Post del 1/11/2014 - aggiornato al 13/10/2018
- Dal 1987, la Madonna appare ad Anguera (Brasile) al veggente Pedro Régis, dettandogli messaggi per tutta l'umanità.
- I messaggi vengono trasmessi 3 volte a settimana: ogni martedì e sabato, più un altro giorno variabile.
ULTIMO MESSAGGIO IN ITALIANO DAL SITO WEB UFFICIALE BRASILIANOGli articoli e le informazioni contenute nei siti Web "linkati" sono di proprietà degli autori dei siti medesimi. Pertanto tutti i diritti nonché la responsabilità di quanto riportato in questi siti sono riservati esclusivamente ai loro autori.Questo post presente sul blog: https://nostrasignoradianguera.blogspot.it/e Twitter: https://twitter.com/angueramessaggi è un interpretazione personale e non corrisponde necessariamente al vero significato dei messaggi, degli avvertimenti della Madonna al mondo e delle profezie annunciate da Nostra Signora ad Anguera.Si consiglia di visitare il sito web ufficiale brasiliano del veggente Pedro Regis:http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/ e la pagina dedicata al commento delle profezie: http://www.apelosurgentes.com.br/pt-br/cms/list/not%C3%ADcias(Gestore sito web: ANSA - Associacao Nossa Senhora de Anguera).
Is 17:1 Oracolo su Damasco.
Ecco, Damasco sarà eliminata dal numero delle città,
diverrà un cumulo di rovine.
2 Le sue borgate saranno abbandonate per sempre;
saranno pascolo dei greggi
che vi riposeranno senza esserne scacciati.
3 A Efraim sarà tolta la cittadella,
a Damasco la sovranità.
Al resto degli Aramei toccherà la stessa sorte
della gloria degli Israeliti,
oracolo del Signore degli eserciti.
4 In quel giorno verrà ridotta la gloria di Giacobbe
e la pinguedine delle sue membra dimagrirà.
5 Avverrà come quando il mietitore
prende una manciata di steli,
e con l'altro braccio falcia le spighe,
come quando si raccolgono le spighe
nella valle dei Rèfaim,
6 Vi resteranno solo racimoli,
come alla bacchiatura degli ulivi:
due o tre bacche sulla cima dell'albero,
quattro o cinque sui rami da frutto.
Oracolo del Signore, Dio di Israele.
7 In quel giorno si volgerà l'uomo al suo creatore
e i suoi occhi guarderanno al Santo di Israele.
8 Non si volgerà agli altari, lavoro delle sue mani;
non guarderà ciò che fecero le sue dita,
i pali sacri e gli altari per l'incenso.
9 In quel giorno avverrà alle tue fortezze
come alle città abbandonate
che l'Eveo e l'Amorreo evacuarono
di fronte agli Israeliti
e sarà una desolazione.
10 Perché hai dimenticato Dio tuo salvatore
e non ti sei ricordato della Roccia, tua fortezza.
Tu pianti perciò piante amene
e innesti tralci stranieri;
11 di giorno le pianti, le vedi crescere
e al mattino vedi fiorire i tuoi semi,
ma svanirà il raccolto in un giorno di malattia
e di dolore insanabile.
12 Ah, il rumore di popoli immensi,
rumore come il mugghio dei mari,
fragore di nazioni
come lo scroscio di acque che scorrono veementi.
13 Le nazioni fanno fragore
come il fragore di molte acque,
ma il Signore le minaccia, esse fuggono lontano;
come pula sono disperse sui monti dal vento
e come mulinello di polvere dinanzi al turbine.
14 Alla sera, ecco era tutto uno spavento,
prima del mattino non è già più.
Questo è il destino dei nostri predatori
e la sorte dei nostri saccheggiatori.
Cari figli, pregate. Allontanatevi definitivamente dal peccato e tornate a Colui che è la vostra Via, Verità e Vita. L’umanità non farà molti passi prima di incontrare la distruzione. Siate del Signore. Cercate la santità se volete la salvezza. La Siria tradirà, ma poi berrà il suo stesso veleno. Sappiate che Dio ha fretta. Ciò che dovete fare non rimandatelo a domani. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Cari figli, arriverà il giorno in cui gli abitanti di Damasco fuggiranno, ma la morte impedirà la fuga di molti. Inginocchiatevi in preghiera. L’umanità porterà una croce pesante. Gli uomini si sono allontanati dal Creatore e camminano verso l’abisso della distruzione. Io sono vostra Madre e soffro a causa dei miei poveri figli che camminano come ciechi che guidano altri ciechi. Convertitevi in fretta. Ciò che dovete fare, non rimandatelo a domani. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Damasco (arabo: دِمَشْق, Dimašq) è la capitale e la seconda città più popolosasenza fonte della Siria, con circa 1.600.000 ab. (stima del 2007), mentre l'area metropolitana, con oltre 5.000.000 è la più popolata. Città storica, nata nello stesso periodo delle civiltà mesopotamiche, in origine la sua popolazione era costituita da genti di stirpe semitica orientale, successivamente note come Aramei. È considerata la più antica città del mondo fra quelle abitate in maniera continuativa
2.597 - 01.11.2005
Cari figli, convertitevi. Non restate stazionari. Dio ha fretta e voi non potete vivere lontani dalla sua grazia. Siate uomini e donne di preghiera fervente. Io sono vostra Madre e cammino con voi. In un tempio si verificherà una grande esplosione. Gli uomini del terrore agiranno con grande furia. L’umanità si è allontanata dal Creatore ed è giunto il momento del grande ritorno. In Bulgaria SI VEDRÀ UNA GRANDE DISTRUZIONE. SARÀ GRANDE, MAGGIORE NON È ESISTITA. Pregate. Ecco il tempo opportuno che il Signore vi offre per convertirvi. Accadrà nel Nordest e sarà di grande magnitudine. Tornate in fretta. Pentitevi e assumete il vostro vero ruolo di cristiani. Questo è il messaggio che oggi vi trasmetto nel nome della Santissima Trinità. Grazie per avermi permesso di riunirvi qui ancora una volta. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Rimanete nella pace.
Guerra civile siriana
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La guerra civile siriana (in arabo: الحرب
الأهلية السورية, al-Ḥarb al-ahliyya al-sūriyya),
o crisi siriana, ha avuto inizio il 15 marzo 2011 in Siria con
le prime dimostrazioni pubbliche contro il governo centrale, parte del contesto
più ampio della primavera araba,
per poi svilupparsi in rivolte su scala nazionale e quindi in una guerra civile nel 2012; il conflitto è
ancora in corso.
Le proteste iniziali hanno l'obiettivo di spingere alle
dimissioni il presidente Bashar al-Assad ed eliminare la struttura
istituzionale monopartitica del Partito Ba'th.
Col radicalizzarsi degli scontri si aggiunge con sempre maggiore forza una
componente estremista di stampo salafita che, anche grazie agli aiuti di
alcune nazioni sunnite del Golfo Persico, si pensa possa aver raggiunto il 75%
della totalità dei combattenti[52]. Tali gruppi fondamentalisti hanno
come principale obiettivo l'instaurazione della Shari'a in Siria[53][54].
A causa della posizione strategica della Siria, dei suoi legami
internazionali e del perdurare della guerra civile, la crisi ha coinvolto i
paesi confinanti e buona parte della comunità internazionale. Gli organi
dirigenti del Partito Ba'th e lo stesso presidente appartengono alla comunità
religiosa alawita, una branca dello sciismo che è tuttavia minoritaria in
Siria, e per questo motivo l'Iran sciita è
intervenuto a protezione del governo siriano: combattenti iraniani sono presenti
a fianco delle Forze armate siriane per
mantenere al potere il governo alleato.[55][56][57] Il fronte governativo è
inoltre sostenuto da combattenti sciiti provenienti da altri Paesi, fra cui
l'Iraq e l'Afghanistan.[58][59] Il fronte dei ribelli è invece
sostenuto dalla Turchia[60] e soprattutto dai Paesi
sunniti del Golfo, in particolare Arabia Saudita e Qatar,
che mirano a contrastare la presenza sciita in Medio Oriente[61][62][63][64]. In ambito ONU si
è verificata una profonda spaccatura tra Stati Uniti d'America, Francia e Regno Unito che hanno espresso sostegno
ai ribelli[65] e Cina e Russia che invece sostengono il governo
siriano sia in ambito diplomatico che militare[66][67].
La delicata composizione religiosa ed etnica dei siriani[68] si è fortemente riflessa negli
schieramenti in campo. Sebbene le prime manifestazioni antigovernative avessero
uno spirito "laico" e avessero coinvolto tutte le principali città
del paese, incluse quelle a maggioranza alawita come Latakia[69], il perdurare della crisi ha
polarizzato gli schieramenti, portando la componente sciita a sostenere il
governo insieme a gran parte delle minoranze religiose, che hanno goduto della
protezione del governo laico del Partito Ba'th[70][71]. Il fronte dei ribelli rimane
composto prevalentemente da sunniti, i quali però non costituiscono un blocco
compatto: parte della popolazione sunnita continua a sostenere il governo[72] e sono sunniti alcuni membri
dell'esecutivo e buona parte dell'esercito[73][74][75]. Le stragi perpetrate dalle
componenti fondamentaliste dei ribelli nei confronti delle minoranze religiose
in Siria[76][77][78] hanno portato le Nazioni Unite
a definire la guerra civile come un «conflitto di natura settaria»[79].
Le organizzazioni internazionali hanno accusato le forze
governative e i miliziani Shabiha di usare i
civili come scudi umani, di puntare intenzionalmente le armi su di loro, di
adottare la tattica della terra
bruciata e di eseguire omicidi di massa; i ribelli anti-governativi
sono stati accusati di abusi dei diritti umani tra cui torture, sequestri,
detenzioni illecite ed esecuzioni di soldati e civili[80][81].
L'accezione "guerra civile" per descrivere il
conflitto in atto è stata usata il 15 luglio 2012 dal Comitato
Internazionale della Croce Rossa, che ha definito la crisi siriana
un «conflitto armato non internazionale»[82].
Il contesto storico-politico
Lo stesso argomento in
dettaglio: Bashar al-Assad e Storia della Siria.
|
Il partito Ba'th,
di ispirazione laica e inizialmente legato al socialismo arabo e al panarabismo, fin dalla sua fondazione
negli anni 1940 evidenziò la sua caratteristica
interconfessionale essendo i suoi tre ideatori un cristiano, un alawita e un
sunnita. Il Ba'th in Siria assunse un ruolo di primo piano a seguito del
disfacimento della Repubblica Araba
Unita (RAU) nel 1961 e il successivo caos politico: una serie
di colpi di stato militari, durante i quali, nel 1962, venne introdotto
lo stato di emergenza che
di fatto sospendeva la maggior parte dei diritti costituzionali dei cittadini,
definì la nuova classe dirigente siriana. L'8 marzo 1963 un nuovo colpo di
stato portò al governo il partito attraverso un "Comando Rivoluzionario
del Consiglio Nazionale", composto di ufficiali dell'esercito e funzionari
civili. Hafiz al-Assad ebbe
l'opportunità di esercitare una grossa pressione sul governo nel 1966, quando un
nuovo golpe permise al Partito Baʿth di eliminare tutti gli altri partiti
politici e a Hafiz di diventare ministro della Difesa.
A seguito dell'indebolimento del governo dopo la guerra dei sei giorni con Israele e dei dissidi interni al partito,
il 13 novembre 1970 Ḥāfiẓ al-Asad conquistò la guida del partito e la
presidenza della repubblica. La Siria visse un periodo di stabilità con un
sistema di governo monopartitico e repressivo; Asad, in maniera simile agli
altri leader arabi, sviluppò anche un forte culto della personalità. La
stabilità della nazione, garantita anche dall'appoggio dell'Unione Sovietica, permise importanti riforme
infrastrutturali, mentre la laicità garantita dal partito garantì una forte
tutela alle numerose minoranze religiose presenti in Siria; la minoranza
alawita di cui Assad faceva parte ricevette però i vantaggi maggiori,
garantendosi i posti più importanti nell'amministrazione pubblica e nei gradi delle
forze armate. Nel 1982 Ḥāfiẓ al-Asad dovette affrontare una grave insurrezione
di matrice islamica, guidata dalla locale branca dei Fratelli Musulmani che
portò all'assedio della città di Hama e
alla dura repressione degli
insorti per mezzo dell'esercito e dell'aviazione: la stima dei
morti varia, da una cifra minima del New York Times di almeno
10.000 cittadini siriani uccisi[83], ai 40.000 stimati dal Comitato
siriano per i diritti umani[84], di cui 1000 soldati.
Gli anni 1990 portarono ad un avvicinamento della Siria
all'Occidente, a seguito del sostegno all'operazione Desert
Storm contro l'Iraq di Saddam Hussein e al tentativo di siglare
un accordo di pace con Israele. Nel 1999, alla notizia da parte di Assad della
designazione come successore alla presidenza del figlio Baššār al-Asad,
scoppiarono delle violente proteste a Lattakia tra la polizia e i seguaci di Rifa'at al-Assad, fratello di Ḥāfiẓ che
sperava di succedergli alla presidenza. Ḥāfiẓ al-Asad, gravemente malato di
cuore, morì un anno dopo, il 10 giugno 2000, e come programmato gli succedette
Baššār al-Asad, anche grazie a un rapido emendamento costituzionale che permise
di abbassare da 40 a 34 anni l'età minima per essere eletti presidente. Baššār
fu eletto col 99,7% dei voti.
Il nuovo presidente si trovò ad affrontare tra le prime
questioni politiche quella dell'indipendentismo curdo: nel 2004 scoppiarono
una serie di rivolte nel nord della Siria, la più grave delle quali nella
cittadina di Kamichlié, quando
durante una partita di calcio alcune persone cominciano a sventolare bandiere
curde; la violenta reazione della polizia causò almeno 30 morti e la protesta
dilagò in molti altri centri sfociando in scontri anche con la comunità araba.
Baššār non modificò la rigida struttura di controllo della popolazione, la
censura della stampa libera e continuò a non permettere la formazione di
partiti politici di opposizione. Inoltre si incrinarono i rapporti con
l'Occidente a seguito dell'appoggio a Saddam Hussein durante la guerra d'Iraq del 2003, dell'appoggio a
movimenti considerati organizzazioni terroristiche secondo l'Unione europea come Hezbollah e Hamas e
del coinvolgimento nell'assassinio dell'ex-Primo Ministro libanese Rafiq Hariri.
Avvisaglie della crisi
L'inizio della rivolta (gennaio 2011 - marzo 2011)
La prima fase dell'insurrezione contro il governo siriano è
caratterizzata da una serie di manifestazioni di piazza organizzate attraverso
i social networksulla
scia di iniziative simili che si stavano diffondendo in Vicino Oriente e Nord
Africa (Primavera araba).
In un'intervista concessa al quotidiano statunitense Wall Street Journal,
Baššār al-Asad si dice convinto del fatto che siano necessarie riforme e che si
stia costruendo una "nuova era" in Vicino Oriente, mentre in altri paesi
del Nordafrica si svolgono manifestazioni di piazza senza precedenti[85]. La mobilitazione indetta però in
Siria per il 4 e 5 febbraio 2011, in contemporanea con la "giornata della
partenza" proclamata in Egitto, non ottiene il
risultato sperato e scarse risultano le adesioni da parte della popolazione,
soprattutto per la paura di ritorsioni da parte degli organi di sicurezza[86]. Il giorno prima si era rivelato un
insuccesso un sit-in indetto davanti alla sede del
Parlamento "in segno di solidarietà con studenti, lavoratori e pensionati
privi di reddito"[87].
Per limitare le possibili aggregazioni di manifestanti, il
governo attua una politica di censura su Internet, impedendo l'accesso a
Facebook, Twitter e YouTube[86]. Tuttavia il 10 febbraio Damasco apre definitivamente ai social network e dopo 5 anni fa cadere il
divieto che ne prevedeva l'oscuramento[88]. La decisione di eliminare le
limitazioni, secondo quanto riferisce il quotidiano filo-governativo al-Waṭan (La
Patria), dimostra "la fiducia del governo nell'uso della rete".
Secondo l'opposizione il libero accesso ai social network sarebbe un tentativo
delle autorità siriane di contrastare le attività sediziose contro il regime.[88] Il 17 febbraio però Tal
al-Mallūḥī, giovane blogger siriana, viene
condannata a cinque anni di carcere dall'Alta corte per la sicurezza dello
Stato, con l'accusa di aver lavorato per conto della Central
Intelligence Agency[89].
Dal 15 marzo la Siria è di nuovo percorsa da timide
manifestazioni anti-regime, che però solo a Dar'a, città della Siria meridionale, capoluogo
della regione agricola e tribale del Hawran (tra le più povere del paese),
sfociano dal 18 marzo in proteste di massa senza precedenti, represse con le
forze militari[90][91]. Numerose persone rimangono uccise
durante gli scontri. Il governatore della regione, Fayṣal Kulthūm, il 23 marzo
viene rimosso dall'incarico dal presidente siriano[90].
Nonostante l'annuncio delle riforme dato il giorno prima dal
portavoce del presidente, il 25 marzo le proteste proseguono e sfociano in
scontri che provocano numerose vittime a Dar'a, Latakia e Samnin[92]. Il 26 marzo, mentre manifestazioni
si svolgono a Dar'a, i partecipanti al funerale delle vittime dei giorni
precedenti danno alle fiamme la sede locale del partito Ba'th e manifestazioni
si svolgono anche a Latakia, dove il giorno successivo si apprende che almeno
12 persone (secondo l'opposizione 20), tra cui una decina di militari,
rimangono uccise negli scontri[93][94]. A Darʿā, ancora il 28 marzo
persone scese in strada per protestare contro lo stato di emergenza sono fatte
oggetto di attacchi a colpi di arma da fuoco da parte della polizia. Nello
stesso giorno il vice presidente siriano annuncia che il presidente Asad
prenderà decisioni che saranno "gradite al popolo siriano"[95]. Il 30 marzo, durante la
repressione delle manifestazioni, rimangono uccise altre 25 persone a Latakia[96].
Parallelamente alla repressione delle manifestazioni, il
presidente siriano offre una serie di concessioni: scioglie il governo e nomina
l'ex ministro dell'Agricoltura Adel Safar nuovo Premier[97], la coscrizione obbligatoria viene
ridotta da 21 a 18 mesi, viene rimosso il governatore della provincia di Darʿā,
vengono fatte promesse per la diminuzione delle tasse e la revisione dei salari[98][99]. Assad accusa forze straniere di
fomentare la rivolta e condanna i media satellitari come Al Jazeera di sobillare i rivoltosi[100].
La diffusione (aprile 2011 - maggio 2011)
Aprile si apre con imponenti manifestazioni che interessano
tutte le maggiori città del Paese, ma è a Dar'a, nella Siria meridionale, che
si concentrano gli scontri più violenti. A partire dall'8 aprile numerosi
manifestanti rimangono uccisi nel corso di scontri che durano alcuni giorni[101][102].
A Dar'a, diventata il fulcro delle proteste, viene per la prima
volta schierato l'esercito siriano che
con 6.000 uomini e mezzi corazzati cinge d'assedio la città[103][104]; oltre 400 sono i decessi registrati
dall'inizio della protesta, mentre circa 500 persone sono tratte in arresto[105]. Oltre a Dar'a, la protesta dilaga
in diverse città della Siria: Latakia, Homs, Damasco e Aleppo, dove attivisti
dei diritti umani riferiscono di numerosi morti e centinaia di feriti[106].
Il 22 aprile un raduno di manifestanti a Damasco contro il regime
viene disperso a colpi di fumogeni[107]; altre proteste si svolgono
contemporaneamente a Kamichlié e Amuda[107]. In un sobborgo a nord della
capitale, Duma, si registrano alcuni morti a seguito di scontri tra polizia e
manifestanti, così come in altre città siriane[108][109]. Nel corso della giornata, che
vede man mano estendersi la protesta in numerose città del paese, oltre 100
persone muoiono a seguito della repressione[110].
Manifestazione a Baniyas il 29
aprile 2011: il "venerdì della rabbia"
Venerdì 29 aprile manifestazioni si svolgono in numerosissime
piazze del paese, compresa Dar'a, e per la prima volta compaiono organizzazioni
dichiaratamente islamiste, come la clandestina Fratellanza Musulmana messa
fuori legge nel paese[111][112]. Dopo un sanguinoso attacco contro
la città di Baniyas (una delle roccaforti della
protesta) il 7 maggio, l'11 maggio anche la città di Homs e soprattutto il
quartiere di Bab Amr sono al centro di una vasta operazione dell'esercito
siriano[113].
A metà maggio una trentina di manifestanti risultano aver perso
la vita negli scontri degli ultimi tre giorni tra manifestanti e forze di
sicurezza a Tall
Kalakh, nella Siria occidentale a ridosso del confine con il Libano[114]. Durante il "venerdì delle
libertà" proclamato per il 21 maggio, circa 40 persone vengono uccise
dalle forze di polizia nel corso di manifestazioni nella provincia occidentale
di Idlib e nella città di Homs[115][116].
Per tutto il mese di maggio le proteste si susseguono e aumenta
il numero dei morti, arrivando a oltre 1.000; si contano anche 10.000 arresti
tra gli attivisti[117]. A partire dalla fine di marzo la
piazza si riempie anche di manifestazioni a favore del governo, caratterizzate
da una grande quantità di persone, una buona organizzazione e una forte
visibilità sulle televisioni nazionali: manifestazioni si svolgono a Damasco[118][119], Aleppo[120], Tartus[121] e Lattakia[122]. Inoltre il governo continua ad
accogliere parte delle richieste dei manifestanti, e il 21 aprile viene
eliminato lo stato di emergenza[123].
L'inizio della lotta armata (giugno 2011 - ottobre 2011)
Il 4 giugno 2011 avviene per la prima volta un'azione di
protesta in cui i dimostranti prendono le armi e reagiscono violentemente agli
apparati di sicurezza: a Jisr
ash-Shugur, nella provincia di Idlib vicino
al confine con la Turchia, i dimostranti aggrediscono le forze di polizia
uccidendo 8 persone e prendono il controllo della locale stazione di polizia,
saccheggiandola e distribuendo le armi contenute al suo interno[124]; gli scontri continuano per una
settimana, nella quale i gruppi armati uccidono un totale di 120 poliziotti[125]. La reazione del governo è delle
più dure: oltre all'esercito, vengono dispiegati i carri armati e alcuni
elicotteri[126], ma solo il 12 giugno viene
ristabilita la calma in città; 10.000 residenti fuggono dalla battaglia
oltrepassando il confine con la Turchia[124]. Altre manifestazioni, più
pacifiche, si tengono a Ma'arrat al-Nu'man[127] e Aleppo[128].
Il 3 luglio 2011 ad Hama si svolge la più imponente
manifestazione contro il governo[129]; la circostanza è particolarmente
delicata in quanto è la prima azione di ribellione di questa città dopo
la sanguinosa insurrezione
del 1982, e l'organizzazione islamista dei Fratelli Musulmani è qui
ancora molto forte. L'intervento del governo è immediato: viene inviato
l'esercito e in un mese viene riportata la calma in città a costo di più di 200
morti[130]. La durissima repressione del
governo, senza che si fossero verificate reali ostilità da parte dei
dimostranti, genera la prima forte protesta sul piano internazionale,
principalmente da Stati Uniti d'America[131] e Unione europea[132].
Fin da inizio giugno, quando la repressione si intensifica, si
registrano casi di diserzione da parte di membri della polizia e dell'esercito[124]. Il 29 luglio 2011 un gruppo di
ufficiali disertori crea l'Esercito siriano
libero (ESL)[133]: questo evento modifica sensibilmente
l'evoluzione dell'opposizione che, di fatto, si trasforma in un vero e proprio
esercito combattente con lo scopo di destituire il governo baatista. L'ESL
comincia a creare una catena di comando e a organizzare i gruppi ribelli,
armandoli e addestrandoli. Le due principali città siriane, Damasco e Aleppo,
registrano ancora alcune manifestazioni di opposizione, ma il numero di
partecipanti è molto basso e non si verificano significativi atti di
repressione[134]; le piazze principali sono invece
teatro di oceanici raduni di manifestanti filogovernativi[135].
Il 23 agosto 2011 i vari gruppi di opposizione in esilio creano
il Consiglio
nazionale siriano (CNS) con sede a Istanbul[136]; l'intento è quello di creare un
punto di riferimento politico per l'opposizione siriana e creare un
interlocutore con l'ESL, tuttavia l'opposizione rimarrà sempre un insieme poco
amalgamato di gruppi politici da molto tempo in esilio (quindi con poca
conoscenza della reale situazione in patria) e diviso su linee ideologiche,
etniche e religiose[137].
Con la nascita dell'ESL gli scontri diventano molto più violenti
e, al posto delle dimostrazioni di piazza, si verificano atti di guerriglia,
sabotaggio e imboscate. Un esempio è la battaglia
di Rastan, combattuta tra il 27 settembre e il 1º ottobre 2011 in
cui i ribelli riescono a sconfiggere l'esercito regolare e allontanarlo dalla
città per quattro giorni[138]. Le forze armate governative
reagiscono mettendo in campo l'aviazionee
la marina[139]. Per tutta la durata di ottobre in
Siria si registrano combattimenti in tutte le città, soprattutto a Idlib e
nel suo governatorato[140].
La guerra
Lo scoppio
della guerra (novembre 2011 - marzo 2012)[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in
dettaglio: Offensiva di
Homs nel 2012.
|
Sebbene a livello internazionale la crisi siriana non venga
ancora ufficialmente considerata una guerra civile, sul campo si verifica
un'escalation degli scontri causata anche dal flusso continuo di disertori che
ingrossano le file dell'ESL[141]. L'evento più significativo è la
serie di attacchi che a fine ottobre vengono compiuti dall'Esercito Siriano
Libero nella città di Homs, in cui vengono uccisi 37 soldati[142]; la reazione dell'esercito
regolare trova un livello di resistenza mai incontrato prima e, a differenza
delle operazioni svolte a Dar'a e Hama, la rivolta non viene sedata[124]. L'ESL riesce a conquistare i
quartieri nevralgici della terza città siriana e costringe l'esercito a
ripiegare in difesa, e il corrispondente di Sky News Stuart Ramsay descrive la
situazione a Homs come una "chiara zona di guerra"[143]. A causa della tenace resistenza
dei ribelli, Homs verrà in seguito definita la "Capitale della
rivoluzione"[144].
L'assedio di Homs, anche a causa della sua durata, provoca anche
i primi chiari scontri settari tra civili, prevalentemente musulmani sunniti e
alawiti[145]. Tra novembre e dicembre l'ESL si
alimenta grazie alle continue diserzioni[146] e aumenta il numero e
l'intensità degli attacchi. In soli due mesi vengono attaccati: la sede dei
servizi segreti dell'aeronautica a Damasco, la sede del Partito Ba'th e un
edificio dell'intelligence a Idlib e un aeroporto militare vicino Homs[147]. Il 15 dicembre i ribelli uccidono
in un'imboscata 27 soldati a Dar'a, l'attacco singolo più sanguinoso finora
avvenuto[148]. Il 28 dicembre, di fronte alle
difficoltà sorte nel combattere una guerra asimmetrica, il presidente Bashar
al-Assad fa nuove concessioni agli oppositori: oltre alla liberazione di 755
detenuti politici[149], tra le concessioni più importanti
vi è la modifica della costituzione che, tra i punti fondamentali, prevede un
tetto alla possibilità di ricandidatura del presidente a due mandati ed elimina
la citazione del Partito Ba'th come partito unico in Siria[150]. La nuova costituzione viene
sottoposta a referendum il 26 febbraio 2012 e approvata[151]. A gennaio 2012 non si verificano
più manifestazioni pacifiche di piazza, che lasciano il posto a un conflitto
armato su larga scala[152]. L'Esercito siriano libero ottiene
importanti vittorie in tutto il paese: a Zabadani l'opposizione
controlla l'intera città[153] e avanza nei dintorni di
Damasco, soprattutto nella città di Duma[154], dove l'esercito regolare è costretto
a ritirarsi. A Idlib, dopo una lunga serie di scontri, i ribelli controllano
parte della città. Nel governatorato di Homs l'opposizione armata, dopo una
settimana di scontri, ottiene il pieno controllo della città di Rastan e delle cittadine nei dintorni[155]; l'esercito regolare, decimato
dalle defezioni, è costretto alla ritirata.
Sebbene l'Esercito siriano libero costituisca l'ossatura
dell'opposizione armata in Siria, a inizio gennaio 2012 compaiono altri gruppi
paralleli che operano in maniera più autonoma. Tra essi quello più importante è
il Fronte al-Nusra che
si costituisce il 23 gennaio[156]. Il gruppo è inizialmente composto
da membri della branca irachena di Al Qaeda (Stato Islamico
dell'Iraq) che combatte la presenza americana nel paese; i membri siriani
dell'organizzazione, inclusi militanti di nazionalità irachena, tornano in
patria vedendo nella crisi siriana l'opportunità di rovesciare il governo di
Asad e instaurare uno Stato islamico basato sulla sharia. Il Fronte al-Nusra, rappresentante
l'ala più radicale del fondamentalismo sunnita,
opera in maniera indipendente e con finalità diverse rispetto all'ESL, tuttavia
elementi di entrambe le fazioni combattono insieme contro le truppe regolari
siriane. Il gruppo introduce una strategia di attacco molto più violenta, basata
anche su attentatori suicidi che
eseguono singoli attentati contro istituzioni governative con finalità di
puro terrorismo.
La strategia degli attacchi suicidi, generalmente per mezzo di autobombe, viene inaugurata nel distretto
Al-Midan di Damasco il 6 gennaio 2012 con la morte di 26 persone, tra cui molti
civili[157].
L'esercito siriano, inizialmente in difficoltà di fronte ai
successi dei ribelli, organizza una controffensiva il 2 febbraio che dura circa
due mesi e permette al governo di arginare l'avanzata dei ribelli nel Governatorato di
Damasco; il risultato più importante viene ottenuto nella città di
Idlib che il 15 marzo viene riconquistata dopo giorni di combattimenti[158]. Alla fine di marzo 2012 il
computo totale dei morti in Siria sale a 10.000[159].
Le uccisioni di civili (aprile 2012 - giugno 2012)
L'avanzata dei ribelli in molte aree del paese estremizza la
reazione del governo; vengono utilizzati elicotteri d'attacco nei centri
abitati[160] e nelle città i soldati
governativi impiegano negli assalti sempre più spesso le milizie shabiha: tali bande, composte prevalentemente
da siriani di religione alawita e senza una reale struttura organizzativa, sono
composte da giovani spesso legati alla criminalità comune. Le bande di shabiha
compaiono in maniera concomitante alle prime manifestazioni antigovernative del
2011, dove sono protagonisti di gesti di violenza contro i dimostranti[161], e con l'acuirsi della crisi
vengono impiegate nelle azioni più violente contro i ribelli e i civili
considerati sostenitori dell'opposizione. Tale impiego dovrebbe proteggere
l'esercito regolare da eventuali accuse di violazione dei diritti umani.
A partire da aprile 2012 l'abuso nell'utilizzo degli shabiha
provoca una serie di massacri della popolazione civile che culmina nei due
episodi più gravi: la strage
di Hula[162][163], in cui vengono uccise a sangue
freddo 108 persone[164], e quella di
Al-Qubeir[165][166], dove vengono uccise 78 persone[167]; in entrambi i casi il governo
siriano cerca di negare l'accaduto attribuendo la responsabilità ai gruppi
ribelli[168][169]. L'eco delle stragi, amplificate
dai media, provoca per la prima volta una forte reazione internazionale: a fine
maggio molte nazioni espellono l'ambasciatore siriano per prendere le distanze
dal governo di Assad[170][171].
Da giugno 2012, vedendo le difficoltà nella gestione della crisi
da parte del governo siriano, molte Nazioni straniere cominciano a prefigurare
una prossima caduta di Assad e sostengono apertamente il fronte dei ribelli.[172] La nazione più attiva è la
Turchia, che fornisce armi all'ESL e dà rifugio ai vertici militari
dell'opposizione[173][174]. Stati Uniti[175][176], Francia[177] e Regno Unito[178] cominciano a fornire
equipaggiamenti e finanziamenti, mentre l'Unione europea inasprisce l'embargo
sulla Siria[179]. Gli Stati del Golfo Persico, in
maniera simile a quanto avvenuto durante le rivolte della "primavera
araba", da aprile 2012 finanziano e inviano armi ai ribelli[180][181]: i destinatari sono
prevalentemente i gruppi di ispirazione salafita[182].
La presa di posizione a favore dei ribelli di molte nazioni
provoca la reazione degli Stati tradizionalmente alleati della Siria. La Russia, che ha un accordo con il governo di
Assad per l'utilizzo del porto di Tartus,
invia del personale tecnico per l'addestramento dei militari siriani[183]. L'Iran,
che teme di perdere un prezioso alleato regionale, in aprile comincia ad
inviare armi e finanziamenti al governo siriano[184]. Sul campo i ribelli continuano a
guadagnare terreno, avanzando nel Governatorato di
Idlib[185] e soprattutto conquistando il
10 luglio la cittadina di Al-Qusayr[186], posizionata strategicamente su un
valico di confine con il Libano e sulla strada che conduce dalla costa ad Homs.
Le battaglie di Damasco e Aleppo e il fronte curdo (luglio
2012 - agosto 2012)
Lo stesso argomento in
dettaglio: Battaglia di Damasco e Battaglia di Aleppo.
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Nel mese di luglio le forze ribelli continuano a mantenere
l'iniziativa e scatenano la più imponente offensiva contro il governo siriano
tentata finora. Le due principali città siriane, la capitale Damasco e Aleppo,
cuore commerciale del paese, fin dal 2011 non erano state teatro di forti
manifestazioni antigovernative e finora erano state colpite dal conflitto solo
in maniera marginale[135]. A Damasco i ribelli erano stati
fermati a inizio anno prima che entrassero nei sobborghi della città,
successivamente i danni più ingenti erano stati singoli attacchi terroristici
per mezzo di autobomba[187][188][189] contro obiettivi militari o
governativi. Anche nella città di Aleppo, a parte poche manifestazioni di
piazza[128], non si erano mai verificati
scontri armati e la città veniva considerata una roccaforte filo-governativa[190]. I dintorni di Aleppo invece, a
partire da febbraio, erano stati oggetto dell'avanzata dei miliziani dell'ESL
che provenivano dalle loro roccaforti intorno a Idlib e dal confine turco[191].
A metà luglio i ribelli attaccano entrambe le città, in
un'operazione cui partecipano sia l'Esercito siriano libero sia le formazioni
islamiste. Il 15 luglio 2012 inizia la battaglia di Damasco[192], denominata "Operazione
Vulcano di Damasco"[193]: l'operazione coinvolge brigate
ribelli appositamente spostate dalle aree a nord del paese[194], che si riversarono in città dando
luogo ad una serie di scontri a fuoco con l'esercito regolare e applicando la
tattica della guerriglia cittadina[195]. Il 18 luglio una bomba distrugge
il quartier generale della Sicurezza Nazionale; nell'attentato muoiono alti
dirigenti militari e del governo[196]. La contemporanea offensiva
ribelle verso le aree centrali della città fa presagire un imminente crollo del
regime[197], tuttavia, anche a causa del
mancato sostegno popolare dei cittadini di Damasco, i ribelli non riescono a
consolidare le posizioni conquistate e le forze armate siriane riescono a
organizzare una controffensiva che allontana i ribelli verso le zone
periferiche della città, di cui riescono a mantenere il controllo[198]. La battaglia di Damasco è una
dura sconfitta per l'ESL, e per la prima volta si crea una spaccatura tra i
settori della società che solidarizzavano con le prime manifestazioni pacifiche
e i ribelli armati.
Il 19 luglio 2012 inizia la battaglia di Aleppo[199], denominata dai ribelli la
"madre di tutte le battaglie"[200]; l'attacco, quasi contemporaneo a
quello di Damasco, coglie alla sprovvista le truppe governative, orientate alla
difesa della capitale: i ribelli, attaccando da sud-ovest e nord-est, riescono
a entrare in città, raggiungendo il centro storico[201]. La contemporanea conquista dei
ribelli delle strade di collegamento con la frontiera turca permette di aprire
un vitale canale di approvvigionamento[202]. A inizio agosto i ribelli
controllano buona parte della città, riuscendo a unire i due fronti di attacco;
tuttavia, grazie al martellante uso dell'aviazione e dell'artiglieria pesante,
l'esercito regolare riesce a bloccare l'avanzata delle milizie ribelli e a
respingerli dal quartiere strategico di Salaheddine.[203] La battaglia non si conclude
ma si trasforma in una logorante guerra di posizione, caratterizzata da poche
modifiche territoriali, con ribelli ed esercito governativo che controllano
ognuno circa il 50% della città[204].
Sempre nel mese di luglio, a Erbil in
Iraq, i due principali partiti che rappresentano la popolazione di etnia curda siriana,
minoranza etnica a lungo discriminata dal governo, siglano un accordo che
prevede la formazione di un organo politico unitario (il Comitato
Supremo Curdo) e la "liberazione" delle aree a maggioranza
curda, in modo da implementare un governo autonomo[205]. La posizione curda è di fatto
completamente indipendente sia dai ribelli che dal governo centrale: i ribelli
sono considerati degli alleati[206] ma vengono visti con
scetticismo per i legami instaurati con la Turchia e la presenza delle fazioni
islamiste[207]; il governo centrale viene
considerato il vero nemico ma, di fatto, durante le prime dimostrazioni la
repressione è stata molto meno violenta rispetto alle zone arabe. Inoltre la
nuova dirigenza curda vuole operare in modo da mantenere inalterata l'amministrazione
pubblica siriana, per poi gradualmente sostituirla con quella propria[208].
Il 19 luglio 2012 le Unità di
Protezione Popolare (YPG), braccio armato del Comitato Supremo
Curdo, iniziano la campagna di liberazione del Kurdistan Siriano entrando in armi nelle
città di Ayn al-Arab, Amuda ed Efrin[209]: la reazione delle forze
governative (polizia ed esercito) è estremamente debole, e le città vengono
abbandonate senza combattere[210]. Il giorno successivo vengono
occupati altri villaggi intorno al confine turco[211]. La mossa successiva dell'YPG è la
conquista della città di Qamishli, la più grande
città siriana a maggioranza curda nell'est del paese, ma la forte presenza di
popolazione araba e di forze di sicurezza governative porta ai primi scontri
armati[212]. Il numero di combattenti YPG
sovrasta i militari siriani che si ritrovano presto completamente circondati[213]; in città si genera una
"guerra fredda" tra le due fazioni, per cui da un lato le truppe
regolari rimangono nelle loro caserme ma dall'altro l'amministrazione statale
della città viene mantenuta[214]. Entro il 24 luglio, in meno di
una settimana dall'inizio delle ostilità, le forze curde occupano tutte le
città a maggioranza curda nel nord del paese in un'operazione che comporta un
numero ridottissimo di perdite sia per i curdi che per le forze governative[215]. La veloce e indolore avanzata
curda è dovuta a due fattori: il sostegno popolare assoluto nelle aree a
maggioranza curda e la volontà del governo siriano di focalizzarsi sui
territori a maggioranza araba; la presenza dell'YPG nelle città del nord di
fatto "libera" le truppe siriane che vengono dislocate nelle aree
"calde" del paese[216]. Il 2 agosto il Comitato Supremo
Curdo annuncia la liberazione della maggioranza del territorio del Kurdistan
siriano[217].
L'avanzata dei ribelli (settembre 2012 - dicembre 2012)
Il periodo successivo alle battaglie di Damasco e Aleppo vede i
ribelli nuovamente all'attacco in tutte le zone del paese, e il conflitto si
allarga all'intero territorio nazionale. A Damasco, l'esercito siriano allarga
l'operazione che aveva permesso l'allontanamento dei ribelli dai quartieri
centrali e attacca i sobborghi esterni controllati dagli insorti: l'intenzione
è sfruttare la momentanea disorganizzazione dei ribelli in ritirata per mettere
definitivamente al sicuro la città. Ad agosto l'esercito regolare riconquista
la cittadina strategica di al-Tall, a nord della capitale e sulla strada che
porta nella regione di Qalamun;[218] i ribelli avevano qui
ammassato le truppe per tentare un nuovo assalto a Damasco[219]. Le truppe governative riescono ad
avanzare anche nei sobborghi a sud[220] e ad est della capitale[221].
La riconquista delle zone periferiche di Damasco viene condotta
con estrema brutalità dall'esercito, che utilizza in larga misura artiglieria,
elicotteri da combattimento e milizie shabiha[222]; la popolazione di alcune
cittadine periferiche è infatti solidale con gli insorti e gli attacchi non
tengono conto del loro status di civili[223][224]. Emblematica è la situazione
di Darayya, roccaforte degli insorti posizionata
sulla strada per l'aeroporto di Mezze: il bombardamento martellante e l'azione
delle milizie filogovernative lascia sul campo più di 400 morti, la maggior
parte vittima di esecuzione[225][226][227]. L'operazione termina a fine
settembre, quando l'esercito consolida le posizioni acquisite che corrispondono
a quelle antecedenti alla battaglia di Damasco.
Si susseguono scontri per tutto il mese di ottobre, con piccole
alterazioni dello status quo[228][229][230], mentre nello stesso periodo l'ESL
conduce una campagna di omicidi mirati di vertici politici e militari[231]. A novembre i ribelli scatenano
una nuova offensiva su Damasco avanzando dalle roccaforti a sud e ad est della
città[232], ottenendo a fine mese come
successi la chiusura dell'aeroporto civile della capitale e la cattura di due
basi militari a Hajar al-Aswad (sud) e Ghuta (est)
dove vengono instaurati i centri direzionali dell'ESL[233]. L'afflusso di armi e
finanziamenti permette ai ribelli di migliorare le strategie di attacco e di
difendersi anche contro l'aviazione.
L'avanzata dei ribelli viene rallentata dall'afflusso di nuove
truppe regolari smobilitate dalle campagne e a prezzo di un gran numero di
perdite[234]. L'offensiva rallenta e si
prolunga per tutto dicembre e gennaio: i successi più significativi per i
ribelli avvengono sul fronte est, dove riescono a conquistare tutto il sobborgo
di Ghuta, mentre a sud invece l'esercito regolare lancia una vittoriosa
offensiva su Darayya[235]. I fallimenti dei continui assalti
alla città da parte dei ribelli sono dovuti al dispiegamento delle truppe
migliori da parte del governo, che vuole difendere la capitale a oltranza ed
evitare le condizioni del luglio 2012 che avevano portato ad un passo dal
crollo del regime. Il richiamo di un così ingente numero di soldati lascia però
sguarniti gli altri fronti interni: soprattutto a nord della Siria, nei
governatorati di Idlib e Aleppo, l'ESL, in collaborazione con le milizie jihādiste, dilaga soprattutto nelle zone
rurali riuscendo a controllare gran parte dei punti di frontiera con la
Turchia, vitali per l'afflusso di armi e combattenti[236][237][238]. Verso la fine di settembre il
centro di comando dell'ESL viene spostato dalla Turchia alle aree controllate[239].
Il successo strategicamente più significativo è la conquista
della città di Ma'arrat al-Nu'man tra
l'8 e il 13 ottobre, uno snodo fondamentale che collega Damasco, Aleppo, Idlib
e la costa; la Siria viene in questo modo tagliata in due[240]. Il 28 ottobre viene sottratto al
controllo dell'esercito anche l'ultimo sobborgo di Idlib, Salqin[241], e la successiva conquista della
cittadina di Saraqib permette di isolare completamente Idlib e Aleppo dalle
regioni costiere[242]. La costa, ossia i governatorati
di Lattakia e Tartus, sono filogovernativi; l'atteggiamento della popolazione è
radicalmente cambiato rispetto alle prime manifestazioni del marzo 2011, quando
nelle principali città costiere erano scoppiate dimostrazioni di protesta molto
numerose, un cambiamento sintomatico della radicalizzazione della guerra civile
e la sua deriva settaria: infatti le regioni costiere, a maggioranza sciita
alawita, subiscono il fondamentalismo sunnita salafita dei gruppi jihadisti e la
criminalizzazione da parte dei membri dell'ESL. Ad Aqrab,
nel dicembre 2012, i ribelli compiono il massacro della popolazione civile di
fede alawita, uccidendo circa 125 persone[243].
Inoltre la presenza dei combattimenti genera un deterioramento
dell'ordine pubblico causata dall'assenza di organismi statali riconosciuti: la
criminalità comune aumenta sensibilmente, spesso confondendosi e appoggiandosi
alle forze ribelli, si susseguono saccheggi e rapimenti a scopo estorsivo[244]. I miliziani salafiti, col
perdurare della crisi, cominciano ad assumere un ruolo di primo piano nel
fronte ribelle a causa del loro forte impatto sul campo di battaglia, la
crescita del loro numero e la maggiore disponibilità economica garantita dai
finanziamenti da parte di Qatar e Arabia Saudita. Il fanatismo dei gruppi
islamisti (tra cui il Fronte al-Nusra è il più numeroso) provoca la reazione
non solo degli sciiti alawiti, ma anche delle altre minoranze etniche e
religiose: a metà del 2012 si cominciano a formare gruppi auto-organizzati,
denominati "Comitati Popolari", composti da cittadini di origine
cristiana, drusa, alawita e sciita con lo scopo di difesa
dalle azioni di odio settario da parte delle milizie sunnite[245]. I primi gruppi nascono a Damasco,
ma si registrano comitati in tutte le grandi città: ad Aleppo il comitato
popolare cristiano partecipa alla battaglia dell'agosto 2012 per difendere i
quartieri cristiani dall'avanzata dei ribelli[246]. Verso la fine del 2012 il governo
cerca di "istituzionalizzare" i comitati popolari fondendoli
nella Forza Nazionale
di Difesa: un'organizzazione alle dipendenze dell'esercito che
fornisce armi, addestramento e coordinamento[247].
Nella città di Aleppo, il 27 settembre i ribelli tentano una
nuova offensiva volta a risolvere lo stallo militare[248]. L'attacco parte dai quartieri
meridionali e presto raggiunge il centro storico della città; i combattimenti
sono molto violenti e si registrano forti perdite in entrambi gli schieramenti[249]. L'avanzata ribelle è molto lenta
e si ferma alle porte dell'antico suq di Aleppo che viene completamente
distrutto da un incendio generatosi durante gli scontri[250]; dopo solo tre giorni l'offensiva
raggiunge lo stallo a causa della tenace resistenza dell'esercito regolare,
senza sostanziali modifiche allo status quo[251]. Una nuova offensiva ribelle su
larga scala viene scatenata in novembre, sfruttando il sostanziale isolamento
di Aleppo dal resto del Paese, e questi nuovi attacchi partecipano con maggior
presenza i miliziani islamisti del Fronte al-Nusra, che assumono anche il
comando di alcune incursioni[252]. Anche questa offensiva si risolve
in una logorante guerra di posizione, con l'eccezione dei quartieri orientali
dove i ribelli riescono a raggiungere l'aeroporto[253]. Alla fine dell'anno ad Aleppo si
combatte casa per casa, con la città divisa sostanzialmente a metà tra ribelli
e forze governative.
Il 16 dicembre 2012 i ribelli, consolidata la presenza nella
strategica città di Ma'arrat al-Nu'man, scatenano un'offensiva verso sud volta
a conquistare la città di Hama, controllata interamente dal governo fin dal
2011[254]. L'offensiva si rivela efficace
anche per la ritirata dell'esercito siriano, che abbandona le aree rurali
concentrandosi sulla difesa della città[255][256]: l'offensiva viene infatti
bloccata il 31 dicembre alle porte di Hama[257], ma i ribelli riescono a
controllare molti villaggi inclusi due a maggioranza alawita dove gli abitanti
sono oggetto dell'odio settario.[258]
L'ascesa del fondamentalismo islamico (gennaio 2013 - marzo
2013)
Sebbene il comando strategico delle operazioni dei ribelli sia
ancora mantenuto dall'Esercito siriano libero, i gruppi estremisti cominciano
ad acquisire sempre maggiore autonomia sul campo. La presenza di miliziani
legati al fondamentalismo islamico è particolarmente forte nelle regioni
orientali del paese, e fin dalla fine del 2012 si intensificano i combattimenti
nella fascia fertile della valle dell'Eufrate, finora teatro solo di sporadiche
scaramucce con l'esercito regolare. La valle dell'Eufrate è storicamente
abitata da tribù un tempo beduine di religione
sunnita e molto tradizionaliste, imparentate con i beduini provenienti
dall'Arabia Saudita. In questa regione le incursioni dei ribelli sono guidate
dalle formazioni islamiste, quasi sempre il Fronte al-Nusra. Il 19 settembre
2012 i ribelli conquistano il valico di frontiera con la Turchia nel centro
nord della Siria[259], mentre il 22 novembre 2012 viene
conquistato il valico con l'Iraq nella strategica città di Mayadin[260]; queste conquiste assicurano ai
ribelli un continuo flusso di uomini e rifornimenti, e in particolare dal
valico con l'Iraq possono affluire in Siria i combattenti delle formazioni islamiste
irachene che compongono l'ossatura del Fronte al-Nusra.
L'11 gennaio 2013 il Fronte al-Nusra, a capo di una coalizione
di gruppi fondamentalisti, ottiene la prima conquista strategica di rilievo
operando indipendentemente dall'ESL. Gli islamisti, dopo una serie di assalti,
ottengono il pieno controllo della base militare di Taftanaz,
una delle più grosse nel nord del paese, e possono ora accedere a carri armati,
lanciarazzi e altro materiale militare[261]. Successivamente gli islamisti
ottengono una serie di successi lungo l'Eufrate: il 29 gennaio viene
conquistato il ponte di Siyasiyeh, che connette Deir ez-Zor con Hasakah,
e permette agli islamisti di entrare a contatto con la zona d'influenza curda[262]. L'11 febbraio vengono conquistate
le cittadine di Al-Thawrah e Tabqa Dam, dove sorge un'importante centrale
idroelettrica[263], e il 14 febbraio viene occupato
il valico con l'Iraq di Shadadeh[264]. Il successo più importante
avviene tra il 3 e il 6 marzo 2013 quando il Fronte al-Nusra assume il completo
controllo di Raqqa, che garantisce il controllo di buona
parte del centro-nord della Siria: la città era considerata
"pacifica" e fin dal 2011 non si erano tenute dimostrazioni
significative né conflitti armati[265], ma i ribelli, attaccando da nord,
in pochissimo tempo occupano l'intera città causando la fuga dei pochi soldati
regolari che si barricano nella locale base militare[266][267]. I militanti del Fronte al-Nusra,
appoggiati da Ahrar al-Sham,
issano la bandiera nera del jihâd nella piazza principale e cominciano subito
un processo di islamizzazione della
città[268].
La presenza dei fondamentalisti islamici si fa sentire anche sul
fronte di Damasco, dove il 6 febbraio 2013 i ribelli lanciano una nuova
offensiva verso il centro della città, denominata "battaglia
dell'Armageddon"[269]. Ancora una volta è la periferia
est che presenta le maggiori difficoltà per l'esercito regolare, e i ribelli
arrivano fino alla circonvallazione interna della città[270]. Tuttavia l'operazione di
sfondamento verso il centro fallisce e la battaglia raggiunge lo stallo, con i
ribelli bloccati alle "porte della città"[271]; i miliziani del Fronte al-Nusra
per la prima volta guidano alcuni attacchi e si rendono protagonisti di
un'ondata di autobombe che producono 80 morti, per lo più civili[272]. Le fila dei gruppi
fondamentalisti si arricchiscono anche di numerosi volontari stranieri che
raggiungono la Siria dai paesi del Medio Oriente o da quelli Occidentali per unirsi
al jihād[273].
La battaglia di Qusayr (aprile 2013 - giugno 2013)
Lo stesso argomento in
dettaglio: Battaglia di Qusayr.
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Ad aprile 2013 la guerra civile siriana vede il costante
avanzamento dei ribelli in tutte le regioni del paese, soprattutto nelle aree
rurali, mentre il governo riesce a mantenere il controllo sulle principali
città, esclusa Aleppo che controlla solo parzialmente. Indicativamente i
ribelli controllano circa il 60% del territorio[274].
Il rafforzamento della componente jihadista della ribellione e
il continuo flusso di armi e finanziamenti verso i ribelli da parte di Qatar e
Arabia Saudita[275]impensieriscono l'Iran sciita,
storico alleato della Siria di Assad e avversario degli Stati sunniti a cui
contende il ruolo egemonico nell'area mediorientale[276]. Un'eventuale caduta di Assad e la
nascita di una nazione rigorosamente sunnita provocherebbe la rottura
dell'"Asse della Resistenza", composto da Iran, Siria e l'Hezbollah libanese[277] e, più in generale, della
"Mezzaluna crescente sciita"[278], ovvero la macroregione composta
dagli stati a maggioranza sciita o governati da esponenti dello sciismo. L'Iran
già dalle prime proteste in Siria nel 2011 ha fornito supporto alle forze
armate siriane in termini di addestramento, rifornimenti e finanziamento[279], ma con l'inasprirsi delle
ostilità il coinvolgimento è aumentato, fornendo armamenti, intelligence e
addestratori militari sul campo[280][281]. Ad aprile 2013, costatate le
difficoltà del governo siriano sul campo, l'Iran decide di intervenire in
maniera più decisiva: per farlo si affida ai miliziani libanesi di Hezbollah,
che hanno le loro roccaforti al confine con la Siria. La situazione in Libano
risente della crisi siriana, e soprattutto nelle cittadine di Hermel e Arsal,
poste sul lato libanese dei valichi controllati dai ribelli, si forma un canale
di approvvigionamento e di afflusso di combattenti[282][283].
L'11 aprile 2013 l'esercito siriano scatena un'offensiva contro
la cittadina di al-Qusayr, controllata
dai ribelli dal luglio 2012 e posizionata strategicamente sul confine libanese
e sulla strada principale tra la costa, Damasco e Homs[284], ancora teatro di combattimenti.
Dal Libano si riversano in Siria più di 700 combattenti sciiti di Hezbollah che
si uniscono all'esercito regolare[285]. I combattimenti crescono di
intensità e, grazie alla tattica di guerriglia di Hezbollah, i ribelli sono
costretti a cedere terreno, abbandonando numerosi villaggi[286][287]. La strategia è quella di occupare
le aree rurali per circondare e successivamente attaccare al-Qusayr[288]; l'assedio della città viene
completato il 19 maggio. L'assalto alla cittadina dura tre settimane e si
conclude il 5 giugno con una completa vittoria dell'esercito siriano, che
allontana i ribelli costretti a una precipitosa rotta verso la regione
del Qalamun[289][290]. La vittoria governativa è un
punto di svolta per la guerra, poiché i ribelli perdono l'iniziativa e, per la
prima volta, sono costretti a cedere ampie zone di territorio. La sconfitta e
la ritirata disorganizzata provocano anche tensioni all'interno del fronte
ribelle, con accuse reciproche tra i comandanti e la dirigenza politica del
Consiglio Nazionale Siriano, considerato lontano dal campo di battaglia, oltre
che tra le diverse anime della rivolta armata[291]. Anche le cancellerie
internazionali sono costrette a rivalutare la forza dei ribelli e considerare
nuovamente Assad come un possibile interlocutore politico.
La rotta dei ribelli ad al-Qusayr apre la strada per Homs, dove
fin dal 2011 continuano ininterrotti i combattimenti che vedono i ribelli
mantenere le loro posizioni sui quartieri centrali della città. I rinforzi
dell'esercito e di Hezbollah permettono di conquistare il 2 maggio il quartiere
di Wadi al-Sayeh[292] che divide le due aree
controllate dai ribelli: la città vecchia e il distretto di Khalidiya che
sono ora completamente separate e circondate[293]. Il sostegno di Hezbollah
galvanizza l'esercito regolare, che, da aprile, ottiene una serie di importanti
vittorie anche sugli altri fronti: il 17 aprile nel governatorato di Idlib
l'esercito riesce a rompere l'accerchiamento dei ribelli a Wadi al-Deif,
permettendo di riottenere il controllo di due grosse basi militari nel nord[294]. L'impegno nella battaglia di
al-Qusayr ha anche sottratto forze ribelli da Aleppo, causando un loro
indebolimento anche su questo fronte. Il 2 giugno, verso il termine della
battaglia ad al-Qusayr, i vertici dell'esercito siriano chiedono a Hezbollah un
affiancamento per un'offensiva sulla città, e centinaia di miliziani si
spostano in profondità nel nord della Siria[295]. L'operazione "Tempesta del
Nord" inizia il 9 giugno[296][297]. L'offensiva, nella prima
settimana, causa l'arretramento dei ribelli sia in città che nelle campagne
circostanti[298], tuttavia l'afflusso di nuovi
combattenti e nuove armi, tra cui missili anticarro dall'Arabia Saudita,
permettono ai ribelli di rallentare l'avanzata e fermarla il 17 giugno[299][300]. Il 24 giugno l'ESL e i miliziani
jihadisti lanciano un'operazione diversiva nei quartieri occidentali di Aleppo
per dividere le forze governative, offensiva che viene chiamata "battaglia
di Qadisiyah" in riferimento all'omonima battaglia del 636 quando le
armate arabe sconfissero quelle persiane[301].
.
Anche nel sud della Siria l'arrivo dei miliziani Hezbollah aiuta
l'esercito regolare a guadagnare terreno nei confronti dei ribelli. L'8 maggio
l'esercito conquista la città strategica di Khirbet Ghazaleh, che permette un
controllo totale sull'autostrada che porta in Giordania e alla città di Dar'a, oggetto
di combattimenti con i ribelli fin dal 2011[302][303]. Anche Damasco vede l'avanzata
delle truppe governative che, sostenute da Hezbollah, scatenano il 7 aprile
un'offensiva su larga scala verso le roccaforti ribelli a est e sud della città[304]: le aree oggetto dell'attacco sono
Ghuta, Otaiba e soprattutto Jdaidet al-Fadl, dove ha luogo una feroce battaglia
che causa numerosi morti tra la popolazione civile[305]. Le vittorie governative portano
all'accerchiamento dei ribelli nei sobborghi della città[306].
La rottura nel fronte ribelle (luglio 2013 - agosto 2013)
Gli eventi di Qusayr e la lunga serie di vittorie strategiche da
parte dell'esercito regolare hanno un impatto molto forte sul fronte dei
ribelli, sia dal punto di vista militare che politico. Il ruolo di primo piano
che l'Esercito siriano libero aveva tenuto fin dagli inizi della crisi comincia
a sgretolarsi mentre le formazioni islamiste, che col tempo hanno aumentato la
loro influenza nelle battaglie, cominciano a operare in maniera sempre più
autonoma o a prendere la guida delle operazioni.
Il gruppo islamista più violento, il Fronte al-Nusra, viene
affiancato da una nuova formazione composta prevalentemente da miliziani non
siriani: lo Stato
Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIS). Ad aprile 2013, il
leader dello Stato Islamico dell'Iraq (ISI) Abu Bakr al-Baghdadi annuncia
che al-Nusra non è che un'estensione in Siria dell'ISI, e dichiara la fusione
dei due gruppi nello "Stato Islamico dell'Iraq e al-Sham" (ISIS);
tuttavia, il leader del Fronte al-Nusra rifiuta la fusione e in giugno il
leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, interviene per mantenere le
formazioni distinte, ingiungendo ad al-Baghdadi di mantenere la sua area di
operazione limitata all'Iraq[307][308]. L'ISIS, per la sua natura
transnazionale, interpreta la guerra di Siria come un passo verso la jihād
globale e la rifondazione del califfato. L'indebolimento dell'ESL e il
contemporaneo afflusso di sempre nuovi combattenti jihadisti porta all'aumento
della tensione tra i gruppi ribelli: l'11 luglio 2013 i miliziani dell'ISIS
uccidono un alto comandante dell'ESL, Kamal Hamami, e dichiarano guerra a
quella frangia dei ribelli che viene definita "secolarista",
"eretica" e "foraggiata dagli USA"[309], dichiarando quindi l'apertura di
un "terzo fronte"[310]. Il conflitto tra ESL e ISIS, al
quale si allea il Fronte al-Nusra, si diffonde in tutto il paese, ma è
soprattutto nel nord che il conflitto si fa più duro, portando l'ESL a cedere
terreno e armamenti agli jihadisti.
L'ascesa dei fondamentalisti islamici alla guida
dell'opposizione armata comporta un aumento della frizione nelle zone sotto il
controllo delle milizie curde. Fin da febbraio vi erano stati scontri
occasionali che si erano localizzati principalmente nei quartieri curdi di
Aleppo e nella città di Ras
al-Ayn, al valico con la Turchia nel nord-est del paese[311]. Il 17 luglio a Ras al-Ayn
riesplode il conflitto tra le due forze ribelli[312]che a breve si diffonde in tutte le
zone a controllo misto: le milizie curde, forti del sostegno compatto della
popolazione civile, hanno la meglio nella maggior parte degli scontri e a
partire da agosto riescono a espellere dai villaggi a maggioranza curda tutte
le formazioni islamiste e dell'Esercito Siriano Libero[313][314]. Nel nord del paese si crea
un'area di conflitto molto estesa che spesso deborda anche in territorio
iracheno, da dove i curdi ricevono sostegno.
L'ideologia fondamentalista sunnita dei gruppi jihadisti porta
come inevitabile conseguenza un aumento degli episodi di guerra settaria e veri
e propri atti di "pulizia etnica" nei confronti delle minoranze
religiose siriane. Uno degli episodi più gravi si verifica nel Governatorato di
Latakia, quando, in risposta ai successi governativi in tutto il paese, il 4
agosto le formazioni islamiste guidano un attacco verso la costa; l'operazione,
chiamata "Liberazione della Costa"[315], non ha successo in quanto si
svolge in un territorio che da sempre sostiene il governo Assad, ma i
miliziani, di cui 300 non-siriani, compiono una serie di massacri nei villaggi
momentaneamente occupati, facendo strage dei civili non sunniti, in maggioranza
alawiti[316]. La strage conta tra i 62 e i 140
civili uccisi e altri 200 scomparsi; in migliaia scappano verso le città
costiere[317][318]. Questa strage, denunciata anche
da Human Rights Watch,
aliena definitivamente l'appoggio delle minoranze religiose alla causa ribelle.
Il mancato intervento statunitense contro Assad (settembre
2013)
Nei mesi di luglio e agosto le truppe governative e le milizie
di Hezbollah continuano a guadagnare terreno. Il 28 luglio le aree ancora sotto
il controllo ribelle di Homs vengono attaccate e, con la conquista del
quartiere di Khalidiya, la città entra quasi del tutto sotto il controllo
governativo[319]. A Damasco le truppe governative
scatenano un'offensiva verso i sobborghi orientali, e il 21 agosto nel quartiere
di Ghuta viene riportato
l'uso di armi chimiche che colpisce militari governativi,
ribelli e popolazione civile[320]. L'evento provoca una forte presa
di posizione dell'ONU e di gran parte delle cancellerie internazionali, non
solo per l'elevato numero di vittime (tra i 281[321] e le 1.729[322]) ma per il fatto che il presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama, nel
2012 aveva posto come "linea rossa" per un intervento militare
internazionale proprio l'utilizzo di armi chimiche[323].
A seguito dell'accusa di aver utilizzato armi chimiche da parte
di Damasco, la crisi siriana diventa internazionale accentuando le differenze
tra gli schieramenti a favore e contro i ribelli. Due giorni dopo l'attacco
Stati Uniti e Unione europea accusano le forze governative di Assad di aver
condotto l'operazione[324], mentre la Russia e l'Iran invece
difendono il governo e accusano i ribelli[325]. Si apre concretamente la
possibilità di un intervento militare contro il regime quando Obama annuncia la
possibilità di un attacco punitivo con il lancio di missili verso le postazioni
militari siriane nel giro di 48 ore[326], tuttavia la forte opposizione
dell'opinione pubblica[327], di parte del Congresso americano[328] e i ripetuti interventi di Russia
e Cina in sede ONU[329] spingono il presidente ad
attendere un'approvazione da parte del Congresso[330]. A fianco degli USA le nazioni più
interventiste sono Francia[331], Regno Unito e Turchia[332], mentre l'Iran dichiara che un
attacco verso la Siria causerebbe un lancio di missili verso Israele[333]. In pochi giorni la tensione
internazionale sale alle stelle: gli Stati Uniti d'America mobilitano le loro
forze armate e inviano numerose navi da guerra nel Mar Mediterraneo e nel Mar
Nero, tra cui la portaerei USS Nimitz, mentre la Russia
risponde all'avvio della macchina militare americana inviando navi nel
Mediterraneo di fronte alla costa siriana. Per diverse settimane si teme
addirittura lo scoppio di un vero e proprio conflitto armato tra Stati Uniti e
Russia, con Francia, Regno Unito e Turchia dalla parte dei primi e la Siria
dalla parte dell'altra.
L'ipotesi di un allargamento incontrollato del conflitto su
scala regionale e mondiale viene sollevato dalla Cina[334] e dall'Italia[335]; anche il Vaticano, pur condannando l'uso delle armi
chimiche, si oppone fermamente ad un intervento militare contro la Siria,
e Papa Francesco indice
per il 7 settembre una giornata di digiuno e preghiera per la pace a cui
partecipano anche laici e esponenti di altre religioni [336]. Il 30 agosto il parlamento del
Regno Unito nega al primo ministro David Cameron la possibilità di
intervento armato[337] e di fatto isola Stati Uniti
e Francia. La diplomazia tuttavia prende il sopravvento e la discussione
sull'intervento in Siria monopolizza l'incontro del G20 di San Pietroburgo del 6 settembre: grazie
alla proposta di soluzione russa, il 14 settembre viene raggiunto un accordo
che elimina la possibilità di intervento armato in cambio della distruzione
dell'arsenale chimico siriano, il libero accesso ai depositi di armi chimiche da
parte dei funzionari ONU e l'adesione del governo siriano alla Convenzione
sulle armi chimiche[338][339]. Il 27 settembre viene votata
all'unanimità all'ONU la Risoluzione 2118 che prevede la distruzione
dell'arsenale chimico siriano[340].
Secondo un'inchiesta[341] del giornalista Seymour Hersh l'attacco chimico era stato
condotto dai ribelli e architettato dalla Turchia per spingere gli USA ad un
intervento militare che avrebbe ribaltato le sorti, giudicate dall'intelligence
americana, sfavorevoli per i ribelli. In questa prospettiva la battuta
d'arresto dell'intervento avvenne a seguito delle informazioni raccolte seppur
non rese pubbliche per non coinvolgere l'alleato turco.
Nel mese di settembre, a causa del possibile intervento
occidentale, non si vedono significative evoluzioni sul campo di battaglia.
Anche l'offensiva verso i quartieri orientali di Damasco da parte dell'esercito
si ferma.
La ripresa dell'offensiva governativa (ottobre 2013 -
dicembre 2013)
Archiviata la possibilità di un intervento occidentale in Siria
e aperti i canali diplomatici tra il governo e i funzionari ONU per
l'eliminazione dell'arsenale chimico, in ottobre il governo siriano scatena una
nuova serie di offensive mentre si riacutizza il conflitto tra ribelli
islamisti e curdi nel nord del paese. L'ESL, che aveva sostenuto l'intervento
militare contro la Siria, perde ulteriormente peso politico e inesorabilmente
il fronte ribelle viene egemonizzato dalle formazioni jihadiste.
L'offensiva governativa si sviluppa su tre fronti distinti:
Aleppo, Damasco e la regione montuosa di Qalamun al
confine con il Libano. La situazione ad Aleppo non subiva sostanziali modifiche
dal luglio 2013 ed era caratterizzata da un conflitto continuo e generalizzato.
A seguito dei progressi governativi ad Homs, la via principale verso Aleppo
supponeva un attacco verso Ma'arrat al-Nu'man, saldamente sotto controllo
ribelle; l'esercito siriano invece scatena l'offensiva lungo la cosiddetta
"Via del Deserto" che da Hama conduce direttamente verso la regione a
sud-est di Aleppo: il 1º ottobre viene attaccata la città strategica di Khanasir,
dove i ribelli si arrendono tre giorni dopo[342]. La conquista di Khanasir permette
l'apertura di un'importante via di rifornimento da Hama e l'apertura della via
di accesso verso Aleppo. In pochi giorni l'esercito regolare controlla i
villaggi circostanti e il 10 ottobre assedia la città di al-Safira,
controllata dai jihadisti del Fronte al-Nusra e dell'ISIS e sede di un deposito
di armi chimiche.[343]: con il fondamentale sostegno
delle milizie Hezbollah l'esercito entra in città il 30 ottobre[344] Il repentino avanzamento
governativo e la debole risposta delle forze ribelli porta alle dimissioni del
comandante in capo dell'ESL ad Aleppo, Abdul Jabbar al-Oqaidi[345] Le truppe governative in una
settimana riescono a conquistare le cittadine intorno ad al-Safira e rompere
l'assedio all'aeroporto di Aleppo.[346] L'obiettivo delle truppe
governative è spingersi a nord-est cercando di accerchiare i quartieri centrali
di Aleppo controllati dai ribelli, ma l'avanzata si spinge fino al distretto di
al-Naqqarin dove si ferma a causa della forte resistenza degli insorti[347] che il 13 novembre avevano
chiamato alla mobilitazione generale di tutte le forze presenti in città[348]. Il mese di dicembre è
caratterizzato dall'offensiva dell'aviazione
siriana che bombarda giornalmente le posizioni degli insorti[349].L'offensiva è un notevole successo
per il governo siriano, che acquisisce il controllo del 60% della città[350].
A nord del paese continua anche l'avanzata delle milizie curde
che, anche approfittando della mobilitazione di combattenti verso Aleppo,
espandono la propria area d'influenza combattendo principalmente contro le milizie
islamiste. L'operazione più importante si svolge il 26 ottobre, quando lo YPG
conquista il valico di frontiera con l'Iraq di Til Koçer[351]. A inizio novembre i curdi
scatenano l'"Offensiva del martire Serekeniye"[352] che permette di conquistare
gran parte del governatorato di Al-Hasakah ed estendere il controllo curdo su
circa 50 altre cittadine[353].
Anche a Damasco l'esercito governativo scatena una serie di
offensive verso i sobborghi controllati dai ribelli. Il primo fronte d'attacco
è l'area a sud della capitale, dove dal 9 all'11 ottobre l'esercito,
spalleggiato dalle milizie Hezbollah e dalle milizie sciite irachene, conquista
le tre città strategiche di Sheikh Omar, al-Thiabiya e Husseiniya[354][355], isolando le posizioni ribelli
dalle linee di rifornimento provenienti da sud. Per tutto il mese di novembre
si susseguono le vittorie delle truppe governative che accerchiano
completamente le sacche ribelli a sud e a est della capitale, assediandole; in
particolare i distretti nella Ghuta orientale cominciano a soffrire della
mancanza di rifornimenti e viveri. Negli ultimi giorni di novembre i ribelli
provano uno sfondamento del fronte per rompere l'assedio, e il massiccio
attacco provoca una carneficina da ambo le parti: in una settimana vengono
uccisi più di 1.000 ribelli, inclusi i vertici di comando[356]. L'operazione viene bloccata
dall'esercito regolare con il massiccio aiuto delle milizie Hezbollah, che
lasciano sul campo almeno 40 morti[357].
A novembre l'esercito siriano scatena un'offensiva volta
a conquistare la regione montuosa del Qalamun,
strategica in quanto controlla l'autostrada che congiunge Damasco ad Homs e
perché, essendo al confine con il Libano, permette l'approvvigionamento dei
ribelli e il loro afflusso sul fronte di Damasco. Il 15 novembre comincia
l'offensiva che permette la conquista delle cittadine di Qara, An-Nabk e Deir
Attiyeh entro la fine del mese[358][359]. L'unica controffensiva di
rilievo, condotta principalmente dalle formazioni islamiste, avviene il 29
novembre quando viene attaccata e occupata la cittadina cristiana di Ma'lula[360], dove le milizie islamiste
arrecano molti danni alle chiese, uccidono gli abitanti che non vogliono
convertirsi all'Islam[361] e rapiscono 12 monache[362]. L'11 dicembre le truppe siriane
pongono l'assedio alla città di Yabrud:
la radicata presenza dei ribelli e il valore simbolico della città più popolosa
della regione porta le truppe governative ad essere caute su un'offensiva
diretta, preferendo un assedio caratterizzato da bombardamenti aerei e
terrestri e sporadiche incursioni. Anche a causa delle cattive condizioni
meteorologiche di fine dicembre, l'avanzata nel Qalamun entra in una fase di
stallo: la forte presenza dei ribelli jihadisti nel nord del paese e il loro
controllo sui valichi di confine costringe Stati Uniti e Regno Unito a
sospendere ogni tipo di supporto ai ribelli siriani in quelle zone[363].
L'incontro di Ginevra e il conflitto tra ribelli e ISIS
(gennaio 2014 - febbraio 2014)
Gennaio 2014 si apre con l'attesa della conferenza di
pace di Ginevra, ribattezzata "Ginevra 2", indetta
dall'ONU in collaborazione con Russia e Stati Uniti per tentare di trovare una
soluzione politica alla crisi; alla conferenza partecipano il governo siriano,
la Coalizione Nazionale Siriana e il fronte
curdo. Dopo vari tentativi e ripensamenti non viene invitato a partecipare
l'Iran, principale sostenitore del governo siriano, mentre rifiutano ogni
dialogo tutte le formazioni islamiste, incluse il Fronte al-Nusra, il Fronte
Islamico e l'ISIS. Evento significativo dei primi giorni di gennaio è il nuovo
frazionamento del fronte ribelle: oltre al conflitto che oppone l'ESL alle
milizie islamiste, anche il fronte jihadista si rompe.
Il 3 gennaio il Fronte Islamico, appoggiato dall'ESL, attacca le
basi dello Stato Islamico dell'Iraq e Levante nei governatorati di Idlib e
Aleppo occupandole rapidamente[364]. Il 6 gennaio le ostilità si
allargano al governatorato di Raqqa e Deir el-Zor[365] e l'8 gennaio alla regione
del Qalamun[366]; dopo 10 giorni di combattimenti,
il numero di morti tra ISIS e ribelli contrapposti sale a 700[367]. Al 13 gennaio l'ISIS riesce a
cacciare le altre forze ribelli da Raqqa e parte del suo governatorato[368] e avanza verso la città di
al-Bab, nel governatorato di Aleppo, mentre la maggioranza delle città nel
resto del nord della Siria vede invece un arretramento dei miliziani dell'ISIS[369]. Per la prima volta si registrano
scontri significativi anche tra ISIS e Fronte al-Nusra, finora rimasto neutrale[370]. Il 16 gennaio il numero di morti
nei combattimenti tra milizie islamiste sale a 1.000[371].
Grazie alla nuova spaccatura interna del fronte ribelle,
l'esercito governativo riesce a riprendere l'offensiva ad Aleppo. Il 15 gennaio
viene conquistato il quartiere di al-Naqqarin[372] e il 22 gennaio viene
riaperto l'aeroporto della città al traffico civile[373]. L'offensiva governativa prosegue
verso nord, con il chiaro intento di raggiungere la prigione della città
circondata dai ribelli da un anno: a febbraio gli scontri si concentrano
nell'area industriale di Sheikh Najjar, che dista pochi chilometri dalla
prigione, tuttavia la forte opposizione dei ribelli, che richiamano rinforzi
dal resto del governatorato di Aleppo, porta ad uno stallo dell'avanzata[374]. I ribelli, che rischiano
l'accerchiamento del centro della città, contrattaccano nel centro storico
facendo esplodere due palazzi controllati dall'esercito con tunnel sotterranei
riempiti di esplosivo: l'operazione, condotta dal Fronte Islamico, viene
chiamata "Operazione Terremoto"[375].
Il 22 gennaio inizia la conferenza di pace Ginevra 2 a Montreux dove, sotto egida ONU, si
incontrano per la prima volta una delegazione del governo siriano e una della
Coalizione Nazionale Siriana[376]. Dopo l'iniziale rischio di
fallimento del negoziato, il primo risultato concreto della conferenza viene
raggiunto il 7 febbraio quando viene siglata una tregua nella città di Homs per
permettere l'evacuazione della popolazione civile[377], tregua poi estesa fino al 14
febbraio[378]. Quello stesso 14 febbraio,
tuttavia, i negoziati a Ginevra si chiudono senza nessun accordo politico tra
le due delegazioni e l'inviato speciale dell'ONU, Lakhdar Brahimi, annuncia il
fallimento "scusandosi con il popolo siriano"[379]. A metà febbraio l'esercito
governativo riprende l'avanzata nella regione del Qalamun con l'intento di
controllare completamente il confine libanese[380].
I ribelli in difficoltà (marzo 2014 - maggio 2014)
A inizio marzo 2014 si assiste a una generale avanzata dell'esercito
siriano su molti fronti. L'area di maggiore attività è la strategica regione
del Qalamun, dove l'esercito regolare siriano, con la collaborazione sempre più
importante della milizia Hezbollah, riesce a conquistare la
roccaforte ribelle di Yabrud[381] tagliando definitivamente le
linee di approvvigionamento dei ribelli dal Libano e facendo collassare le loro
linee difensive. La campagna nella regione si conclude a fine aprile con la
resa dei ribelli a Zabadani[382].
La perdita del Qalamun è un duro colpo per l'opposizione
siriana: blocca la principale linea di rifornimento per il fronte di Damasco e
crea nuove spaccature tra le milizie ribelli, che si scambiano accuse sulle
responsabilità della sconfitta; il flusso dei ribelli sconfitti oltre confine
determina poi un aumento della tensione in Libano. Sempre in prossimità
del confine libanese, tra l'8 e il 20 marzo i ribelli vengono sconfitti nella
cittadina di Zara[383] e in quella di Al-Hosn[384], e il 20 marzo viene liberato
il Krak dei Cavalieri,
una fortezza medievale patrimonio dell'UNESCO che i ribelli avevano trasformato
in una loro roccaforte[385]. Le due cittadine conquistate
erano le ultime due controllate dall'opposizione nell'ovest del governatorato
di Homs.
Il 9 marzo l'esercito siriano riesce ad avanzare anche ad
Aleppo, dove da mesi si combatte per il controllo dell'area industriale Shaykh
Najjar. In particolare l'esercito conquista il quartiere chiave di Hanano, che
gli permette di controllare le ultime strade di collegamento con il centro
della città. Aleppo viene posta d'assedio[386], ma in risposta alle avanzate
governative i ribelli organizzano due offensive. A sud della Siria, il 19 marzo
i ribelli riescono a conquistare la prigione centrale di Gharaz, nelle
vicinanze di Dar'a, e a liberare circa 300 detenuti[387]; il 21 marzo i ribelli lanciano
un'offensiva nel nord del governatorato di
Latakia denominata "Operazione Al-Anfal" con
l'obiettivo di controllare il valico di frontiera di Kesab: l'operazione si
svolge in un'area fortemente filogovernativa in quanto a maggioranza alawita[388], e l'avanzata ribelle non riesce a
penetrare nell'entroterra subendo la controffensiva lealista[389].
Il 6 maggio 2014 i ribelli presenti nella città vecchia di Homs
aprono una trattativa con il governo siriano che porta a un accordo sulla
totale evacuazione dei miliziani dalla città con la garanzia di un
salvacondotto. L'8 maggio Homs, terza città del Paese, entra sotto completo
controllo dell'esercito siriano[390]. Nel corso del mese di maggio,
l'offensiva governativa si sviluppa anche sugli altri fronti aperti nel paese,
e in particolare nella Ghuta Orientale di Damasco[391], ad Aleppo (dove l'esercito rompe
l'assedio alla prigione centrale che durava da più di un anno[392]), e a sud dove l'esercito avanza
verso la cittadina di Nawa[393].
Il 3 giugno 2014 si svolgono in Siria le elezioni
presidenziali che, seguendo i dettami della nuova costituzione
siriana, permettono la presenza di più candidati. I seggi elettorali vengono
installati solo nelle aree controllate dal governo, e i ribelli siriani,
inclusi l'ISIS e i curdi, non partecipano alla consultazione definendola una
farsa[394][395]. A livello internazionale si
assiste ad una forte polarizzazione dei governi: la maggior parte dei Paesi
occidentali e del mondo arabo sunnita condanna la consultazione elettorale
(alcune nazioni non permettono ai residenti siriani di recarsi a votare nella
loro ambasciata)[396], altre 30 nazioni, tra cui Russia,
Iran e Venezuela invece riconoscono la consultazione inviando anche osservatori
per garantire il corretto svolgimento delle operazioni di voto[397]. Il governo siriano comunica
un'affluenza alle urne del 73,42%[398] nonostante nelle zone di
confine con le aree controllate dai ribelli si registrino alcuni attacchi volti
a scoraggiare il voto: in particolare ad Aleppo i seggi elettorali sono oggetto
di tiri di mortaio[399]. Bashar al-Assad viene dichiarato
vincitore delle elezioni con l'88,7% distanziando gli altri due candidati
Hassan al-Nouri e Maher Hajjar[400].
La proclamazione del califfato da parte dell'ISIS (giugno
2014 - agosto 2014)
Lo stesso argomento in
dettaglio: Stato
Islamico dell'Iraq e Levante.
|
Contemporaneamente allo svolgimento delle elezioni in Siria, si
verifica una sequenza di episodi che cambiano radicalmente lo svolgimento della
guerra civile. Lo Stato Islamico dell'Iraq e Levante, già attivo nell'ovest
dell'Iraq dove aveva conquistato alcune cittadine del governatorato di
al-Anbar, a inizio giugno scatena un'improvvisa offensiva nel nord
dell'Iraq e conquista rapidamente numerose città; il 9 giugno l'ISIS entra
a Mosul, seconda città del paese, che l'esercito
regolare iracheno abbandona senza combattere[401]. L'avanzata dei ribelli islamisti
provoca la fuga immediata di 500.000 persone e apre una profonda crisi politica
in Iraq; i miliziani entrano in possesso di una grande quantità di armi di
fabbricazione americana abbandonate dall'esercito e di 429 milioni tra dollari
e oro saccheggiati dalle banche cittadine[402]. Vengono inoltre rilasciati 2.400
detenuti che si uniscono alle file dell'ISIS[403]. Nel mese di giugno si susseguono
i successi dell'ISIS, che assume il controllo di numerose città irachene e si
spinge fino alla periferia di Baghdad: l'organizzazione assume il controllo
di una lunga fascia di confine tra Iraq e Siria, da cui possono ora passare
liberamente armi e combattenti[404]. Il 29 giugno 2014 il leader
dell'ISIS, Abu Bakr al-Baghdadi annuncia
l'instaurazione del califfato nei
territori controllati tra Siria e Iraq e chiede a tutti i musulmani di aderirvi[405].
Grazie alle armi sofisticate catturate in Iraq, al numero e alla
determinazione dei combattenti, l'ISIS il 1º luglio scatena un'imponente
offensiva nel governatorato
di Deir el-Zor che, in due settimane, permette di sconfiggere
le altre formazioni ribelli siriane, in particolare il Fronte al-Nusra, e
assumere il controllo del 95% della provincia nonché di circa il 50% della
città di Deir el-Zor [406]. I miliziani dell'ISIS si
sostituiscono quindi alle altre sigle ribelli nell'assedio contro le forze
governative ancora in possesso di metà città e dell'aeroporto, già in vigore
dalla fine del 2013. L'espulsione di tutte le sigle ribelli dall'est della
Siria permette all'ISIS di entrare in diretto contatto con le aree controllate
dal governo siriano, verso il quale organizza un'offensiva il 16 luglio. Il
primo obiettivo è il campo di gas di Shaer, nella regione desertica a nord
di Palmira: in sole 12 ore le milizie occupano il
campo e giustiziano sommariamente 200 tra soldati e civili[407] anche se, il 26 luglio,
l'esercito riesce a riconquistare gli impianti[408]. Il 25 luglio l'ISIS attacca e
conquista la base militare "Divisione 17" a nord di Raqqa, ultimo
bastione governativo nella città[409], e il 7 agosto la base militare
"Brigata 93". In entrambi i casi non vengono fatti prigionieri[410].
Il 10 agosto l'ISIS inizia l'offensiva contro l'aeroporto
militare di Tabqa, ultima postazione governativa nell'intero governatorato.
L'attacco dura per tutto il mese fino a quando, il 24 agosto, i miliziani
riescono a entrare nel complesso e a conquistarlo[411]. Le forze armate siriane riescono
a evacuare gran parte del materiale militare, tuttavia circa 250 soldati
vengono catturati e giustiziati sommariamente; con un totale di circa 500 morti
tra i soldati governativi, la battaglia rappresenta una dura sconfitta per il
governo siriano che, per la prima volta, viene anche criticato dall'opinione
pubblica alawita che accusa l'esercito di aver abbandonato i propri uomini[412]. Il fronte tra esercito
governativo e le altre milizie ribelli si attesta principalmente nella campagna
a nord di Hama e nella Ghuta orientale. Il 4 luglio ha luogo, a Uqayrishah,
un tentativo
statunitense di salvare il giornalista James Wright Foley che
si risolve con il completo fallimento dell'operazione e la successiva morte del
giornalista stesso, decapitato il 19 agosto nel deserto siriano dal boia dello Stato
Islamico Jihadi John.
Il 26 luglio i ribelli scatenano un'offensiva con l'obiettivo di
conquistare l'aeroporto di Hama e, in seguito, attaccare la città. Grazie a
rinforzi provenienti da Aleppo, i ribelli, guidati dal Fronte al-Nusra, in un
mese conquistano diverse città fino a occupare Halfaya e Arzeh, incuneandosi
quindi a ovest di Hama fino a 3 km dall'aeroporto[413]. Tuttavia, anche grazie ai
rinforzi governativi spostati da Aleppo, l'avanzata raggiunge uno stallo e i
ribelli subiscono la controffensiva che, il 17 settembre, riporta il fronte
alle posizioni di luglio[414]. Nella Ghuta orientale l'esercito
governativo, in collaborazione con Hezbollah, continua a stringere la sacca di
resistenza ribelle, avanzando nel distretto di Jobar e soprattutto
riconquistando la cittadina di al-Maliha il 14 agosto, a seguito di una lunga
operazione cominciata ad aprile[415]: la città era uno snodo strategico
per i ribelli e il punto di partenza di una rete di tunnel che collega le altre
aree controllate[416].
L'intervento internazionale contro l'ISIS (settembre 2014 -
gennaio 2015)
Lo stesso argomento in
dettaglio: Intervento
militare contro lo Stato Islamico e Assedio di Kobanê.
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La rapida avanzata dell'ISIS nel nord e nell'est dell'Iraq nel
giugno 2014 e l'incapacità militare e politica del governo centrale nel
contrastarla creano profonde preoccupazioni nei governi occidentali e, in
particolare, in quello americano. Il premier iracheno Nuri al-Maliki invoca l'intervento
internazionale e si rivolge direttamente agli Stati Uniti, chiedendo un
immediato supporto aereo[417]. La situazione in Iraq peggiora
ulteriormente all'inizio di agosto, quando una nuova offensiva dell'ISIS rompe
le linee di difesa dei peshmerga curdi
nella Regione autonoma del
Kurdistan iracheno e permette ai miliziani di penetrare
rapidamente nel nord del paese[418]: in particolare vengono
conquistate alcune cittadine a maggioranza cristiana, tra cui Qaraqosh, e yazida, tra cui Sinjar. L'avanzata provoca la fuga di 200.000
persone che temono il massacro per motivi religiosi[419]. Il rischio di completa
occupazione del Kurdistan iracheno spinge gli Stati Uniti a intervenire nel
conflitto, e il 7 agosto avviene il primo bombardamento nei pressi di Erbil[420].
Viene organizzata una coalizione che raggruppa 11 paesi
occidentali, ma l'intervento si limita all'Iraq, sebbene gran parte dei
miliziani e i principali centri di comando dell'ISIS si trovino in Siria. Il
problema principale per gli Stati Uniti è la possibilità che un intervento in
territorio siriano possa aiutare le truppe dell'esercito governativo, che,
paradossalmente, un anno prima avevano minacciato di attaccare; tuttavia dal 26
agosto si verificano alcuni voli di ricognizione sul territorio siriano[421]. Il 10 settembre il presidente
statunitense Barack Obama apre alla possibilità di attaccare l'ISIS in Siria[422], e il 22 settembre si verificano i
primi bombardamenti sul territorio siriano: il governo di Damasco viene
informato con la mediazione dell'Iran, ma non viene consultato per coordinare
gli attacchi o chiedere l'autorizzazione[423][424]. La coalizione intervenuta in
Siria, guidata dagli Stati Uniti, comprende cinque nazioni arabe: Bahrein, Giordania, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti[425]. Tra i primi obiettivi vi sono
tutti i principali centri urbani controllati dall'ISIS, tra cui Raqqa e,
inaspettatamente, anche postazioni del Fronte al-Nusra: in particolare viene
attaccato il quartier generale del "Gruppo Khorasan"[426]. L'imprevista inclusione del
Fronte al-Nusra nell'attacco provoca una dura reazione da parte delle altre
formazioni ribelli siriane, tra cui l'Esercito siriano libero che teme un
diretto rafforzamento delle truppe governative e un travaso di miliziani verso
l'ISIS allo scopo di combattere gli Stati Uniti come "nemico comune"[427]; nell'area di Damasco, nel giorno
stesso dell'inizio dei bombardamenti, viene siglato un patto di non aggressione
tra ISIS e le altre formazioni ribelli[428].
Sul terreno, a metà settembre l'ISIS scatena una imponente
offensiva verso la regione di Kobanê, confinante con la Turchia e
controllata dalle milizie curde YPG. Grazie agli equipaggiamenti provenienti
dall'Iraq, l'ISIS riesce rapidamente a conquistare diverse cittadine, mandando
in rotta i miliziani curdi: solo il 2 ottobre l'ISIS conquista 350 villaggi e
arriva alle porte della città[429]. L'attacco provoca il flusso di
300.000 profughi verso la Turchia, causando il più importante sconfinamento della guerra civile sul suo territorio[430]. L'assedio di Kobanê permette
tuttavia alle forze della coalizione di bersagliare i miliziani dell'ISIS con
facilità a causa della loro concentrazione[431]. La vicinanza degli scontri,
spinge la Turchia a schierare le proprie truppe al confine, ma ignorando le
richieste della minoranza curda e degli Stati Uniti il presidente Recep Tayyip Erdoğan si
rifiuta di fornire aiuti alla città e ai miliziani YPG[432]; solo a inizio novembre viene
permesso l'ingresso in città di un piccolo contingente di curdi iracheni[433]. L'offensiva dell'ISIS si arresta
dividendo in due la città, e le ripetute controffensive curde permettono
piccoli avanzamenti per tutto il mese di novembre e dicembre. A fine anno le
milizie YPG controllano tra il 70%[434] e l'85%[435] di Kobane.
I bombardamenti hanno effetto anche nell'area di Deir el-Zor,
dove a dicembre il governo siriano riesce a espellere l'ISIS da molte zone
della città[436]. Settembre vede anche un
avanzamento delle truppe governative siriane nella Ghuta orientale di Damasco,
dove il 25 i ribelli sono costretti a ritirarsi dalla città di Adra[437]. Ad Aleppo l'esercito siriano
avanza nel nordest della città, conquistando lo strategico quartiere di
Handarat da cui può bersagliare l'unica arteria di collegamento in mano ai
ribelli, ponendo le aree centrali della città sotto assedio[438]. Il 23 ottobre l'esercito siriano
riesce a conquistare la cittadina di Morek, a nord di Hama, dopo nove mesi di
combattimenti; alcune testimonianze riportano che l'attacco della coalizione
internazionale contro il Fronte al-Nusra ha di fatto aiutato l'esercito siriano
in quest'ultima operazione[439]. Poco dopo, il 26 ottobre, il
Fronte al-Nusra rompe l'alleanza con l'Esercito siriano libero e attacca le sue
postazioni in tutto il governatorato di Idlib, sequestrando tutto l'armamento e
costringendo i miliziani a scappare in Turchia o a unirsi al Fronte[440]; l'alleanza viene però mantenuta
inalterata nel sud della Siria.
Il periodo compreso tra novembre e dicembre 2014 vede un
rallentamento delle iniziative militari su tutto il territorio siriano ad
esclusione del governatorato di
Daraa, dove le milizie ribelli riescono a conquistare le importanti
città di Nawa [441] e Shaykh Maskin [442] con l'intenzione di
controllare l'autostrada Dar'a-Damasco ancora sotto controllo governativo. Il
26 gennaio 2015 le milizie curde annunciano che la città di Kobane è
completamente sotto il loro controllo[443]: l'ISIS riconosce l'impossibilità
di mantenere le proprie posizioni e, visto l'alto numero di perdite, annuncia
il ritiro dalla città e dalle aree circostanti[444].
Le forze governative in difficoltà (febbraio 2015 - maggio
2015)
Dal mese di febbraio s'intensificano le operazioni militari su
tutti i fronti della guerra civile. Le milizie curde YPG, con il fondamentale
appoggio dell'aviazione americana e alcune unità dell'ESL, riescono in un mese
a riconquistare tutte le cittadine curde della regione a sud di Kobane perse
tra ottobre e dicembre 2014[445]; lo Stato Islamico è costretto ad
attestare la propria linea difensiva nei villaggi a maggioranza etnica araba. I
curdi siriani, stavolta alleati alle forze governative, scatenano un'offensiva
il 21 febbraio nella zona est di Al-Hasaka verso Tal Hamis,
roccaforte dell'ISIS vicino al confine iracheno: grazie anche all'intervento
dei peshmerga iracheni, che eseguono bombardamenti da oltre confine, i curdi
conquistano tra il 25 e il 28 febbraio Tal Hamis e la vicina Tell Brak, oltre ad altri 105 piccoli villaggi[446]. L'ISIS reagisce attaccando a
ovest di Al-Hasaka e conquistando 35 villaggi a sud di Tell
Tamer, entrando in un territorio abitato in maggioranza da cristiani assiri[447]; le milizie cristiane, curde e
l'esercito siriano riescono ad arginare l'avanzata il 16 marzo[448].
Il 16 febbraio 2015, a seguito dell'arrivo di numerosi rinforzi
ad Aleppo, l'esercito siriano scatena un'imponente offensiva volta a completare
l'accerchiamento del centro della città e rompere l'assedio delle cittadine
sciite di Nubl e
Zahara[449]. L'attacco coglie di sorpresa le
postazioni ribelli a nord della città, e in poche ore l'esercito siriano
conquista diversi villaggi arrivando a controllare la principale via di
rifornimento ribelle e a raggiungere le due città assediate[450]; tuttavia l'avanzata si rivela
effimera e già il giorno successivo l'esercito subisce il contrattacco ribelle,
che in pochi giorni recupera tutte le posizioni perse e infligge forti perdite
alle truppe governative[451][452]. La seconda offensiva volta ad
accerchiare Aleppo entra subito in stallo e le milizie ribelli riescono a
penetrare nei quartieri strategici di Al-Mallah e Handarat[453].
Il 7 febbraio 2015, in risposta alle recenti vittorie ribelli
nel sud del paese, l'esercito siriano scatena un'offensiva sul fronte meridionale
volto ad allontanare ulteriormente i ribelli da Damasco e riprendere il
controllo sulla fascia di confine con le Alture del Golan[454]; per la prima volta dallo scoppio
della guerra civile partecipano in maniera diretta unità dei pasdaran iraniani[455], oltre che molti miliziani
Hezbollah e alcune milizie sciite afghane[456]. La battaglia viene considerata
decisiva dalle forze governative e molti osservatori internazionali si spingono
a definirla come una delle più importanti della guerra[457]: la prima fase dell'offensiva
permette di conquistare velocemente sette cittadine, ma dopo solo una settimana
le forze governative entrano in stallo, subendo pesanti perdite ed esaurendo la
spinta iniziale. Le limitate conquiste territoriali e l'importanza attribuita
all'operazione portano a considerare l'attacco come un grosso fallimento.
Gli scarsi risultati ottenuti nelle offensive di febbraio sono
il preludio a un periodo estremamente difficile per il governo siriano. Da
marzo si verificano una serie di pesanti sconfitte ai danni dell'esercito
governativo che, per la prima volta dalla battaglia di Qusayr, è costretto a
cedere importanti aree strategiche. Le ragioni di questa modifica dei rapporti
di forza sono da ricercarsi nella cronica mancanza di uomini nelle file
governative, che si sono ridotte ulteriormente nella guerra d'attrito
invernale; inoltre gli alleati sciiti iracheni, iraniani e Hezbollah hanno
ridotto la loro presenza sul campo o si sono focalizzati su aree di interesse
strategico[458]. Compaiono i primi cedimenti
politici all'interno del campo governativo e si verificano imprigionamenti,
fughe e uccisioni di membri interni al partito Baath, alcuni accusati di ordire
un colpo di stato[459]. I ribelli siriani invece, nella
componente jihadista, trovano una nuova unità creando una coalizione attiva
soprattutto al nord, Jaish
al Fatah ("Esercito della Conquista"), guidata dal
Fronte al-Nusra e comprendente altri sei gruppi ribelli tra cui Ahrar al-Sham[460]. Inoltre Arabia Saudita e Turchia
aumentano finanziamenti e coordinamento a sostegno dei miliziani[461].
Il 25 marzo con un rapido attacco i miliziani dell'ESL conquistano
la cittadina meridionale di Bosra, costringendo
l'esercito siriano a ritirarsi nel gebel Druso[462]. Il 24 marzo Jaish
al Fatah scatena un ampio attacco alla città di Idlib, sotto
controllo governativo: con l'ausilio di numerosi attentatori suicidi i
miliziani si infiltrano nelle zone nord ed est della città, avanzando
velocemente verso il centro[463]; nell'arco di quattro giorni le
truppe siriane e i membri della Forza Nazionale
di Difesa si ritirano verso sud, abbandonando definitivamente
la città il 28 marzo[464]. La conquista della città
rappresenta una dura perdita per il governo siriano soprattutto dal punto di
vista morale e permette al Fronte al-Nusra di presentarsi ormai come la
formazione egemone tra i ribelli[465]. Jaish al Fatah annuncia
l'instaurazione della sharia in città, che
diviene de facto la "capitale" delle aree amministrate dal gruppo
jihadista[466]. Una nuova sconfitta per il
governo siriano avviene poi il 1º aprile di nuovo a sud, al confine con la
Giordania, dove i miliziani ribelli riescono a conquistare il valico di Nasib,
ultima area di confine ancora sotto controllo statale e garantirsi in questo
modo una nuova via di rifornimento[467].
A nord, a seguito della conquista di Idlib, Jaish al Fatah
continua l'offensiva verso ovest, aprendo il 22 aprile tre diversi fronti: a
ovest della città, su Jisr al-Shughur e nella piana di al-Ghaab. Il 25 aprile
l'esercito siriano abbandona Jisr al-Shughur[468] e, dopo una timida
controffensiva, è costretto a cedere anche alcuni villaggi nella piana di
al-Ghaab[469]. La presa di Jisr al-Shughur è
particolarmente importante poiché è uno snodo strategico per la costa di
Latakia, area alawita e fortemente filogovernativa. Il 13 maggio 2015 il
governo siriano subisce una pesante sconfitta anche nell'est del paese: questa
volta è l'ISIS che, sfruttando l'alleggerimento di truppe governative
ricollocate sul fronte di Idlib, attacca la città di Palmira, posizionata
strategicamente nel deserto tra il confine iracheno, Homs e Damasco; il 21
maggio i miliziani dell'ISIS entrano in città mentre le truppe regolari
evacuano i civili e i reperti archeologici contenuti nel Museo di Palmira[470].
Verso la fine del mese i vari fronti aperti entrano in stallo,
con piccoli avanzamenti dei ribelli solo nell'area di Idlib[471]. Il 15 maggio ha luogo, ad al-Amr,
una operazione speciale condotta dalla Delta Force statunitense con l'obbiettivo
di uccidere uno dei capi dello Stato Islamico, Abu Sayyaf, noto per aver avuto un ruolo
importante nella supervisione delle operazioni di contrabbando illegale
di petrolio; durante l'operazione, in cui almeno
31 persone perdono la vita, Sayyaf viene ucciso.
La grande avanzata curda nel nord (giugno 2015 - settembre
2015)
Già a partire dalla metà maggio 2015 le forze curde YPG presenti
nella regione a nord-ovest di Hassaké avevano intrapreso una campagna
militare in risposta ai recenti avanzamenti dello Stato Islamico nell'area,
riconquistando in collaborazione con le milizie cristiane i territori persi a
inizio marzo[472]. Il 31 maggio 2015 viene lanciata
una nuova imponente offensiva, guidata dalle milizie curde in collaborazione
con alcuni gruppi selezionati dell'ESL e la copertura aerea della Coalizione a
guida americana: i curdi avanzano sia da est sia da ovest (dal cantone di
Kobane) con l'intenzione di entrare nel Governatorato di Raqqa, unificare i due
cantoni e assumere il controllo continuo di quasi tutto il confine con la
Turchia. L'avanzata si rivela estremamente veloce, con le milizie islamiste che
spesso si ritirano senza ingaggiare i combattenti curdi; unica cittadina ad
opporre resistenza è Suluk, che però cade il 14 giugno[473]. Tra il 15 e il 16 giugno i
combattenti curdi YPG provenienti dai due cantoni unificano il fronte e
attaccano l'ultima roccaforte dell'ISIS, la città frontaliera di Tell Abyad,
che viene abbandonata dagli jihadisti con poca resistenza[474]. La vittoria curda permette il
controllo di larga parte del confine turco e di tagliare i rifornimenti diretti
a Raqqa, nonché di minacciare direttamente la capitale del Califfato. I curdi
YPG conquistano quasi tutte le aree a maggioranza curda (Rojava), spingendosi anche in cittadine arabe
lasciate però in gestione alle poche brigate dell'ESL[475]. A fine giugno i curdi, con una
presenza più importante dell'Esercito Siriano Libero, conquistano Ayn Issa,
spingendosi più in profondità verso Raqqa[476]. La vittoria di Tel Abyad
rappresenta uno dei più rapidi avanzamenti della guerra civile siriana e una
sconfitta strategica importante per lo Stato Islamico, che è costretto a
organizzare le difese della propria capitale e rinunciare alla via più diretta
di approvvigionamento verso la Turchia.
La situazione a Hasaka al 3 luglio 2015: in nero l'ISIS, in
rosso il governo siriano, in giallo l'YPG, in verde le milizie assire
La risposta dell'ISIS all'avanzata curda avviene alla fine del
mese. Il 25 giugno un centinaio di miliziani islamisti penetra nella città di
Kobane facendo esplodere tre autobombe vicino al valico di confine con la
Turchia e attaccando le retrovie delle milizie YPG[477]; la battaglia dura tre giorni
durante i quali gli islamisti commettono anche una serie di massacri contro la
popolazione civile[478], ma il 29 giugno gli ultimi
miliziani dell'ISIS vengono eliminati. I curdi accusano direttamente la Turchia
di aver permesso l'accesso dei combattenti attraverso il suo territorio[479]. Il 30 giugno avviene un episodio
identico nella città di Tall Abyad[480]: i curdi sono costretti ad
interrompere l'offensiva verso sud, essendo il fronte troppo vasto e riconoscendo
la necessità di rafforzare il controllo sulle aree conquistate. Quasi
contemporaneamente l'ISIS scatena un'offensiva anche nell'area curda orientale,
attaccando frontalmente la città di Hassaké il 23 giugno[481]: i miliziani riescono a
conquistare i sobborghi meridionali e ad entrare nel centro cittadino; il YPG
viene affiancato dall'esercito regolare siriano[482], mentre i bombardamenti della
coalizione a guida americana sono sporadici per evitare il sostegno diretto
alle truppe governative[483]. Solo il 1º agosto la battaglia si
dichiara conclusa, con l'ISIS costretto a ritornare sulle posizioni precedenti
all'attacco[484].
Il mese di giugno 2015 vede anche il primo coinvolgimento della
comunità drusa siriana, finora rimasta ambiguamente neutrale nella guerra
civile. L'11 giugno 2015 il Fronte al-Nusra compie un massacro nella provincia
di Idlib uccidendo 20 civili drusi in un villaggio[485], e lo stesso giorno i ribelli
attaccano la base aerea di al-Thula, nel governatorato
di As-Suwayda, al confine occidentale del Gebel Druso[486]. I drusi reagiscono con una dichiarazione
in cui i leader politici e religiosi della comunità spingono la popolazione a
sostenere il governo e unirsi all'esercito regolare[487][488]. Il 16 giugno i ribelli scatenano
una nuova offensiva nel governatorato di
Quneitra con l'obiettivo di entrare nella Ghuta occidentale e
avvicinarsi a Damasco[489]; il giorno successivo il fronte si
attesta nella cittadina di Hadar, abitata dalla comunità drusa: anche in questa
circostanza i cittadini si uniscono alle forze governative contro i ribelli[490]. L'intervento druso provoca il
rapido stallo di entrambe le offensive ribelli nel sud della Siria[491][492].
In questo periodo l'unica area della Siria dove le truppe
governative ottengono successi sostanziali è la regione del Qalamun al confine
con il Libano. Con il sempre più importante sostegno delle milizie sciite
Hezbollah, tra maggio e giugno l'esercito siriano era riuscito a mettere in sicurezza
le aree rurali e i picchi montagnosi nel Qalamun settentrionale[493]. Il 3 luglio 2015 viene attaccata
la cittadina di Zabadani[494], il più grande centro urbano al
confine libanese ancora nelle mani dei ribelli e oggetto di continue tregue nel
corso degli ultimi anni[495][496]: le truppe governative circondano
l'abitato e avanzano rapidamente verso il centro della città, ma a causa della
feroce resistenza ribelle, derivata anche dall'impossibilità di fuggire,
Hezbollah è costretta a rallentare l'attacco in modo da limitare le proprie perdite[497]. A partire da agosto la sorte di
Zabadani viene legata alle due città a maggioranza sciita nel governatorato di
Idlib, Al-Fou'aa e Kafraya: i ribelli infatti attaccano i centri abitati e
propongono uno scambio tra i loro combattenti a Zabadani e i civili
intrappolati a nord[498]. Coinvolgendo anche Turchia e
Iran, vengono implementate una serie di tregue fino al mese di settembre[499][500], tuttavia le città di Madaya (vicino a Zabadani), Al-Fou'aa e
Kafraya restano assediate ancora a gennaio 2016, con conseguenze sempre più
gravi per i civili rimasti intrappolati e privi di cibo e medicine[501].
Sempre nel governatorato di Idlib, la coalizione islamista Jaish
al Fatah lancia a fine giugno una serie di nuove offensive a sud di Jisr
al-Shughur, riuscendo a conquistare alcuni villaggi[502] ma venendo bloccata dalla
controffensiva governativa[503]. Per tutto il mese di agosto si
registrano continui scontri caratterizzati da attacchi e contrattacchi nella parte
settentrionale della Piana
di al-Ghab con le cittadine di Mansura, al-Bahsa e Tal Awar che
passano di mano diverse volte[504][505]; l'offensiva si esaurisce a fine
agosto un blando avanzamento dei ribelli. Intanto a fine estate l'ISIS prosegue
la propria espansione nel governatorato di Homs a danno dei governativi,
occupando il 5 agosto la città assiro-cristiana di Al-Qaryatayn, sede di un
altro importante sito archeologico.
L'intervento russo (ottobre 2015 - gennaio 2016)
Sebbene la Russia abbia sostenuto politicamente e con forniture
militari il governo siriano fin dalle prime fasi della crisi, a partire da
settembre 2015 si verifica una sensibile intensificazione dei contatti tra i
due governi e si registrano movimenti aerei e di personale russo nell'area
costiera di Latakia[506][507][508]. Il 15 settembre gli Stati Uniti
dichiarano che truppe russe stanno allestendo un nuovo aeroporto con annessa
base militare[509], e a fine settembre la Russia
annuncia di aver raggiunto un accordo con Siria, Iraq e Iran per condividere
informazioni di intelligence relative
allo Stato Islamico[510]. Oltre all'aumento di forniture
militari, il presidente russo Vladimir Putin scatena un'offensiva
diplomatica volta a modificare la posizione occidentale nei confronti del
governo siriano, allo scopo di includerlo in un futuro processo di pace. Anche
a seguito della crisi dei
profughi siriani in Europa iniziata in estate, Austria, Spagna[511], Germania[512] e Regno Unito[513] affermano di essere disposti
a trattare con il presidente siriano, posizione che viene accettata anche dalla
Turchia[514] e da Israele[515]
Il 30 settembre 2015, poco dopo l'autorizzazione della Duma[516] e dopo aver informato il
governo americano, gli aerei russi eseguono i primi raid in territorio siriano[517]; tra le prime località colpite vi
sono quelle nella zona controllata dai ribelli tra Homs e Hama (la cosiddetta
"sacca di Al-Rastan")[518]: l'apparente assenza di miliziani
dell'ISIS nell'area dimostra la volontà di colpire, a differenza dei raid
dell'aviazione americana, tutte le sigle della ribellione siriana, incluse le
brigate dell'Esercito Siriano Libero[519]. Il giorno successivo, tuttavia,
vengono bombardate anche aree controllate dall'ISIS, inclusa la
"capitale" del califfato Raqqa[520]. I raid aerei si estendono su quasi
tutto il territorio siriano controllato dai ribelli che, in risposta, creano un
"comitato congiunto" composto da 41 fazioni per coordinare le
operazioni di difesa[521].
Il 7 ottobre l'esercito siriano lancia una vasta offensiva nel
nord-ovest della Siria aprendo un fronte che comprende il governatorato di
Latakia, la piana di al-Ghab e il confine nord del governatorato di Hama[522]. L'aviazione russa garantisce una
forte copertura aerea con aerei ed elicotteri, mentre nella notte vengono anche
lanciati 26 missili terra-terra da navi russe ormeggiate nel Mar Caspio, sfruttando lo spazio aereo
iraniano e iracheno[523]; nelle operazioni terrestri
l'esercito siriano viene affiancato anche dai miliziani Hezbollah[524]. In una settimana di combattimenti
le truppe governative riescono a catturare diverse cittadine nel governatorato
di Idlib e intorno alla strategica cittadina di Salma, tuttavia i miliziani
islamisti riescono a rallentare l'avanzata anche grazie all'utilizzo dei
missili anticarro BGM-71 TOW di
fabbricazione americana[525]. Nella seconda settimana di
battaglia alcuni punti del fronte entrano in stallo, a esclusione della piana
di al-Ghab dove lentamente le truppe siriane avanzano verso nord[526].
Il 16 ottobre le truppe siriane lanciano un'altra offensiva
nella campagna a sud di Aleppo[527], e oltre all'appoggio aereo russo
intervengono direttamente elementi della Forza Quds del Corpo
delle Guardie della rivoluzione islamica iraniano, sotto la
direzione strategica di Qasem Soleimani[528] e milizie sciite irachene[529]; in pochi giorni le truppe conquistano
cinque villaggi prima di incontrare la resistenza dei ribelli[530]. Tra ottobre e l'inizio di
novembre l'esercito siriano riesce ad avanzare in profondità verso sud e verso
ovest, conquistando una dozzina di villaggi[531][532] e arrivando ad attaccare la
cittadina di al-Hadir[533]. Parallelamente, a est di Aleppo,
con il forte sostegno dell'aviazione russa l'esercito governativo riattiva il
fronte contro lo Stato Islamico con l'intenzione di rompere l'assedio
dell'aeroporto militare di Kuwayris[534]: il 10 novembre 2015 le truppe
entrano nel complesso militare e la televisione nazionale trasmette le immagini
dei soldati in festa[535]. Questa operazione è il primo vero
successo governativo da inizio anno e la dimostrazione dell'importante aiuto
fornito dall'aviazione russa; inoltre la penetrazione governativa in un'area
considerata roccaforte dell'ISIS apre un nuovo fronte sulla frontiera
occidentale del Califfato[536].
Il successo militare governativo ad Aleppo segue una nuova
offensiva diplomatica russa per riabilitare Assad sul piano internazionale. Il
21 ottobre il presidente siriano viene accolto a sorpresa a Mosca da Putin,
primo viaggio di Assad all'estero dall'inizio della crisi[537], e il 30 ottobre viene organizzata
a Vienna una conferenza di pace dove, per
la prima volta, viene invitato l'Iran e non vengono richieste le dimissioni di
Assad come pre-condizione ai colloqui[538][539].
A parte Aleppo, le truppe governative si trovano in difficoltà
sugli altri fronti. Nel governatorato di Latakia l'avanzata su Salma entra in
stallo e l'unico successo è la conquista del villaggio montuoso di Ghamam[540]; non vi è nessuna modifica del
fronte nella Piana di al-Ghab, mentre sul fronte a nord di Hama l'esercito
subisce il contrattacco da parte delle milizie ribelli che riescono a
riconquistare tutti i territori persi a fine ottobre e a riconquistare, il 4
novembre, la strategica città di Morek oltre a diversi villaggi e colline
circostanti[541]. Il mese di novembre vede avanzare
ulteriormente l'esercito siriano. A sud di Aleppo, il 13 novembre le linee di
difesa ribelli vengono sfondate da un attacco congiunto di esercito, Hezbollah,
milizie sciite irachene e afghane e pasdaran iraniani: in un solo giorno
vengono conquistate le cittadine di Hader ed El-Eis insieme a diversi altri
villaggi circostanti[542][543][544], e le truppe governative arrivano
fino all'autostrada M5 che congiunge Aleppo a Damasco prima di interrompere
l'offensiva[545]. A fine novembre tuttavia le
milizie ribelli, spostando uomini dal fronte di Hama, riescono ad organizzare
una controffensiva che recupera parte del territorio perso[546]. Anche sul fronte a est di Aleppo,
l'esercito siriano non interrompe l'attacco e si spinge verso est, arrivando
alla periferia di Deir
Hafer[547].
A metà novembre si sblocca il fronte a nord di Latakia. Grazie
alla copertura aerea russa, l'esercito riesce a conquistare diversi villaggi e
alture entrando nel Jabal Turkman, area abitata dalla minoranza etnica
turcomannadi lingua e cultura turca, molto legata ai ribelli[548][549][550]. La Turchia, nella realistica
eventualità di perdere il controllo del confine con i gruppi ribelli, afferma
che attuerebbe "qualunque azione per difendere la comunità
turcomanna"[551], e in questo contesto, il 25 novembre, due
F-16 turchi abbattono un bombardiere russo[552] causando la morte di un
pilota e innescando una forte crisi diplomatica tra i due Paesi.
Il periodo compreso tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016
vede incrementare l'attività su quasi tutti i fronti siriani. Nella maggior
parte dei casi è l'esercito siriano che intraprende azioni offensive,
evidenziando il sempre più efficace supporto aereo russo; vengono inoltre
introdotti i carri armati T-90 che permettono una
maggiore difesa contro i missili anticarro TOW dei ribelli[553]. Sul fronte a sud di Aleppo, il 20
dicembre l'esercito conquista la cittadina strategica di Khan Tuman, tagliando
nuovamente l'autostrada M5 e unificando l'intera periferia meridionale della
città[554]. Nella Ghuta Orientale, dopo un
lungo periodo di inattività, le ostilità riprendono il 14 dicembre: l'esercito
avanza da sud e conquista la base aerea e il villaggio di Marj al-Sultan[555], mentre il 25 dicembre l'aviazione
russa uccide in un bombardamento mirato Zahran Alloush, comandante della
formazione Jaish al-Islam legata all'Arabia Saudita ed egemone nell'area di
Damasco[556][557]. Il fronte a nord di Latakia
subisce forti avanzamenti dal 25 dicembre. Il 12 gennaio 2016 le truppe siriane
entrano nella roccaforte ribelle di Salma, causando un repentino ripiegamento
dei miliziani verso il confine turco[558]; nei giorni successivi l'esercito
conquista decine di cittadine del governatorato ed entra il 24 gennaio nella
città di Rabia, ultima roccaforte ribelle nel nord della provincia[559]. Il 18 febbraio viene conquistata
anche Kinsabba, importante avamposto ribelle nei pressi del confine con la
provincia di Idlib.
Sul fronte sud, il 27 dicembre l'esercito siriano lancia
un'offensiva per conquistare la città di Al-Shaykh Maskin, che taglia la linea
di comunicazione tra Damasco e Daraa[560], ma i ribelli riescono a
rallentare l'avanzata governativa. Intorno al 5 gennaio 2016 la battaglia entra
in stallo, con l'esercito che riesce a controllare il 60% della città[561]; l'offensiva riprende a fine
gennaio, e il 25 viene annunciata la completa conquista della città[562]. A est dell'Eufrate anche le
milizie curde organizzano un attacco contro le postazioni dell'ISIS: grazie
alla copertura aerea americana lo YPG, insieme ad alcune milizie arabe, tra il
23 e il 26 dicembre avanza rapidamente verso sud, raggiungendo e conquistando
la strategica diga di Tishrin ed entrando, per la prima volta, nei territori a
ovest del fiume[563], guadagnando una via d'accesso
verso la roccaforte ISIL di Manbij. Intanto tra novembre e dicembre si accende
un lungo braccio di ferro tra l'esercito siriano e l'ISIS per il controllo di
Mahin, a metà strada tra la strategica città cristiana di Sadad e Qaryatayn: il
centro abitato passa più volte di mano ma a prevalere sono alla fine le forze
governative.
Approfittando dello scontro tra Stato Islamico e YPG, a gennaio
l'esercito siriano avanza a est di Aleppo conquistando alcune cittadine a nord
dell'aeroporto
militare di Kuwayris e avvicinandosi alla roccaforte ISIL di
al-Bab[564]. In risposta, il 16 gennaio lo
Stato Islamico lancia una violenta offensiva contro la sacca governativa di
Deir el-Zor, assediata da diversi anni, riuscendo a invadere i quartieri
settentrionali della città: l'attacco viene respinto, ma tra 80 e 300 civili
vengono uccisi e 400 rapiti[565][566]. Sempre nella prima metà di
gennaio l'esercito siriano riesce a riconquistare alcuni villaggi lungo il
fiume Oronte, nella sacca di resistenza di Al-Rastan.
L'escalation ad Aleppo e la tregua (febbraio 2016)
Offensiva delle forze governative (in rosso) e dei curdi (in
giallo) contro i ribelli (in verde) a nord di Aleppo. A est di Aleppo,
offensiva governativa contro l'ISIS (in nero)
Nel corso del gennaio 2016 le offensive dell'esercito regolare
siriano a Latakia e a sud di Aleppo rallentano, mentre circolano notizie
dell'arrivo di rinforzi a nord di Aleppo in preparazione di una nuova offensiva[567]. Il 1º febbraio l'esercito
governativo sferra una violenta e improvvisa offensiva dai sobborghi
settentrionali verso nord-ovest, con l'obiettivo di raggiungere le cittadine
sciite di Nubl e Zahraa assediate dalle milizie ribelli dal luglio 2012.
L'attacco, sebbene condotto più a nord, ricalca la fallita offensiva governativa
del febbraio 2015, ma grazie al fondamentale impiego dell'aviazione russa e dei
miliziani Hezbollah, sciiti iracheni[568], iraniani e afghani, le difese
ribelli vengono superate[569] e il 3 febbraio le truppe
siriane entrano a Nubl e Zahraa, accolti dalla popolazione in festa[570]. Oltre alla rottura dell'assedio,
l'avanzata governativa permette di creare un corridoio che dal nord di Aleppo
si congiunge alle aree sotto controllo curdo nel cosiddetto Cantone di Afrin,
tagliando l'area sotto controllo ribelle in due parti. L'area a nord del
corridoio, di estensione ridotta, risulta completamente circondata su tre lati
da curdi, truppe governative e miliziani dello Stato Islamico, e inoltre viene
tagliata una fondamentale via di approvvigionamento dei ribelli ad Aleppo
attraverso il valico di frontiera con la Turchia. Viene anche tagliata l'unica
via di comunicazione tra i ribelli ad Aleppo e nel governatorato di Idlib con
il territorio dello Stato Islamico, da cui, sebbene in conflitto, importavano
petrolio e carburante[571]. L'avanzata governativa scatena il
panico tra i miliziani che, insieme a una nuova ondata di rifugiati (circa
30.000), ripiegano verso il confine turco[572].
Il 3 febbraio, inaspettatamente, anche i miliziani curdi YPG
attaccano da ovest i ribelli, conquistando due cittadine e rimanendo neutrali
verso le truppe governative siriane; i sospetti di un coordinamento
nell'offensiva si rafforzano a causa del sostegno dell'aviazione russa alle
milizie curde sul campo[573][574] e al trasferimento ad Afrin
di alcuni soldati siriani feriti. In due settimane i miliziani curdi
conquistano una decina di villaggi e l'importante base aerea di Menagh[575]. Il 13 febbraio le forze curde
intensificano ulteriormente la loro avanzata, attaccando i sobborghi
meridionali di Azaz e quelli occidentali di Tal Rifaat[576]; la possibile disfatta della
ribellione siriana a nord di Aleppo preoccupa la Turchia, che reagisce
bombardando con l'artiglieria pesante le zone recentemente conquistate dai
curdi[577] e minacciando l'ingresso
delle truppe turche in territorio siriano[578]. Il 15 febbraio le milizie curde
conquistano Tal Rifaat ma sospendono l'offensiva verso Azaz, indicata come
limite invalicabile dalla Turchia[579]; gli Stati Uniti intervengono
nella crisi intimando alla Turchia di interrompere i bombardamenti[580]. Le truppe governative siriane
intanto interrompono l'avanzata verso nord, consolidando le posizioni
conquistate.
A est di Aleppo, le truppe governative siriane allargano l'area
di controllo intorno all'aeroporto militare di Kuwayris avanzando verso ovest,
con l'intenzione di collegarsi ai quartieri orientali della città e chiudere i
miliziani dell'ISIS in una sacca. L'operazione comincia alla fine di gennaio[581] e si sviluppa fino al 21
febbraio, quando viene conquistato l'ultimo villaggio[582]. L'offensiva è caratterizzata da
un lento ritiro dei miliziani dell'ISIS che oppongono poca resistenza; tra le
aree conquistate vi è la centrale
termoelettrica di Aleppo, che garantisce energia a tutta la
città[583]. L'11 febbraio l'esercito siriano
lancia un'offensiva contro l'ISIS nel deserto orientale della provincia di
Hama, lungo l'autostrada Ithriyah-Raqqa in
direzione dell'aeroporto di Tabqa; nei giorni seguenti i governativi
conquistano alcuni punti strategici lungo l'autostrada rimettendo così piede,
per la prima volta dall'estate 2014, nel governatorato di Raqqa, ma l'offensiva
viene interrotta dopo pochi giorni a causa dell'improvviso attacco dell'ISIS
all'asse stradale Ithriyah-Aleppo, unica via di rifornimento alla metropoli per
i governativi, che porta alla perdita della cittadina di Khanasir. Entro fine
febbraio la città viene riconquistata dall'esercito e le vie di comunicazione
riaperte.[584]
A fine febbraio intanto le milizie curde nel nord-est della
Siria avanzano verso sud, discendendo il corso del fiume Khabur e riuscendo il 19 a strappare allo
Stato Islamico il controllo di Al-Shaddadi, importante zona petrolifera
nel governatorato di
al-Hasaka. Nei giorni successivi i curdi continuano la loro
avanzata, spingendosi fino a circa 85–90 km dalla sacca governativa di
Deir el-Zor e penetrando per la prima volta nell'estremo nord dell'omonimo
governatorato.[585] Sul piano diplomatico, l'11
Stati Uniti e Russia, con la partecipazione delle principali nazioni
mediorientali incluse Arabia Saudita e Iran e delle Nazioni Unite, organizzano
una conferenza a Monaco di Baviera per
un rilancio del processo politico di pacificazione della Siria[586]; il 12 febbraio, con una
dichiarazione congiunta, i ministri degli esteri russo e americano annunciano
un accordo sulla consegna di aiuti umanitari in Siria e su un cessate il fuoco "entro una
settimana"[587]. Il piano, che esclude lo Stato
Islamico e il Fronte al-Nusra, viene approvato dal governo siriano[588], dai miliziani curdi[589] e da circa 100 gruppi armati
dell'opposizione[590]. La tregua entra in vigore il 25
febbraio a mezzanotte[591].
L'arretramento dello Stato Islamico (marzo - luglio 2016)
Sebbene nei primi giorni di marzo vengano segnalate alcune
violazioni della tregua[592], si registra una diminuzione
sostanziale dei combattimenti[593]. La tregua ha come conseguenza la
riapertura di negozi e scuole in molte città siriane[594], oltre all'apertura di corridoi
umanitari per la distribuzione di aiuti alla popolazione civile[595]. Il 14 marzo, Putin annuncia il
progressivo ritiro delle forze russe dal territorio siriano come gesto di
distensione in vista dei colloqui di pace[596]; viene comunque garantito sostegno
aereo alle truppe siriane sui fronti attivi contro lo Stato Islamico[597].
Il perdurare della tregua permette sia all'esercito siriano sia
alle milizie ribelli di concentrare gli sforzi contro lo Stato Islamico.
L'operazione più significativa è quella condotta dalle truppe siriane che, con
l'importante sostegno dell'aviazione russa e di numerose milizie alleate, il 12
marzo lanciano un'importante offensiva per la riconquista di Palmira e di Al-Qaryatayn, entrambe occupate dall'ISIS
rispettivamente a maggio e agosto del 2015: dopo una lenta avanzata il 27 marzo
le truppe siriane completano la liberazione della città nuova di Palmira, dopo
aver già riconquistato il sito archeologico e l'aeroporto, provocando la
ritirata dei miliziani islamisti verso Raqqa e Deir Ezzor[598][599]; truppe speciali russe vengono
inviate a Palmira per aiutare gli alleati siriani nella bonifica della città
vecchia e nuova da mine e trappole esplosive lasciate dall'ISIS in ritirata. Il
3 aprile anche Al-Qaryatayn viene riconquistata, permettendo alle truppe
siriane di controllare gran parte dell'area desertica della Siria centrale e di
organizzare una testa di ponte per una futura offensiva verso la sacca di Deir
Ezzor o la frontiera irachena[600].
Il 5 marzo intanto i ribelli appoggiati da forze speciali
occidentali e penetrati dalla Giordania strappano all'ISIS il controllo del
valico siro-iracheno di Al Tanf[601].
Il 13 aprile si tengono, nei territori controllati dal governo e
dai suoi alleati, le elezioni parlamentari per il rinnovo del Consiglio del popolo,
nonostante il boicottaggio delle opposizioni e al di fuori del processo di pace
promosso dall'ONU: con un'affluenza del 57,56%, la coalizione guidata dal
Partito Ba'th di Assad ottiene 200 seggi su 250[602][603]. Intanto, a partire dal 10 marzo,
si accendono violenti scontri tra i combattenti dello Stato Islamico e le
milizie ribelli anti-governative, supportate dalla Turchia e dai raid aerei
statunitensi, nell'estremo nord della provincia di Aleppo al confine turco;
nelle settimane seguenti numerosi villaggi cambiano più volte di mano[604]. A sud-ovest di Aleppo, invece, la
fragile tregua siglata il 25 febbraio va definitivamente in frantumi nei primi
giorni di aprile a seguito di una violenta e improvvisa offensiva di al-Nusra e
altre sigle ribelli; il 2 aprile gli insorti catturano Tel Al-Eis, mentre il 6
maggio riconquistano anche Khan Tuman[605][606]. Nonostante le difficoltà
incontrate a sud di Aleppo, tra aprile e maggio l'esercito siriano e i suoi
alleati spostano invece la loro attenzione sulla grande sacca ribelle ad est di
Damasco, riuscendo a riconquistare numerosi villaggi e posizioni in mano agli
insorti da ben quattro anni, approfittando dello scoppio di ostilità tra
diversi gruppi ribelli.[607]
Nel frattempo anche le milizie curde riprendono la loro attività
contro lo Stato Islamico, lanciando un'offensiva contro Raqqa e conquistando
negli ultimi giorni di maggio alcuni piccoli centri abitati nel nord della
provincia, a circa 50 km dal capoluogo, e contemporaneamente nelle
vicinanze di Manbij nella provincia di Aleppo. A inizio di giugno le forze
regolari siriane riprendono l'avanzata lungo l'autostrada Ithriyah-Raqqa, già
avviata nel febbraio precedente: le truppe siriane conquistano il 3 giugno il
villaggio di Zakiyah, a circa 50 km dall'ex aeroporto di Tabqa e
90 km dalla capitale del Califfato.[608] Nei giorni seguenti, mentre i
curdi arrestano la loro offensiva verso Raqqa e ampliano invece il loro
controllo nelle campagne tra l'Eufrate e Manbij, le forze governative avanzano
ulteriormente lungo l'autostrada, conquistando il 7 giugno alcuni villaggi a
circa 30 km dalla base aerea di Tabqa.[609] Il 10 giugno le forze curde
accerchiano completamente la città di Manbji, ponendola sotto assedio, mentre
tra l'11 e il 12 le truppe governative occupano lo strategico snodo stradale di
Safyeh e gli adiacenti impianti petroliferi, a circa 20 km dalla base di
Tabqa e 65 km da Raqqa. Per far fronte alle avanzate di curdi e
governativi, l'ISIS abbandona spontaneamente la periferia di Marè e numerosi
villaggi a nord di Aleppo, che vengono così rioccupati dai ribelli filo-turchi.
Dopo aver proseguito l'avanzata fino a circa 10 km dalla base aerea, tra
il 19 e il 20 giugno le forze governative subiscono il contrattacco dell'ISIS
che le costringe a ritirarsi fino alle loro basi di partenza.[610]
L'assedio di Aleppo e l'intervento turco (luglio - dicembre
2016)
Ad Aleppo, le truppe governative avanzanti da nord e da sud
riescono infine il 27 luglio a ricongiungersi ad ovest del quartiere curdo
di Sheikh
Maqsoud, isolando e ponendo sotto assedio la parte est di Aleppo
ancora in mano ai ribelli di ESL, Ahrar al-Shame al-Nusra;[611] la Russia e il governo
siriano dichiarano quindi l'apertura di "corridoi umanitari" per
evacuare dalle zone della città sotto controllo ribelle i civili (circa 250.000)
e i combattenti disposti ad arrendersi.[612] Il 31 luglio però le milizie
ribelli, dopo aver fatto affluire numerosi rinforzi dalle provincie di Idlib e
Aleppo, lanciano un'offensiva a sud-ovest della metropoli,[613] conquistando alcune
roccaforti governative, aprendo un corridoio verso la parte orientale della
città e tagliando la via di rifornimento governativa dalla Siria centrale alla
parte occidentale di Aleppo; entrambe le parti di Aleppo risultano così
simultaneamente assediate, dal momento che sia i ribelli sia il governo perdono
le loro principali vie di rifornimento usate fino a quel momento.[614] Nei giorni seguenti
l'esercito siriano riesce però a riaprire le comunicazioni tra Aleppo ovest e
il resto dei propri territori, mentre il corridoio aperto dai ribelli verso
Aleppo est viene incessantemente bersagliato dalle artiglierie e dai
bombardieri russi e siriani.
A nord-est di Aleppo il 12 agosto, dopo due mesi di assedio, le
milizie curde con il sostegno dell'aviazione statunitense conquistano
definitivamente la città di Manbij, in mano allo Stato Islamico dal gennaio
2014. Il 16 agosto a Hasakah scoppiano scontri tra le milizie curde e la Difesa
Nazionale filo-governativa, che ancora occupa parte della città; l'esercito
siriano interviene con tiri d'artiglieria dalla vicina base militare di Kawkab
e per la prima volta dall'inizio della guerra attacca le forze curde con raid aerei.
Con la mediazione della Russia, il 23 agosto viene infine raggiunta una tregua:
le forze armate governative abbandonano Hasakah, i quartieri da esse
controllati rimangono in mano al governo ma sotto amministrazione civile. Il 24
agosto miliziani ribelli attaccano dalla Turchia, con il sostegno di
artiglieria, carri armati e truppe speciali turche, la città frontaliera di
Jarabulus, occupata dalla Stato Islamico, conquistandola in poche ore.
L'operazione, la prima incursione su larga scala della Turchia in Siria
dall'inizio della guerra civile, ha come obiettivo primario l'espulsione dei
miliziani dell'ISIS dalla frontiera turca, ma anche lo scopo di evitare la
riunificazione del cantone curdo di Afrin con i restanti territori curdi e la
creazione quindi di una vasta regione curda lungo gran parte della frontiera
turco-siriana. Nei giorni seguenti i miliziani filo-turchi avanzano fino a
circa 12 km da Manbij mentre, occupata la città frontaliera di al-Rai il
18 agosto, i ribelli della regione di Azaz riescono a ricongiungersi il 4
settembre con gli alleati penetrati a Jarabulus, completando così la conquista
dell'ultimo tratto di frontiera ancora in mano all'ISIS.[615][616]
Il 29 agosto, per alleviare la pressione governativa su Aleppo,
i ribelli lanciano un'offensiva a nord di Hama, riuscendo a spingersi fino a
circa 13 km dal capoluogo prima di essere bloccati dalla reazione dei
governativi; Aleppo est viene quindi di nuovo interamente accerchiata,[617] mentre i governativi riescono
a riaprire al traffico la strada principale per Aleppo ovest. Il 10 settembre
Stati Uniti e Russia annunciano il raggiungimento di un accordo per un nuovo
cessate il fuoco, entrato in vigore il 12, al quale aderiscono il governo
siriano e le opposizioni non jihadiste.[618] I principali fronti ad Aleppo
entrano in stasi, ma si continua invece a combattere nelle campagne a nord di
Hama e nella Ghuta est; a sorpresa si riattiva inoltre il fronte nella
provincia di Quneitra, dove Damasco
accusa Israele di dar appoggio ai ribelli jihadisti nei loro assalti alle linee
governative. Il 17 settembre aerei della coalizione a guida americana
bombardano per errore posizioni strategiche cruciali dell'esercito governativo
presso Deir el-Zor,[619] consentendo ai miliziani
dell'ISIS di impedire i rifornimenti alla città; la nuova e grave crisi
diplomatica interrompe i colloqui tra Stati Uniti e Russia per il rinnovo della
tregua di un'altra settimana, e di conseguenza il 19 settembre il governo
siriano dichiara la ripresa dei combattimenti: la sera stessa i bombardieri
russi tornano a colpire l'area di Aleppo, mentre negli ultimi giorni di
settembre le truppe governative riconquistano importanti posizioni, in mano ai
ribelli da ben tre anni, nella zona nord della sacca e nella città vecchia.[620]
A nord-est di Aleppo prosegue intanto l'avanzata dei ribelli
filo-turchi su al-Bab, mentre il 27 ottobre l'esercito siriano riconquista la
cittadina di Suran nel nord di Hama, persa a fine agosto. Il 28 ottobre i
ribelli lanciano una nuova e massiccia offensiva a ovest di Aleppo, nel
tentativo di rompere l'assedio alla parte est[621]; nonostante ciò l'esercito avanza
inaspettatamente a nord-est della città e in direzione di al-Bab, riconquistano
alcuni villaggi, aree rurali e una ex base di fanteria nella campagna a nord
del distretto industriale di Shaykh Najjar. L'attacco dei ribelli a sud-ovest
di Aleppo ottiene nel frattempo scarsi successi, venendo completamente respinto
dai governativi.[622] A partire da agosto, le forze
governative riportano una serie di vittorie contro le sacche ribelli nella
periferia di Damasco: il 26 agosto viene annunciata la resa, dopo oltre quattro
anni di assedio e combattimenti, della cittadina di Darayya, e come già avvenuto in altre parti
della Siria i ribelli accettano di deporre le armi per esser trasferiti nella
provincia di Idlib; in ottobre anche le cittadine di Qudisiyah, al-Hameh e
Maadamiyeh si arrendono alle forze governative e i ribelli, insieme ai loro
familiari, vengono trasferiti nel governatorato di Idlib. I governativi
avanzano anche nelle più ampie sacche del Ghuta ovest ed est: in ottobre
riescono a separare in due settori la sacca ribelle del Ghuta ovest, mentre il
30 viene riconquistato lo strategico villaggio di Tal Kurdi, nel nord della
sacca del Ghuta est.[623] Il 1º dicembre le due sacche
ribelli rimanenti nel Ghuta ovest sono evacuate, mentre il 2 dicembre si
arrende la piccola sacca di Al Tall a nord di Damasco[624] seguita il 5 e 13 dicembre
dalle sacche di Al Kiswah e di Kanaker a sud della capitale. Il 27 novembre l'Aeronautica Militare Israeliana conduce
dei raid nel Golan siriano colpendo le posizioni di jihadisti della brigata
"Martiri di Yarmouk" affiliata all'ISIS, in rappresaglia contro un
attacco a un checkpoint israeliano di confine; è il primo attacco israeliano
contro una formazione dell'ISIS.[625]
Nella seconda metà di novembre i governativi riprendono
l'offensiva per riconquistare Aleppo est. L'esercito siriano e alleati avanzano
rapidamente e tra il 26 e il 27 novembre causano un primo collasso delle difese
ribelli, riconquistando importanti distretti e riuscendo infine a separare la
sacca in due parti; nella giornata del 28 novembre la parte settentrionale di
Aleppo est (circa un terzo del territorio controllato dai ribelli) viene
completamente riconquistata dai governativi.[626] In una nuova offensiva tra il
2 e il 4 dicembre l'esercito siriano avanza in profondità a ovest
dell'aeroporto internazionale, riconquistando vari distretti e giungendo a
circa un chilometro dalle linee amiche presso la Cittadella, dimezzando l'area
ancora in mano ai ribelli.[627] Approfittando dell'azione ad
Aleppo, l'8 dicembre l'ISIS lancia un'offensiva contro le postazioni
governative attorno a Palmira, presidiata soprattutto da truppe poco esperte e
dalle milizie sciite: dopo un iniziale crollo delle linee siriane la situazione
viene momentaneamente ristabilita grazie all'intervento dell'aviazione russa e
all'arrivo di rinforzi, ma una nuova spallata costringe l'11 dicembre le forze
governative ad abbandonare nuovamente la città e a ritirarsi 60 km ad
ovest di essa, fino alla base aerea di Tiyas.[628]
Ad Aleppo prosegue intanto l'avanzata dei governativi, che il 12
dicembre riconquistano i distretti di Bustan Al-Qasr e di Sheikh Saeed,
considerati tra le maggiori roccaforti dell'opposizione. Mentre continua il
deflusso dei civili, in fuga dalle zone ancora occupate, anche centinaia di ribelli
decidono di deporre le armi e consegnarsi alle forze governative; solo alcune
unità optano per una resistenza ad oltranza presso i loro ultimi bastioni nei
distretti di Sakkari e di Al Ansari Sharki. Il 15 dicembre, con la mediazione
di Russia e Turchia, viene raggiunto un accordo per la resa degli ultimi
combattenti e il loro trasferimento assieme a parte della popolazione civile
verso Idlib, in cambio dell'evacuazione dei civili assediati dai ribelli nelle
cittadine governative di Fuah e Kafrayah.[629] La sera del 22 dicembre, dopo
la partenza dell'ultimo convoglio di ribelli e familiari, viene annunciata la
totale riconquista della città di Aleppo, a esclusione del quartiere curdo di
Sheikh Maqsoud, da parte delle forze governative, dopo quattro anni e cinque
mesi di combattimenti.[630]
La nuova tregua e l'intensificazione degli scontri tra
esercito e ISIS (gennaio-giugno 2017)
Sulla scia degli accordi tra il governo russo e turco
sull'evacuazione delle restanti forze ribelli dagli ultimi quartieri assediati
di Aleppo est, a fine dicembre Russia e Turchia annunciano il raggiungimento di
un'intesa per un nuovo cessate il fuoco in tutta la Siria, al quale aderiscono
le sigle maggiormente legate alla Turchia (tra cui Ahrar al-Sham e Jaish al-Islam). La
tregua, approvata dal governo siriano, entra in vigore alla mezzanotte del 29
dicembre. Il 31 anche il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approva
all'unanimità il testo dell'accordo tra Russia e Turchia.[631].[632]
Nonostante la tregua, l'esercito siriano non interrompe comunque
le proprie offensive contro le aree ancora occupate nella provincia
di Damasco. La sacca di Wadi Barada viene completamente smantellata
entro la fine di gennaio, ponendo così termine alla grave crisi idrica che
aveva interessato la capitale dalla metà di dicembre 2016[633]. Il 22 febbraio 2017 anche la
città di Serghaya, nei pressi del confine libanese ed assediata dal 2012, si
arrende ai governativi[634]. Il 14 gennaio lo Stato Islamico
lancia una violenta offensiva contro la sacca governativa di Deir el-Zor. I miliziani superano l'accanita
resistenza dell’esercito regolare, intensamente appoggiato dall'aviazione russa
e siriana, e separano il 16 la sacca in due parti. I governativi riescono però,
nei giorni seguenti, a stabilizzare la situazione e a riconquistare alcuni
punti chiave[635].
Nella seconda metà di gennaio, l’esercito siriano riattiva dopo
mesi il fronte ad est di Aleppo, strappando all'ISIS decine di villaggi. Mentre
il 23 febbraio le milizie filo-turche occupano la roccaforte dell'ISIS di
al-Bab[636], i governativi proseguono la loro
avanzata a nord-est di Deir Hafer, entrando in contatto con i territori già in
mano all'SDF. L'8 marzo i governativi riconquistano la cittadina di Khafsah e
la locale stazione idrica sulle sponde del Lago Assad, che rifornisce direttamente
l'acquedotto di Aleppo[637]. Il 2 marzo intanto, dopo una rapida
controffensiva, le forze governative, appoggiate dall’aviazione russa,
riconquistano Palmira. Nei giorni
seguenti vengono diffuse le prime foto dei nuovi danni arrecati dall’ISIS al sito
archeologico[638].
Il 21 marzo le milizie ribelli, guidate dall'ex Fronte al-Nusra,
lanciano una violenta offensiva a nord di Hama, riconquistando la cittadina di
Suran e spingendosi fino a 6 Km dal capoluogo e dal vicino aeroporto[639].
Nella provincia di Raqqa prosegue intanto la rapida avanzata
delle forze SDF, avviata a novembre 2016, sulla capitale del Califfato, grazie
all'ingente impegno dell'aviazione e di forze speciali americane. Il 22 marzo
combattenti curdi ed incursori statunitensi vengono aviotrasportati sulla
sponda meridionale del Lago Assad, a circa 9 Km ad ovest di Tabqa, allo scopo
di tagliare l'autostrada Raqqa-Aleppo e di facilitare l'occupazione
dell'importante diga sull'Eufrate[640]. Nei giorni seguenti, consolidando
la testa di ponte, le forze curde prendono il controllo dell'ex base aerea di
Tabqa[641]. Ad est di Aleppo intanto i
governativi, dopo due giorni di assedio, conquistano il 29 marzo la roccaforte
ISIS di Deyr Hafir[642].
A fine marzo viene raggiunto, sulla scia dei precedenti, un
nuovo accordo tra governo e forze ribelli per l'evacuazione di combattenti e
civili da Madaya e Zabadani, assediate
dall'esercito, verso Idlib e da Al-Fu'ah e Kafriya, assediate dall'opposizione, verso
Aleppo[643]. Tuttavia il 15 aprile uno dei
convogli provenienti da quest'ultime località viene attaccato da un'autobomba
in territorio ribelle alla periferia ovest di Aleppo, causando circa 100 morti[644]. Nonostante ciò entro il 22 aprile
si conclude l'evacuazione delle cittadine ribelli al confine con il Libano[645].
Entro metà aprile i governativi riconquistano intanto tutti i
punti persi a nord di Hama, compresa Suran, a seguito dell'offensiva ribelle
del mese precedente[646]. Il 23 aprile le forze regolari
riprendono anche Halfaya, riportando la situazione del fronte a prima
dell'attacco ribelle di agosto 2016[647].
Il 6 maggio Turchia, Russia e Iran annunciano il raggiungimento
di un nuovo accordo per la creazione di quattro zone di de-escalation tra il
governo e l'opposizione: il fronte nord di Idlib, la sacca di Rastan tra Hama e
Homs, la sacca del Goutha Est e il fronte meridionale di Daraa[648].
Il 10 maggio le forze dell'SDF, dopo circa un mese di assedio,
completano la conquista di Tabqa e della vicina diga sull'Eufrate[649]. Riprendendo intanto l'offensiva
ad est di Deir Hafer, i governativi il 12 maggio strappano all'ISIS l'ex base
aerea di Jirah[650]. Proseguendo inoltre nella messa
in sicurezza della capitale, il 15 l'esercito siriano riconquista i distretti
assediati ad est di Damasco di Qabun e Barzeh[651].
Il perdurare della tregua consente inoltre all'esercito siriano
di spostare l'attenzione nel settore sud. Nella seconda metà di maggio i
governativi avanzano lungo l'autostrada Damasco-Baghdad e ad est di Suwayda, a
danno dei ribelli supportati da forze speciali occidentali, mentre una seconda
offensiva, contro il Califfato a sud-est di Qaryatayn, porta alla riconquista
di una vasta area desertica e della strategica autostrada Damasco-Palmira[652]. Il 4 giugno i governativi
riconquistano con un'offensiva la
città di Maskanah, a sud-est di Deir Hafer, ultimo bastione dell'ISIS nella
provincia di Aleppo[653]. L'avanzata verso il valico
siro-iracheno di Al-Tanf provoca tuttavia la reazione dell'aviazione
statunitense, che il 18 maggio e il 6 giugno attacca le milizie sciite
governative[654][655]
Le battaglie di Raqqa, Deir Ezzor e la fine dello Stato
Islamico (giugno-dicembre 2017)
Dopo la rapida avanzata iniziata nell'autunno 2016 e che ha
portato a fine maggio le forze curde ad assediare la capitale del Califfato da
nord, da est e da ovest, il 6 giugno l'SDF comunica ufficialmente l'inizio
dell'ultima fase della campagna per la conquista della città e l'occupazione
dei primi quartieri nell'estrema periferia orientale e occidentale[656]. L'8 giugno i curdi occupano l'ex
base militare governativa Divisione 17, ultimo ostacolo a difesa della
periferia settentrionale della città[657]. La capitale del Califfato viene
completamente accerchiata il 2 luglio anche da sud[658], il 4 le forze dell'SDF penetrano
nella città vecchia attraverso una breccia nella parte est delle antiche mura[659]. Il 2 settembre il comando
dell'SDF comunica la totale conquista della città vecchia, i miliziani
dell'ISIS si ritirano quindi verso i quartieri moderni a nord del centro
storico[660]. Il 15 ottobre le ultime posizioni
dell'ISIS collassano, con la resa di decine di miliziani[661], il 17 l'SDF annuncia la totale
conquista dell'ex capitale del Califfato[662].
Proseguendo intanto la propria offensiva in tutto il paese
contro il Califfato, il 10 giugno l'esercito siriano aggira da nord-est il
bastione dei ribelli filo-occidentali di Al-Tanf e, approfittando della scarsa
resistenza dell'ISIS, raggiunge attraverso il deserto il confine iracheno,
ricongiungendosi con le forze governative di Baghdad[663]. Il 15, ad est di Palmira, i siriani
riconquistano il villaggio di Arak e gli adiacenti campi petroliferi, 170 Km
dalla sacca di Deir Ezzor[664]. Anche a sud-est di Maskanah i
governativi proseguono la propria offensiva, raggiungendo l'autostrada
Ithriya-Tabqa il 13 giugno e lo strategico villaggio di Resafa e
i vicini campi petroliferi il 19, 40 km a sud di Raqqa[665]. Lo stesso giorno, a seguito di
piccole scaramucce tra governativi e SDF, un Su-22 siriano viene abbattuto da
un F-18 statunitense, causando una nuova crisi diplomatica tra Russia e Stati
Uniti[666]. A seguito della completa
riconquista il 30 giugno della strategica autostrada Ithriya-Resafa e dei
restanti territori tra Khanasir e Maskanah, i governativi respingono
definitivamente l'ISIS fuori dal governatorato di Aleppo[667].
Il 9 luglio entra in vigore una nuova tregua nel sud-ovest del
paese siglata tra USA e Russia durante il G20 di Amburgo[668].
Il 19 luglio l'amministrazione di Donald Trump ha deciso di fermare l'Operazione Timber Sycamore, programma
della CIA per
il rifornimento di armi e supporti ai gruppi ribelli anti-governativi in Siria.[669]
Il 6 agosto i governativi riconquistano Sukhnah, circa 120 Km
dalla sacca di Deir Ezzor, ultima roccaforte dell'ISIS nel governatorato di
Homs[670]. Il 18 agosto, avanzando da nord e
da sud, le forze siriane tagliano il grosso saliente ISIS ad est di Hama,
chiudendo in una vasta sacca la roccaforte di Uqayribat[671]. Una seconda sacca viene chiusa e
distrutta tra il 23 e il 25 agosto poco più ad est[672].
Dopo una breve offensiva, il 29 agosto l'esercito siriano e
alleati si assicurano definitivamente il controllo della totalità del confine
tra Siria e Libano[673].
Il 2 settembre la cittadina di Uqayribat viene riconquistata dai
governativi[674]. Ciò che rimane della sacca a
cavallo tra le provincie di Hama e Homs viene infine completamente distrutta
entro il 6 ottobre[675]. Dopo un'ultima e rapida
offensiva, il 5 settembre le forze governative siriane raggiungono la periferia
occidentale di Deir Ezzor, accolti dalla popolazione in festa, rompendo
l'assedio dell'ISIS alla guarnigione che si prolungava da luglio 2014[676]. Il 9 settembre i governativi
entrano nella locale base aerea, rompendo dopo circa 7 mesi l'assedio imposto
dal Califfato[677]. Dopo la rottura dell'assedio si
accende la corsa, tra governativi ed SDF, alla vasta regione petrolifera a
sud-est del capoluogo. I curdi in pochi giorni raggiungono i primi giacimenti e
la periferia nord della città[678] ed il 18 l'esercito siriano e
le forze speciali russe attraverso l'Eufrate a sud-est di Deir Ezzor[679]. Il 23 settembre, risalendo
l'Eufrate, i governativi espugnano Maadan, il Califfato viene di conseguenza totalmente
espulso dal governatorato di Raqqa[680]. Tuttavia lo stesso giorno il
generale russo Valery
Asapov, comandante di una sezione di truppe governative nell'area di
Deir Ezzor, rimane ucciso nell'esplosione del colpo di un mortaio dell'ISIS,
durante i combattimenti nella città.
Il 1º ottobre, a seguito di una violenta controffensiva, l'ISIS
riesce ad infiltrarsi attraverso il deserto nelle linee governative e a
rioccupare Qaryatayn; la cittadina viene ripresa dalle forze siriane il 22[681]. Proseguendo l'avanzata sulla riva
destra dell'Eufrate, i governativi riconquistano il 14 ottobre la roccaforte di
Mayadin, 46 Km a sud-est di Deir Ezzor[682].
Il 18 ottobre muore, a causa di una mina nei pressi di Deir
Ezzor, il generale Issam Zahreddine,
comandante della guarnigione governativa negli oltre tre anni di assedio[683].
Il 3 novembre l'esercito siriano riconquista definitivamente il
centro urbano di Deir Ezzor[684]. Il 20 novembre i governativi
riconquistano Abu Kamal, ultima importante città siriana ancora in mano
all'ISIS, aprendo di fatto un secondo collegamento via terra con le forze
irachene[685].
La riapertura del fronte contro i ribelli e il nuovo
intervento turco (gennaio 2018 - aprile 2018)
Lo stesso argomento in
dettaglio: Operazione militare turca nel distretto di Afrin e Sconfinamento della guerra civile siriana in Turchia.
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Proseguendo nella riconquista del Rif di Damasco, il 2 gennaio
2018 i governativi completano lo smantellamento della sacca di Beit Jinn, a
sud-ovest della capitale. I ribelli arresisi vengono evacuati verso le
provincie di Idlib e Daraa[686]. Terminata intanto con successo la
campagna nell'est del paese contro il Califfato e approfittando di scontri
scoppiati già da ottobre tra ISIS e Al Nusra ad est di Hama, l'esercito siriano
riattiva il fronte contro i ribelli, avanzando nel governatorato di Idlib in
direzione della ex base aerea di Abu al-Duhur[687]. Il 20 Gennaio l'esercito siriano
riconquista la base aerea di Abu al-Duhur (caduta nel settembre 2015). Ad est
di essa vengono chiusi in un sacca decine di villaggi in mano a miliziani
dell'ISIS o ad Al-Nusra[688]. Lo stesso giorno l'esercito turco
annuncia il lancio di una nuova offensiva contro il cantone curdo di Afrin, a
nord di Aleppo, denominata "Ramoscello d'Ulivo". Il presidente
Erdoğan dichiara inoltre che l'operazione sarà poi seguita da un'altra, avente
come obiettivo Manbij, città occupata dai curdi da agosto 2016[689]. L'operazione avviene con il
tacito assenso della Russia la cui aviazione controlla lo spazio aereo del
cantone e contemporaneamente anche con quello degli Stati Uniti, non essendo
seguita all’offensiva alcuna reale protesta diplomatica da parte di questi. Iran
e governo siriano al contrario invitano invano Ankara a porre immediatamente
fine alle operazioni militari contro la città di Afrin, avvertendo che
l’invasione potrebbe creare il caos necessario affinché i gruppi terroristici
riprendano le operazioni nella regione.[690]. Di fronte all'avanzata turca e
delle milizie loro alleate, viene stretto un accordo di cooperazione tra i
curdi e il governo siriano. Il 23 febbraio forze governative entrano quindi nel
cantone, raggiungendo la città di Afrin[691].
Il 29 gennaio i governativi riconquistano anche il centro urbano
di Abu al-Duhur[692]. Il 3 febbraio, nei pressi di
Saraqib, è abbattuto un Su-25 russo, il pilota si suicida con la sua granata
d’ordinanza per non cadere in mano ai ribelli[693]. L'8 febbraio a Khasham, nella
provincia di Deir Ezzor, a seguito dell'attraversamento dell'Eufrate da parte
di forze governative avviene un massiccio attacco della coalizione capeggiata
dagli USA che causa numerose perdite alla colonna di 500 uomini bersagliata.
Durante tale operazione muoiono anche 14 contractors russi[694], in seguito è stato chiarito che i
russi sarebbero morti a causa di una trappola esplosiva lasciata dai miliziani
dell'ISIS in un deposito di armi.[695]
Il 10 febbraio un drone iraniano sconfina in Israele ed è
abbattuto nel cielo sopra la valle di Beit Shean. In risposta gli israeliani
eseguono raid attraversando lo spazio aereo libanese e colpendo diversi
obiettivi iraniani e governativi vicino a Damasco e Palmira, tra cui il centro
di controllo mobile del drone sconfinato. La contraerea siriana riesce a
colpire un F-16 israeliano il quale si schianta in Galilea. I due piloti
riescono a catapultarsi fuori dall'abitacolo prima dell'impatto ma uno dei due
risulta gravemente ferito.[696] Il 13 febbraio i governativi
riconquistano completamente la sacca di resistenza ad est di Abu al-Duhur,
sottraendo in tal modo le ultime zone controllate dall'Isis nelle province di
Aleppo, Idlib ed Hama[697].
Terminate le operazioni nel governatorato di Idlib l'esercito
siriano lancia il 25 febbraio, dopo giorni di violenti bombardamenti iniziati
il 18, una massiccia offensiva contro la sacca del Ghouta est, alle porte di
Damasco[698]. A seguito del collasso delle
difese ribelli e della rapida avanzata dei governativi, il 10 marzo la sacca è
divisa in tre parti: la cittadina di Douma, il quartiere di Harasta e la
restante area urbana di Irbin-Jobar. In tale data i governativi controllano
circa la metà dei territori del Ghouta est che erano in mano ai ribelli prima
dell'inizio dell'operazione.[699]
Il 18 marzo fonti turche annunciano lo sfondamento delle difese
curde ad Afrin e la caduta della città. Secondo l'ONU, oltre 250.000 persone
sarebbero fuggite verso i territori controllati dai governativi a sud-est del
distretto, attraversando il corridoio umanitario predisposto dall'esercito
turco.[700]
Tra il 23 e il 31 marzo vengono raggiunti alcuni accordi per una
tregua tra i governativi e i principali gruppi ribelli presenti nel Ghouta
Orientale [701]. Le due sacche di Harasta e
Irbin-Jobar vengono quindi smantellate, i miliziani arresisi vengono trasferiti
nella provincia di Idlib [702][703].
Dopo nuove trattative è raggiunto un accordo per l'evacuazione
di Douma, ultima sacca ribelle nel Ghouta est, verso il nord della provincia di
Aleppo. Il 12 aprile i governativi entrano in città, sancendo la fine della
campagna e la totale riconquista dell'hinterland orientale della capitale [704]
I raid internazionali contro il governo, le operazioni
finali contro Daesh e l'assedio di Daraa (aprile 2018 - presente)
L'8 aprile i ribelli sostengono che sia avvenuto un nuovo
utilizzo di armi chimiche su Douma, in particolare di gas al cloro.[705] Il 9 aprile un raid aereo
colpisce una base aerea governativa ad Homs: secondo diverse fonti il raid sarebbe
opera di caccia F-15 israeliani, che avrebbero agito in rappresaglia per
l'attacco chimico su Douma colpendo una base iraniana nelle vicinanze di
Palmira che era stata già bersaglio di attacchi precedenti in seguito allo
sconfinamento di un drone nello spazio aereo israeliano ed uccidendo 14 persone
di cui 4 consiglieri militari iraniani.[706]
Il 14 aprile Stati Uniti, Francia e Regno Unito lanciano
un attacco
missilistico contro le forze governative di Assad, con obiettivo
primario i siti di produzione di armi chimiche del governo siriano.[707] Nei primi raid vi sarebbero
stati tre obiettivi colpiti: un centro di ricerca scientifico sullo sviluppo
delle armi chimiche nell'area suburbana di Damasco e due depositi, di cui uno
di Sarin, ad ovest di Homs. Il Pentagono avrebbe agito avvertendo i russi e le
batterie antimissile iraniane e russe non sarebbero state attivate.[708] Stando ad altri rapporti i
missili sarebbero stati per la maggior parte distrutti dalle difese antiaeree
siriane coadiuvate dai radar russi, mentre i pochi che avrebbero raggiunto
l'obiettivo avrebbero colpito depositi da tempo abbandonati.[709]
Nello stesso tempo i governativi iniziano a conquistare le
ultime sacche di resistenza dell'opposizione e dell'ISIS nelle vicinanze e
nel Rif della
capitale. Dopo il raggiungimento di un accordo di resa ed evacuazione, tra il
19 e il 25 aprile l'esercito siriano riconquista la città di Dumayr e le ultime
aree in mano in ribelli nel Qalamoun orientale.[710] Il 21 aprile, a seguito del
fallimento di trattative per l'evacuazione dei miliziani, viene avviata
un'offensiva contro le aree a sud di Damasco sotto il controllo di gruppi
affiliati allo Stato Islamico e a Tahrir al-Sham tra cui il campo profughi
palestinese di Yarmouk.[711] Il 30 aprile i miliziani di
Tahrir al-Sham (ex fronte Al-Nusra) nell'area si arrendono e vengono trasferiti
nella provincia di Idlib.[712]
Nella notte tra 29 e 30 aprile diversi missili colpiscono basi
governative nelle province di Aleppo e Hama ospitanti militari iraniani. Fonti
filo-governative accusano Israele e sostengono che i morti siano stati più di
40 di cui 18 iraniani. Secondo il SOHR i morti sarebbero stati 26[713] mentre secondo altre fonti
iraniane non vi sarebbero militari iraniani coinvolti.[714] I notiziari israeliani al
contrario sostengono che il bombardamento abbia distrutto 200 missili
terra-terra iraniani.[715]
Il primo maggio il Dipartimento di Stato statunitense annuncia
l'inizio dell'offensiva finale contro l'ISIS nelle regioni orientali e
meridionali del Paese.[716]
L'8 maggio gli Stati Uniti annunciano l'uscita dall'accordo sul
nucleare iraniano sancendo un ulteriore avvicinamento alla
linea anti-iraniana di Israele, che annuncia di avere intenzione di imporre il
ritiro strategico delle forze iraniane dal territorio siriano continuando ad
effettuare raid sulle basi dei pasdaran situate
nelle zone controllate dai governativi.[717] Il 9 maggio nei pressi di
Damasco avviene un nuovo raid israeliano su una base iraniana, che causa 15
morti di cui 8 iraniani.[718] In serata l'Iran lancia
missili da basi siriane contro le postazioni israeliane nel Golan. Israele
risponde con un'imponente offensiva aerea, utilizzando per la prima volta in
una zona di guerra uno stormo comprendente aerei di ultima generazione F-35 e
colpendo decine di obiettivi tra cui due aeroporti militari a Damasco.[719][720]
Il 21 maggio 2018 le forze armate siriane dichiarano di aver
infranto le ultime sacche di resistenza dell'Isis a Yarmouk e nei vicini
sobborghi di Damasco. Dopo oltre sei anni la zona di Damasco può dirsi di nuovo
completamente sotto il controllo del governo.[721]
Il 31 maggio, a seguito di un accordo tra russi e israeliani,
viene annunciato che Hezbollah e iraniani si ritireranno dalle zone adiacenti
le alture del Golan, creando una "zona cuscinetto" nelle province di
Daraa e Quneitra.[722]
Il 3 giugno la coalizione internazionale capeggiata dagli USA,
le Forze Democratiche Siriane (FDS) e le forze armate irachene avviano la
seconda fase dell’operazione militare al confine tra Siria e Iraq contro Daesh rafforzando la presenza militare
irachena al fine di evitare la fuga dei miliziani.[723]
Il 5 giugno, a seguito di accordi tra le diplomazie statunitense
e turca, i militanti FDS annunciano il ritiro dalla città di Mambij, che era
stata sottratta all'ISIS nell'agosto 2016.[724]
Il 10 giugno Israele lancia a sorpresa vaste manovre militari di
esercitazione, annunciando inoltre un possibile richiamo di riservisti in vista
della imminente offensiva dell’esercito siriano contro i ribelli nelle aree
contigue alle alture del Golan e al confine con la Giordania.[725]
Il 18 giugno avviene un raid sulle forze governative e iraniane
ad Abu Kamal, al confine tra Siria e Iraq. Inizialmente Damasco punta il dito
contro la coalizione USA, in seguito la CNN annuncia che i raid sono stati
effettuati da Israele.[726] Il 25 giugno razzi israeliani
colpiscono un deposito di armi di Hezbollah nei pressi dell'aeroporto
civile di Damasco.[727]
Il 19 giugno, con il supporto dell'aviazione russa, viene
avviata un'operazione governativa in larga scala volta alla riconquista delle
frontiere meridionali ovvero delle porzioni del Governatorato di
Daraa, del Governatorato di
Quneitra e del Governatorato
di al-Suwayda oggetto di combattimenti con i ribelli islamisti
fin dall'inizio dell'insurrezione nel 2011.[728][729][730] Vengono bombardate le
principali infrastrutture dell'area tra cui tre ospedali. Tra gli obiettivi
bombardati vi sarebbe anche una struttura di Save the Children.[731] L'esercito regolare avanza
rapidamente e acquisisce in breve tempo il controllo di gran parte dell'area.
Secondo i dati ONU per via dell'operazione risultano sfollate circa 320.000
persone delle 725.000 che si trovano nell'area, delle quali almeno 60.000 si
sarebbero spostate sui confini della Giordania e delle alture del Golan
occupate da Israele. Entrambe le frontiere rimangono chiuse.[732][733][734]
Il 6 luglio viene raggiunto un accordo tra governativi e ribelli
riguardante la resa di circa 30 villaggi nel governatorato di Daraa e la
cessione del valico di frontiera con la Giordiania di Nassib.[735]
Il 12 luglio la città di Daraa, luogo simbolo dell'inizio della
guerra civile nel 2011, torna ad essere completamente sotto il controllo dei
governativi.[736] Di rilevante importanza
strategica è inoltre la totale messa in sicurezza di gran parte dell'autostrada
M5, dal valico siro-giordano di Nasib fino alla periferia nord di Hama.
Il 22 luglio, durante l'evacuazione di Quneitra da parte delle forze ribelli,
Israele apre momentaneamente la frontiera del Golan su richiesta di USA ed UE,
consentendo il passaggio verso la Giordania di circa 800 persone tra “Caschi
Bianchi”, i volontari della cosiddetta Difesa civile siriana,
e loro familiari.[737] Con la caduta di Quneitra e
Daraa, la sacca di Tasil, controllata da un gruppo affiliato allo Stato
Islamico, sotto un pesante assedio dei governativi, rimane l'ultimo bastione ad
opporsi a Damasco nel sud-ovest del Paese.[738]
Il 25 luglio a Suwayda militanti di Daesh attaccano le retrovie
governative facendo strage di civili drusi prima
di essere fermati dai rinforzi.[739] Il 27 luglio le forze
governative con il supporto anche di ex componenti delle formazioni ribelli
occupano la città di Tasil. Il 31 luglio viene riconquistata l'intera sacca di
resistenza.[740] In contemporanea avviene il
collasso delle difese di Daesh anche nel governatorato di Deir Ezzor, nella
MERV (Middle Euphrates Valley), dove le Forze Democratiche Siriane riescono
infine a riunirsi per formare un unico fronte contro la sacca tra Hajin
(quartier generale di Daesh da dopo la caduta di Raqqa) e Harse, città site
lungo la sponda orientale dell'Eufrate quasi al confine con l'Iraq.[741]
Nel contempo le Forze Democratiche Siriane (FDS) che a fine
luglio controllano circa un quarto del territorio siriano, diffidenti degli
alleati americani che hanno già annunciato il ritiro delle loro truppe dalla
Siria (anche se ancora a data da destinarsi) e temendo di trovarsi isolati
politicamente come è avvenuto ai vicini peshmerga iracheni del KRG (assediati
prima da Baghdad poi dalla Turchia a seguito del referendum per l'indipendenza del 2017, il
quale era osteggiato anche dagli USA), avviano i primi contatti con Damasco per
trovare una soluzione pacifica finale alla crisi siriana, aspirando ad un
riconoscimento di autonomia regionale e a maggiori diritti per le minoranze
etniche rimanendo però all'interno della nazione siriana. In tale direzione
vanno infatti i contatti per il ripristino della centrale idroelettrica
della diga di Tabqa, i
patti per la fornitura di petrolio dai pozzi dell'est del Paese controllati
dalle FDS alle raffinerie dell'ovest governativo e in ultima analisi anche
l'offerta di supporto militare da parte di ufficiali curdi per le operazioni
governative nel governatorato di
Idlib che a fine agosto sono in fase di preparazione.[742][743][744][745] Il governo di Damasco in ogni
caso si dichiara contrario ad un sistema federale o che comunque preveda forme
di amministrazione autonoma.[746]
Il 27 agosto, dopo una lunga preparazione volta a mettere in
sicurezza il confine Siria-Iraq e a permettere l'evacuazione di civili, le FDS
con il supporto dell'aviazione della coalizione internazionale lanciano
un'offensiva contro la sacca di Hajin.[747]
Il 17 settembre, in seguito ad un vertice tra capi di stato e
dopo diversi tentativi falliti, Russia e Turchia raggiungono un accordo per una
sospensione delle operazioni governative a Idlib il
quale prevede anche la creazione di una zona cuscinetto smilitarizzata
«profonda 15-20 chilometri» e l’espulsione dalla provincia di Idlib delle
formazioni jihadiste, a cominciare da Hayat al-Tahrir al-Sham che controlla
ancora circa metà del territorio del governatorato.[748]
La sera del 17 settembre durante un raid israeliano su Laodicea la contraerea di Damasco abbatte
per errore un aereo russo Ilyushin-20 M uccidendo 15 persone.[749][750] Questo fatto provoca grandi
tensioni diplomatiche tra Russia e Israele, in quanto secondo i russi l'aereo
sarebbe stato usato come "scudo" dagli israeliani durante il
controattacco siriano, inoltre Israele avrebbe avvisato dell'operazione la
Russia solamente un minuto prima che avvenisse il raid israeliano, e di conseguenza
l'aereo non avrebbe avuto il tempo di mettersi al riparo.[751][752] Fonti filo-occidentali
sostengono invece che l'aereo spia fosse presente nell'area appositamente con
lo scopo di raccogliere informazioni sugli F-35 israeliani e che sia stato
abbattuto dall'intenso fuoco di sbarramento di una delle tante batterie
presenti nella fascia costiera tra Tartus e Latakia con alla consolle personale
siriano affiancato da russi e/o iraniani. La potente azione di disturbo
elettronico israeliano (jamming) e il tiro missilistico a “sbarramento” hanno
così determinato il fatale errore della difesa aerea. A riprova della
possibilità che vi fosse personale russo e/o iraniano in servizio nella difesa
aerea siriana quella sera, ci sono le parole del presidente Putin, che a 24 ore
dalla tragedia ha smorzato i duri toni iniziali del ministero della difesa russo
dicendo che si è trattato di “una catena di tragiche circostanze accidentali”.[753] A seguito di tale avvenimento
il ministero della difesa russo decide di avviare la fornitura di quattro
batterie del sistema di difesa antiaerea S-300
PMU2 Favorit al governo siriano.[754]
Fonti israeliane affermano che nel 2017 e nel 2018 Israele abbia
colpito più di 200 obiettivi in territorio siriano.[755]
Dati sulle vittime
Sebbene nel gennaio del 2014 l'ONU avesse
dichiarato che non avrebbe più aggiornato i dati sul numero delle vittime,[756] nell'agosto del 2014 ha
pubblicato uno studio che documenta l'uccisione di 191.369 persone nel
conflitto da marzo 2011 a fine aprile 2014: di queste, almeno 8.803 sono minori
di 18 anni. Lo studio non riporta le percentuali di combattenti e di civili tra
le vittime.[757][758]
L'Osservatorio
Siriano per i Diritti Umani (SOHR), un'organizzazione non
governativa con sede a Londra, ha documentato 301.781 morti tra marzo 2011 e
settembre 2016, di cui poco meno di un terzo sono civili (86.692) e i restanti
due terzi combattenti, equamente divisi tra governativi e filo-governativi
(oltre 107.054) e anti-governativi moderati ed estremisti (oltre 104.390, di
cui 52.359 ribelli siriani e curdi e 52.031 combattenti stranieri appartenenti
principalmente a Stato Islamico e al-Nusra). Includendo anche le morti non
documentate, SOHR stima un totale di 430.000 morti.[46]
Secondo i dati dell'UNHCR (aggiornati al 29
agosto 2015), i rifugiati della Diaspora siriana sarebbero 4.088.078
(quasi quanto la popolazione dell'intera Irlanda), molti dei quali all'interno di
Libano e Turchia. A questi si aggiungono inoltre circa 7,8 milioni di siriani
sfollati all'interno del paese.[759][760]
Il coinvolgimento di altri Stati
Fra gli Stati che appoggiano economicamente e militarmente le
forze ribelli che hanno come riferimento politico la Coalizione Nazionale Siriana vi
sono Stati Uniti d'America[761][762], Gran Bretagna[763][764], Francia[765][766] e i più importanti Stati
sunniti del Medio Oriente, tra cui Qatar[767], Arabia Saudita[768] e Turchia[769], i quali estendono il loro
appoggio anche alle fazioni più integraliste. L'appoggio di queste nazioni ai
ribelli siriani è giudicato da alcuni autori come un riconoscimento di insorti
prematuro, che secondo parte della dottrina giuridica andrebbe a costituire un
illecito internazionale nei confronti della Siria stessa[770].
Il governo di Damasco riceve sostegno finanziario, politico e
militare principalmente da parte di Russia[771] e Iran[772], mentre forniscono un sostegno
minore anche Corea del Nord[773], Venezuela[774] e il vicino Iraq[775].
Le Nazioni Unite hanno nominato un inviato speciale per la crisi
siriana il 24 febbraio 2012: tale ruolo è stato ricoperto da Kofi Annan[776], sostituito il 17 agosto 2012
da Lakhdar Brahimi[777] e il 10 luglio 2014 da Staffan de Mistura[778].
Impiego delle armi chimiche
La Siria fin dagli anni settanta aveva sviluppato segretamente
un programma di armamento chimico principalmente come strumento di deterrenza
nei confronti dell'armamento nucleare israeliano[779]. Sebbene la detenzione di tale
armamento sia stata sempre negata dai governi siriani, alcune analisi condotte
da servizi segreti occidentali valutano l'arsenale chimico siriano come
"il più grande del mondo"[780] distribuito in una serie di
magazzini contenenti circa 1.000 tonnellate di materiale tra cui iprite, gas VX e sarin[781].
L'ONU ha ricevuto, durante la guerra civile siriana, 16 denunce
di utilizzo di armi chimiche: di questi episodi solo sette sono stati
effettivamente sottoposti a indagine e in quattro casi è stata accertata la
presenza di gas sarin. Essendo i magazzini di stoccaggio posizionati in aree
sia sotto controllo governativo che ribelle, non è stato possibile accertare
chi abbia fatto uso degli agenti chimici[782]. Una relazione dei servizi segreti
americani riporta come "sicura" l'entrata in possesso da parte dei
ribelli di armi chimiche[783].
Il primo attacco documentato è condotto il 19 marzo 2013 a Khan
al-Assal, sobborgo di Aleppo: a seguito del lancio di un razzo, sono uccise 26
persone tra cui 16 soldati governativi; i morti e i feriti presentano segni d'intossicazione
da gas sarin. Governo e ribelli si accusano a vicenda dell'attacco[784]. Una delegazione russa di esperti
in armi chimiche, invitata dal governo siriano, trova tracce del componente
chimico e attribuisce la responsabilità ai ribelli[785]; l'ONU riesce a organizzare
un'indagine indipendente solo nell'agosto 2013 in cui concorda con gli esperti
russi sull'uso del gas sarin ma non attribuisce responsabilità[786].
Il 29 aprile 2013 avviene un nuovo sospetto attacco a Saraqib,
che causa due morti. Alcuni medici turchi riescono a eseguire analisi del
sangue sui cadaveri senza trovare traccia di agenti chimici[787], ma in seguito nuove analisi
condotte da medici francesi riportano invece la presenza di gas nervino[781]. Il 5 agosto 2013 i ribelli
siriani denunciano un attacco chimico perpetrato dall'esercito siriano ai loro
danni, denuncia accompagnata da un filmato la cui autenticità non è provata;
non esistono analisi indipendenti di questo episodio[788].
Il 21 agosto 2013 avviene il più grave attacco chimico
verificatosi durante la guerra. Quello che poi verrà chiamato "attacco chimico di
Ghūṭa" colpisce con gas sarin i sobborghi di Damasco di Jobar,
Zamalka, 'Ain Tirma, Hazzah e la regione della Ghuta Orientale provocando
almeno 635 morti, principalmente civili. Un'indagine dell'ONU di tre settimane
conferma l'utilizzo del gas sarin diffuso attraverso missili
superficie-superficie[789], tuttavia non chiarisce chi abbia
perpetrato l'attacco[790]. L'attacco di Ghuta scatena una
forte reazione internazionale in cui gli Stati Uniti accusano il governo
siriano, mentre la Russia accusa i ribelli di aver usato le armi chimiche al
puro scopo di incolpare il governo e causare un intervento militare occidentale[791]. L'intervento internazionale nella
guerra civile siriana è evitato grazie ad un accordo tra Stati Uniti, Russia e
Siria per l'eliminazione delle armi chimiche siriane attraverso
l'intermediazione dell'ONU[792].
L'11 aprile 2014 si verifica un nuovo episodio collegabile
all'utilizzo di agenti chimici come strumento d'attacco: nella cittadina di
Kafr Zita, nel governatorato di Hama,
viene riportata l'intossicazione di circa 200 persone e la morte di due a
seguito dell'inalazione di gas al cloro.
Secondo fonti vicine ai ribelli l'attacco sarebbe stato condotto dalle forze
aeree siriane per interrompere l'avanzata dei miliziani verso la città
strategica di Khan Shaykhun[793]. Il cloro tuttavia non è
contemplato tra le sostanze proibite dalla Convenzione
sulle armi chimiche[794].
Il 4 aprile 2017 circa 70 persone perdono la vita, intossicate
da gas sarin, dopo il raid aereo
siriano contro le forze ribelli nella cittadina di Khan
Shaykhun, nel governatorato di
Idlib[795]. Stati Uniti, UE, Turchia e paesi
del Golfo accusano Damasco di aver usato il gas mortale contro la popolazione
civile, mentre la Russia difende il governo siriano affermando che nell'attacco
è stato distrutto un deposito di armi chimiche in mano agli oppositori del
regime[796] e richiede una regolare
indagine ONU per accertare le cause dell'attacco. Senza aspettare alcuna
verifica[797], il 7 aprile Donald Trump, presidente degli Stati Uniti,
ordina di lanciare 59 missili Tomahawk contro la base aerea di
Shayrat, a sud di Homs, da dove sarebbero partiti i velivoli responsabili del
presunto raid con armi chimiche[798][799], un attacco fondamentalmente
inutile in quanto gli aerei e i militari della base erano stati fatti
sgombrare [800]; la Russia tuttavia definisce
questo atto come un vero e proprio attacco al territorio siriano.[801]
L'8 agosto 2017 un rapporto dell'ONU conferma la responsabilità
del regime di Assad nell’attacco chimico di Khan Shaykhun.[802][803] L'8 settembre 2017 caccia
israeliani bombardano un centro di ricerca militare nei pressi di Masyaf, da fonti di intelligence occidentali
ritenuto legato al programma di armi chimiche siriano.[804]
L'8 aprile 2018, durante la fase finale dell'assedio del Ghouta
Orientale, a Douma i ribelli sostengono che sia avvenuto un nuovo attacco
chimico mediante l'utilizzo di gas al cloro. Il 13 aprile il governo
statunitense afferma di avere le prove che l'attacco con armi chimiche a Douma
è stato condotto dal governo siriano; il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e
il portavoce del ministero della difesa russo Igor
Konashenkov accusano invece i servizi segreti britannici di
aver organizzato quello che sarebbe stato un finto attacco chimico, tesi subito
definita "grottesca, bizzarra e del tutto falsa" dall'ambasciatrice
di Londra all'ONU Karen
Pierce.[805] Sull'autenticità dell'attacco
chimico sono comunque stati espressi vari dubbi, rendendo necessaria
un'inchiesta indipendente da parte dell'OPAC.[806] Il 14 aprile 2018 vengono
effettuati bombardamenti
su postazioni governative da parte di Stati Uniti, Francia e
Regno Unito. Viene dichiarato che gli obiettivi colpiti siano stati depositi ed
un centro di ricerca correlati nel programma govenativo sulle armi chimiche.[707] Il 20 aprile l'OPAC inizia
ufficialmente la missione e raccoglie i primi campioni a Douma.[807] Il 3 maggio gli ispettori
riesumano i cadaveri dei morti sotto i bombardamenti nelle zone segnalate.[808]
Il 16 maggio 2018 l'OPAC conferma che ordigni al cloro sono
stati usati il 18 febbraio a Saraqib, nella provincia di Idlib[809], senza però essere stata in grado
di attribuire la paternità dell'attacco.[810]
Il 29 maggio il governo di Damasco accusa Stati Uniti, Francia e
Regno Unito di preparare attacchi chimici provocatori in territorio siriano al
fine di giustificare i propri bombardamenti.[811]
Il 24 giugno il New York Times pubblica un'inchiesta in cui
ricostruisce la dinamica dell'attacco di un edificio a Douma, accusando il
governo di Assad e i suoi alleati di aver mentito alla comunità internazionale.[812]
Il 7 giugno un rapporto dell'OPAC annuncia di non aver rilevato la
presenza di gas nervino ma di aver individuato agenti clorinati organici in
campioni prelevati in 2 siti a Douma coinvolti nei bombardamenti del 7 aprile
2018.[813]
Il 22 luglio 2018 Israele bombarda nuovamente il centro di
ricerche militari di Masyaf.[814]
Voci correlate
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