiesa di Cristo. La sua legge è il comandamento dell'amore. Nel cuore dei suoi membri lo Spirito abita come in un tempio. Essa è il germe e l'inizio del regno di Dio su questa terra, regno che avrà il suo compimento alla fine dei tempi con la risurrezione dei morti e il rinnovamento di tutta la creazione. (77)
Possedendo così la caparra dello Spirito, (78) il popolo di Dio è condotto verso la pienezza della libertà. La nuova Gerusalemme, che noi attendiamo con fervore, è chiamata a giusto titolo città della libertà nel senso più alto del termine. (79) Allora "Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Ap 21, 4). La speranza è l'attesa sicura "di nuovi cieli e di una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2 Pt 3, 13).

L'incontro finale con Cristo
59. La trasfigurazione della Chiesa, giunta al termine del suo pellegrinaggio, che Cristo risorto opererà, non elimina assolutamente il destino personale di ciascuno, al termine della propria vita. Ogni uomo, trovato degno davanti al tribunale di Cristo per aver ben usato con la grazia di Dio del suo libero arbitrio, avrà la felicità. (80) Egli sarà reso simile a Dio, perché lo vedrà come è. (81) Il dono divino della beatitudine eterna è l'esaltazione della più alta libertà che si possa concepire.

Speranza escatologica e impegno per la liberazione temporale
60. Questa speranza non attenua l'impegno per il progresso della città terrena, ma al contrario gli dà senso e forza. Certamente, bisogna distinguere con cura tra progresso terrestre e crescita del regno, che non sono dello stesso ordine. Tuttavia, questa distinzione non è una separazione; infatti, la vocazione dell'uomo alla vita eterna non elimina, anzi conferma il suo compito di mettere in atto le energie e i mezzi, che ha ricevuti dal Creatore per sviluppare la sua vita temporale. (82)
Illuminata dallo Spirito del Signore, la Chiesa di Cristo può discernere nei segni dei tempi quelli che promettono la liberazione e quelli che sono ingannevoli e illusori. Essa chiama l'uomo e le società a vincere le situazioni di peccato e d'ingiustizia e a stabilire le condizioni di una vera libertà. Essa è cosciente che tutti questi beni: dignità umana, unione fraterna, libertà, che costituiscono il frutto di sforzi conformi alla volontà di Dio, noi li ritroveremo "purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale", (83) che è un regno di libertà.
La vigile e operosa attesa della venuta del regno è pure quella di una giustizia finalmente perfetta per i vivi e per i morti, per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che Gesù Cristo, costituito Giudice supremo, instaurerà. (84) Una tale promessa, che supera tutte le possibilità umane, riguarda direttamente la nostra vita in questo mondo. Infatti, una vera giustizia deve estendersi a tutti, portare la risposta all'immenso cumulo di sofferenze che gravano su tutte le generazioni. In realtà, senza la risurrezione dei morti e il giudizio del Signore non c'è giustizia nel senso pieno di questo termine. La promessa della risurrezione viene gratuitamente incontro al desiderio di vera giustizia, che abita nel cuore umano.

Capitolo quarto
La missione liberatrice della Chiesa

La Chiesa e le inquietudini dell'uomo
61. La Chiesa ha la ferma volontà di rispondere all'inquietudine dell'uomo contemporaneo, oppresso da dure imposizioni e ansioso di libertà. La gestione politica ed economica della società non rientra direttamente nella sua missione. (85) Ma il Signore le ha affidato la parola di verità, capace di illuminare le coscienze. L'amore divino, che è la sua vita, la stimola a essere realmente solidale con ogni uomo che soffre. Se i suoi membri rimangono fedeli a questa missione, lo Spirito Santo, sorgente di libertà, dimorerà in essi, e così produrranno frutti di giustizia e di pace nel loro ambiente familiare, professionale e sociale.

I. Per la salvezza integrale del mondo

Le beatitudini e la forza del Vangelo
62. Il Vangelo è potenza di vita eterna, data già fin d'ora a coloro che lo accolgono. (86) Ma, generando uomini nuovi, (87) questa forza penetra nella comunità umana e nella sua storia, purificando e vivificando così le varie attività. Con ciò essa è "radice di cultura". (88)
Le beatitudini, proclamate da Gesù, esprimono la perfezione dell'amore evangelico, ed esse non han cessato di esser vissute lungo tutta la storia della Chiesa da numerosi battezzati e, in modo eminente, dai Santi.
A cominciare dalla prima, riguardante i poveri, le beatitudini formano un tutt'uno, che a sua volta non deve essere separato dall'insieme del discorso della montagna. (89) In esso Gesù, che è il nuovo Mosè, commenta il Decalogo, la legge dell'alleanza, dandogli il suo senso definitivo e completo. Lette e interpretate nell'integrità del loro contesto, le beatitudini esprimono lo spirito del regno di Dio che viene. Ma, alla luce del destino definitivo della storia umana, in tal modo manifestato, appaiono nello stesso tempo, con più chiara evidenza, i fondamenti della giustizia nell'ordine temporale.
Infatti, insegnando la fiducia che si appoggia su Dio, la speranza della vita eterna, l'amore della giustizia, la misericordia che giunge fino al perdono e alla riconciliazione, la beatitudini permettono di stabilire l'ordine temporale in funzione di un ordine trascendente, che senza togliere al primo il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura.
Alla loro luce, l'impegno necessario nei compiti temporali a servizio del prossimo e della comunità degli uomini è allo stesso tempo richiesto con urgenza e mantenuto nella sua giusta prospettiva. Le beatitudini preservano dall'idolatria dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta. (90) Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo perfetto, perché "passa la scena di questo mondo" (1 Cor 7, 31).

L'annunzio della salvezza
63. La missione essenziale della Chiesa, che continua quella di Cristo, è una missione evangelizzatrice e salvifica. (91) Essa attinge il suo slancio dalla carità divina. L'evangelizzazione è annuncio della salvezza, dono di Dio. Per mezzo della Parola di Dio e dei sacramenti, l'uomo è liberato, prima di tutto, dal potere del peccato e dal potere del Maligno, che l'opprimono, e è introdotto nella comunione d'amore con Dio. Seguendo il suo Signore, "venuto nel mondo per salvare i peccatori" (1 Tm 1, 15), la Chiesa vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Compiendo questa missione, la Chiesa insegna la via che l'uomo deve percorrere in questo mondo per entrare nel regno di Dio. Perciò, la sua dottrina si estende a tutto l'ordine morale e, segnatamente, alla giustizia, che deve regolare le relazioni umane. Ciò fa parte della predicazione del Vangelo.
Ma l'amore, che spinge la Chiesa a comunicare a tutti la partecipazione gratuita alla volontà divina, le fa anche perseguire, mediante l'efficace azione dei suoi membri, il vero bene temporale degli uomini, sovvenire alle loro necessità, provvedere alla loro cultura e promuovere una liberazione integrale da tutto ciò che ostacola lo sviluppo delle persone. La Chiesa vuole il bene dell'uomo in tutte le sue dimensioni, prima come membro della città di Dio, e poi come membro della città terrestre.

Evangelizzazione e promozione della giustizia
64. Quando dunque si pronuncia circa la promozione della giustizia nelle società umane, o quando impegna i fedeli del laicato a lavorarvi secondo la loro propria vocazione, la Chiesa non esorbita dalla sua missione. Tuttavia, essa si preoccupa che tale missione non sia assorbita dalle preoccupazioni riguardanti l'ordine temporale, né sia ridotta solo a queste. Per tale motivo essa ha grande cura di mantenere chiaramente e fermamente l'unità e insieme la distinzione tra evangelizzazione e promozione umana: l'unità, perché essa cerca il bene di tutto l'uomo; la distinzione, perché questi due compiti rientrano a titoli diversi nella sua missione.

Vangelo e realtà terrestri
65. Pertanto, è perseguendo la propria finalità che la Chiesa diffonde la luce del Vangelo sulle realtà terrene, in modo che la persona umana sia guarita dalle sue miserie ed elevata alla sua dignità. È così promossa e rinforzata la coesione della società secondo la giustizia e la pace. (92) Così la Chiesa è fedele alla sua missione, quando denuncia le deviazioni, le schiavitù e le oppressioni, di cui gli uomini sono vittime.
Essa è fedele alla sua missione, quando si oppone ai tentativi di instaurare una forma di vita sociale, da cui Dio è assente sia per una cosciente opposizione, sia per una colpevole negligenza. (93)
Essa, finalmente, è fedele alla sua missione, quando esprime il suo giudizio circa i movimenti politici che vogliono lottare contro la miseria e l'oppressione secondo teorie e metodi di azione che sono contrari al Vangelo e si oppongono all'uomo stesso. (94)
Senza dubbio, con la forza della grazia, la morale evangelica reca all'uomo nuove prospettive e nuove esigenze. Ma essa non fa che perfezionare ed elevare una dimensione morale, che appartiene già alla natura umana di cui la Chiesa si preoccupa, sapendo che si tratta di un patrimonio comune a tutti gli uomini in quanto tali.

II. L'amore di preferenza per i poveri

Gesù e la povertà
66. Cristo Gesù, da ricco che era, si fece povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà. (95) In questo testo san Paolo parla del mistero dell'Incarnazione del Figlio eterno, che ha voluto assumere una natura umana mortale per salvare l'uomo dalla miseria, in cui il peccato l'aveva immerso. Inoltre, nella condizione umana Cristo ha scelto una situazione di povertà e di spogliamento (96) per dimostrare quale sia la vera ricchezza da ricercare: quella della comunione di vita con Dio. Egli ha insegnato il distacco dalle ricchezze terrene, affinché si desiderino quelle celesti. (97) Gli Apostoli, che egli ha scelto, hanno dovuto anch'essi lasciare tutto e condividere il suo spogliamento. (98)
Annunciato dal Profeta come il Messia dei poveri, (99) appunto presso di loro, gli umili, i "poveri di Jahvé" assetati della giustizia del Regno, egli ha trovato i cuori disposti ad accoglierlo. Ma ha voluto anche essere vicino a coloro che, pur ricchi dei beni di questo mondo, erano esclusi dalla comunità come "pubblicani e peccatori", perché era venuto per chiamarli alla conversione. (100)
È proprio questa povertà, fatta di distacco, di fiducia in Dio, di sobrietà, di disposizione alla condivisione, che Gesù ha dichiarato beata.

Gesù e i poveri
67. Ma Gesù non ha portato soltanto la grazia e la pace di Dio: egli ha pure guarito tanti e tanti malati; ha avuto compassione della folla, che non aveva nulla da mangiare e l'ha sfamata; insieme con i discepoli che lo seguivano, ha praticato l'elemosina. (101) La beatitudine della povertà, che egli ha proclamato, non può, dunque, significare in alcun modo che i cristiani si possono disinteressare dei poveri sprovvisti di ciò che è necessario per la vita umana in questo mondo. Frutto e conseguenza del peccato degli uomini e della loro naturale fragilità, questa miseria è un male da cui bisogna liberare, per quanto è possibile, gli esseri umani.

L'amore di preferenza per i poveri
68. Nelle sue molteplici forme - spogliamento materiale, ingiusta oppressione, malattie fisiche e psichiche, e infine la morte - la miseria umana è il segno evidente della naturale condizione di debolezza, in cui l'uomo si trova dopo il primo peccato e del suo bisogno di salvezza. È per questo che essa ha attirato la compassione di Cristo Salvatore, che ha voluto prenderla su di sé, (102) e identificarsi con "i più piccoli tra i fratelli" (Mt 25, 40. 45). È pure per questo che gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini, malgrado le infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili. (103) Essa poi, con la sua dottrina sociale, che sollecita ad applicare, ha cercato di promuovere riforme di struttura nella società, per procurare condizioni di vita degne della persona umana.
Mediante il distacco dalle ricchezze, che permette la condivisione e dà accesso al regno, (104) i discepoli di Gesù testimoniano, nell'amore dei poveri e degli infelici, l'amore stesso del Padre che si è manifestato nel Salvatore. Questo amore viene da Dio e va a Dio. I discepoli di Cristo hanno sempre riconosciuto nei doni posti sull'altare un dono offerto a Dio stesso.
Amando i poveri, infine, la Chiesa rende testimonianza alla dignità dell'uomo. Essa afferma chiaramente che questi vale più per ciò che è che non per ciò che possiede. Essa attesta che tale dignità non può essere distrutta, quale che sia la condizione di miseria, di disprezzo, di emarginazione, di impotenza, a cui un essere umano è stato ridotto. Essa si dimostra solidale con coloro che non contano in una società, da cui sono stati moralmente e, talvolta, anche fisicamente emarginati. Essa li reintegra nella fraternità umana e nella comunità dei figli di Dio. In particolare la Chiesa si china con affetto materno sui bambini che, a causa della cattiveria umana, non vedranno mai la luce, come pure sulle persone anziane sole e abbandonate.
L'opzione preferenziale per i poveri, lungi dall'essere un segno di particolarismo o di settarismo, manifesta l'universalità della natura e della missione della Chiesa. Questa opzione non è esclusiva.
È la ragione per cui la Chiesa non può esprimersi a sostegno di categorie sociologiche e ideologiche riduttrici, che farebbero di tale preferenza una scelta faziosa e di natura conflittuale.

Comunità ecclesiali di base e altri gruppi di cristiani
69. Le nuove comunità ecclesiali di base, o altri gruppi di cristiani, formati per essere testimoni di questo amore evangelico, sono motivo di grande speranza per la Chiesa. Se vivono veramente uniti con la Chiesa locale e con la Chiesa universale, essi sono un'autentica espressione di comunione e un mezzo per costruire una comunione ancor più profonda. (105) Saranno fedeli alla loro missione nella misura in cui si preoccuperanno di educare i loro membri all'integrità della fede cristiana, mediante l'ascolto della Parola di Dio, la fedeltà all'insegnamento del magistero, all'ordine gerarchico della Chiesa e alla vita sacramentale. A queste condizioni, la loro esperienza, radicata nell'impegno per la liberazione integrale dell'uomo, diventa una ricchezza per la Chiesa intera.

La riflessione teologica
70. In maniera analoga una riflessione teologica, sviluppata partendo da una particolare esperienza, può costituire un contributo molto positivo, in quanto consente di mettere in evidenza aspetti della Parola di Dio, la cui intera ricchezza non era ancora stata pienamente percepita. Ma affinché tale riflessione sia veramente una lettura della Scrittura, e non già la proiezione sulla Parola di Dio di un significato che non vi è contenuto, il teologo sarà attento a interpretare l'esperienza, da cui parte, alla luce dell'esperienza della Chiesa stessa. Tale esperienza della Chiesa brilla con singolare splendore e in tutta la sua purezza nella vita dei Santi. Spetta ai Pastori della Chiesa, in comunione col Successore di Pietro, discernerne l'autenticità.

Capitolo quinto
La dottrina sociale della Chiesa: per una prassi cristiana della liberazione

La prassi cristiana della liberazione
71. La dimensione soteriologica della liberazione non può essere ridotta alla dimensione etico-sociale, che ne è una conseguenza. Restituendo la vera libertà all'uomo, la liberazione radicale operata da Cristo gli assegna un compito: la prassi cristiana, che è la concreta applicazione del grande comandamento dell'amore. È questo il principio supremo della morale sociale cristiana, fondata sul Vangelo e su tutta la tradizione dai tempi apostolici e dall'epoca dei Padri della Chiesa fino ai recenti interventi del magistero.
Le grandi sfide del nostro tempo costituiscono un urgente appello a mettere in pratica questa dottrina concernente l'azione.

I. Natura della dottrina sociale della Chiesa

Messaggio evangelico e vita sociale
72. L’insegnamento sociale della Chiesa è nato dall’incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell’amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, (106) con i problemi derivanti dalla vita della società. Esso si è costituito come dottrina, valendosi delle risorse della sapienza e delle scienze umane; verte sull'aspetto etico di questa vita e tiene in debito conto gli aspetti tecnici dei problemi, ma sempre per giudicarli dal punto di vista morale.
Essenzialmente orientato verso l'azione, questo insegnamento si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia. Appunto per questo, pur ispirato a princìpi sempre validi, esso comporta anche dei giudizi contingenti. Lungi dal costituire un sistema chiuso, esso resta costantemente aperto alle nuove questioni che si presentano di continuo, ed esige il contributo di tutti i carismi, esperienze e competenze.
Esperta in umanità, la Chiesa attraverso la sua dottrina sociale offre un insieme di princìpi di riflessione e di criteri di giudizio, (107) e quindi didirettive di azione, (108) perché siano realizzati quei profondi cambiamenti che le situazioni di miseria e di ingiustizia esigono, e ciò sia fatto in un modo che contribuisca al vero bene degli uomini.

Princìpi fondamentali 
73. Il supremo comandamento dell'amore conduce al pieno riconoscimento della dignità di ciascun uomo, creato a immagine di Dio. Da questa dignità derivano diritti e doveri naturali. Alla luce dell'immagine di Dio, si manifesta in tutta la sua profondità la libertà, prerogativa essenziale della persona umana: sono le persone i soggetti attivi e responsabili della vita sociale. (109)
Al fondamento, che è la dignità dell'uomo, sono intimamente legati il principio di solidarietà e ilprincipio di sussidiarietà.
In virtù del primo, l'uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune della società, a tutti i livelli. (110) Con ciò, la dottrina della Chiesa si oppone a tutte le forme di individualismo sociale o politico.
In virtù del secondo, né lo Stato, né alcuna società devono mai sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà. (111) Con ciò, la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di collettivismo.

Criteri di giudizio 
74. Questi princìpi sono di fondamento ai criteri per valutare le situazioni, le strutture ed i sistemi sociali.
Così la Chiesa non esita a denunciare le situazioni di vita, che attentano alla dignità e alla libertà dell'uomo.
Questi criteri consentono, altresì, di giudicare il valore delle strutture. Queste sono l'insieme delle istituzioni e delle prassi che gli uomini trovano già esistenti o creano, sul piano nazionale e internazionale, e che orientano o organizzano la vita economica, sociale e politica. Di per sé necessarie, esse tendono spesso a irrigidirsi e a cristallizzarsi in meccanismi relativamente indipendenti dalla volontà umana, paralizzando in tal modo o stravolgendo lo sviluppo sociale, e generando l'ingiustizia. Esse, tuttavia, dipendono sempre dalla responsabilità dell'uomo, che le può modificare, e non da un presunto determinismo storico.
Le istituzioni e le leggi, quando sono conformi alla legge naturale e ordinate al bene comune, sono la garanzia della libertà delle persone e della sua promozione. Non si possono condannare tutti gli aspetti costrittivi della legge, né la stabilità di uno Stato di diritto, degno di questo nome. Si può, dunque, parlare di strutture segnate dal peccato, ma non si possono condannare le strutture in quanto tali.
Detti criteri di giudizio riguardano anche i sistemieconomici, sociali e politici. La dottrina sociale della Chiesa non propone alcun sistema particolare, ma, alla luce dei suoi princìpi fondamentali, consente di vedere, anzitutto, in quale misura i sistemi esistenti sono conformi o meno alle esigenze della dignità umana.

Primato delle persone sulle strutture 
75. Certo, la Chiesa è consapevole della complessità dei problemi, a cui le società devono far fronte, e delle difficoltà di trovarvi soluzioni adeguate. Tuttavia, essa pensa che occorre, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all'esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente al servizio dell'uomo.
Il primato dato alle strutture e all'organizzazione tecnica sulla persona e sulle esigenze della sua dignità è espressione di un'antropologia materialistica, ed è contrario all'edificazione di un giusto ordine sociale. (112)
Tuttavia, la priorità riconosciuta alla libertà e alla conversione del cuore non elimina in alcun modo la necessità di un cambiamento delle strutture ingiuste. È, dunque, pienamente legittimo che coloro i quali soffrono per l'oppressione da parte dei detentori della ricchezza o del potere politico si adoperino, con i mezzi moralmente leciti, per ottenere strutture e istituzioni, in cui i loro diritti siano veramente rispettati.
Resta, nondimeno, che le strutture messe in atto per il bene delle persone sono da sole incapaci di procurarlo e di garantirlo. Ne è prova la corruzione, che colpisce in certi Paesi i dirigenti e la burocrazia di Stato, e che distrugge qualsiasi onesta vita sociale. La dirittura morale è condizione per una società sana. Bisogna, dunque, operare a un tempo per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture, perché il peccato, che è all'origine delle situazioni ingiuste, è, in senso proprio e primario, un atto volontario che ha la sua sorgente nella libertà della persona. È solo in un senso derivato e secondario che esso si applica alle strutture, e che si può parlare di "peccato sociale". (113)
D'altra parte, nel processo di liberazione non si può prescindere dalla situazione storica della nazione, né attentare all'identità culturale di un popolo. Di conseguenza, non si possono accettare passivamente e, tanto meno, appoggiare attivamente gruppi che, con la forza oppure con la manipolazione dell'opinione pubblica, s'impadroniscono dell'apparato dello Stato e impongono abusivamente alla collettività un'ideologia importata e in contrasto con i veri valori culturali del popolo. (114) A questo proposito, conviene ricordare la grave responsabilità morale e politica degli intellettuali.

Direttive d'azione 
76. I principi fondamentali e i criteri di giudizio ispirano le direttive d'azione: poiché il bene comune della società umana è al servizio delle persone, i mezzi d'azione devono essere conformi alla dignità dell'uomo e favorire l'educazione della libertà. È qui un criterio sicuro di giudizio e di azione: non c'è vera liberazione, se non sono rispettati fin dall'inizio i diritti della libertà.
Nel ricorso sistematico alla violenza presentata come la via obbligata della liberazione, occorre denunciare un'illusione distruttrice, che apre la via a nuove schiavitù. Con pari vigore si condannerà la violenza esercitata dai possidenti contro i poveri, l'arbitrio della polizia, come pure ogni forma di violenza elevata a sistema di governo. In questi settori, bisogna saper prender lezione dalle tragiche esperienze che la storia del nostro secolo ha registrato e tuttora registra. Non si può più ammettere la colpevole passività dei pubblici poteri in certe democrazie, in cui la condizione sociale di un gran numero di uomini e donne è lungi dal corrispondere a ciò che esigono i diritti individuali e sociali, costituzionalmente garantiti.

Lotta per la giustizia 
77. Allorché incoraggia la creazione e l'azione di associazioni, come i sindacati, che lottano per la difesa dei diritti e dei legittimi interessi dei lavoratori e per la giustizia sociale, la Chiesa non ammette per ciò stesso la teoria che vede nella lotta di classe il dinamismo strutturale della vita sociale. L'azione, che essa raccomanda, non è la lotta di una classe contro un'altra per ottenere l'eliminazione dell'avversario; né procede da una sottomissione aberrante a una presunta legge della storia. È una lotta nobile e ragionevole, in vista della giustizia e della solidarietà sociali. (115) Il cristiano preferirà sempre la via del dialogo e della reciproca intesa.
Cristo ci ha dato il comandamento dell'amore dei nemici. (116) Pertanto, la liberazione nello spirito del Vangelo è incompatibile con l'odio dell'altro, inteso sia individualmente che collettivamente, ivi compreso l'odio del nemico.

Il mito della rivoluzione 
78. Le situazioni di grave ingiustizia richiedono il coraggio di riforme in profondità e la soppressione di privilegi ingiustificati. Ma coloro che screditano la via delle riforme in favore del mito della rivoluzione, non solo nutrono l'illusione che l'abolizione di una situazione iniqua basti di per se stessa a creare una società più umana, ma favoriscono pure l'avvento di regimi totalitari. (117) La lotta contro le ingiustizie non ha senso, se non è condotta con l'intento di instaurare un nuovo ordine sociale e politico in conformità con le esigenze della giustizia. È questa che deve già segnare le tappe della sua instaurazione. Esiste una moralità dei mezzi. (118)

Un estremo ricorso 
79. Questi princìpi devono essere rispettati in modo speciale nel caso estremo del ricorso alla lotta armata, che il magistero ha indicato quale ultimo rimedio per porre fine a una "tirannia evidente e prolungata, che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un Paese". (119) Tuttavia l'applicazione concreta di questo mezzo può essere prevista solo dopo una valutazione molto rigorosa della situazione. Infatti, a causa del continuo sviluppo delle tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli implicati nel ricorso alla violenza, quella che oggi viene chiamata "resistenza passiva" apre una strada più conforme ai princìpi morali e non meno promettente di successo.
Non si può mai ammettere, né da parte del potere costituito, né da parte di gruppi di insorti, il ricorso a mezzi criminali come le rappresaglie perpetrate ai danni delle popolazioni, la tortura, i metodi del terrorismo e della provocazione calcolata per causare la morte di uomini nel corso di manifestazioni popolari. Sono egualmente inammissibili le odiose campagne di calunnie, capaci di distruggere psichicamente o moralmente una persona.

Il ruolo dei laici 
80. Non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nella costruzione politica e nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito rientra nella vocazione dei laici, che agiscono di propria iniziativa con i loro concittadini. (120) Essi devono compierlo con la consapevolezza che la finalità della Chiesa è di estendere il regno di Cristo, affinché tutti gli uomini siano salvi e per mezzo loro il mondo sia effettivamente ordinato a Cristo. (121)
L'opera della salvezza appare così indissolubilmente legata all'impegno di migliorare e di elevare le condizioni della vita umana in questo mondo.
La distinzione tra l'ordine soprannaturale della salvezza e l'ordine temporale della vita umana deve essere vista all'interno dell'unico disegno di Dio che è di ricapitolare tutte le cose in Cristo. È questa la ragione per la quale, nell'uno e nell'altro settore, il laico, ad un tempo fedele e cittadino, deve lasciarsi costantemente guidare dalla sua coscienza cristiana. (122)
L'azione sociale, che può implicare una pluralità di vie concrete, sarà sempre finalizzata al bene comune e conforme al messaggio evangelico ed all'insegnamento della Chiesa. Bisognerà evitare che la differenza di opzioni nuoccia al senso della collaborazione, conduca alla paralisi degli sforzi o produca confusione nel popolo cristiano.
L'orientamento, che ci viene dalla dottrina sociale della Chiesa, deve stimolare l'acquisizione delle indispensabili competenze tecniche e scientifiche. Esso stimolerà anche a perseguire la formazione morale del carattere e l'approfondimento della vita spirituale. Fornendo princìpi e consigli di saggezza, questa dottrina non dispensa dall'educazione alla prudenza politica richiesta per il governo e la gestione delle realtà umane.

II. Esigenze evangeliche di una profonda trasformazione 

Necessità di una trasformazione culturale 
81. Una sfida senza precedenti è lanciata oggi ai cristiani che operano per realizzare questa "civiltà dell'amore", la quale compendia tutta l'eredità etico-culturale del Vangelo. Questo compito richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell'amore con l'ordine sociale considerato in tutta la sua complessità.
La conclusione diretta di questa profonda riflessione è l'elaborazione e l'attuazione di audaci programmi d'azione in vista della liberazione sociale ed economica di milioni di uomini e donne, la cui condizione di oppressione economica, sociale e politica è intollerabile.
Questa azione deve cominciare con uno sforzo assai grande nel campo dell'educazione: educazione alla civiltà del lavoro, educazione alla solidarietà, accesso di tutti alla cultura.

Il Vangelo del lavoro 
82. L'esistenza di Gesù a Nazareth, vero "Vangelo del lavoro", ci offre l'esempio vivente e il principio della radicale trasformazione culturale che è indispensabile per risolvere i gravi problemi che la nostra epoca deve affrontare. Colui che, essendo Dio, divenne in tutto simile a noi, si dedicò durante la maggior parte della sua vita terrena a un lavoro manuale. (123) La cultura, che la nostra epoca attende, sarà caratterizzata dal pieno riconoscimento della dignità del lavoro umano, che appare in tutta la sua nobiltà e fecondità alla luce dei misteri della Creazione e della Redenzione. (124) Riconosciuto come espressione della persona, il lavoro diventa fonte di senso e sforzo creativo.

Una vera civiltà del lavoro 
83. Così la soluzione della maggior parte dei gravi problemi della miseria si trova nella promozione di una vera civiltà del lavoro. Il lavoro è, in qualche modo, la chiave di tutta la questione sociale. (125)
È, pertanto, nel campo del lavoro che deve essere intrapresa con priorità un'azione liberatrice nella libertà. Poiché il rapporto tra la persona umana e il lavoro è radicale e vitale, le forme e le modalità, secondo le quali sarà regolato questo rapporto, eserciteranno un'influenza positiva in vista della soluzione del complesso di problemi sociali e politici, che si pongono a ciascun popolo. Giuste relazioni di lavoro potranno prefigurare un sistema di comunità politica, atta a favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana.
Se il sistema dei rapporti di lavoro, posto in atto dai protagonisti diretti - lavoratori e datori di lavoro - con l'indispensabile sostegno dei pubblici poteri, riesce a dare origine a una civiltà del lavoro, si produrrà allora, nel modo di vedere dei popoli e perfino nelle basi istituzionali e politiche, una pacifica e profonda rivoluzione. 

Bene comune nazionale e internazionale 
84. Una tale cultura del lavoro dovrà supporre e mettere in atto un certo numero di valori essenziali. Essa dovrà riconoscere che la persona del lavoratore è principio, soggetto e fine dell'attività lavorativa. Essa dovrà affermare la priorità del lavoro sul capitale e l'universale destinazione dei beni materiali. Essa sarà animata dal senso di una solidarietà che non comporti solo diritti da rivendicare, ma anche doveri da compiere. Essa implicherà la partecipazione tendente a promuovere il bene comune nazionale e internazionale, e non solamente a difendere interessi individuali o corporativi. Essa adotterà il metodo del confronto pacifico e del dialogo franco e vigoroso.
Allora le autorità politiche diventeranno più capaci di agire nel rispetto delle legittime libertà degli individui, delle famiglie, dei gruppi sussidiari, creando così le condizioni richieste affinché l'uomo possa conseguire il suo autentico e integrale bene, ivi compreso il suo fine spirituale. (126)

Il valore del lavoro umano 
85. Una cultura che riconosce l'eminente dignità del lavoratore metterà in evidenza la dimensione soggettiva del lavoro. (127) Il valore di ogni lavoro umano non è, prima di tutto, in funzione del genere di lavoro compiuto, ma ha il suo fondamento nel fatto che chi lo compie è una persona. (128) Si afferma qui un criterio etico, le cui esigenze non dovrebbero sfuggire.
Così ogni uomo ha diritto al lavoro, il quale deve essere riconosciuto praticamente mediante un impegno effettivo al fine di risolvere il drammatico problema della disoccupazione. Il fatto che questa mantenga in una condizione di marginalità larghi strati della popolazione e, segnatamente, la gioventù, è intollerabile. Per tale motivo, la creazione di posti di lavoro è un compito sociale primario, che si impone agli individui e all'iniziativa privata, ma in pari misura allo Stato. In linea di massima, qui come in altri settori, lo Stato ha una funzione sussidiaria; ma spesso può esser chiamato a intervenire direttamente, come nel caso di accordi internazionali tra diversi Stati. Tali accordi devono rispettare il diritto degli emigrati e delle loro famiglie. (129)

Promuovere la partecipazione 
86. Il salario, che non può essere concepito come una semplice merce, deve consentire al lavoratore e alla sua famiglia di avere accesso a un livello di vita veramente umano nell'ordine materiale, sociale, culturale e spirituale. È la dignità della persona che costituisce il criterio per giudicare il lavoro, e non viceversa. Qualunque sia il tipo di lavoro, il lavoratore deve poterlo vivere come espressione della sua personalità. Ne consegue l'esigenza di una partecipazione che, ben al di là di una condivisione dei frutti del lavoro, dovrebbe comportare un'autentica dimensione comunitaria a livello di progetti, di iniziative e di responsabilità. (130)

Priorità del lavoro sul capitale
87. La priorità del lavoro sul capitale impone agli imprenditori il dovere di giustizia di considerare il bene dei lavoratori prima dell'aumento dei loro profitti. Essi hanno l'obbligo morale di non mantenere dei capitali improduttivi e, negli investimenti, di mirare anzitutto al bene comune. Questo esige che si persegua prioritariamente il consolidamento o la creazione di nuovi posti di lavoro, nella produzione di beni veramente utili.
Il diritto alla proprietà privata non è concepibile senza doveri rispetto al bene comune, ed è subordinato al principio superiore dell'universale destinazione dei beni. (131)

Riforme in profondità 
88. Questa dottrina deve ispirare le riforme prima che sia troppo tardi. L'accesso di tutti ai beni richiesti per una vita umana, personale e familiare, degna di questo nome, è un'esigenza primaria della giustizia sociale. Essa esige di essere applicata nel settore del lavoro industriale e in maniera tutta particolare in quello del lavoro agricolo. (132) Infatti, i contadini, soprattutto nel terzo mondo, costituiscono la parte preponderante dei poveri. (133)
  
III. Promozione della solidarietà

Una nuova solidarietà
89. La solidarietà è un'esigenza diretta della fraternità umana e soprannaturale. I gravi problemi socio-economici, che oggi si pongono, non potranno essere risolti se non creando nuovi fronti di solidarietà: solidarietà dei poveri tra di loro, solidarietà con i poveri, alla quale son chiamati i ricchi, solidarietà dei lavoratori e con i lavoratori. Le istituzioni e le organizzazioni sociali, a diversi livelli, così pure lo Stato, devono partecipare a un movimento generale di solidarietà. La Chiesa, quando vi fa appello, sa che essa stessa è a ciò interessata in modo tutto particolare.

Destinazione universale dei beni 
90. Il principio della destinazione universale dei beni, congiunto a quello della fraternità umana e soprannaturale, detta precisi doveri ai Paesi più ricchi nei confronti dei Paesi poveri. Questi doveri sono di solidarietà nell'aiuto ai Paesi in via di sviluppo; di giustizia sociale, mediante la revisione in termini corretti delle relazioni commerciali tra Nord e Sud e la promozione di un mondo più umano per tutti, in cui ciascuno possa dare e ricevere, e in cui il progresso degli uni non sarà più un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento. (134)

Aiuto allo sviluppo 
91. La solidarietà internazionale è un'esigenza di ordine morale. Essa non s'impone soltanto nei casi di estrema urgenza, ma anche per l'aiuto al vero sviluppo. C'è qui un'opera comune da fare, che richiede uno sforzo concertato e costante per trovare soluzioni tecniche concrete, ma anche per creare una nuova mentalità negli uomini di questo tempo. La pace del mondo ne dipende in larga misura. (135)

IV. Compiti culturali ed educativi

Diritti all'istruzione ed alla cultura 
92. Le disuguaglianze contrarie alla giustizia nel possesso e nell'uso dei beni materiali sono accompagnate e aggravate dalle disuguaglianze altrettanto ingiuste nell'accesso alla cultura. Ogni uomo ha diritto alla cultura, che è la forma specifica di un'esistenza veramente umana, alla quale egli accede con lo sviluppo delle sue facoltà di conoscenza, delle virtù morali, delle sue capacità di relazione con i propri simili, delle sue attitudini a produrre opere utili e belle. Da ciò deriva l'esigenza della promozione e della diffusione dell'educazione, alla quale ognuno ha un diritto inalienabile. Prima condizione di ciò è l'eliminazione dell'analfabetismo. (136)

Rispetto della libertà culturale 
93. Il diritto di ogni uomo alla cultura è assicurato solo se è rispettata la libertà culturale. Troppo spesso la cultura degenera in ideologia, e l'educazione è trasformata in strumento al servizio del potere politico o economico. Non è nelle competenze dell'autorità pubblica determinare la cultura. La sua funzione è di promuovere e di proteggere la vita culturale di tutti, ivi compresa quella delle minoranze. (137)

Il compito educativo della famiglia 
94. Il compito educativo appartiene fondamentalmente e prioritariamente alla famiglia. La funzione dello Stato è sussidiaria: il suo ruolo consiste nel garantire, proteggere, promuovere e supplire. Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia. È ai genitori che spetta il diritto di scegliere la scuola, a cui mandare i propri figli, e di creare e sostenere dei centri educativi in sintonia con le loro proprie convinzioni. Lo Stato non può, senza commettere un'ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente. (138)

"Le libertà" e la partecipazione 
95. L'educazione, che dà accesso alla cultura, è anche educazione all'esercizio responsabile della libertà. Per questo non c'è autentico sviluppo, se non in un sistema sociale e politico che rispetti le libertà e le favorisca mediante la partecipazione di tutti. Una tale partecipazione può assumere forme diverse; essa è necessaria per garantire un giusto pluralismo nelle istituzioni e nelle iniziative sociali. Essa assicura, specialmente con la reale separazione tra i poteri dello Stato, l'esercizio dei diritti dell'uomo, proteggendoli egualmente contro possibili abusi da parte dei pubblici poteri. Da questa partecipazione alla vita sociale e politica, nessuno può essere escluso in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o della religione. (139) Il mantenere il popolo ai margini della vita culturale, sociale e politica, costituisce in molte nazioni una delle ingiustizie più clamorose del nostro tempo.
Quando le autorità politiche regolano l'esercizio delle libertà, non dovrebbero prendere pretesto dalle esigenze dell'ordine pubblico e della sicurezza per limitare sistematicamente queste libertà. Né il presunto principio della "sicurezza nazionale", né una visione restrittivamente economica, né una concezione totalitaria della vita sociale, dovrebbero prevalere sul valore della libertà e dei suoi diritti. (140)

La sfida all'inculturazione 
96. La fede è ispiratrice di criteri di giudizio, di valori determinanti, di linee di pensiero e di modelli di vita, validi per la stessa comunità degli uomini. (141) Per questo, la Chiesa, attenta alle angosce della nostra epoca, indica le vie di una cultura, nella quale il lavoro sia riconosciuto secondo la sua piena dimensione umana ed in cui ogni essere umano trovi la possibilità di realizzarsi come persona. Ciò essa fa in virtù della sua apertura missionaria per la salvezza integrale del mondo, nel rispetto dell'identità di ciascun popolo e nazione.
La Chiesa, comunione che congiunge diversità e unità, con la sua presenza nel mondo intero, prende da ogni cultura quanto vi trova di positivo.
L'inculturazione, tuttavia, non è un semplice adattamento esteriore; essa è un'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle diverse culture umane. (142) La separazione tra il Vangelo e la cultura è un dramma, di cui i problemi richiamati sono la dolorosa dimostrazione. S'impone, dunque, uno sforzo generoso per l'evangelizzazione delle culture. Queste ultime saranno rigenerate dal loro incontro col Vangelo. Ma tale incontro presuppone che il Vangelo sia realmente annunciato. (143) Illuminata dal Concilio Vaticano II, la Chiesa vi si vuole consacrare con tutte le sue energie, per provocare un immenso slancio di liberazione.

Conclusione

Il canto del Magnificat 
97. Beata colei che ha creduto (Lc 1, 45). Al saluto di Elisabetta, la Madre di Dio risponde lasciando effondere il suo cuore nel canto del Magnificat. Ella ci insegna che è mediante la fede e nella fede che, sul suo esempio, il popolo di Dio diventa capace di esprimere in parole e di tradurre nella sua vita il mistero del disegno della salvezza e le sue dimensioni liberatrici sul piano dell'esistenza individuale e sociale. In realtà, solo alla luce della fede si percepisce come la storia della salvezza sia la storia della liberazione dal male nella sua espressione più radicale e l'introduzione dell'umanità nella vera libertà dei figli di Dio. Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. È a lei che la Chiesa, di cui ella è madre e modello, deve guardare per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza.
È veramente da rilevare che il senso della fede dei poveri, come porta ad un'acuta percezione del mistero della croce redentrice, così porta a un amore e a una fiducia indefettibile nella Madre del Figlio di Dio, venerata in numerosi santuari.

Il "sensus fidei" del popolo di Dio 
98. I pastori e quanti - sacerdoti e laici, religiosi e religiose - lavorano spesso in condizioni molto difficili per l'evangelizzazione e la promozione umana, devono essere pieni di speranza al pensiero che tante risorse straordinarie di santità sono contenute nella fede viva del popolo di Dio. Bisogna fare in modo che queste ricchezze del sensus fidei possano pienamente sbocciare e dare frutti abbondanti. Aiutare con una meditazione approfondita del disegno della salvezza, così come questo si sviluppa riguardo alla Vergine del Magnificat, la fede del popolo dei poveri a esprimersi con chiarezza e a tradursi nella vita: è questo un nobile compito ecclesiale, che attende il teologo. Così una teologia della libertà e della liberazione, come eco fedele delMagnificat di Maria conservato nella memoria della Chiesa, costituisce un'esigenza del nostro tempo. Ma sarebbe una grave perversione appropriarsi delle energie della religiosità popolare per dirottarle verso un progetto di liberazione puramente terrena, che si rivelerebbe ben presto come una illusione e una causa di nuove schiavitù. Coloro che così cedono alle ideologie del mondo e alla presunta necessità della violenza non sono più fedeli alla speranza, al suo ardimento e al suo coraggio, come li esalta quell'inno al Dio della misericordia che la Vergine c'insegna.

Le dimensioni di un'autentica liberazione 
99. Il senso della fede percepisce tutta la profondità della liberazione operata dal Redentore. Egli ci ha liberato dal male più radicale, dal peccato e dal potere della morte, per restituire la libertà a se stessa e per mostrarle il suo cammino. Questo cammino è tracciato dal comandamento supremo, ch'è il comandamento dell'amore.
La liberazione, nel suo significato primario che è soteriologico, si prolunga così in un compito liberatore, in un'esigenza etica. Si colloca qui la dottrina sociale della Chiesa, che illumina la prassi cristiana sul piano della società.
Il cristiano è chiamato ad agire secondo la verità (144) e a lavorare così per l'instaurazione di quella "civiltà dell'amore", di cui parlava Paolo VI. (145) Il presente Documento, senza pretendere di essere completo, ha indicato alcune direzioni, lungo le quali è urgente intraprendere delle riforme profonde. Il compito prioritario, che condiziona la riuscita di tutti gli altri, è di ordine educativo. L'amore che guida l'impegno deve fin d'ora far nascere nuove solidarietà. A questi compiti, che si impongono in tutta urgenza alla coscienza cristiana, sono chiamati tutti gli uomini di buona volontà.
È la realtà del mistero della salvezza che opera nell'oggi della storia per condurre l'umanità redenta verso la perfezione del Regno, il quale dà il loro vero significato ai necessari sforzi di liberazione d'ordine economico, sociale e politico e impedisce loro di naufragare in nuove forme di schiavitù.

Un compito davanti a noi 
100. È vero che, di fronte alla vastità e complessità del compito, il quale può esigere il dono di sé fino all'eroismo, molti sono tentati dallo scoraggiamento, dallo scetticismo o dall'avventura disperata. Una formidabile sfida è lanciata alla speranza, teologale e umana. La Vergine generosa del Magnificat, che avvolge la Chiesa e l'umanità con la sua preghiera, è il saldo sostegno della speranza. In lei davvero noi contempliamo la vittoria dell'amore divino che nessun ostacolo può trattenere e scopriamo a quale sublime libertà Dio eleva gli umili. Lungo il cammino, da lei tracciato, deve progredire con grande slancio la fede che opera per mezzo della carità. (146)

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 22 marzo, nella festa dell'Annunciazione del Signore.

Joseph Card. Ratzinger
Prefetto

Alberto Bovone
Arcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
Segretario

***
(1) Congregazione per la Dottrina della Fede,Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione" (Libertatis Nuntius), Introduzione: AAS 76 (1984), 876-877.
(2) Cf. la Costituzione pastorale Gaudium et Spes e la Dichiarazione Dignitatis Humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II; le Encicliche Mater et Magistra, Pacem in Terris, Populorum Progressio, Redemptor Hominis Laborem Exercens; le Esortazioni Apostoliche Evangelii Nuntiandi eReconciliatio et Paenitentia; la Lettera ApostolicaOctogesima Adveniens. Giovanni Paolo II ha trattato questo tema nel suo Discorso inaugurale della 3ª Conferenza dell'Episcopato latino-americano a Puebla: AAS 71 (1979), 187-205. Vi è ritornato in numerose altre occasioni. Il tema è stato ugualmente trattato al Sinodo dei Vescovi nel 1971 e nel 1974. Le Conferenze dell'Episcopato latino-americano ne hanno fatto oggetto diretto delle loro riflessioni. Esso ha attirato anche l'attenzione di altri Episcopati, come l'Episcopato Francese: Libération des hommes et salut en Jésus-Christ, 1975.
(3) Paolo VI, Lettera Apostolica Octogesima Adveniens, nn. 1-4: AAS 63 (1971); 401-404.
(4) Cf. Gv 4, 42; 1 Gv 4, 14.
(5) Cf. Mt 28, 18-20; Mc 16, 15.
(6) Cf. Dich. Dignitatis Humanae, n. 10.
(7) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, nn. 78-80: AAS 68 (1976), 70-75; Dich. Dignitatis Humanae, n. 3; Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 12: AAS 71 (1979), 278-281.
(8) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 905-906.
(9) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 17: AAS 71 (1979), 296-297,Dichiarazione del 10 marzo 1984 al 5° Colloquio dei Giuristi: L'Osservatore Romano, 11 marzo 1984, 8.
(10) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 5: AAS 76 (1984), 904; Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla: AAS 71 (1979), 189-196.
(11) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 36.
(12) Cf. Ibid.
(13) Cf. Loc. cit., n. 41.
(14) Cf. Mt 11, 25; Lc 10, 21.
(15) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 48: AAS 68 (1976), 37-38.
(16) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, VII, 9; VIII, 1-9: AAS 76 (1984), 892, 894-895.
(17) Cf. Gen 1, 26.
(18) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 21: AAS 71 (1979), 316.
(19) Cf. Rm 6, 6; 7, 23.
(20) Cf. Gn 2, 18. 23: "Non è bene che l'uomo sia solo"... "Questa volta essa / è carne della mia carne / e osso delle mie ossa": a queste parole della Scrittura che direttamente si riferiscono al rapporto tra uomo e donna, si può riconoscere una portata più universale. Cf. Lv 19, 18.
(21) Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in Terris 5-15: AAS 55 (1963), 259-265; Giovanni Paolo II, Lettera al Sig. K. Waldheim, Segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione del 30° anniversario della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo": AAS 71 (1979), 122; Discorso Pontificio all'O.N.U., n. 9: AAS 71 (1979), 1149.
(22) Cf. S. Agostino, Ad Macedonium, II, 7-17 (PL33, 669-673; CSEL 44, 437-447).
(23) Cf. Gn 1, 27-28.
(24) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 15: AAS 71 (1979), 286.
(25) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 13, comma I.
(26) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia, n. 13: AAS 77 (1985), 208-211.
(27) Cf. Gn 3, 16-19; Rm 5, 12; 7, 14-24; Paolo VI,Sollemnis Professio Fidei, 30 Giugno 1968, n. 16: AAS 60 (1968) 439 ss.
(28) Cf. Rm 1, 18-32.
(29) Cf. Ger 5, 23; 7, 24; 17, 9; 18, 12.
(30) Cf. S. Agostino, De Civitate Dei, XIV, 28 (PL 41, 435; CSEL, 40/2, 56-57; CCL 14/2, 451-452).
(31) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, Introduzione: AAS 76 (1984), 876.
(32) Cf. Is 41, 14; Ger 50, 34. "Goèl": questa parola implica l'idea di un legame di parentela tra colui che libera e colui che è liberato; cf. Lv 25, 25, 47-49; Rt3, 12; 4, 1. "Padah" significa "acquistare per sé". Cf.Es 3, 13; Dt 9, 26; 15, 15, Sal 130, 7-8.
(33) Cf. Gn 12, 1-3.
(34) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 3: AAS 76 (1984), 882.
(35) Cf. Dt 6, 5.
(36) Cf. Lv 19, 18.
(37) Cf. Dt 1, 16-17; 16, 18-20; Ger 22, 3-15; 23, 5;Sal 33, 5; 72, 1; 99, 4.
(38) Cf. Es 22, 20-23; Dt 24, 10-22.
(39) Cf. Ger 31, 31-34; Ez 36, 25-27.
(40) Cf. Is 11, 1-5; Sal 72, 4. 12-14; Istruz.Libertatis Nuntius, IV, 6: AAS 76 (1984), 883.
(41) Cf. Es 23, 9; Dt 24, 17-22.
(42) Cf. Sal 25; 31; 35; 55; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 5: AAS 76 (1984), 883.
(43) Cf. Ger 11, 20; 20, 12.
(44) Cf. Sal 73, 26-28.
(45) Cf. Sal 16; 62; 84.
(46) Cf. Sof 3, 12-20; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 5: AAS 76 (1984), 883.
(47) Cf. Lc 1, 46-55.
(48) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Marialis Cultus, n. 37: AAS 66 (1974), 148-149.
(49) Cf. At 2, 39; Rm 10, 12; 15, 7-12; Ef 2, 14-18.
(50) Cf. Mc 1, 15.
(51) Cf. Is 61, 9.
(52) Cf. 2 Cor 8, 9.
(53) Cf. Mt 25, 31-46; At 9, 4-5.
(54) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 9: AAS 76 (1984), 884.
(55) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla, 1, 5: AAS 71 (1979), 191.
(56) Cf. Rm 5, 10; 2 Cor 5, 18-20.
(57) Cf. Gv 14, 27.
(58) Cf. Mt 5, 9; Rm 12, 18; Eb 12, 14.
(59) Cf. 1 Cor 15, 26.
(60) Cf. Gv 12, 31; Eb 2, 14-15.
(61) Cf. Ef 6, 11-17.
(62) Cf. Rm 8, 37-39.
(63) Cf. Rm 8, 2.
(64) Cf. 1 Tm 1, 8.
(65) Cf. Rm 13, 8-10.
(66) Cf. Rm 13, 1-7.
(67) Cf. Rm 8, 2-4.
(68) Cf. Rm 13, 1.
(69) Cf. Rm 13, 8-10; Gal 5, 13-14.
(70) Cf. Mt 5, 43-48; Lc 6, 27-38.
(71) Cf. Lc 10, 25-37.
(72) Cf. per esempio: 1 Ts 2, 7-12; Fil 2, 1-4; Gal 2, 12-20; 1 Cor 13, 4-7; 2 Gv 12; 3 Gv 14; Gv 11, 1-5. 35-36; Mc 6, 34; Mt 9, 36; 18, 21 ss.
(73) Cf. Gv 15, 12-13; 1 Gv 3, 16.
(74) Cf. Gc 5, 1-4.
(75) Cf. 1 Gv 3, 17.
(76) Cf. 1 Cor 11, 17-34; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 11: AAS 76 (1984), 884. San Paolo stesso organizzò una colletta in favore dei "poveri tra i santi di Gerusalemme" (Rm 15, 26).
(77) Cf. Rm 8, 11-21.
(78) Cf. 2 Cor 1, 22.
(79) Cf. Gal 4, 26.
(80) Cf. 1 Cor 13, 12; 2 Cor 5, 10.
(81) Cf. 1 Gv 3, 2.
(82) Cf. Costit. past. Gaudium et spes, n. 39, comma 2.
(83) Cf. Ibid., n. 39, comma 3.
(84) Cf. Mt 24, 29-44. 46; At 10, 42; 2 Cor 5, 10.
(85) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 42, comma 2.
(86) Cf. Gv 17, 3.
(87) Cf. Rm 6, 4; 2 Cor 5, 17; Col 3, 9-11.
(88) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, nn. 18. 20: AAS 68 (1986), 17. 19.
(89) Cf. Mt 5, 3.
(90) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 37.
(91) Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium, n. 17; Decr.Ad Gentes, n. 1; Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 14: AAS 68 (1976), 13.
(92) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 40, comma 3.
(93) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia, n. 14: AAS 77 (1985), 211-212.
(94) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 901.
(95) Cf. 2 Cor 8, 9.
(96) Cf. Lc 2, 7; 9, 58.
(97) Cf. Mt 6, 19-20. 24-34; 19, 21.
(98) Cf. Lc 5, 11. 28; Mt 19, 27.
(99) Cf. Is 11, 4; 61, 1; Lc 4, 18.
(100) Cf. Mc 2, 13-17; Lc 19, 1-10.
(101) Cf. Mt 8, 16; 14, 13-21; Gv 13, 2-9.
(102) Cf. Mt 8, 17.
(103) Cf. Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, nn. 12, 46: AAS 59 (1976), 262-263; 280; Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, n. 476.
(104) Cf. At 2, 44-45.
(105) Cf. Secondo Sinodo Straordinario, Relatio Finalis, II C, 6: L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, 7; Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 58: AAS 68 (1976), 46-49; Giovanni Paolo II, Mensagem às comunidades de base, consegnato a Manaus, 10 luglio 1980.
(106) Cf. Mt 22, 37-40; Rm 13, 8-10.
(107) Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 4: AAS 63 (1971), 403-404; Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla, III, 7: AAS 71 (1979), 203.
(108) Cf. Giovanni XXIIIEncicl. Mater et Magistra, n. 235: AAS 53 (1961), 461.
(109) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, 25.
(110) Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, nn. 132-133: AAS 53 (1961), 437.
(111) Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, nn. 79-80: AAS 23 (1931), 203; Giovanni XXIII, Encicl.Mater et Magistra, n. 138: AAS 53 (1961), 439; Encicl. Pacem in Terris, n. 74: AAS 55 (1963), 294-295.
(112) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 18: AAS 68 (1976), 17-18; Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 9: AAS 76 (1984), 901.
(113) Cf. Giovanni Paolo IIEsort. Apost.Reconciliatio et Paenitentia, n. 16: AAS 77 (1985), 213-217.
(114) Cf. Paolo VILettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 25: AAS 63 (1971), 419-420.
(115) Cf. Giovanni Paolo IIEncicl. Laborem Exercens, n. 20: AAS 73 (1981), 629-632; Istruz.Libertatis Nuntius, VII, 8; VIII, 5-9; XI, 11-14: AAS 76 (1984), 891-892; 894-895; 901-902.
(116) Cf. Mt 5, 44; Lc 6, 27-28. 35.
(117) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 905-906.
(118) Cf. Giovanni Paolo II, Omelia a Drogheda, 30 Settembre 1979: AAS 71 (1979), 1076-1085.Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 533-534.
(119) Paolo VIEncicl. Populorum Progressio, n. 31: AAS 59 (1967), 272-273; cf. Pio XI, Ep. Encicl. Nos es muy conocida: AAS 29 (1937), 208-209.
(120) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 76, comma 3; Decr. Apostolicam Actuositatem, n. 7.
(121) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 20.
(122) Cf. Loc. cit., n. 5.
(123) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 6: AAS 73 (1981), 589-592.
(124) Cf. Loc. cit., cap. V: ibid., 637-647.
(125) Cf. Loc. cit., n. 3: ibid., 583-584; Discorso a Loreto del 10 Maggio 1985: AAS 77 (1985), 967-969.
(126) Cf. Paolo VILettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 46: AAS 63 (1971), 633-635.
(127) Cf. Giovanni Paolo IIEncicl. Laborem Exercens, n. 6: AAS 73 (1981), 589-592.
(128) Cf. Ibid.
(129) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Familiaris Consortio, n. 46: AAS 74 (1982), 137-139; Encicl.Laborem Exercens, n. 23: AAS 73 (1981), 635-637; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 2:L'Osservatore Romano, 25 novembre 1983.
(130) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 68; Giovanni Paolo IIEncicl. Laborem Exercens, n. 15: AAS 73 (1981), 616-618; Discorso del 3 Luglio 1980;L'Osservatore Romano, 5 Luglio 1980, 1-2.
(131) Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 69; Giovanni Paolo IIEncicl. Laborem Exercens, nn. 12. 14: AAS 73 (1981), 605-608. 612-616.
(132) Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, n. 72: AAS 23 (1931), 200; Giovanni Paolo IIEncicl.Laborem Exercens, n. 19: AAS 73 (1981), 625-629.
(133) Documento della 2ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Medellin, Giustizia I, 9;Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 31. 35. 1245.
(134) Cf. Giovanni XXIIIEncicl. Mater et Magistra, n. 163: AAS 53 (1961), 443; Paolo VIEncicl.Populorum Progressio, n. 51: AAS 59 (1967), 282; Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomaticodell'11 Gennaio 1986: L'Osservatore Romano, 12 gennaio 1986, 4-5.
(135) Cf. Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, n. 55: AAS 59 (1967), 284.
(136) Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 60; Giovanni Paolo II, Discorso all'Unesco del 2 Giugno 1980, n. 8: AAS 72 (1980), 739-740.
(137) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 59.
(138) Cf. Dichiar. Gravissimum Educationis, nn. 3. 6; Pio XI, Encicl. Divini Illius Magistri, nn. 29. 38. 66: AAS 22 (1930), 59. 63. 68; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 5: L'Osservatore Romano,25 novembre 1983.
(139) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 29; Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in Terris, nn. 73-74. 79: AAS 55 (1963), 294-296.
(140) Cf. Dichiar. Dignitatis Humanae, n. 7; Costit. past. Gaudium et Spes, n. 75; Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 311-314; 317-318; 548.
(141) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi,n. 19: AAS 68 (1976), 18.
(142) Cf. Secondo Sinodo Straordinario, Relatio finalis, II, D, 4: L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, 7.
(143) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 20: AAS 68 (1976), 18-19.
(144) Cf Gv 3, 21.
(145) Cf. Paolo VI, Udienza generale del 31 dicembre 1975: L'Osservatore Romano, 1 gennaio 1976, 1. Giovanni Paolo II ha ribadito questa idea nelDiscorso al "Meeting per l'amicizia dei popoli" del 29 agosto 1982: L'Osservatore Romano, 30-31 agosto 1982. I Vescovi Latino-americani l'hanno ugualmente richiamata nel Messaggio ai popoli dell'America Latina, n. 8, e nel Documento di Puebla, nn. 1188. 1192.
(146) Cf. Gal 5, 6.

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